In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.
Tappeti rossi per il clima. Fridays For Future occupa il Red Carpet
8/09/2019Il ManifestoUn giorno da Leoni. Protesta simbolica di centinaia di giovani alla mostra del Cinema, poi marcia in Laguna contro cambiamenti climatici e Grandi navi
Un flash mob, una marcia, l’occupazione del red carpet e pure una battaglia navale. Il Climate Camp non si è fatto mancare nulla e ha voluto dimostrare al mondo che alle parole debbono seguire i fatti. Tante le iniziative di lotta che hanno colorato il primo campeggio climatico di Venezia: dal flash mob stesi per terra con la mascherina al viso, organizzato dalle ragazze e dai ragazzi di Fridays For Future e messo in scena davanti ai cancelli della 76esima Mostra del Cinema di Venezia il 28 agosto, giorno dell’inaugurazione, sino alla grande e partecipata marcia per il clima che si è svolta nel pomeriggio di ieri, lungo i viali alberati del Lido.LE BANDIERE LAGUNARI dei No Navi hanno sventolato assieme agli striscioni ambientalisti di tanti comitati come Ende Gelände, il movimento tedesco che si batte contro la miniera di carbone in Vestfalia. A far da colonna sonora, i giovani di Fridays For Future che si sono ingegnati con tamburelli e altri percussioni. Ad aprire il corteo composto da migliaia di persone e dar voce all’impianto di altoparlanti, il furgoncino messo a disposizione dagli spazi sociali del Veneto. Furgoncino, ovviamente ad energia solare, «perché le parole e le azioni hanno detto gli attivisti vanno supportati con mezzi coerenti».
Una battaglia emblematica questa dei No Navi perché contrappone la tutela della salute dei cittadini e della difesa della città e dell’ambiente, ai profitti miliardari delle compagnie di crociera. Una battaglia che, in fin dei conti, è la stessa di tutti i movimenti dal basso e di tutti i tanti comitati che difendono il territorio. Magliette, cartelloni, striscioni e bandiere che coloravano il corteo, rappresentavano le tante battaglie che si stanno combattendo in Italia e in Europa, da quelle contro i Pfas e la Tav a quelle contro le autostrade e l’estrattivismo.
La marcia si è conclusa davanti ad un serrato spiegamento di forze dell’ordine che ha impedito ai manifestanti di raggiungere il palazzo della Mostra del Cinema. «La polizia ci sbarra la strada, ma non tiene conto che sul Red Carpet ci siamo già stati stamattina!» hanno ironizzato gli ambientalisti.
LA MANIFESTAZIONE pomeridiana infatti è stata preceduta nella mattinata da una vera e propria occupazione del Tappeto Rosso dove i divi fanno passerella. Tappeto che per ben sette ore si è colorato di verde. Prima dell’apertura dei cancelli della mostra, qualche centinaio di giovani con la tuta bianca era riuscita a raggiungere ed a sedersi sopra il famoso tappeto, preparandosi ad una azione di resistenza passiva. Man mano che la notizia girava sui social, gli attivisti sono stati raggiunti subito da altre centinaia di simpatizzanti, sino a coprire tutto il Red Carpet, prima che la polizia stringesse i cordoni, impedendo anche l’arrivo di rifornimenti come l’acqua e il cibo.
PAROLE DI SUPPORTO e di incoraggiamento ai manifestanti sono arrivate da vari artisti presenti alla Mostra tra i quali Roger Waters e Mick Jagger. «Sto tutto dalla parte dei ragazzi che protestano ha dichiarato la stella dei Rolling Stones saranno loro che erediteranno il pianeta».
SILENZIO IMBARAZZANTE invece da parte dei vertici della Mostra che non si sono neppure degnati di commentare l’iniziativa. Ma per ben sette ore le ragazze ed i ragazzi hanno tenuto duro, senza mollare un solo centimetro di tappeto. È la prima volta, in tutti i 76 anni di storia della Mostra, che degli attivisti riescono a mettere piede sopra il Red Carpet dei divi. Ci sono riusciti ieri per dare voce ad una battaglia, quella per il clima, che non dovrebbe essere ignorata da nessuna istituzione perché è la battaglia per il futuro della terra. «Il nostro pianeta sta bruciando! hanno urlato al megafono È il momento di mobilitarci tutti, di prendere veri provvedimenti, di reclamare a gran voce e senza sconti giustizia climatica e sociale». L’occupazione del Red Carpet è stata preceduta il giorno prima, venerdì 6, da una azione altrettanto clamorosa e portata a termine per di più sotto un autentico nubifragio.
UNA VENTINA DI BARCHE, con a bordo una delegazione internazionale, è salpata dal Lido di Venezia per dirigersi lungo il canale della Giudecca e compiere una direct action, come hanno chiamato l’azione di disturbo, nei confronti della Msc Lirica, una delle tante Grandi Navi che continuano a scorrazzare impunemente dentro la laguna, nonostante l’inquinamento comprovato, gli evidenti rischi per la città storica, la devastazione del delicato equilibrio che regola l’ecosistema lagunare e le inutili dichiarazioni e le ancor più inutili promesse di trovare una soluzione di tanti ministri e governi. L’arrivo delle barche della polizia che hanno cercato di allontanare le imbarcazioni degli ambientalisti ha scatenato una sorta di battaglia navale in una laguna per di più movimentata dal brutto tempo e dall’incessante moto ondoso. Nel frattempo, dal molo del Lido, alcune centinaia di attivisti rimasti a terra gridavano «Fuori le navi dalla laguna».
È questa e solo questa infatti la soluzione che i veneziani chiedono. E non certo lo scavo devastante di altri canali o la realizzazione di altre strutture portuali. La politica delle Grandi Opere ha già fatto troppi danni. Ora è tempo difendere quel che rimane dell’ambiente e di chiedere per tutto il pianeta giustizia climatica.
I cinque giorni dell’altro Lido, il campeggio a «impatto zero»
8/09/2019Il ManifestoUn giorno da Leoni. Al meeting veneto dei ragazzi di Fridays For Future forum su Grandi opere, migrazioni e ecofemminismo
Batteria Ca’ Bianca è una grande area demaniale abbandonata situata proprio nel bel mezzo del Lido di Venezia. Ai tempi della prima guerra mondiale, era un forte militare e dalle grandi finestre di marmo bianco uscivano minacciose le bocche dei cannoni. Ai tempi nostri, solo un nutrito branco di grosse capre selvatiche riesce a farsi largo tra le grandi erbacce che hanno conquistato tutti i muri e nessuno direbbe che, solo a poche centinaia di metri qui, scintillano le luci della Mostra del Cinema di Venezia ed i grandi divi fanno passerella tra gli ammiratori a caccia dia autografi.«C’è voluto una settimana di lavoro ai nostri quaranta attivisti, per ripulire tutto, fare amicizia con le capre e rendere l’area utilizzabile spiega Anna Irma Battino di Global Project -. Come se non bastasse, all’ultimo momento abbiamo dovuto occupare un terreno qui vicino perché l’area che avevamo previsto per il campeggio si è rivelata insufficiente. Attendevamo 800 partecipanti ed invece sono arrivati in mille. Ragazze e ragazzi da tutta Europa. Germania, Austria e Spagna, in particolare. Comunque, quando finalmente abbiamo appeso il grande striscione con la scritta ‘Climate Campo Venezia’, è stata una bella soddisfazione per tutti».
È stato inaugurato così, mercoledì 4 settembre, il primo campeggio internazionale di Venezia dedicato al grande tema dei cambiamenti del clima. O meglio, della giustizia climatica, come preferiscono puntualizzare le ragazze ed i ragazzi di Fridays For Future e del comitato No Grandi Navi che hanno organizzato questa «cinque giorni» di campeggio che si è concluso ieri pomeriggio. Giustizia climatica perché, senza inserirlo in un contorno più ampio di lotta contro un sistema economico basato sul solo profitto e sulla mercificazione di beni comuni e diritti umani, l’ambientalismo come spiegava Chico Mendes non sarebbe che giardinaggio. E al giardinaggio si sono già abbondantemente dedicati ripulendo tutta quell’area! Tre sono stati i grandi temi in cui si sono sviluppati i seminari e le discussioni del Camp: grandi opere, migrazioni ed ecofemminismo. I tre principali scenari in cui si svilupperà la battaglia per la giustizia climatica.
Una battaglia che vede Venezia in prima fila. E non solo perché sarà la prima città italiana a patire gli effetti di un innalzamento del livello del mare. «Da questa città in cui i finanziamenti destinati alla salvaguardia sono stati dirottati alla realizzazione di una grande opera come il Mose che, oramai è chiaro a tutti, si è rivelata fallimentare e devastante per l’ambiente; da questa città dove le grandi ed inquinanti navi da crociera continuano a transitare indisturbate a pochi metri da piazza San Marco ha spiegato l’attivista Marco Baravalle proprio da questa città fondata su un irripetibile equilibrio tra mare e terra, vogliamo lanciare un appello affinché venga invertita una rotta che non porta verso nessun futuro, fermando la politica delle grandi opere e del consumo indiscriminato del suolo, per tutelare l’ambiente e la biodiversità. Perché, proprio come non abbiamo un pianeta B, non abbiamo neppure una Venezia di riserva».
Venezia ed ambiente è un binomio di sicuro impatto e che non poteva non trovare eco alla Mostra del Cinema. Tra gli artisti che hanno sottolineato la loro vicinanza al Camp, va ricordato l’intero cast di Effetto domino, il film di Alessandro Rossetto, che sono saliti nella pedana delle premiazioni con la maglietta No Grandi Navi. Tra i relatori che hanno animato i pomeriggi e le serate del Camp, contribuendo ad assegnargli una vera patente di internazionalità, citiamo Moira Millán, portavoce del popolo mapuche della Patagonia e coordinatrice del «Movimiento Mujeres Indigenas por el Buen Vivir», il filosofo austriaco Gerald Raunig e il suo conterraneo Oliver Ressler, l’attivista climatico nigeriano Nnimmo Bassey, la spagnola Margalida Maria Ramis Sastre del gruppo Defensa de la Naturalesa e l’italiano Marco Armiero direttore dellEnvironmental Humanities Lab del Royal Institute of Technology di Stoccolma.
Tutti insieme per cinque giorni, a discutere in inglese, spagnolo, francese e italiano, trascorrendo le serate a guardare film o a cantare in spiaggia dietro ad una chitarra. Il tutto, c’è bisogno di dirlo?, ad impatto zero. Cucina vegana, stoviglie e bicchieri monouso da lavare con detersivi ecocompatibili, energia fotovoltaica e raccolta differenziata. Erbacce a parte, anche la flora del litorale è stata rispettata. E anche la fauna, vale a dire le capre, sono state ben contente di accettare il pane che avanzava dalle mani dei loro ospiti umani.
A Venezia si è aperto il primo Climate Camp internazionale
6/09/2019DinamoPress, EuropaVerdeDibattiti e strategie per difendere il pianeta Terra, fino a sabato 8 settembreQuattro giorni di incontri per approfondire le cause economiche e sociali che stanno alla base dei cambiamenti climatici. Quattro giorni per discutere e mettere assieme le strategie per contrastarli e fermare il preoccupante trend di riscaldamento del pianeta. Il primo Climate Camp internazionale organizzato dalle ragazze e dai ragazzi di Fridays For Future e dalle attiviste e dagli attivisti del comitato No Grandi Navi è iniziato mercoledì 4 e si concluderà sabato 8 settembre. Il luogo è la spiaggia del Lido di Venezia che, proprio nei giorni in cui è illuminato dalle stelle della Mostra del Cinema. La formula è quella del campeggio libero. Un campeggio pensato con i criteri di ridurre al massimo l’impatto ambientale: niente plastiche e bicchieri monouso, cucina rigorosamente vegana, raccolta differenziata spinta, corrente elettrica fornita da impianti fotovoltaici. Inoltre, tutto il campeggio sarà recintato da un sistema di difesa delle dune di sabbia, in modo tale da non danneggiare il delicato ecosistema del litorale.
L’appello di FfF e dei No Navi è stato accolto da oltre 700 attiviste e attivisti in rappresentanza dei movimenti in difesa dell’ambiente di tutta Europa che da mercoledì pomeriggio stanno arrivando in vaporetto da Venezia per raggiungere l’isola del Lido. Tra i tanti relatori che prenderanno voce nei tanti appuntamenti ci saranno anche rappresentati dei associazioni ecologiste delle Americhe come l’argentina mapuche Moira Millàn de Movimiento Mujeres Indigenas por el Buen Vivir e dell’Africa, come il nigeriano Nnimmo Bassey direttore della Health of Mother Earth Foundation. Tre saranno i grandi ambiti di discussione in cui gli incontri sono stati divisi: grandi opere, migrazioni ed ecofemminismo. I tre principali scenari in cui si consumerà la battaglia per la giustizia climatica. La lista completa degli appuntamenti dei dibattiti è sul sito del Venice Climate Camp e sulla pagina facebook. «L’ultimo rapporto Ipcc chiarisce la drammaticità della situazione e nei pochi anni che rimangono per arrivare allo zero netto di emissioni, ci è richiesto un cambiamento di rotta radicale – hanno spiegato i portavoce di FfF Venezia – Una rivoluzione che deve trasformare il nostro modello energetico con la fuoriuscita dal fossile sino a cambiare le nostre abitudini alimentari limitando l’uso della carne». Venezia, città costruita su un irreperibile equilibrio tra terra ed acqua, è, in questo senso, un perfetto emblema di un sistema ecologico che va non solo difeso ma anche imitato. «Proprio da questa città in cui i fondi destinati alla sua salvaguardia sono stati dirottati alla realizzazione di una grande opera come il Mose che, oramai è chiaro a tutti, si è rivelata fallimentare e devastante per l’ambiente. Proprio da questa città dove le grandi e inquinanti navi da crociera continuano a transitare indisturbate a pochi metri da piazza San Marco – commenta l’attivista Marco Baravalle – proprio dalla nostra Venezia che sarà la prima a subire gli effetti dell’innalzamento del livello del mare, vogliamo lanciare un appello affinché venga invertita una rotta che non porta verso nessun futuro, fermando la politica delle grandi opere e il devastante consumo del suolo, per tutelare l’ambiente e la biodiversità. Perché, proprio come non abbiamo un pianeta B, non abbiamo neppure una Venezia di riserva».
Nuovo rotte migratorie, stessa risposta violenta. In Messico la polizia carica i migranti africani
30/08/2019LasciateCIEntrare
Anche il Messico alza un muro contro i migranti africani. La situazione è precipitata a Tapachula, cittadina dello Stato del Chiapas a pochi chilometri dal Guatemala. Una zona di selve tropicali dove nella tradizionale rotta dei migranti mesoamericani verso gli Stati Uniti si sono aggiunti i profughi provenienti dai Paesi equatoriali dell’Africa: Congo, Camerun e Angola, in particolare. Qualche giorno fa la guardia nazionale messicana ha cercato di chiudere e di sgomberare un campo chiamato Ventunesimo Secolo dove erano stati sistemati circa 700 migranti. Ne sono seguiti cariche e tafferugli che sono ancora in corso. Irineo Mujica attivista di Pueblo Sin Fronteras ha denunciato come la polizia messicana abbia picchiato anche bambini e donne incinte, una delle quali ha perso il piccolo.
“Il Messico non ha soldi per rimpatriare questi migranti ai quali non viene data nessuna alternativa – ci spiega l’attivista -. Queste persone vengono da perlomeno due mesi di cammino tra le giungle del Centroamerica, si trovano in una situazione quantomeno precaria e certo non possono tornare indietro. Con la chiusura del campo, ora sono costretti a vivere sulla strada senza nessuna assistenza. Il Governo messicano così come quello dello stato del Chiapas, hanno accettato in tutto e per tutto le richieste del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, di impedire a qualsiasi costo il passaggio di questi migranti ma non hanno predisposto nessuna soluzione per queste persone. Dicono che è colpa dei migranti che non vogliono farsi identificare ma è completamente falso e hanno avviato una campagna di criminalizzazione di queste persone senza neppure accennare ad una possibile soluzione del problema”. Campagna di criminalizzazione che Pueblo Sin Fronteras ha formalmente denunciato alla commissione Interamericana dei diritti umani.
Gli scontri di Tapachula hanno perlomeno il merito di portare all’attenzione dell’opinione pubblica la rotta alternativa a quella che conduce all’Europa aperta dai migranti dell’Africa equatoriale verso gli Stati Uniti. Anche la risposta degli Usa riflette quella Europea, giocata sull’esternalizzazione della frontiera tramite la complicità di Governi ricattabili e ubbidienti cui viene demandato il lavoro sporco. Una ulteriore testimonianza di come la questione migratoria sia una questione globale che non può più essere nascosta e che va risolta globalmente con politiche di accoglienza e mantenendo come punto fermo il diritto della gente di migrare.
Di seguito alcuni video e immagini inviatici da Pueblo Sin Fronteras
“Il Messico non ha soldi per rimpatriare questi migranti ai quali non viene data nessuna alternativa – ci spiega l’attivista -. Queste persone vengono da perlomeno due mesi di cammino tra le giungle del Centroamerica, si trovano in una situazione quantomeno precaria e certo non possono tornare indietro. Con la chiusura del campo, ora sono costretti a vivere sulla strada senza nessuna assistenza. Il Governo messicano così come quello dello stato del Chiapas, hanno accettato in tutto e per tutto le richieste del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, di impedire a qualsiasi costo il passaggio di questi migranti ma non hanno predisposto nessuna soluzione per queste persone. Dicono che è colpa dei migranti che non vogliono farsi identificare ma è completamente falso e hanno avviato una campagna di criminalizzazione di queste persone senza neppure accennare ad una possibile soluzione del problema”. Campagna di criminalizzazione che Pueblo Sin Fronteras ha formalmente denunciato alla commissione Interamericana dei diritti umani.
Gli scontri di Tapachula hanno perlomeno il merito di portare all’attenzione dell’opinione pubblica la rotta alternativa a quella che conduce all’Europa aperta dai migranti dell’Africa equatoriale verso gli Stati Uniti. Anche la risposta degli Usa riflette quella Europea, giocata sull’esternalizzazione della frontiera tramite la complicità di Governi ricattabili e ubbidienti cui viene demandato il lavoro sporco. Una ulteriore testimonianza di come la questione migratoria sia una questione globale che non può più essere nascosta e che va risolta globalmente con politiche di accoglienza e mantenendo come punto fermo il diritto della gente di migrare.
Di seguito alcuni video e immagini inviatici da Pueblo Sin Fronteras
Grandi navi, grandi rischi in laguna
23/08/2019Gente in MovimentoForte di un fatturato mondiale di 14 miliardi di euro l’anno, la crocieristica detta i tempi del turismo a Venezia
Ed anche stavolta ci è andata bene. Tanta paura ma nessuna conseguenza per le numerose persone che, nel pomeriggio di domenica 7 luglio, si trovavano nel battello di linea sfiorato dalla gigantesca mole della Costa Deliziosa, una sorta di villaggio turistico galleggiante con una stazza lorda di oltre 92 mila tonnellate.
La prima domanda da porsi infatti è: perché la nave è stata fatta salpare sotto condizioni meteorologiche così pericolose? Il forte vento che ha portato grandine e tempesta in laguna, aveva indotto anche le autorità aeroportuali di sospendere i voli del marco Polo.
Motoscafi e battelli sono rimasti fermi agli imbarcaderi. Anche la tratta ferroviaria ha subito ritardi. La Deliziosa, invece, è stata fatta partire lo stesso per non dover modificare gli orari degli intrattenimenti a bordo.
Per lo stesso motivo, la domenica precedente, la celebre Vogalonga, la manifestazione sportiva che porta in acqua centinaia di tradizionali imbarcazioni a remi, è stata fermata per consentire il passaggio di una grande nave. Non era mai successo prima. miliardi di euro all’anno, la crocieri- stica detta i tempi del turismo a Venezia. Inutili gli appelli degli ambientalisti che chiedono da anni “Fuori le grandi navi dalla laguna”. Inutileanchelaminacciadell’Unesco di inserire Venezia nella sua black List. Inutili gli incidenti sfiorati come quello di domenica e inutili anche l’incidente accaduto solo un mese prima, quando la MSC Opera (65 mila tonnellate) finì contro una banchina del porto di San Basilio, sfracellando una barca da turismo fluviale e mandan- do una mezza dozzina di persone all’ ospedale. Ma non è solo la possibilità di trovarsi una enorme prua dentro la basilica di San Marco che motiva la battaglia degli ambientalisti.
Motoscafi e battelli sono rimasti fermi agli imbarcaderi. Anche la tratta ferroviaria ha subito ritardi. La Deliziosa, invece, è stata fatta partire lo stesso per non dover modificare gli orari degli intrattenimenti a bordo.
Per lo stesso motivo, la domenica precedente, la celebre Vogalonga, la manifestazione sportiva che porta in acqua centinaia di tradizionali imbarcazioni a remi, è stata fermata per consentire il passaggio di una grande nave. Non era mai successo prima. miliardi di euro all’anno, la crocieri- stica detta i tempi del turismo a Venezia. Inutili gli appelli degli ambientalisti che chiedono da anni “Fuori le grandi navi dalla laguna”. Inutileanchelaminacciadell’Unesco di inserire Venezia nella sua black List. Inutili gli incidenti sfiorati come quello di domenica e inutili anche l’incidente accaduto solo un mese prima, quando la MSC Opera (65 mila tonnellate) finì contro una banchina del porto di San Basilio, sfracellando una barca da turismo fluviale e mandan- do una mezza dozzina di persone all’ ospedale. Ma non è solo la possibilità di trovarsi una enorme prua dentro la basilica di San Marco che motiva la battaglia degli ambientalisti.
Una grande nave, anche ormeggiata in banchina, inquina come 15 mila e 500 automobili e non è un caso se sotto il ponte di Rialto si sono misurate più polveri sottili che nel mezzo di una autostrada a tre corsie. In Norvegia, una legge obbliga questi mezzi inquinanti a fermarsi fuori dai fiordi. In Italia, consentiamo loro di entrare nel cuore dell’ecosistema più fragile del mondo: Venezia e la sua laguna.
Cronache di ghiaccio e di fuoco. La Siberia brucia, il nostro pianeta brucia e a qualcuno va bene così
9/08/2019EcoMagazine, Global Project
Improvvisamente, di fronte alle terrificanti immagini di enormi ghiacciai trasformati in laghi, abbiamo scoperto tutti che la nostra Terra è molto, molto più fragile di quello che pensavamo o, meglio, speravamo.
I ghiacci che pensavamo eterni della Groenlandia, del Canada, dell’Alaska e della Siberia si sono trasformati in fuoco, complice un aumento della temperatura su queste regioni che va dagli 8 ai 10 gradi rispetto alle medie registrate tra il 1981 e il 2010. Non ha mai fatto tanto caldo nelle terre artiche. Basta la semplice caduta di un fulmine per scatenare un incendio di proporzioni bibliche.
I disastri peggiori sono avvenuti in Siberia, terra che i russi hanno sempre considerato un territorio di conquista e di sfruttamento. Al momento in cui scrivo, ci sono oltre 180 focolai ancora attivi e, da quasi un mese, un incendio grande come la città di Londra continua ad avvampare senza che nessuno pensi a come intervenire.
I cieli di Krasnoyarsk, Kemerovo e di altre città siberiane sono neri di fuliggine. Il fumo sta arrivando anche a Mosca ed è soltanto una notizia di pochi giorni fa che Putin abbia dato ordine alla protezione civile di intervenire in qualche modo.
Ma perché tanta indifferenza di fronte ad un disastro di queste proporzioni? «Gli incendi? Sono fenomeni naturali qui da noi. Combatterli è inutile! Sarebbe come affondare un iceberg per rendere più tiepida la temperatura del mare in inverno» ha dichiarato il governatore della regione di Krasnoyarsk, Aleksandr Uss, cercando di gettare acqua sul fuoco (in senso metaforico, ovviamente) davanti alle denuncia degli ambientalisti. A parte il paragone con l’Iceberg che è palesemente idiota, anche se l’avesse voluto, il governatore Uss non aveva nemmeno i mezzi per intervenire. Una legge nazionale russa vieta infatti la mobilitazione della protezione civile se i costi non valgono la candela. Come dire che prima di spegnere un incendio bisogna buttare giù due conti per vedere se l’intervento costa più del valore della “merce” che sta bruciando. E pazienza se gli incendi siberiani hanno sparato nell’atmosfera - sino ad ora - oltre 100 milioni di gas climalteranti! L’equivalente delle emissioni di un anno di Svezia e Norvegia insieme. Gas che, manco a dirlo, contribuiranno al riscaldamento del pianeta così che il prossimo anno ci saranno ancora più incendi.
«Soltanto adesso, con un ritardo di almeno un mese e mezzo, il presidente Putin ha deciso di intervenire dichiarando addirittura di aver mobilitato anche l’esercito - mi ha raccontato al telefono una amica giornalista ed attivista ambientalista di San Pietroburgo che mi ha pregato di mantenerle l’anonimato - Una decisione arrivata sulla spinta dell’opinione pubblica mondiale, considerando che anche Trump lo ha chiamato, offrendogli il suo aiuto, perché i fumi sono arrivati anche in Alaska. Ma è tutto da verificare l’impegno del nostro presidente su questioni come queste che riguardano la tutela ambientale».
Ma perché tutta questa indifferenza davanti ad un disastro di queste proporzioni? «Non è affatto indifferenza ma complicità. Non possiamo portare prove certe ma, secondo molti attivisti siberiani, non tutti gli incendi sarebbero naturali. La Siberia è da tempo una terra di conquista per il capitale cinese che ha investito in grandi progetti di estrattivismo. Gli incendi giocano tutti al loro interesse. Senza contare l’industria del legno che è quasi completamente appaltata ad aziende di Pechino. Ci sono più segherie cinesi che orsi, oramai. Il disboscamento illegale, gestito in collaborazione con la mafia russa, è una piaga consolidata nelle regioni di Krasnoyarsk e Irkutsk. Questi incendi permettono di avviare immediatamente riforestazioni di intere aree con piante non autoctone ma a più alto valore commerciale. Insomma, mafia e capitalismo si sono alleati per causare disastri ambientali cui aggiungere altri disastri ambientali e trasformare tutto in merce da vendere al mercato globale. Il tutto con l’appoggio più o meno coperto del governo di Mosca».
Putin non combatte la mafia russa? “Come no? Più o meno come il vostro Salvini combatte la mafia italiana”.
In fiamme l’auto di Fulvia Gravame, membro dell’esecutivo dei Verdi e storica ambientalista di Taranto
23/06/2019Verdi Veneto
Solidarietà e stima per la nostra Fulvia Gravame sono giunti da tutto l’arcipelago ambientalista della Puglia e dell’Italia.
Anche, noi verdi del Veneto, ribadiamo la nostra vicinanza a Fulvia, vittima di un’attentato ignobile e vigliacco, compiuto in puro stile mafioso. Siamo certi che episodi come questo non avranno altro effetto che spingere Fulvia a continuare con determinazione ancora maggiore la sua battaglia per la difesa della salute dell’ambiente. Una battaglia che è anche quella di noi tutti.
Un Climate Camp per discutere su come difendere la terra. Fridays fo Future e No Navi lanciano al Lido di Venezia il primo campeggio per il clima
20/06/2019EcoMagazine
L’appuntamento è a settembre, da mercoledì 4 a domenica 8, al Lido di Venezia, in una spiaggia libera che, assicurano, sarà gestita con il minimo impatto ambientale, proprio come lo Sherwood Festival che si sta svolgendo in questi giorni a Padova. “L’approvvigionamento energetico proviene da fonti rinnovabili con pannelli ad energia solare – spiegano gli organizzatori-. Il cibo degli agricoltori locali e non trattato con agenti inquinanti e tossici”.
Il primo Climate Camp, si svolgerà in contemporanea della Mostra del Cinema che, nelle intenzioni degli organizzatori, dovrebbe fare da cassa di risonanza all’evento, anche in virtù della sensibilità sulle questioni climatiche che tanti celebri artisti internazionali hanno sempre dimostrato. Il momento culminante si svolgerà proprio il giorno della premiazione del festival cinematografico, sabato 7 settembre, con la marcia “We want red carpet” verso il tappeto rosso. “I riflettori mediatici non dovrebbero stare su un evento mondano ma sull’emergenza climatica” hanno dichiarato gli organizzatori.
Non è neppure un caso che il primo Climate Camp organizzato da Fridays for Future si svolga a Venezia, città di incomparabile bellezza ma, proprio per questo, vittima di un delirante degrado ambientale causato da mercificazione del territorio, turistificazione senza controllo, grandi opere inutili e devastanti realizzate in odor di mafia come il Mose. Una città in cui la stessa democrazia è stata tacitata per coprire gli interessi dei grandi speculatori di cui le compagnie crocieristiche sono solo l’esempio più eclatante. Ma Venezia, non dimentichiamocelo, è anche la città che lo scorso sabato 8 giugno ha saputo portare in campo 10 mila persone al grido “Fuori le Grandi navi dalla laguna”.
Ospiti del Camp, incontri, iniziative, dibattiti sono ancora in fase di definizione. Potete seguire la costruzione degli incontri sul sito del Climate Camp, che tra qualche giorno sarà on line, o sulla sua pagina Facebook dove vi invitiamo a mettere un “mi piace”.
E, naturalmente, questo settembre siate tutti invitati in laguna!
E’ record: in sole 24 ore si sono sciolte due miliardi di tonnellate di ghiaccio. E il caldo deve ancora arrivare!
16/06/2019EcoMagazine
“Nel giugno del 2012 abbiamo assistito ad un fenomeno analogo – ha riferito alla Cnn Thomas Mote, ricercatore dell’Università della Georgia – E’ normale che in estate i ghiacciai si sciolgano, ma negli ultimi anni stiamo assistendo ad una escalation preoccupante”.
Il periodo di scioglimento dei ghiacciai groenlandesi va da giugno ad agosto con un picco a luglio. Quest’anno la stagione è cominciata prima, ad aprile, con almeno tre settimane di anticipo, ed ha fatto subito registrare picchi precedentemente toccati solo in piena stagione. Il che, con il caldo che deve ancora arrivare, non fa presagire nulla di buono. Ricordiamo che lo scioglimento dei ghiacci artici è la causa principale dell’innalzamento del livello di acqua del mare. Quell’innalzamento che, secondo le previsioni dell’ilcc potrebbe portare alla scomparsa, tanto per dirne una, di città come Ferrara e Venezia. Il trend di scioglimento registrato in questi giorni va proprio in questa direzione.
Non torneranno i prati
13/06/2019EcoMagazineStorie e cronache esplosive di Pfas e Spannoveneti

di Alberto Peruffo – Editore Cierre
Dice Alberto Peruffo, l’autore di “Non torneranno i prati”, che “uno come me, nato nella terra dei Pfas, della Pedemontana e della base militare Dal Molin, non poteva che diventare un attivista”. Così dice e… sbaglia! Sbaglia per troppa generosità, ma sbaglia. Tutta l’Italia, caro Alberto, è una gigantesca “terra dei fuochi”. Tutta l’Italia è piena di emergenze ambientali, di grandi opere, di attacchi ai beni comuni e al territorio che, alla fin fine, sono attacchi alla stessa democrazia. Già, alla democrazia. Perché nessuno accetterebbe di vedere la sua terra devastata, la sua salute compromessa da una economia di rapina che fagocita ambiente e diritti per trasformarli in enormi profitti riservati a pochi. Nessuno, se non gli fosse fatto credere che la “colpa” è tutta dei migranti, dei rom, dei centri sociali o dei “pidioti”. E che bisogna odiare chi ha tendenza sessuali diverse dalla media o chi scappa dalla guerra per non odiare chi si arricchisce con il cemento, l’evasione delle tasse, i profitti mafiosi, le grandi navi, lo sfruttamento del lavoro, il business malavitoso dei rifiuti e la nostra salute. Alberto è diventato un attivista perché queste cose le ha capite sin dall’inizio. E credetemi se vi assicuro che sarebbe lo stesso Alberto che conosciamo ora se fosse nato in un ipotetico territorio incontaminato (che in Italia non c’è più) dove la gente non ha bisogno di scendere in piazza per difendere la sua terra.
Il destino casomai, lo ha portato ad occuparsi dei Pfas, gli scarti della lavorazione di sostanze idrorepellenti che per vent’anni, nel silenzio complice della politica e di chi doveva tutelare l’ambiante, la Miteni ha versato nella falde del vicentino, sino a causare il più grande inquinamento delle acque nella storia d’Europa.
“Non torneranno i prati”, (Cierre edizioni) racconta in bello stile – cosa più unica che rara per un libro che è anche una inchiesta giornalistica, corredata da dati e analisi scientifiche – questa brutta storia di inquinamento che è anche una bella storia di rivolta, di persone, soprattutto di donne, che hanno avuto il coraggio di mobilitarsi e denunciare. Ed è grazie alla loro denuncia, non certo dalla politica, che ora sappiamo cosa è successo e sappiamo cosa bisogna fare. Già. Perché il libro di Alberto ha una chiosa non scritta ma che riecheggia in tutto il libro: “Non torneranno i prati se…” E’ in quel “se” sussurrato delle sue “Storie e cronache esplosive di Pfas e Spannoveneti” – come si legge nel sottotitolo – che sta tutta la forza rivoluzionaria del libro di Alberto Peruffo. I prati possono anche tornare a fiorire se… e quel “se” dipende tutto da noi. L’autore ce lo ricorda in ogni pagina, in ogni riga del suo libro. E per questo, non possiamo che dirgli: grazie, Alberto!