Clima, sanità e diseguaglianze, al G20 di Venezia è prevista «l’alta marea»
23/06/2021Il ManifestoG20. 8-11 luglio, rete di movimenti prepara la protesta
«Chi rotolerà via la pietra del sepolcro?» E’ la domanda che campeggia sopra il portone della chiesa della Resurrezione. Una chiesa di frontiera in una quartiere di frontiera, quello della Cita, che sorge nella periferia di Marghera che a sua volta è la periferia di Venezia. Alti palazzi condominiali con le finestre che da un lato si affacciano sopra la stazione di Mestre e dall’altro spaziano sino a quel che rimane di quella laguna che era dei dogi.
Ed è proprio dal sagrato di questa chiesa di frontiera che salirà la marea delle mobilitazioni contro il G20, che si svolgerà nel capoluogo veneto da giovedì 8 a domenica 11 luglio. La marea, lo sa bene chi è nato in laguna, fa tanti danni e non si ferma davanti a niente. Mose compreso. Per questo, le attiviste e gli attivisti che stanno preparando le mobilitazioni hanno scelto come nome della loro piattaforma: «We are tide. You are only (G)20». «Noi siamo la marea, voi siete solo (G)20».
La pietra sepolcrale che la marea si augura di rotolare via, è quella ben nota dei 2 miliardi di persone al mondo che non hanno assistenza sanitaria e neppure accesso all’acqua potabile e non avranno voce in questo summit. Oppure dell’1% più ricco della popolazione che possiede metà della ricchezza globale. O, se preferite una chiave ambientalista, del 10% del mondo che è responsabile di oltre metà delle emissioni climalteranti. Tutte pietre per le quali il G20 proporrà ricette che, spiega We Are Tide, non sono soluzioni ma parte integrante del problema. Esattamente come il Mose. E come la marea, la mobilitazione parte da lontano ed investe tutto ciò che è movimento. Domenica pomeriggio, grazie all’ospitalità di don Nandino Capovilla, personaggio bene noto nel veneziano per le sue battaglie a favore del popolo palestinese, sul sagrato della chiesa della Resurrezione, si sono dati appuntamento Fridays For Future, No Grandi Navi, centri sociali, rappresentanti di associazioni ambientaliste e anche di formazioni politiche come i Verdi.
Una assemblea di avvicinamento al G20 che ha l’obiettivo di far partire quella marea che non si fermerà a Venezia ma investirà le piazze di tutte le altre città che ospiteranno gli incontri del G20, a partire da Napoli e sino al summit vero e proprio, che si svolgerà a Roma questo autunno. E avanti ancora, sino alla Pre Cop sul clima di Milano di fine ottobre. Perché è proprio quella per il clima la battaglia da combattere. Le numerose crisi sistemiche che si sommano, ultima quella della pandemia, sono solo un sintomo della più vasta crisi climatica ha spiegato Anna Clara Basilicò, di We Are Tide Il G20 rappresenta gli Stati con le economie più ricche a livello planetario e pretende di ricondurre il mondo a quel sistema neoliberista che ha eliminato i diritti dal suo vocabolario, costruendo un divario sempre maggiore tra ricchi e poveri, svilendo ogni processo democratico.
Lo strumento che il G20 propone è quello della finanza che ha garantito solo profitti per pochi a scapito dei diritti di molti. Dietro a formule come ‘transizione ecologica’, si nasconde un tentativo di rilanciare l’economia fossile, investendo ancora più miliardi in grandi opere inutili e dannose. Ma questa non è la soluzione. E’ il problema”.
Un processo che va a pari passo con la militarizzazione sempre più massiccia cui assistiamo nelle nostre strade. Durante il G20, non sarà militarizzata solo l’area dell’Arsenale, dove si svolgerà il summit, ma l’intera città che sarà dichiarata Zona Rossa. Nelle calli saranno sistemati tornelli identificativi, nei campi, posto di blocco militari. I canali saranno presidiati da moto d’acqua.
Ogni manifestazione vietata per ragioni di sicurezza. «Proprio per questo la nostra risposta dovrà essere forte conclude Sebastiano, giovane attivista di We Ara Tide -. Sabato 10 saremo tutti alla Zattere, che sono state il teatro di tanti manifestazioni contro le Grandi Navi. E da qui partirà un corteo con l’obiettivo dichiarato di violare la zona rossa». La pietra da far rotolare è davvero pesante.
Riecco le Grandi Navi a Venezia, e la protesta: «Il decreto del governo è una fake news»
6/06/2021Il ManifestoIn laguna. Con la mastodontica Msc orchestra, un gigante da 90 mila tonnellate, si riapre la stagione crocieristica. «Il decreto - dice Andreina Zitelli del comitato No Navi - permette infatti di transitare sino a che non verrà approntata una soluzione alternativa. Soluzione che già ci sarebbe»
Ha cercato di giocare in anticipo, l’Msc Orchestra. La mastodontica nave da 90 mila tonnellate, la prima a tornare in laguna dopo lo stop forzato causato dalla pandemia, è salpata dalla Marittima con un’ora e mezza d’anticipo per evitare di incocciare nella protesta per terra e per mare che i Comitato No Navi aveva organizzato. Non ce l’ha fatta. Sin dal primo pomeriggio, il canale della Giudecca era già presidiato da decine di imbarcazioni, per lo più tradizionali, con bandiere e striscioni a difesa della laguna. Lungo la fondamenta delle Zattere, centinaia di manifestanti erano già radunati per preparare le “tavolate” con le quali avevano progettato di aspettare il passaggio della nave, recuperando una antica tradizione veneziana di cenare tutti insieme nei campi e nei campielli nella tiepide serate estive.
Il passaggio anticipato non ha impedito agli ambientalisti presenti di accogliere con fischi, trombe, lacrimogeni e qualche dito medio alzato la lussuosa nave da crociera. In acqua, si è scatenata l’oramai tradizionale battaglia navale tra attivisti a remi o a vela e le lance con supporto di moto d’acqua della polizia. In più, c’è stato la provocazione di una mezza dozzina di grosse barche a motore da carico, noleggiate da alcuni lavoratori portuali pro grandi navi, che si sono lanciate contro le barche degli attivisti senza che la polizia facesse nulla per contrastarli. Solo per buona sorte non si sono registrati incidenti gravi.
Col passaggio dell’Msc Orchestra, alta tre metri in più del campanile di San Marco, si riapre la stagione crocieristica e le Grandi Navi tornano a riprendersi la laguna, incuranti dell’inquinamento che esce dai loro camini. Quel fumo tossico che continuano a emettere anche quando la nave è attraccata e che rende Venezia una delle città con i più alti livelli di Pm10 d’Europa. Tornano a devastare i fondali dei canali muovendo una massa d’acqua insostenibile per una laguna dal precario equilibrio idrogeologico come quella di Venezia. Tornano a far passerella davanti a San Marco anche se il Governo ha ammesso che questi grattacieli galleggianti sono incompatibili con Venezia e ha varato un decreto per estrometterli definitivamente dalla laguna.
«Una fake new istituzionale ha commentato Andreina Zitelli del comitato No Navi -. Le grandi navi sono ancora qui a fare il bello e il cattivo tempo. Il Governo ha ammesso una cosa che non poteva
non ammettere: l’incompatibilità dei fondali lagunari con il passaggio delle navi con stazza superiore alle 40 mila tonnellate. Cosa che aveva già sancito il decreto Clini-Passera, nove anni fa. Ma non hanno nessuna intenzione di fermare le crociere. Il decreto permette infatti alle navi di transitare sino a che non verrà approntata una soluzione alternativa. Soluzione che già ci sarebbe ma, proprio per guadagnare tempo, il Governo ha scelto la strada del concorso di idee. Peraltro senza scadenza. Intanto le navi vanno su e giù come prima».
A questo proposito l’associazione Ambiente Venezia ha presentato una formale diffida alle autorità che sovrintendono il traffico navale affinché mettano in pratica i principi di questo decreto che sottolinea la pericolosità del mega traffico navale in laguna sostenendo che, giacché è stata comprovata l’incompatibilità per l’ecosistema, il traffico crocieristico deve essere fermato in attesa della famosa «soluzione alternativa».
In una Venezia che sta lentamente uscendo dalla pandemia solo per accorgersi che nulla è cambiato e che Giunta regionale e Comune ripropongono la stessa formula fatta di speculazioni edilizie, privatizzazione degli spazi comuni e turismo di massa, la manifestazione di ieri pomeriggio ha avuto l’effetto di una sveglia. «Ci accusano di essere contro il lavoro ha spiegato Tommaso Cacciari, portavoce dei No Navi -. Non è vero. Noi siamo e sempre saremo dalla parte del lavoro e del reddito garantito. Sono le Grandi Navi e questa economia fondata sullo sfruttamento dei beni comuni e la turistificazione di massa che portato all’allontanamento dei residenti e alla disoccupazione. Sono loro i nemici del lavoro».
I comitati ambientalisti veneti esultano: «Chi ci ha avvelenato paghi»
29/04/2021Il ManifestoEco-reati. Quindici manager di multinazionali andranno a processo per disastro doloso e inquinamento ambientale
Il rinvio a giudizio dei quindici manager della Miteni, l’azienda vicentina responsabile di aver avvelenato con i Pfas le acque di mezzo Veneto, è stato accolto con grande entusiasmo dalle 226 tra associazioni ambientaliste, comitati cittadini e pubbliche amministrazioni, che si erano costituite parte civile e che, per tutto lo scorso fine settimana hanno assediato il tribunale con un presidio permanente che si è concluso alla lettura della sentenza.
«Stiamo piangendo di gioia – ha commentato Patrizia Zuccato delle Mamme No Pfas – Temevamo che ancora una volta il potere e il denaro mettessero tutto a tacere, ma questa sentenza ci apre una strada. Sappiamo che sarà tutta in salita ma ora è una strada aperta e vi assicuro che la percorreremo sono in fondo». Anche Luigi Lazzaro, presidente di Legambiente Veneto, parla di «una prima grande vittoria». «Ci aspettiamo che venga applicato il principio che sta alla base degli ecoreati: chi inquina paga. La difesa delle falde e della salute deve stare al centro del Piano nazionale di ripresa».
La decisione del giudice per l’udienza preliminare Roberto Venditti ha accolto in toto l’impianto accusatorio dei pubblici ministeri vicentini Barbara De Munari e Hans Roderich Blattner. I quindici manager sono stati rinviati a giudizio con le accuse di disastro doloso, avvelenamento delle acque, inquinamento ambientale ed anche di bancarotta fraudolenta per il fallimento della società Miteni nel 2018. Si tratta di quindici dirigenti d’azienda di rilevanza internazionale che fanno riferimento a importati multinazionali come la Mitsubishi e l’Icig, proprietarie della Miteni negli ultimi decenni in cui l’avvelenamento è stato più pesante per l’utilizzo di Pfas di ultima generazione, come GenX e C6O4.
Dunque, il primo luglio prossimo in Corte d’Assise ci sarà il più grande processo per crimini ambientali mai svoltosi nel Veneto, e probabilmente anche in Italia, sia per la pericolosità dei materiali versati che per l’ampiezza dell’area interessata dall’inquinamento e che investe le provincie di Vicenza, Verona, Padova. Mezzo Veneto, per l’appunto. Senza contare che l’area inquinata si sta tutt’ora espandendo e che la presenza di Pfas è stata rilevata recentemente anche nella laguna veneziana. Solo nei prossimi anni riusciremo a quantificare con precisione l’impatto causato dallo sversamento di queste molecole killer nelle falde acquifere. Gli effetti sulla salute dei cittadini che hanno bevuto l’acqua inquinata o che si sono nutriti di verdure locali è già testimoniato da varie ricerche mediche che hanno riscontrato un forte aumento di patologie come tumori ai reni e ai testicoli, coliti ulcerose sino a ictus, osteoporosi precoce, diabete, Alzheimer. I Pfas colpiscono in particolare i bambini e le donne in stato di gravidanza causando aborti e malformazioni nei feti. Un disastro ambientale e sociale le cui conseguenze le pagheremo anche negli anni a venire, in quanto questi acidi perfluoroacrilici agiscono come una sorta di bomba ad orologeria. Una «pandemia chimica» che si accumula nel metabolismo e i cui effetti possono manifestarsi anche a decenni di distanza.
La soddisfazione per questa primo pronunciamento che riconosce le pesanti responsabilità della Miteni non riuscirà ad allontanare la paura di ammalarsi in un prossimo futuro. Così come non diminuirà i disagi di chi non potrà ancora bere l’acqua del rubinetto, continuerà a guardare con sospetto le verdure in vendita nei mercati ed a rinunciare a coltivare l’orto sotto casa. Allo stesso mmodo, il processo non può rimediare i ritardi di una amministrazione regionale che per tanti anni si è dimostrata sorda alle denunce dei residenti che sin dai primi anni del nuovo secolo chiedevano come mai nei prati di Trissino le margherite nascessero con due corolle o con i petali raggrinziti. Solo nel 2013, l’Arpa ha cominciato a studiare il fenomeno, riscontrando ufficialmente la presenza di Pfas nelle falde. Per il rinvio a giudizio, ci sono voluti altri 8 anni. I tempi della giustizia non sono mai quelli della salute e dell’ambiente. Tanto più che nella maggioranza che guida la Regione, di bonifiche ancora non se ne parla.
A Trapani è stata intercettata la democrazia
5/04/2021Dossier Libia, Global Project, Melting PotLo scandalo delle intercettazioni ai giornalisti
La domanda da farsi è come intendeva utilizzare queste intercettazioni?
Le centinaia e centinaia di pagine di intercettazioni finite nei brogliacci che gli inquirenti hanno depositato alla procura di Trapani nell’ambito dell’inchiesta su presunti traffici di migranti compiuti dalle navi delle ong, non possono essere giustificate come errori o verifiche eccessive attuate al solo scopo di completare le indagini in corso. I giornalisti intercettati non erano e non sono indagati per questa vicenda, e nessuno aveva motivo di ritenere che potessero essere implicati nei reati contestati alle ong. Reati che, tra l’altro, non ci sono.
Ma c’è anche un secondo aspetto, ancora più pericoloso che va messo in luce. L’inchiesta della procura di Trapani è cominciata nel 2017 su pressione del Servizio Centrale Operativo (Sco) alle dipendenze dell’allora ministro Marco Minniti. Un nome che non ci tranquillizza affatto, considerando che la “stretta” sulle politiche migratorie, perseguita poi da Matteo Salvini, è avvenuta proprio con questo egregio rappresentante del Pd.
Vien da chiedersi allora come lo Sco intende o intendeva usare queste intercettazioni. Scoprire le fonti che fornivano informazioni ai giornalisti? Per lo più si tratta di persone che vivono situazioni già pericolose che hanno un rapporto fiduciario col giornalista professionista che ha l’obbligo deontologico di tutelarli. Far trapelare questi nomi significa mettere loro, e spesso anche le loro famiglie, a rischio della vita.
Nello Scavo di Avvenire, è stato intercettato mentre chiedeva ad un migrante detenuto in un lager libico se fosse possibili avere dei video che denunciavano le brutalità commesse dagli aguzzini. Altri giornalisti sono stati intercettati mentre pianificavano con contatti locali un viaggio in Libia.
L’aspetto più inquietante della faccenda è che i giornalisti non sono stati soltanto intercettati ma ne sono stati rilevati anche gli spostamenti. Davvero queste sono informazioni “basilari” nell’ambito di una indagine farlocca sulle ong? No. Questa giustificazione non è assolutamente sostenibile. Sottolinea Beppe Giulietti in un suo tweet “Non abbiamo risposta alla domanda essenziale: perché venivano registrati i colloqui tra una cronista come Nancy Porsia e la sua legale Alessandra Ballerini (l’avvocata della famiglia Regeni.ndr) e perché sono state trascritte le parti relative ad un prossimo viaggio in Egitto “senza scorta” dell’avvocata?” La risposta fa paura.
La Capitaneria di porto «punisce» il comitato No Grandi Navi
11/03/2021Il ManifestoVenezia, multa di ventimila euro.
Ventimila euro di multa per affondare il comitato No Grandi Navi. Ventimila euro di multa per fatti accaduti quattro anni fa e che, non hanno dubbi a proposito le attiviste e gli attivisti veneziani, hanno solo lo scopo di stroncare le proteste degli ambientalisti contro questi mostri del mare. Le ingiunzioni inviate dalla Capitaneria di Porto sono datate 4 marzo 2021 ma riguardano fatti accaduti il 24 settembre del 2017, quando centinaia di attivisti si mobilitarono in barca o a piedi, lungo la fondamenta del canale della Giudecca, per protestare contro il via vai delle grandi navi. «Fu una importante manifestazione cittadina ricorda Federica Toninello, portavoce del comitato -. Per l’occasione avevamo costruito un palco galleggiante dove si esibirono molti artisti e dove suonarono vari gruppi musicali. Fu una manifestazione di protesta pacifica e senza violenze. Le grandi navi scelsero di rimanere in porto e ritardarono la partenza, evidentemente vergognose di uscire dalla Marittima, e di ‘inchinarsi’ di fronte alla rabbia delle migliaia di residenti presenti sulle rive e nelle barche». Il canale della Giudecca fu invaso da decine di imbarcazioni a remi, a vela e a motore.
Per dare una risposta a quanti desideravano protestare dall’acqua, il comitato noleggiò sette capienti imbarcazioni. Proprio ai sette ragazzi che avevano preso il timone di queste barche sono arrivate, quattro anni dopo, le multe. Duemila euro a testa più circa sei mila euro di spese legali pendenti per un totale di 20 mila euro da pagare entro fine marzo. «Multe che colpiscono dei ragazzi, tutti ventenni, che svolgono lavori precari e che stanno attraversando un periodo particolarmente difficile a causa della pandemia. Ragazzi che non hanno fatto nulla di male e che, se hanno violato i divieti della Capitaneria, lo hanno fatto assieme a tantissime altre barche al solo scopo di difendere la nostra città e la nostra laguna».
La pandemia e le misure per evitare il diffondersi del contagio rendono difficile organizzare iniziative di sostegno e di autofinanziamento. Per questo il comitato ha deciso di affidarsi alla rete e per aiutare i sette ragazzi a pagare le ingiunzioni, ha aperto un crowdfunding sul sito Produzioni dal Basso col nome «Aiutaci a difendere Venezia Sostieni il Comitato No Grandi Navi».
«Invitiamo tutti coloro che possono contribuire a dare il loro sostegno conclude Federica Toninello -. Come decine di piccole barche hanno fermare i colossi del mare, migliaia di piccole donazioni possono rispondere a questa sorta di vendetta amministrativa che colpisce la parte più giovane e generosa del comitato. Aiutateci a continuare a lottare per Venezia, perché la nostra città non ceda agli speculatori, ma continui ad essere di chi la vive e di chi, pur non vivendoci, la ama».
Le multe non fermeranno le lotte del comitato che ha annunciato per il 10 aprile una iniziativa in Campo Santa Maria Formosa e la costituzione di un «tavolo cittadino» per consentire a residenti e istituzioni di dialogare su un futuro che vada oltre la monocultura turistica.

Condizioni inumane all'hotspot di Pozzallo. La denuncia in due video
1/12/2020LasciateCIEntraredi Yasmine Accardo e Riccardo Bottazzo – Hotspot di Pozzallo. Da sempre luogo impenetrabile a giornalisti ed attivisti dei diritti umani. Per sapere come si vive dentro quelle mura, diamo voce ai migranti trattenuti, alle foto e ai video che vengono inviati a LasciateCIEntrare. Qui i migranti vengono rinchiusi per quarantene che durano ben oltre i 14 giorni previsti dalla normative anti Covid. E spesso accade che l’annuncio della fine della quarantena coincida con quello dell’espulsione forzata dall’Italia. Decisione che arriva senza che abbiano avuto accesso ad alcune informazione sui loro diritti e sulle procedure per la richiesta di protezione umanitaria.
Così, in questi nudi casermoni di sbarre e cemento, i migranti, in particolare coloro che provengono dalla Tunisia, vedono infrangersi il sogno di una vita lontana dalle violenze e dalla povertà. Inevitabile che l’annuncio dell’espulsione generi proteste e anche scatti di violenza ai quali la polizia risponde con durezza. Scatti di di violenza dettati dalla disperazione che, in molti casi, sono rivolti contro la loro stessa persona. Gli episodi di autolesionismo e i tentati suicidi sono frequenti tra queste mura.
L’hotspot di Pozzallo si conferma un luogo fuori da ogni giurisdizione dove i diritti umani pesano meno di una piuma. Le persone sono ospitate in grandi stanzìni, dove il tetto non riesce a fermare la pioggia, gli impianti idrici e fognari dei bagno sono devastati. Uomini, donne e bambini condividono gli stessi spazi. Ci sono famiglie con bambini anche piccoli. Una donna in stato interessante ci invia messaggi in cui ripete di sentirsi trattata peggio delle bestie, che il cibo è insufficiente: “Vi prego fateci uscire di qui. Fateci uscire di qui. Io sto da oltre un mese non abbiamo alcuna assistenza e guardate in che condizioni viviamo”.Tra loro anche un minore con il padre con una grave patologia invalidante che dorme su un letto su cui cade l’acqua. Così sono costretti a trascorrere una quarantena che avrà fine solo con l’espulsione.
Fuori da quelle grigie mura c’è una società “civile” alla quale sembra non importare nulla del trattamento inumano e degradante imposto a questa umanità in fuga dal nostro stesso Governo. Così funziona la macchina di questa accoglienza carceriera che è solo un prolungamento delle sofferenze che questi migranti hanno subite in precedenza, nel lungo viaggio che li ha portati a rischiare la vita in mare. A noi rimane il peso di vivere in un Paese dove l’abuso di potere nei confronti dei più deboli e disperati è legge indiscussa da troppo, troppo tempo.
A Mestre in piazza per chiedere reddito e salute
31/10/2020Il ManifestoProteste. A manifestare circa 250 persone tra i quali molti attivisti di Fridays For Future che nei loro interventi hanno sottolineato come la pandemia sia solo una delle conseguenze dei cambiamenti climatici
C’è anche una piazza che va in un’altra direzione. Una piazza dove non si fanno saluti romani, non si urla “non c’è il coviddì”, e non si sfasciano le lapidi dei partigiani. Una piazza dove la prima regola è indossare la mascherina e rispettare la distanza di sicurezza. Questa piazza si è riunita alle 19 di ieri a Mestre, nel piazzale Donatori di Sangue, per ribadire che dalla pandemia non se ne esce se non si cambia quel sistema che è la causa stessa dell’epidemia. Quel sistema che ha mercificato la terra, inquinato l’aria ed in mari, innescato i cambiamenti climatici e che oggi ci pone davanti al ricatto “reddito o salute”.
La manifestazione regionale è stata preceduta, giovedì 29, in piazza Antenore a Padova, da una iniziativa organizzata dalle maestranze dello spettacolo, uno dei settori più colpiti dalle chiusure del Governo ed esclusi dalle misure di sostegno che Regioni ed enti locali hanno varato per fronteggiare la crisi. La protesta si è conclusa con la simbolica “muratura” del portone della prefettura con decine di quei bauli solitamente usati dai tecnici dello spettacolo per riporre le strumentazioni.
Una manifestazione pacifica e colorata, proprio come questa svoltasi oggi nel cuore di Mestre per chiedere “Reddito, salute e futuro per tutt*”. Una manifestazione quest’ultima, lanciata da giovani e giovanissimi, per lo più studenti e studentesse delle scuole superiori o dell’università, e rimbalzata nei social a livello soprattutto individuale per ribadire che ci sono altre ragioni per scendere in strada, oltre quelle delle categorie economiche o dei negazionismi alle quali i media danno ampio spazio, ignorando la complessità di una protesta che va ben oltre la spaccata alla vetrina di Gucci.
“Reddito e salute per tutti!”, “Nessuna va lasciata indietro” “Vogliamo trasporti, sanità e istruzione pubblici e gratuiti per tutte e tutti”, sono alcuni degli slogan che si sono sentiti nella manifestazione. Slogan ben diversi da quelli che si sentono nelle piazze negazioniste o nelle iniziative gestite da organizzazioni di categoria che si limitano a chiedere sostegno per i propri affilati. “Reddito e salute non sono in contrapposizione ma diritti che devono essere garantiti a tutte e tutti spiega la giovane studentessa Anna, attivista del Loco, il Laboratorio Occupato Contemporaneo di Mestre Nei mesi che ci hanno separato dalla prima ondata, il Governo e gli enti locali non hanno fatto nulla per garantire la salute e per salvaguardare il diritto allistruzione in sicurezza e per tutelare lavoratori e lavoratrici.
Non sono stati potenziati i trasporti pubblici, non sono stati individuati altri spazi per la didattica che oggi ritorna ad esserci riproposta on line. Noi chiediamo un cambio di rotta che non è solo funzionale al contrasto del Covid. Chiediamo lo stop degli affitti e delle utenze. Vogliamo reddito per tutte e tutti e l’imposizione della patrimoniale per i ricchi e soprattutto per coloro che hanno approfittato della pandemia per arricchirsi ancora di più”.
Alla manifestazione hanno partecipato circa 250 persone tra i quali molti attivisti di Fridays For Future che nei loro interventi hanno sottolineato come la pandemia sia solo una delle conseguenze dei cambiamenti climatici e probabilmente neppure la più grave che ci attende e di una crisi
globale che investe l’intera economia di un pianeta ancora fondata sul capitalismo fossile. Una crisi in cui nessuno ha la ricetta risolutiva in mano ma che apre interi orizzonti di lotta da costruire.
Venezia, operazione di polizia contro il centro sociale Rivolta. Gli attivisti: «È una ritorsione»
19/10/2020Il ManifestoMovimento. Alle prime luci dell'alba un ingente schieramento di agenti e blindati intorno allo storico spazio sociale di Marghera per un'azione in difesa dell'ambiente
Non hanno dubbio alcuno, le attiviste e gli attivisti del Rivolta. La maxi operazione di polizia svoltasi questa mattina, martedì 20 ottobre, dentro la sede dello storico centro sociale di Marghera, non era una perquisizione ma una vera e propria ritorsione per le iniziative portate a termine dalla neonata rete Rise Up 4 Climate Justice. Come quella avvenuta il 10 settembre scorso, con il blocco dell’ impianto Eco-progetto di Veritas dove Regione e Comune vogliono realizzare un nuovo e contestatissimo inceneritore. Oppure quella del 12 settembre che ha visto i Fridays For Future entrare e appendere striscioni dentro gli spazi della raffineria Eni di Fusina. Iniziative che sono state accolte con la massima durezza non soltanto da parte di Eni e Confindustria ma anche dei sindacati confederati che, in un testo congiunto, hanno invocato «tolleranza zero» verso gli attivisti climatici.
Gli effetti di questa «tolleranza zero» si sono visti ieri mattina alle sette quando un nutrito contingente di 150 tra poliziotti, guardie di finanza e carabinieri in assetto antisommossa, supportati da otto mezzi blindati, ha fatto irruzione nel centro sociale, sfondando le porte di accesso e per tre ore hanno messo a soqquadro tutto l’edificio, impedendo ai numerosi attivisti corsi in difesa del loro spazio di entrare.
Alla fine della perquisizione, le forze dell’ordine hanno sequestrato striscioni, vernici e qualche maschera antigas. Come dire: tutto quello che ti aspetteresti di trovare in un centro sociale che fa attività politica.
Il cso Rivolta, i cui spazi sono di proprietà del Comune di Venezia e regolarmente, è il cuore dei movimenti ambientalisti della città, come i Fridays for Future. «Non ci lasceremo certo intimidire da queste operazioni ha dichiarato Vittoria Scarpa, portavoce del cso È chiaro che i grandi movimenti che da tempo stanno chiedendo a gran voce un cambio radicale dell’attuale modello di sviluppo fanno paura. Il tentativo di criminalizzarci risponde ad un tentativo di ribaltare la realtà, indicando come responsabili della devastazione del territorio proprio quei movimenti ambientalisti che hanno avuto il coraggio di puntare il dito sui veri colpevoli».
L’epidemia che tutti stiamo affrontando è emblematica di questo tentativo di distorcere le colpe. «Sappiamo tutti che la pandemia è una conseguenza delle crisi climatica conclude Vittoria Scarpa eppure qualcuno sta gestendo questa crisi in corso proprio tentando di cancellare quei movimenti che continuano a mettere in luce il nesso tra estrattivismo selvaggio, mutamento degli equilibri ecosistemici e diffusione dei virus». Solidarietà al Rivolta è arrivata da tutti i movimenti ambientalisti del Veneto che hanno organizzato presidi davanti alle sedi Eni.
Fridays for Future vs Eni, gli ambientalisti rispondono alle accuse dei sindacati
29/09/2020Il ManifestoNon si è fatta attendere la risposta degli attivisti di Fridays For Future del Veneto al comunicato firmato congiuntamente da Confindustria e dai sindacati confederali Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil, che hanno bollato come “fatto criminoso” l’occupazione della Bioraffineria Eni di Marghera.
Il fatto era accaduto il 12 settembre scorso, quando un nutrito gruppo di ragazze e ragazzi del Climate Camp che si svolgeva al vicino cso Rivolta, ha simbolicamente invaso l’area dell’impianto industriale appendendo striscioni in cui si denunciava le attività inquinati e climalteranti dell’Eni in Paesi come il Niger, il Mozambico e la stessa Italia. Basti pensare alle 400 tonnellate di petrolio fuoriuscite dal Centro Olio Val D’Agri che hanno contaminato le falde acquifere della Basilicata.
L’iniziativa dei FfF non è stata digerita dal presidente di Confindustria Venezia, Vincenzo Marinese, che ha scritto una dura lettera al prefetto, per chiedere tolleranza zero verso queste azioni. Lettera sottoscritta anche dai sindacati confederali. «Vogliamo difendere tutti insieme il lavoro, la sicurezza dei nostri dipendenti, le imprese e la tradizione manifatturiera di questo territorio. Per questo motivo condanniamo i fatti criminosi avvenuti alla Bioraffineria Eni» dichiara il Presidente di Confindustria Venezia Vincenzo Marinese. «Azioni pretestuose come questa finiscono per nuocere sia al tessuto produttivo che a quello sociale ha dichiarato Marinese- La vera battaglia oggi in corso vede due schieramenti contrapposti: uno pro e l’altro contro il lavoro. Noi, insieme alle organizzazioni sindacali siamo a favore del lavoro».
Chi non ci sta a considerare l’inquinamento come una inevitabile conseguenza del lavoro, sono la ragazze e i ragazzi di FfF che sabato pomeriggio hanno risposto per le rime alla presa di posizione di sindacati e Confindustria rimettendosi la tuta bianca ed occupando l’entrata dell’associazione industriali, al Vega di Marghera, alzando un lungo striscione con la scritta Eni distrugge il pianeta. Stop climate change. Una ottantina i presenti.
«Se il nostro gesto è ‘criminoso’ che dire allora delle azioni di multinazionali come Eni e Shell le cui politiche estrattive sono alla base della crisi ecologica che stiamo vivendo? ha commentato il giovane Sebastiano Bergamaschi A chi ci accusa di aver messo in pericolo i lavoratori, ribadiamo che la nostra azione alla Bioraffineria si è svolta senza arrecare nessun danno agli impianti e senza mettere a rischio la salute delle lavoratrici e dei lavoratori. Lo stesso non si può dire di Eni, che non esita a minare la salute dell’intero pianeta».
Se si entra nell’home page del sito della multinazionale, hanno spiegato i giovani durante la conferenza stampa svoltasi sotto le finestre di Confindustria, l’impressione è quella di una associazione ambientalista come Greenpeace o Legambiente. Non c’è traccia di petrolio ma solo link ad iniziative ecologiche.
«È soltanto un ipocrita tentativo di green washing ha commentato Sofia Demasi. «Le fonti fossili restano il core business dell’azienda: nel 2018 gli investimenti nellʼupstream costituivano il 74% del totale, con un incremento costante della produzione dal 2016 e un ulteriore picco previsto per il 2025. Ma il futuro che vogliamo, l’unico futuro che può avere il pianeta, è un futuro senza fossili. Eni continua a marciare ella direzione opposta. Non è questo il vero crimine?».
A Venezia il ciclone Brugnaro travolge Baretta e resta sindaco
23/09/2020Il Manifesto
Comunali. Con il 54 % dei consensi l’imprenditore «del fare» guadagna il suo secondo mandato. I 5 stelle sotto il 4% perdono 8 punti. La candidata Visman superata dalla lista civica ecologista
La valanga Zaia trascina con sé anche la slavina Brugnaro. La destra conquista Venezia e lo fa al primo turno, riconfermando il sindaco uscente. La coalizione a supporto di Luigi Brugnaro si è portata a casa quasi il 55 per cento delle preferenze, lasciando il candidato del centro sinistra, Pier Paolo Baretta (sottosegretario Pd all’economia), poco sopra il 29 per cento. Sotto il 4 per cento la candidata sindaca dei 5 Stelle, Sara Visman, superata anche dalla civica ecologista Terra e Acqua di Marco Gasparinetti (4 per cento netto).
Visman si è detta comunque contenta per i risparmi sulla spesa pubblica di cui gli italiani potranno godere grazie alla vittoria sul referendum per il taglio dei parlamentari. Cinque anni fa i grillini avevano portato a casa il 12,8 per cento. Altri tempi, per il partito della Casaleggio & figli che nel resto della Regione hanno fatto ancora peggio, scendendo al 3 per cento e rimanendo fuori dal Consiglio,
Tutta un’altra musica per Brugnaro che, come Luca Zaia, è volato nel conteggio dei voti grazie alla sua lista «fucsia». Una lista che, sempre secondo il sindaco imprenditore di Venezia, non sarebbe né dei destra né di sinistra ma caratterizzata dal «fare».
I fucsia si sono confermati il primo partito in città col 31 per cento dei consensi. Secondo partito in laguna, il Pd con il 19 per cento. In crescita di due punti e mezzo rispetto al 5 anni fa. Costante la Lega al 13 per cento e balzo in avanti per Fratelli d’Italia, dal 2 al 7 per cento. Con un 5 per cento di voti, tornano in consiglio comunale i Verdi dentro la lista Venezia Verde e Progressista che si era schierata a sostegno di Baretta.
Come per le scorse amministrative, i voti all’imprenditore milionario Brugnaro è titolare dell’agenzia di lavoro interinale Umana spa sono venuti soprattutto dalle terraferma. La città d’acqua infatti anche in questa occasione si è schierata per il centro sinistra (52 per cento) confermando che tra il colore fucsia ed il popolo delle calli l’amore non è mai sbocciato.
Popolo delle calli che oramai è ridotto ai minimi termini. L’emorragia dei residenti per far spazio a nuovi alberghi e B&B, durante l’ultima amministrazione 5 mila nuovi abitanti in meno. In compenso, è triplicato il numero di locazioni turistiche, senza contare il nuovo e mastodontico «fronte alberghiero» realizzato con la benedizione di Brugnaro a ridosso della stazione di Mestre.
Favorevole alle grandi navi, al nuovo inceneritore di Fusina imposto da Zaia per bruciare i rifiuti contaminati da Pfas provenienti dal vicentino, il sindaco fucsia è per le «soluzioni facili» e misura il suo operato col solo metro dei «schei». Il suo concetto di democrazia lo ha spiegato lui stesso: «Ho fatto piazza pulita col napalm delle municipalità perché mi avrebbero votato contro».
Vuole una città sicura, spiega. In campagna elettorale si è vantato di essere «quello che ha dato il mitra ai vigili» dimenticandosi di sottolineare che sotto la sua amministrazione Mestre è diventata la capitale veneta dello spaccio e dei morti per droga.