Nella palude di Venezia, la città in cui tutto si vende
2/08/2024Il Manifesto– Mario Di Vito, Riccardo Bottazzo
Il caso Dal blind trust del sindaco fino agli affari con l’imprenditore Ching Chiat Kwong. Oltre l’inchiesta per corruzione, la fu Serenissima ha ormai cambiato volto. In peggio
San Luigi Brugnaro da Mirano. La qualifica celeste al sindaco di Venezia l’ha data in un’intercettazione un suo assessore, Renato Boraso. Perché «senza di lui non si muove nulla». Per ora, comunque, forse in virtù delle supposte qualità paranormali dell’interessato, l’inchiesta Palude vede il sindaco semplicemente iscritto nel registro degli indagati – «A sua tutela», sostiene il procuratore capo Bruno Cherchi -, mentre Boraso è agli arresti.
LA PALUDE di cui parlano gli investigatori, ad ogni modo, è un affresco in cui le varianti urbanistiche si mischiano con una serie di presunte tangenti: così diventa impossibile distinguere gli affari privati da quelli pubblici. Brugnaro, ricco e potente imprenditore con un considerevole numero di affari in laguna, nel 2017 aveva ben pensato a come tirarsi fuori dalle inevitabili accuse di conflitti d’interesse. Primo in Italia, infatti, aveva affidato tutto il suo patrimonio a un blind trust gestito da un avvocato di New York, Anthony Sacks. E però, almeno secondo quanto sospettano gli investigatori, il sindaco, il capo di gabinetto del Comune Morris Ceron e il suo vice Derek Donadini non avrebbero mai smesso di tenere d’occhio gli affari. Anzi, di più, di «occuparsene attivamente e in prima persona».
Come nel caso dell’area dei Pili, oggetto di un tentativo (non riuscito) di vendita all’imprenditore di Singapore Ching Chiat Kwong, che il sindaco avrebbe incontrato almeno in due occasioni, a Londra e a Berlino. Brugnaro aveva acquistato quell’area di 42 ettori per 5 milioni di euro, e l’affare si stava per concludere a quota 150 milioni di euro, con la promessa di aumentare la superficie edificabile. Con un non detto di fondo: i Pili sono da bonificare e per il ministero dell’Ambiente è uno di quei siti «ad alto rischio ambientale». Brugnaro l’ha sempre saputo e, sempre secondo i magistrati, avrebbe provato in tutti i modi ad «addomesticare» le perizie. Da qui, tra le altre cose, deriverebbe la fondazione di Coraggio Italia con Giovanni Toti: un tentativo di incidere anche a Roma. O meglio, negli uffici dei ministeri di Roma. Sullo sfondo ci sono i Pums, i piani urbanistici speciali che il Comune sta cercando da tempo di mettere a punto. Uno riguarderebbe proprio i Pili, e così si giustifica il loro aumento di valore.
NON SE N’È FATTO NIENTE, ma Ching Chiat Kwong un affare a Venezia lo ha fatto lo stesso con l’acquisto dello storico palazzo Papadopoli: pagato 10 milioni quando il suo valore era almeno di 14 milioni di euro. A gestire l’operazione per gli inquirenti è stato Boraso, la cui società Stella Consulting avrebbe incassato 73.200 euro per una consulenza. Il problema però non è solo nella svendita di palazzo Papadopoli. Né nella vicenda dei Pili e dei Pums. Lo scandalo dell’amministrazione che ha governato Venezia dal 2015 ad oggi, va ben oltre le, pur importanti, inchieste della magistratura. Perché è essenzialmente uno scandalo politico e riguarda una gestione della cosa pubblica sempre sottomessa a logiche clientelari volte a favorire i privati ed a creare consenso politico con interventi di facciata. Uno scandalo sottolineato anche nelle carte dell’inchiesta dei pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini che non esitano a definire il sistema Venezia come un «mercimonio della funzione pubblica» volto a «coltivare gli interessi privati a detrimento del bene comune».
BRUGNARO non ha fatto altro in questi anni in cui ha indossato la fascia tricolore di sindaco, che fare quello che aveva sempre promesso di fare: gestire il Comune come un’azienda. La sua. Nessun dialogo con le opposizioni, rarissime comparsate in consiglio comunale, revoca delle deleghe ai consigli di quartiere, querele ai giornalisti che pongono domande scomode, pieno controllo della macchina amministrativa con assunzione di personale di sua stretta fiducia. Come se un imprenditore del suo calibro non avesse tempo da perdere con le scocciature della vita democratica della città.
Questioni come la tutela dell’ambiente, della salute pubblica, della vivibilità di una città assediata dal turismo sono solo aspetti secondari rispetto ai schei. Esemplare in questo senso è il contestassimo ticket di ingresso che, se da un lato ha gonfiato le casse comunali, dall’altro ha umiliato i veneziani, costretti a dimostrare la loro residenzialità per superare i tornelli ed a spedire codici Qr agli amici in visita per non far pagar loro pedaggio. Un altro esempio, tra i tanti sottolineati dagli inquirenti, sono le delibere per l’efficientamento dell’illuminazione pubblica in cui, si legge negli atti, gli «atti amministrativi adottati hanno ricadute molto favorevoli verso le società di Brugnaro o talora di privati». Il contenimento dei consumi, l’efficienza delle soluzioni adottate non sono voci da mettere in capitolo.
UN SISTEMA DI GOVERNO, in altre parole, malato sin nelle sue fondamenta ma che è sempre riuscito a nascondere ogni problema dietro altisonanti battaglie condotte nel nome della sempiterna «sicurezza» o contro il «degrado dei costumi» (impossibile dimenticare che il primo atto dell’amministrazione Brugnaro fu quello di far sparire i libri sull’educazione di genere dalle biblioteche comunali). Le assunzioni di vigili palestrati – «Li voglio in grado di correre dietro ai nigeriani» -, i taser e le pistole con i quali ha armato la polizia municipale, oltre alla chiusura o al drastico ridimensionamento di tutte le attività sociali di riduzione del danno e di sostegno sulle strade, non hanno fatto altro che trasformare via Piave di Mestre nel più grande supermarket veneto della droga dove la sera non è consigliato passeggiare.
DALL’ALTRA PARTE del ponte, la Venezia insulare non è mai stata altro che un bancomat per questo sistema dove gli interessi privati dettano letteralmente legge. Nessun freno è stato posto all’aumento dei plateatici, all’alberghizzazione selvaggia, al dilagare degli affitti brevi in case acquistate in blocco da foresti al solo scopo di farne un business turistico. Questioni che Brugnaro e i suoi assessori si sono ben guardata dall’affrontare, pure se un emendamento alla finanziaria firmato dal deputato Nicola Pellicani (Pd) consentirebbe al Comune di intervenire per limitare la proliferazione di B&B. Come conseguenza, lo scorso dicembre, i posti letto per turisti hanno superato quelli per residenti. Un primato mondiale di cui Venezia farebbe volentieri a meno. Un dato che si sposa con quell’altro, il famoso 49.999 che, esattamente due anni fa, ignoti veneziani hanno trasformato in un cartello con cui hanno tappezzato calli e ponti. Per la prima volta nella sua millenaria storia, Venezia è scesa sotto i 50 mila residenti. Un trend che è continuato negli anni successivi. Com’è triste, così, Venezia.