In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.

Fridays for Future vs Eni, gli ambientalisti rispondono alle accuse dei sindacati

Ambiente
. Dopo l'irruzione degli attivisti nella Bioraffineria di Marghera è arrivato il comunicato di condanna di Confindustria Veneto, sottoscritto anche dai confederali. Gli ambientalisti rispondono con una nuova azione «Il vero crimine è il green washing di Eni»


Non si è fatta attendere la risposta degli attivisti di Fridays For Future del Veneto al comunicato firmato congiuntamente da Confindustria e dai sindacati confederali Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil, che hanno bollato come “fatto criminoso” l’occupazione della Bioraffineria Eni di Marghera.

Il fatto era accaduto il 12 settembre scorso, quando un nutrito gruppo di ragazze e ragazzi del Climate Camp che si svolgeva al vicino cso Rivolta, ha simbolicamente invaso l’area dell’impianto industriale appendendo striscioni in cui si denunciava le attività inquinati e climalteranti dell’Eni in Paesi come il Niger, il Mozambico e la stessa Italia. Basti pensare alle 400 tonnellate di petrolio fuoriuscite dal Centro Olio Val D’Agri che hanno contaminato le falde acquifere della Basilicata.
L’iniziativa dei FfF non è stata digerita dal presidente di Confindustria Venezia, Vincenzo Marinese, che ha scritto una dura lettera al prefetto, per chiedere tolleranza zero verso queste azioni. Lettera sottoscritta anche dai sindacati confederali. «Vogliamo difendere tutti insieme il lavoro, la sicurezza dei nostri dipendenti, le imprese e la tradizione manifatturiera di questo territorio. Per questo motivo condanniamo i fatti criminosi avvenuti alla Bioraffineria Eni» dichiara il Presidente di Confindustria Venezia Vincenzo Marinese. «Azioni pretestuose come questa finiscono per nuocere sia al tessuto produttivo che a quello sociale ha dichiarato Marinese- La vera battaglia oggi in corso vede due schieramenti contrapposti: uno pro e l’altro contro il lavoro. Noi, insieme alle organizzazioni sindacali siamo a favore del lavoro».

Chi non ci sta a considerare l’inquinamento come una inevitabile conseguenza del lavoro, sono la ragazze e i ragazzi di FfF che sabato pomeriggio hanno risposto per le rime alla presa di posizione di sindacati e Confindustria rimettendosi la tuta bianca ed occupando l’entrata dell’associazione industriali, al Vega di Marghera, alzando un lungo striscione con la scritta Eni distrugge il pianeta. Stop climate change. Una ottantina i presenti.

«Se il nostro gesto è ‘criminoso’ che dire allora delle azioni di multinazionali come Eni e Shell le cui politiche estrattive sono alla base della crisi ecologica che stiamo vivendo? ha commentato il giovane Sebastiano Bergamaschi A chi ci accusa di aver messo in pericolo i lavoratori, ribadiamo che la nostra azione alla Bioraffineria si è svolta senza arrecare nessun danno agli impianti e senza mettere a rischio la salute delle lavoratrici e dei lavoratori. Lo stesso non si può dire di Eni, che non esita a minare la salute dell’intero pianeta».

Se si entra nell’home page del sito della multinazionale, hanno spiegato i giovani durante la conferenza stampa svoltasi sotto le finestre di Confindustria, l’impressione è quella di una associazione ambientalista come Greenpeace o Legambiente. Non c’è traccia di petrolio ma solo link ad iniziative ecologiche.

«È soltanto un ipocrita tentativo di green washing ha commentato Sofia Demasi. «Le fonti fossili restano il core business dell’azienda: nel 2018 gli investimenti nellʼupstream costituivano il 74% del totale, con un incremento costante della produzione dal 2016 e un ulteriore picco previsto per il 2025. Ma il futuro che vogliamo, l’unico futuro che può avere il pianeta, è un futuro senza fossili. Eni continua a marciare ella direzione opposta. Non è questo il vero crimine?».

A Venezia il ciclone Brugnaro travolge Baretta e resta sindaco


Comunali. Con il 54 % dei consensi l’imprenditore «del fare» guadagna il suo secondo mandato. I 5 stelle sotto il 4% perdono 8 punti. La candidata Visman superata dalla lista civica ecologista

La valanga Zaia trascina con sé anche la slavina Brugnaro. La destra conquista Venezia e lo fa al primo turno, riconfermando il sindaco uscente. La coalizione a supporto di Luigi Brugnaro si è portata a casa quasi il 55 per cento delle preferenze, lasciando il candidato del centro sinistra, Pier Paolo Baretta (sottosegretario Pd all’economia), poco sopra il 29 per cento. Sotto il 4 per cento la candidata sindaca dei 5 Stelle, Sara Visman, superata anche dalla civica ecologista Terra e Acqua di Marco Gasparinetti (4 per cento netto).

Visman si è detta comunque contenta per i risparmi sulla spesa pubblica di cui gli italiani potranno godere grazie alla vittoria sul referendum per il taglio dei parlamentari. Cinque anni fa i grillini avevano portato a casa il 12,8 per cento. Altri tempi, per il partito della Casaleggio & figli che nel resto della Regione hanno fatto ancora peggio, scendendo al 3 per cento e rimanendo fuori dal Consiglio,

Tutta un’altra musica per Brugnaro che, come Luca Zaia, è volato nel conteggio dei voti grazie alla sua lista «fucsia». Una lista che, sempre secondo il sindaco imprenditore di Venezia, non sarebbe né dei destra né di sinistra ma caratterizzata dal «fare».
I fucsia si sono confermati il primo partito in città col 31 per cento dei consensi. Secondo partito in laguna, il Pd con il 19 per cento. In crescita di due punti e mezzo rispetto al 5 anni fa. Costante la Lega al 13 per cento e balzo in avanti per Fratelli d’Italia, dal 2 al 7 per cento. Con un 5 per cento di voti, tornano in consiglio comunale i Verdi dentro la lista Venezia Verde e Progressista che si era schierata a sostegno di Baretta.

Come per le scorse amministrative, i voti all’imprenditore milionario Brugnaro è titolare dell’agenzia di lavoro interinale Umana spa sono venuti soprattutto dalle terraferma. La città d’acqua infatti anche in questa occasione si è schierata per il centro sinistra (52 per cento) confermando che tra il colore fucsia ed il popolo delle calli l’amore non è mai sbocciato.

Popolo delle calli che oramai è ridotto ai minimi termini. L’emorragia dei residenti per far spazio a nuovi alberghi e B&B, durante l’ultima amministrazione 5 mila nuovi abitanti in meno. In compenso, è triplicato il numero di locazioni turistiche, senza contare il nuovo e mastodontico «fronte alberghiero» realizzato con la benedizione di Brugnaro a ridosso della stazione di Mestre.

Favorevole alle grandi navi, al nuovo inceneritore di Fusina imposto da Zaia per bruciare i rifiuti contaminati da Pfas provenienti dal vicentino, il sindaco fucsia è per le «soluzioni facili» e misura il suo operato col solo metro dei «schei». Il suo concetto di democrazia lo ha spiegato lui stesso: «Ho fatto piazza pulita col napalm delle municipalità perché mi avrebbero votato contro».

Vuole una città sicura, spiega. In campagna elettorale si è vantato di essere «quello che ha dato il mitra ai vigili» dimenticandosi di sottolineare che sotto la sua amministrazione Mestre è diventata la capitale veneta dello spaccio e dei morti per droga.

Omofobia no grazie. «Noi non ci stiamo più»


Manifestazione a Padova. Centri sociali e associazioni domani in piazza insieme a Mattias e Marlon, picchiati per un bacio gay

Torneranno là, Mattias e Marlon, colpevoli solo di essersi scambiati un bacio. Torneranno entrambi nello stesso posto in cui hanno subito l’aggressione omofoba. E lo faranno domani sera, con tutte le amiche e gli amici che vorranno dimostrare solidarietà per la violenza subita dai giovani e, soprattutto, per ribadire che episodi come quello accaduto venerdì sera a Padova, non saranno più tollerati.

In tanti hanno già aderito alla mobilitazione lanciata a sostegno dell’appello «Noi non ci stiamo più!», che si svolgerà domani a Padova, nella centralissima piazza delle Erbe, a partire dalle 18,30. Tra i firmatari troviamo Non una di meno, l’Arcigay, i centri sociali del nord est, coalizione civica per Padova (la formazione che ha sostenuto Arturo Lorenzoni, il candidato anti Zaia, sconfitto nelle elezioni di ieri), Europa Verde, Potere al Popolo, vari collettivi universitari di Padova e Venezia e tante associazioni per i diritti umani.
Tra gli onorevoli che si sono esposti per primi a solidarizzare con i due ragazzi, ricordiamo Alessandro Zan, padovano doc e primo firmatario della proposta di legge contro l’omofobia attualmente in discussione in Parlamento. «Da padovano sono profondamente scosso, perché Padova è una città che, in particolare negli ultimi anni, ha fatto dei diritti e dell’inclusione una bandiera ha dichiarato il deputato -. Questo ennesimo attacco, nel cuore di una città all’avanguardia sul rispetto dei diritti, dimostra come la legge contro l’omotransfobia e la misoginia non sia davvero più rinviabile: per questo in ottobre l’approveremo alla Camera, e poi passerà al Senato, dove verrà approvata definitivamente in tempi rapidi».

Proprio la volontà di rispondere a chi continua a dire che nel nostro Paese non esiste un problema di razzismo, è stata la molla che ha spinto Mattias Zouta, 26 anni, di professione pizzaiolo, e Marlon Landolfo, 21 anni, studente universitario, a denunciare l’accaduto ai carabinieri ed a lanciare l’appello alla mobilitazione. «Abbiamo deciso di denunciare l’episodio alle forze dell’ordine e di raccontare a tutti quello che è avvenuto perché siamo stanchi di dover subire violenze omofobe. Vogliamo fare in modo che queste manifestazioni di odio e discriminazione non ci siano più», spiega Marlon in un video postato su Facebook.

Mattias racconta così l’episodio accaduto a lui e al suo compagno, colpevoli solo di essersi scambiati un bacio: «Stavamo passeggiando mano a mano sul Liston, all’altezza del Comune, quando siamo stati avvicinati da quattro ragazzi e due ragazze che hanno cominciato a seguirci insultandoci. Quando gli abbiamo risposto di andarsene e di lasciarci in pace, siamo stati aggrediti fisicamente. Ci hanno gettato a terra e dato pugni in faccia. A Marlon hanno pestato la caviglia e gli sono saltati addosso pestandolo al grido di ‘frocio di merda’. Un nostro amico intervenuto a difenderci ha ricevuto una bicchierata in testa».

Il ragazzo è stato portato in ospedale dove ha ricevuto 5 punti di sutura. Gli inquirenti stanno indagando per identificare gli aggressori tramite le immagini delle telecamere presenti sulla piazza. «Pensiamo anche a quanto accaduto a Willy, ucciso dalla mascolinità tossica e dai comportamenti menefreghisti della collettività e alla diversità ha aggiunto Mattias -. Di episodi di questo genere ne abbiamo visti fin troppi ed è giunto il momento di dire basta». Piena solidarietà ai due giovani, è stata espressa anche dal sindaco di Padova, Sergio Giordani. «Nella speranza che vengano al più presto individuati i responsabili va ribadito che Padova è una città libera che non tollera prevaricazioni. Va confermato l’impegno a ogni livello per combattere ogni discriminazione e forma di violenza anche con adeguati strumenti normativi».

La necessità di una legge contro l’omofobia è stata ribadita anche nell’appello lanciato dai due giovani in cui si sottolinea come ci si trovi oggi ad affrontare un problema che per anni è stato nascosto come polvere sotto il tappeto sino a sviluppare un sistema che educa all’intolleranza ed abitua all’indifferenza. «Un tumore sociale nutrito da chi, ogni giorno, si schiera contro la visibilità e i diritti delle persone non eterosessuali. Ma da oggi, noi non ci stiamo più».

Ciclone Zaia, il governatore stravince. E affossa Salvini


Veneto
. Il governatore uscente prende tre voti su quattro e la sua lista triplica le preferenze della Lega. Oggi spoglio delle comunali di Venezia

Zaia come l’acqua alta. L’onda leghista ha sommerso il Veneto. Un successo superiore alle previsioni, quello registrato in queste amministrative per il governatore in carica. Un successo avallato soprattutto dalla pratica del voto disgiunto. In poche parole, moltissimi elettori avrebbero indicato Luca Zaia come presidente, pur assegnando il loro voto a partiti inseriti in altre coalizioni. «Se l’andamento continua così ha spiegato Paolo Feltrin, responsabile dell’Osservatorio elettorale del Consiglio regionale avremo un numero di voti al solo presidente nettamente superiore ai voti dati alla coalizione». Il che, secondo il tecnico, spiega anche il rallentamento dello spoglio delle schede e nel conteggio dei voti.
I GIOCHI COMUNQUE appaiono chiari. Le ultime proiezioni della Rai, effettuate da Consorzio Opinio, Luca Zaia è dato al 74,2 per cento mentre Arturo Lorenzoni, candidato del centrosinistra, si ferma al 16 per cento. Come dire che sette veneti su dieci hanno votato Zaia presidente. Distanti gli altri candidati. Paolo Girotto di Potere al Popolo è all’1,2 e il pentastellato Enrico Cappelletti non supera il 4 per cento. Una debacle senza scusanti, questa dei Cinque Stelle che nelle precedenti regionali del 2015 erano al 12 per cento e che sembrano arrivati alla fine della pista. Sotto l’uno per cento le altre civiche in lizza, ben lontane dal superare lo sbarramento del 3 necessario per entrare in Consiglio. La valanga Zaia, forte di quasi 25 punti percentuali in più rispetto al 2015, era largamente prevista dagli osservatori. Ci si attendeva di più dal candidato Lorenzoni, la cui campagna elettorale è stata penalizzata dall’essere risultato positivo al Covid a due settimane dal voto.

SCONTATA LA VITTORIA del governatore in carica, favorita anche dalla sua massiccia presenza nei media per l’emergenza Coronavirus, ma va sottolineato come la sua personale vittoria non farà certo piacere a Matteo Salvini. La lista del governatore infatti è data sopra il 47 per cento, come dire che avrebbe vinto anche da solo, mentre la Lega di Salvini non raggiunge il 15. In un comunicato stampa diffuso della segreteria della Lega si afferma che «non ci sono problemi di dualismo» e si plaude la vittoria di Zaia ma, dopo questi risultati, la battaglia per la leadership all’interno del Carroccio rimarrà più che mai aperta. Lo si è visto anche durante la campagna elettorale, quando sostenitori degli opposti schieramenti leghisti sono venuti alle mani, durante la distribuzione dei volantini.

PER QUANTO RIGUARDA il centrosinistra, il Pd risulta il partito più votato con il 17,3 per cento. Un punto in più rispetto al 2015. La lista personale di Lorenzoni ha ottenuto soltanto l’1,6 per cento, sempre secondo le citate proiezioni. Nel flop complessivo del centrosinistra, va sottolineato il successo dei Verdi. Europa Verde si porta a casa un 2,4 per cento che gli frutterà, presumibilmente, il primo consigliere regionale. Ultima nota sulla partecipazione. L’affluenza nel Veneto è stata tra le più alte d’Italia: oltre il 60 per cento, addirittura superiore di 5 punti quella delle precedenti consultazioni. La paura della pandemia non ha scoraggiato gli elettori veneti.

INCASSATA la sconfitta elettorale, al centrosinistra non rimane che attendere i risultati delle Comunali. Una partita importante si giocherà in laguna dove è in palio la poltrona di sindaco di Venezia. Il primo cittadino uscente, il fucsia Luigi Brugnaro, se la gioca con lo sfidante di sinistra, Pier Paolo Baretta. L’obiettivo del centro sinistra è quello di raggiungere il ballottaggio per tentare di aggregare in seconda battuta tutte le altre coalizioni anti Brugnaro che si sono presentate con propri candidati. Se i voti assegnati al consiglio regionale rispecchieranno quelli dati al Comune (lo spoglio inizierà solo domani mattina), Brugnaro dovrebbe farcela ad essere rieletto al primo turno. Ma sarà comunque una sfida all’ultimo consenso, anche in virtù della pratica del voto disgiunto e Brugnaro, in laguna, non è amato quanto Zaia.

INTANTO A TREVISO, feudo dell’elettorato di Luca Zaia, i sostenitori del governatore hanno alzato un grande palco per festeggiare il loro «doge». Chiamavano così anche Giancarlo Galan. Non è finita bene.

La pandemia non ferma il Climate Camp a Venezia


L’azione più spettacolare messa a segno dagli attivisti climatici del Camp è stata quella di giovedì 10 con l’occupazione e il blocco delle attività di EcoProgetto di Fusina


La pandemia non ha fermato il Climate Camp. Si è concluso ieri il campeggio climatico organizzato dai movimenti sociali di Venezia e salito agli onori di cronaca, lo scorso anno, per l’occupazione del Red Carpet della Mostra del Cinema. E si è concluso col botto. Nel pomeriggio, le attiviste e gli attivisti climatici hanno occupato sino a sera la raffineria Eni di Marghera. “È il momento di fermare chi sfrutta e devasta il pianeta hanno scritto su una nota per la stampa Eni è tra le massime aziende italiane responsabili dellestrazione dei carburanti fossili e delle emissioni clima alteranti. La nostra è una azione diretta contro chi provoca il cambiamento climatico”.

Proprio la pandemia, scrivevamo, non solo non ha fermato il Camp ma è stato il punto di partenza per rileggere la crisi, climatica ma anche sociale, che l’intero pianeta sta attraversando. “Il coronavirus è responsabile della prima crisi economica direttamente causata da un fattore ambientale ha spiegato Antonio Pio Lancellotti, direttore del sito Global Project —. Questa seconda edizione del Camp l’abbiamo organizzata proprio a partire da questa riflessione”.
Niente tende sotto le stelle dell’isola del Lido, quest’anno. Soluzione che avrebbero reso impossibile rispettare le norme anti covid. Il Climate Camp si è spostato negli ampi spazi del Cso Rivolta a Marghera, da martedì 8 a sabato 12 settembre, con sedie distanziate almeno un metro e mezzo per assistere ai dibattiti, mascherina obbligatoria e misurazione della temperatura corporea a tutti i partecipanti. Confermata invece la linea “impatto zero” per un Camp totalmente vegano, con riciclo spinto dei rifiuti, alimentazione energetica di esclusiva provenienza dall’impianto fotovoltaico del centro sociale, il più potente di tutta la provincia, e con uso limitato di plastiche. I cambiamenti climatici, qui, nessuno se li è dimenticati.

“Proprio la pandemia ci ha fatto comprendere che non c’è più tempo per le mediazioni continua Lancellotti Con le riforme graduali non andiamo da nessuna parte. Abbiamo già visto in che direzione si sta muovendo la governance per rispondere alla crisi causata dal Covid: green capitalism, ripartenza di tutte le grandi opere e promesse disattese di giustizia sociale. Se vogliamo combattere la crisi economica che incombe e cogliere l’occasione per disegnare una società diversa abbiamo bisogno di nuove forme di welfare dal basso, di transazione ecologica per uscire da una economia ancora basata sui fossili, di diritto alla salute e di reddito garantito”.

Proprio il reddito garantito è stato alla base delle richieste dei lavoratori dello spettacolo, che non è solo luci e musica ma, dietro le quinte, è composto anche da migliaia di lavoratori a tempo determinato costumisti, scaricatori, elettricisti, tecnici, a tanto altro ancora che sono stati i primi a subire le conseguenze economiche del lockdown. Mercoledì 9, questi lavoratori invisibili si sono ritagliati uno spazio sotti i riflettori della Mostra del Cinema, con un partecipato presidio al Lido.

Come per il primo Camp, anche l’edizione di quest’anno ha spaziato tra dibattiti ed azioni, tra riflessioni ed attivismo. Dallo sbarco a palazzo Balbi sul Canal Grande con l’occupazione della sede della Giunta Regionale di cui abbiamo scritto nel Manifesto di sabato 5 settembre sino al sopracitato presidio al Lido. L’azione più spettacolare messa a segno dagli attivisti climatici del Camp è stata quella di giovedì 10 con l’occupazione e il blocco delle attività di EcoProgetto di Fusina. Un progettoquesto, fortemente voluto dal Governatore del veneto Luca Zaia, e che, a dispetto del suffisso “eco”, con l’ecologia non ha nulla a che spartire perché consiste nella riapertura dell’impianto di incenerimento con due nuove linee destinate a bruciare rifiuti speciali ed inquinanti, compresi le contaminazioni da Pfas. Un progetto fortemente contestato dagli ambientalisti veneziani perché ripercorre la collaudata politica regionale di fare di Marghera la pattumiera del veneto.

“Se questo è il futuro che stanno preparando per risollevare il Paese dalla pandemia, noi rispondiamo che non è il nostro futuro ma la riproposizione di quello stesso passato che ha scatenato la pandemia spiega una attivista Gli inceneritori non risolvono il problema dei rifiuti ma rispondono ad interessi economici forti a discapito della salute dei cittadini. Sono il terminale di filiere consumiste ed energivore nemiche del clima, un perno di quel sistema capitalista che è la vera pandemia che l’umanità deve combattere”.

«Zaia smantella la sanità pubblica». Blitz degli attivisti climatici in Regione

Per tutta la mattinata, gli attivisti climatici hanno mantenuto l’occupazione del piano terra di palazzo Balbi

Un vero e proprio abbordaggio al cuore del potere leghista del Veneto: palazzo Balbi. Una trentina di attiviste e di attivisti del Climate Camp ha preso d’assalto su piccole imbarcazioni la sede della Giunta regionale del Veneto. I giovani, in tuta bianca e tutti rigorosamente con la mascherina sul viso, sono riusciti ad entrare dalla porta che si affaccia sul Canal Grande e che, al contrario dell’ingresso principale, non è sorvegliata dalla polizia.

Per tutta la mattinata, gli attivisti climatici hanno mantenuto l’occupazione del piano terra del palazzo, appendendo striscioni che denunciavano la gestione regionale del sistema sanitario. «La pandemia della Lega uccide la sanità», hanno scritto su quello più grande.

«Misure come il lockdown sono diventate la foglia di fico per nascondere lo smantellamento della sanità publica a favore di quella privata ha spiegato un portavoce degli attivisti -. Il presidente Zaia punta a riformare il sistema sanitario veneto, che si basa sulla sanità territoriale, per imporre il modello lombardo incentrato sul privato, tagliando i servizi di base per dirottare i fondi alle grandi aziende ospedaliere. Un sistema di cui, proprio lo scoppio della pandemia, ha evidenziato la pericolosità e che è costato la vita a migliaia di persone». 
Se il sistema sanitario del Veneto ha tenuto, hanno spiegato i giovani, non è per merito di Zaia ma nonostante Zaia. Il contenimento della diffusione del coronavirus nel Veneto va tutto a merito di virologi e di medici come il microbiologo Andrea Crisanti, che hanno avuto il coraggio di disobbedire agli ordini provenienti da Palazzo Balbi, optando per una strategia di gestione diffusa dei tamponi che si è rivelata vincente. Medici che, proprio come è accaduto al professor Crisanti, superata la fase emergenziale, sono stati immediatamente silurati dal governatore. «Quante vite si sarebbero potute salvare se la Lega, che da decenni ha in mano l’assessorato regionale alla Sanità, non avesse ridotto del 39% i posti letti in terapia intensiva che nel 2002 erano 1176 e nel 2019, all’arrivo della pandemia, solo 717?», una delle domande poste dagli attivisti.

Lo stesso si può dire per i 3629 posti letto che sono stati tagliati nei vari reparti ospedalieri, ridotti complessivamente di oltre il 20%. Al contrario, in questo stesso periodo, i posti nelle cliniche private del Veneto sono aumentati del 16%. Concludono gli attivisti: «Siamo convinti che il solo ricorso a misure come il distanziamento sociale non siano risposte sufficienti alla pandemia. Come attivisti climatici chiediamo che vengano superate le logiche neoliberiste che hanno portato alla mercificazione di diritti universali come quello alla salute. Che poi sono le stesse logiche che hanno generato i cambiamenti climatici e contribuito alla diffusione di pandemie come il Covid».

Mascherine, distanziamenti e pieno rispetto delle norme anti Covid saranno anche alla base del secondo Climate Camp che si svolgerà anche quest’anno a Venezia, dall’8 al 12 settembre. Niente campeggio all’isola del Lido, ma una serie di incontri negli ampi spazi del centro sociale Rivolta a Marghera. Come già per la prima edizione, parteciperanno delegazioni dei principali movimenti climatici e ambientalisti da tutta Europa. Saranno incontri ad impatto zero: cucina rigorosamente vegana, energia elettrica proveniente da impianti solari, raccolta differenziata e, naturalmente, niente plastica,

Gli allevamenti intensivi sono una piaga. Per gli animali e anche per noi!


Ci risiamo. Ancora un pericoloso focolaio di Covid. Ancora un focolaio che ha trovato casa in un allevamento intensivo. E’ notizia di oggi che sono stati rilevati ben 182 casi di positività al Coronavirus tra i circa 700 lavoratori dello stabilimento Aia di Vazzola, in provincia di Treviso. Ancora una volta, macelli e allevamenti intensivi si sono rivelati – oltre che luoghi in cui agli animali vengono inflitte inutili crudeltà – anche filiere di contagio, pericolose per la specie umana.
Ricordiamo che una delle più accreditate ipotesi scientifiche sul Covid è che questo sia stato diffuso a partire dal mercato di Wuhan, dove gli animali, cani compresi, vengono tenuti in condizioni vergognose e macellati al momento per il compratore.
Come verdi, ambientalisti e animalisti, crediamo che queste filiere alimentari vengano immediatamente chiuse, se non per evitare inutili sofferenze agli animali, perlomeno per evitare gli elevati rischi di contagio tra i dipendenti. Non ultimo, il pericolosissimo salto del virus tra animale e uomo, come accaduto a Wuhan e in altre occasioni. E’ arrivato il momento di dirigere le nostre abitudini alimentari verso una direzione più sana e meno impattante. Gli allevamenti intesivi infatti, sono una delle prime cause dei cambiamenti climatici che stanno portando al collasso il pianeta Terra, oltre che costituire una vera e propria bomba ad orologeria perennemente innescata per la creazione e la diffusione di nuovi virus.
Un rischio che, anche alla luce di quanto stiamo vivendo in questi giorni, non vogliamo e non possiamo più permetterci.

A Venezia tornano le navi-crociere, ma in Laguna scatta la protesta

È un vero proprio “no pasaran” quello lanciato dal comitato No Grandi Navi di Venezia contro l’ipotesi del Governo di riaprire la laguna al traffico crocieristico. “Non abbiamo mai accettato prima la presenza di questi megamostri che hanno devastato il fragile ecosistema lagunare spiega Tommaso Cacciari portavoce del comitato -, la accettiamo ancora meno in questo momento di grave crisi sanitaria in cui le navi si sono rivelate bombe ad orologeria del contagio. Ci siamo già dimenticati di quando questi lazzaretti galleggianti navigavano di porto in porto alla disperata ricerca di un approdo che gli veniva costantemente negato?”.

Il decreto del Governo (Dpcm) volto a disciplinare la proroga dello stato di emergenza sanitaria sino al 15 ottobre prevede infatti la riapertura di spazi considerati vitali per l’economia come discoteche, fiere e crocieristica. Il Dpcm doveva essere varato in questi giorni, ma il Governo si è preso una settimana di tempo per valutare l’andamento della curva dei contagi che ha registrato in Italia come in Europa un preoccupante incremento. Ma tutto lascia presagire che il nuovo Dpcm sarà approvato entro il 9 agosto, dando il via libera alle sopracitate attività.

Lo ha auspicato lo stesso ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli (5stelle): “Credo che le crociere possono ripartire e dare un segnale per tutta l’economia ha dichiarato il ministro -. Attualmente ci sono quattro navi pronte a ripartire seguendo il protocollo di sicurezza”. Chi non ha dubbio alcuno che le Grandi Navi avranno presto il via libera, è il comitato No Navi. D’altra parte, basta cliccare sui siti delle grandi compagnie come la Costa o la Msc Cruises per constatare che sono già in vendita biglietti per le crociere in partenza da Venezia sin da sabato 15 agosto.

“Queste compagnie multimiliardarie hanno i tentacoli ben estesi dentro le cosiddette stanze del potere continua Cacciari e, pur di non perdere gli introiti della stagione, sono pronti ad andare in deroga ai più elementari protocolli di sicurezza. Come si fa a far mantenere le distanze a 4500 passeggeri più l’equipaggio che si muovono in corridoi larghi poco più di un metro? Per non parlare degli sbarchi nei porti. Dovrebbero fare il tampone e tutti ogni volta che scendono o risalgono nella nave”.

La ventilata decisione del Governo di riportare le grandi navi in laguna, senza curarsi degli incidenti che avevano caratterizzato la scorsa stagione e del rischio di ripresa della pandemia, mette in difficoltà tutto il centro sinistra veneziano che si sta avviando ad una difficile competizione elettorale per le amministrative. Se l’attuale sindaco fucsia, Luigi Brugnaro, che sul Covid la pensa come Bolsonaro e Trump, si è detto “felicissimo” per la riapertura della stagione crocieristica, non è così per il suo rivale Pier Paolo Baretta, parlamentare del Pd e sottosegretario al ministero dell’Economia, che si è espresso in molte occasioni contro la presenza della grandi navi in laguna e che è sostenuto da una coalizione che comprende anche verdi e ambientalisti.

L’imbarazzo si allarga anche ai 5Stelle locali che, se stanno ancora litigando sul candidato da opporre a Brugnaro, sono comunque tutti d’accordo che le grandi navi se ne devono stare lontane da piazza San Marco, contraddicendo la posizione del loro stesso ministro.
Chi non chiede voti ma offre mobilitazione è il comitato No Navi. “Non possiamo e non vogliamo tornare come eravamo prima. annuncia in una conferenza stampa svoltasi ieri mattina una ragazza

col volto coperto da una passamontagna colorato -. Pretendiamo una progettualità diversa ed una economia equa e compatibile con lambiente. Ma se si ostinano a non ascoltarci promettiamo un ferragosto rovente. Impediremo alla Costa Deliziosa di attraccare a Venezia sbarrandole l’ingresso in laguna con le nostre barche ed i nostri corpi. Arriveremo anche a compiere azioni di sabotaggio contro la nave. Stavolta non passeranno”

I decreti sicurezza dietro il focolaio dell’ex caserma di Treviso

Covid-19. I migranti hanno manifestato per il rischio contagi. Ora la Lega li accusa. E già a giugno le ong denunciavano il sovraffollamento nel centro, dovuto all'abolizione degli Sprar

Succede quando l’accoglienza finisce in caserma, quando il Covid non esiste e, se esiste, lo diffondono i migranti. Succede al centro di accoglienza situato nell’ex caserma Serena di Dosson di Casier, piccolo borgo a ridosso di Treviso, oggi trasformatosi in uno dei più pericolosi focolai di infezione del Veneto.

Gli ultimi tamponi effettuati dall’Ulss tra venerdì e sabato mattina hanno accertato la presenza di 137 positivi su 297 ospiti testati della struttura.

IL FORTE RISCHIO di diffusione della pandemia tra i migranti ammassati nei dormitori comuni dell’ex caserma era già stata denunciata dalle associazioni per i diritti umani sin da metà giugno. Un operatore della struttura appena rientrato dal Pakistan era stato spedito a lavorare senza fargli rispettare il periodo di quarantena.

Per paura di perdere il lavoro, nella mensa della struttura, l’uomo nascondeva la febbre con le Tachipirine. Solo al momento del suo ricovero in ospedale, è stato scoperto positivo al Covid-19.

I MIGRANTI HANNO organizzato anche alcune manifestazioni di denuncia del rischio di diffusione della pandemia, ma non sono stati ascoltati dal sindaco di Treviso, il leghista Mario Conte, che si è opposto a qualsiasi ipotesi di trasferimento e di smistamento degli ospiti in strutture più piccole, minimizzando la questione, invocando un impossibile coprifuoco e tacciando gli ospiti di ingratitudine.

Il risultato è quello che oggi è sotto gli occhi di tutti. L’infezione si è propagata e ora quasi metà degli ospiti dell’ex Serena sono stati contagiati.

«Ma i migranti costretti a vivere in quel posto orribile che è l’ex caserma Serena non sono untori ha commenta Monica Tiengo dell’Adl Treviso Sono le vittime dei decreti sicurezza voluti da Salvini. Le vittime di un sistema che li vuole prigionieri in uno dei più grandi hub della regione. Fin dalla sua apertura chiediamo che quel posto venga chiuso e che i richiedenti asilo vengano distribuiti in strutture più piccole e dignitose. E invece hanno fatto di tutto per favorire la diffusione del virus, così che oggi possono dare la colpa del Covid ai migranti e trasformare la paura in voti».

Il centro situato negli spazi dell’ex caserma Serena è gestito dalla srl Nova Facility, una società sorta sulle ceneri dell’impresa di costruzione Pio Guaraldo spa, chiusa nel 2017 per fallimento con un buco di svariati milioni di euro dopo aver gettato nel lastrico centinaia di creditori.

Un anno fa, la gestione del centro gli era stata soffiata da una cooperativa napoletana, la Marinello. La faccenda finì in tribunale. Il giudice diede ragione alla Nova Facility che tornò a gestire l’ex caserma. La nuova amministrazione di Treviso le ha affidato anche tutti i servizi sociali della città.

I MIGRANTI POSITIVI dell’ex Serena sono diventati in Veneto un fertile terreno di battaglia elettorale e hanno scatenato nei social la rabbia delle destre che imputano la diffusione del contagio ai migranti. Lo stesso presidente della Regione, Luca Zaia, ha dichiarato: «All’ex caserma Serena c’è

un focolaio di coronavirus perché ci sono delle persone che hanno dato vita al focolaio».

Il presidente uscente ha invocato l’immediata chiusura del centro, dimenticandosi che la struttura era stata fortemente voluta da una amministrazione comunale leghista, da una giunta regionale leghista e da un ministro leghista.

Glielo ha ricordato il suo antagonista alla carica di presidente del Veneto, Arturo Lorenzoni: «L’abolizione del sistema Sprar, per cui vanno ringraziati Salvini e la Lega, ha creato i presupposti per questi mega centri di assembramento e le condizioni per potenziali situazioni di conflitto. Io credo sia urgente lo svuotamento in sicurezza della caserma Serena, che rappresenta un modello di accoglienza superato e foriero di problemi per chi è accolto e per chi accoglie. Mettiamo in atto un’accoglienza diffusa, gestibile e a misura della dignità delle persone che è anche l’unica capace di fermare la diffusione del virus».

Com’è cambiata Ferrara dopo un anno di Lega

Ruspe, tagli al welfare e acquisti sproporzionati di crocefissi. Viaggio a Ferrara un anno dopo l’elezione della prima Giunta leghista. Cosa hanno fatto finora gli amministratori guidati dal volto rassicurante di Alan Fabbri e dal “metodo Naomo” del suo vice Nicola Lodi? 


Ferrara è esplosa di odio e di rabbia poco dopo la mezzanotte. Lo spoglio delle urne non è ancora concluso ma bastano i primi exit poll a far capire che tutto era andato come doveva andare. Il capoluogo della provincia emiliana è conquistato alla Lega che spazza via un centro sinistra frammentato, presuntuoso e rancoroso.

E così, quel 9 giugno di un anno fa, la notte ferrarese si accende di urla, schiamazzi, saluti romani, slogan violenti contro “i negri, i froci e gli zingari”. Le solite categorie “colpevoli” di tutto quanto accade di male in Italia. Qualcuno spara in aria colpi di pistola e nemmeno la polizia interviene. Erano solo “festeggiamenti”, racconteranno il giorno dopo. La cagnare legaiola arriva sino allo scalone del municipio e copre con la bandiera di “Salvini premier” lo striscione di Amnesty dedicato a Giulio Regeni. È soltanto il “trailer” di quanto sta per andare in scena a Palazzo Municipale.

Per la prima volta dalla Liberazione, Ferrara – la colta Ferrara, la città scelta da Internazionale come sede del suo festival, la città dei Finzi Contini, dell’università e della biblioteca Ariostea – cade in mano alla  destra più becera ed ignorate, quella sovranista della lega salviniana.

Più che una caduta, un crollo. Il candidato della destra, Alan Fabbri, ha staccato con più di 13 punti percentuali il rivale Aldo Modonesi schierato dal centro sinistra: 56,8 per cento contro il 43,2.

Del nuovo sindaco di Ferrara c’è da dire che è uno che fa la sua figura. Anzi, che fa solo quella. Barbetta finto-incolta, codino sbarazzino e un po’ ribelle dietro la nuca, aspetto giovanile e piacente. A vederlo sui manifesti elettorali, gli davi pure del progressista. E il progressista, il nostro Alan Fabbri, prova pure a farlo. Appena eletto incontra la madre di Federico Aldrovandi, per dare una impressione di riappacificazione con la città. Gira per le numerose biblioteche cittadine – dove certo non rischia di incontrare i suoi elettori – assicurando che le attività culturali continueranno come prima. Anche il festival di Internazionale continuerà ad essere il fiore all’occhiello della città.

Non alza mai la voce, Alan Fabbri, neppure in consiglio comunale. Con i cittadini che incontra per strada è comprensivo, ti dà sempre regione e, qualsiasi cosa gli si chieda, promette che la sua amministrazione si occuperà del problema. Interpreta il suo ruolo di primo cittadino con un tono talmente sottomesso che ben presto anche i giornalisti locali cominceranno ad ignorarlo e il suo nome scomparirà dai titoli alti dei giornali.

Ma le notizie da pubblicare negli spazi della Cronaca Cittadina non mancheranno di sicuro, soltanto che il protagonista non sarà Alan Fabbri, ma colui che è il vero “sindaco” di Ferrara, il fiore all’occhiello della nuova amministrazione. E qui, ci vorrebbe un bel rullo di tamburi, perché entra in scena lui: il (vice) sindaco Nicola Lodi, meglio conosciuto come “Naomo” per le sue capacità imitative di Panariello.

Naomo è il classico “impresentabile” che si è presentato ed ha vinto. Anzi, stravinto. Con più di mille preferenze è lui il più votato di Ferrara.

Perché abbiamo scritto “impresentabile”? Perché il passato del nostro Naomo ha ben più di un’ombra, con ben quattro sentenze penali e una ammonizione del giudice a suo carico. È stato condannato per furto, sottrazione di beni sottoposti a pignoramento, usurpazione di funzioni pubbliche (fermava i passanti con la pelle scura per chiedere loro i documenti come fosse un carabiniere), una manifestazione non autorizzata, falsa denuncia di infortuni sul lavoro (condanne patteggiate e con il beneficio della non menzione nel casellario giudiziale, stando a quanto ricostruito dal quotidiano ferrarese estense.com). Non che queste faccende gli tormentino la coscienza. “I miei sono solo reati comuni” spiega facendo spallucce ai giornalisti che gliene chiedono conto. E se il giornalista fa notare che non è mica obbligatorio, per una persona perbene, rubare o frodare, arrivano gli insulti. Già, perché il nostro Naomo è un grande moralizzatore di giornalisti. Quelli cui va bene vengono solo etichettati come “vermi”. Quelli a cui va male, come ai colleghi di La7, si sentono minacciare: Vi faremo un culo così. Vi farò male, vi colpirò politicamente. Da lunedì sparirete, tornerete nei meandri da cui siete venuti”.

Avrete capito che il nostro rancoroso pitbull dell’Emilia Romagna, come lo hanno chiamato alcuni colleghi insultati, non è uno che te le manda a dire ma anzi che corre volentieri a cantartele di persona se appena appena gli stai sulle palle o se osi criticare il suo operato. È finita la cuccagna, vedrai il prossimo anno dove ti manderemo!” si è sentita dire la segretaria del Comune, Graziana Bersanetti.

Ma se continuiamo col capitolo “Gli insulti di Naomo” non la finiamo più. Vediamo invece chi è questo personaggio. E, già che ci siamo, saltiamo a piedi pari anche il capitolo “Scuola ed istruzione” dove c’è poca ciccia da mettere sul fuoco. Cominciamo quindi col raccontare che il nostro Naomo di professione è barbiere e, se avete presente i discorsi che si sentono quando si va a tagliarsi i capelli, vi siete già fatti una idea della scuola politica in cui il nostro si è specializzato. Vita travagliata, la sua, perlomeno prima di trovare la fortuna nella politica. Per un periodo della sua storia si è trovato senza dimora ed è stato aiutato da un prete di strada, don Bedin, che ha una associazione che si occupa di poveri e disagiati. La gratitudine non ha mai impedito al nostro Naomo di insultare anche don Bedin quando costui lo ha implorato di risparmiare le ruspe sul campo nomadi. La memoria corta è una qualità molto utile in politica.

A merito del nostro Naomo va sottolineato che, pur senza aver fatto grandi studi di comunicazione, è uno che alla gente sa parlare. E sa anche offrire soluzioni. Anzi, una sola è la soluzione che offre, ma che risolve tutti problemi. L’ha chiamata lui stesso “metodo Naomo” e consiste nel dare “pedate sul culo”. Proprio così! Trovate una sintesi di questo metodo sulla cui efficacia è lecito nutrire qualche dubbio, nel banner della sua pagina Facebook dove lo si vede col piedone alzato rivolto contro i malcapitati di turno. Che poi son sempre gli stessi: “zingari” (rom o sinti, per lui non fa differenza), “clandestini” (il termine “irregolari” è troppo difficile e non rende altrettanto bene lidea), “poveri e senza dimora” (dei vantaggi della memoria corta abbiamo già accennato), “miscredenti” (Naomo è un grande difensore della Romana Chiesa Santa e Apostolica, salvo poi bestemmiare quando pensa che le telecamere non lo stiano registrando).

In una città in cui il centrosinistra ha perso la sua capacità di dialogare con i cittadini, lui piazza nella sua bottega da barbiere un tavolino con una risma di carta sotto la scritta “Ditelo a Naomo” che raccoglie centinaia e centinaia di segnalazioni. Lui risponde a tutti. Per ogni paura, per ogni rancore, per ogni malessere, lui risponde con la sua panacea: il “metodo Naomo”. Quello del “calcio in culo”. Gli slogan che riesce ad inventarsi, corrono sulla bocca di tutta Ferrara. Anche di chi lo contesta. E lui li sfoggia orgogliosamente anche sulle magliette che si fa stampare e con le quali si pavoneggia per le piazze mentre si concede ai selfie dei suoi aficionados, come un generico di Salvini. Celeberrimo è il suo “Più rum e meno rom”. La promozione di se stesso e del suo personaggio è la sua specialità. Le forze dell’ordine multano o chiudono un negozio di stranieri per un qualsiasi motivo? State certi che arriva subito Naomo a fargli una foto, postarla su Fb e scrivere che è tutto merito suo!

E cose da dire ce ne sarebbero tante altre: dal pass per invalidi che usava in maniera quanto meno impropria, alla vasca di idromassaggio che si è fatto montare nel suo alloggio Acer dove non poteva fare modifiche e di cui non aveva neppure diritto ma che ha mantenuto mentendo sulle proprietà immobiliari della compagna.

Ma noi ci fermiamo qua. Anche perché Naomo è solo il domatore di quel vero e proprio circo delle meraviglie che oggi amministra Ferrara. Da raccontare ce ne sarebbero un bel po’ anche su Stefano Solaroli, capogruppo della Lega in consiglio, che si filma su You Tube con la pistola in mano e le piazza sotto il cuscino prima di andare a dormire. “Ho lei con me. So che qualcuno mi criticherà, ma spero che questo video venga condiviso e diventi contagioso”. Fedelissimo di Naomo, Solaroli è usato dal (vice) sindaco per fare pulizia all’interno del suo stesso partito ed espellere chi gli rema contro. Emblematico il caso della consigliera leghista Anna Ferraresi alla quale il capogruppo ha spudoratamente offerto un lavoro a tempo pieno in cambio delle sue dimissioni. La proposta indecente è finita anche su Piazza Pulita ed è costata alla consigliera, poi approdata al Gruppo Misto, una pesante bullizzazione da parte di Naomo e dei suoi fedelissimi.

E che dire dell’assessora alle pari opportunità Dorota Kusiak che pretenderebbe di essere chiamata alla maschile, “assessore” ma che ci perdonerà se diamo più credito all’Accademia della Crusca che alle sue competenze linguistiche e continueremo a declinare al femminile il sostantivo? Il suo unico contributo è stato quello di far acquistare al Comune 385 crocifissi per portarli in processione nelle scuole pubbliche con tanto di fanfare mediatiche al seguito. Altro per le scuole, il Comune non ha fatto. C’è da sperare che ci pensino i Gesù Cristi alla riapertura!

Poi c’è la storia delle panchine del Gad. Che le giunte leghiste come primo provvedimento sradichino le panchine dai parchi è una prassi consolidata. Gli spacciatori, ovviamente, continuano a spacciare esattamente come prima ma perlomeno si devono portare le sedie da casa. E va bene così. L’incredibile è che il quartiere Giardino Arianuova Doro, meglio conosciuto come Gad, è uno dei più tranquilli del mondo. È vero che è la zona di Ferrara in cui molti migranti sono andati a vivere e vi ci trovate botteghe gestite da pakistani, negozi cinesi e sale di preghiera protestanti. Qualcuno spaccia? Può anche essere. Esattamente come in tutto il resto della città. Fatto sta che, scorrendo le cronache nere ferraresi, non ci beccate un episodio di malavita in più che negli altri quartieri neanche a pagarlo oro. Bisogna dare merito alla propaganda leghista se il quartiere è diventato nell’immaginario dei ferraresi uno slum di Città del Capo.

In campagna elettorale ci han pestato duro, sul Gad. Sono scoppiate anche delle risse appositamente provocate da elementi di destra. Anzi, tentativi di rissa, perché la gente del quartiere non mai ha accettato la zuffa. Ma le tv Mediaset ci hanno cucito sopra intere trasmissioni urlate come solo loro sanno urlare. Per la cronaca, un mese fa, il 25 giugno, il Gad è stato oggetto di una maxi-operazione di polizia fortemente voluta dall’amministrazione comunale. Cento uomini con mezzi blindati a supporto hanno perquisito l’area dell’ex grattacielo. Ci hanno trovato circa cento grammi di marijuana, una discreta quantità di affittanze in nero ai danni di famiglie migranti praticate da rispettabilissimi cittadini ferraresi e hanno applicato qualche fermo. Ma c’è speranza che, continuando così, emarginando e ghettizzando, il Gad diventi davvero quel ricettacolo di violenza che i leghisti si augurano.

Che altro rimane da dire per completare la descrizione di questo circo estense? Magari rispondere alla domanda: che cosa ha combinato questa amministrazione nel suo primo anno di attività? A parte le panchine, con la rimozione delle quali hanno sconfitto la mafia, e l’acquisto dei crocifissi che ha riportato nella retta via le traviate scuole ferraresi, non c’è altro da registrare se non lo sgombero di un campo rom che ha avuto come unico effetto lo spostamento delle famiglie nei comuni adiacenti e una invidiabile collezione di selfie di Naomo che ghignava a bordo delle sue amatissime ruspe.

Che Naomo & Co. non fossero dei grandi amministratori, lo si sapeva già dall’inizio e ne hanno dato prova durante l’emergenza coronavirus quando la Giunta ha preteso di gestire da sola l’erogazione dei buoni spesa, imponendo per l’accesso dei personalissimi criteri di cittadinanza che lo stesso Tribunale ha poi bocciato definendoli “discriminatori“. Ma il risultato è stato che 34 mila euro già assegnati dalla Regione non sono stati distribuiti e tante famiglie di migranti – ma anche di italiani perché la procedura di richiesta è stata inutilmente complicata – hanno patito la fame, e si son dovute affidare al buon cuore dei vicini o ad associazioni di carità.

A compensare i tagli sul welfare, ci hanno pensato le spese infilate sotto la voce “Rilancio di Ferrara” e che riguardano l’assunzione di portaborse e comunicatori che si son fatti le suole nella Bestia di Salvini. Assunzioni che non destano sorpresa, considerando l’importanza che la destra sovranista giustamente dà alla comunicazione. Soprattutto a quella che fabbrica fake news. Così come non desta sorpresa il primo provvedimento che la Giunta appena insediatasi ha varato. Prima ancora di far rimuovere le infide panchine, sindaco e assessori si sono aumentati lo stipendio del 10 per cento. La neo-assessora al Personale, Lavoro e Attività Produttive, Angela Travagli, ha giustificato l’aumento dovuto alla necessità di avere una “visione macroeconomica molto più ampia, positiva e sistemica da parte di chi amministra”.

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