Venezia, il sindaco indagato difende poltrona e «amici»
3/08/2024Il ManifestoL’inchiesta Consiglio comunale straordinario: Luigi Brugnaro respinge le accuse e si commuove. L’unico che scarica è l’ex assessore Boraso, ancora in prigione
San Luigi da Mirano non scende dallo scranno. Come c’era da aspettarsi, il primo cittadino di Venezia ha categoricamente respinto la richiesta di dimissioni avanzata dalle opposizioni ribadendo davanti al consiglio comunale la sua completa estraneità ai fatti contestategli dalla procura. Non senza qualche lacrimuccia di commozione («non è facile per me che sono sempre stato un uomo onesto...»), Brugnaro ha dipinto se stesso come un vero benefattore, un imprenditore che si è dedicato anima e corpo alla città, giungendo persino a rinunciare alla sua identità di sindaco per far risparmiare oltre 400 mila euro al Comune.
INTANTO FUORI della finestra, dietro tre cordoni di polizia, cittadine e cittadini, incavolati neri, urlavano «Vergogna, vergogna». E c’è da dire che San Luigi ce l’aveva messa tutta per farli stare a casa, questi inopportuni contestatori! Costretto, su richiesta delle opposizioni, a convocare un consiglio comunale straordinario ha scelto l’ora più improbabile del giorno più improbabile: le 10 della mattina di un venerdì di mercato, quando le strade attorno al comune sono piene di bancarelle e la viabilità interrotta.
COME SE NON BASTASSE, invece della sede naturale del Consiglio, Ca’ Farsetti a Venezia, il sindaco ha optato per una sala del comune a Mestre che non può contenere più di una quarantina di spettatori, oltre ai consiglieri. Il miracolo stavolta però non gli è riuscito e davanti alla porta del municipio si sono radunate almeno settecento persone per contestarlo chiassosamente nonostante i 30 gradi all’ombra. Contestazioni che gli sono giunte anche dalla platea, tra i fortunati che sono riusciti a entrare in sala presentandosi con almeno due ore di anticipo e che hanno sottolineato ogni frase del sindaco inquisito con urla e schiamazzi, alzando cartelli con la scritta «Dimissioni».
DALL’ALTRA PARTE della sala, Brugnaro recitava come da copione il suo personale show ribadendo che, nonostante il dolore che queste infamanti accuse provocano in una persona della sua delicata sensibilità, il suo dovere rimane comunque quello di restare a capo della giunta per portare a termine tutti quegli innovatovi progetti volti a fare il bene della città. Quegli stessi progetti che i pm che lo hanno inquisito hanno definito come un vero e proprio «mercimonio della funzione pubblica» allo scopo di «coltivare gli interessi privati a detrimento del bene comune». Una «palude» – come è stata chiamata l’inchiesta – di malaffare, di connivenze e di logiche clientelari che fagocita l’intera amministrazione ai cui vertici il sindaco ha piazzato uomini a lui fedeli, non di rado provenienti dalle sue aziende.
UNA CIURMA di fedelissimi tutta inquisita ma che San Luigi ieri ha benedetto a spada tratta: il capo di Gabinetto Morris Celon? «Un vero amico. Una grande persona di grande onestà». Derek Donadini, vice capo di Gabinetto? «Una persona favolosa, onestissima». Ce n’è per tutti gli indagati tranne che per l’assessore, anzi ex assessore, Renato Boraso, l’unico finito in manette, al quale è stata appena respinta la richiesta di scarcerazione. Qui San Luigi cade dalle nuvole: «Chi se lo sarebbe aspettato? Chi lo avrebbe mai detto?». E si proclama «esterrefatto» e pure «arrabbiato».
ANCHE SUI SUOI RAPPORTI col magnate di Singapore Ching, San Luigi ha una versione dei fatti ben distante da quella degli inquirenti. «L’ho incontrato una volta in comune. Ha visto una pianta di Venezia ed è stato lui a chiedermi se l’area dei Pili fosse in vendita». Area che Brugnaro aveva acquistato per 5 milioni e ora valutata 150 milioni di euro. «In seguito ho ospitato Ching a casa mia per omaggiare un grande imprenditore. Mi ha fatto vedere il progetto che aveva per i Pili ma era troppo impattante e fui io a dirli di no». San Luigi Brugnaro difensore dell’ambiente. Chi lo avrebbe mai detto? Magari non le settecento persone rimaste fuori e che continuavano ad urlare «Vergogna, vergogna».
«A PALAZZO DUCALE c’è un bassorilievo del doge che si inginocchia davanti al Leone Marciano – conclude dai banchi dell’opposizione Gianfranco Bettin -. Brugnaro ha fatto l’opposto: ha piegato il bene della città ai suoi interessi. Un insopportabile conflitto di interessi che ha trasformato la macchina comunale in una palude di clientelismo».
Nella palude di Venezia, la città in cui tutto si vende
2/08/2024Il Manifesto– Mario Di Vito, Riccardo Bottazzo
Il caso Dal blind trust del sindaco fino agli affari con l’imprenditore Ching Chiat Kwong. Oltre l’inchiesta per corruzione, la fu Serenissima ha ormai cambiato volto. In peggio
San Luigi Brugnaro da Mirano. La qualifica celeste al sindaco di Venezia l’ha data in un’intercettazione un suo assessore, Renato Boraso. Perché «senza di lui non si muove nulla». Per ora, comunque, forse in virtù delle supposte qualità paranormali dell’interessato, l’inchiesta Palude vede il sindaco semplicemente iscritto nel registro degli indagati – «A sua tutela», sostiene il procuratore capo Bruno Cherchi -, mentre Boraso è agli arresti.
LA PALUDE di cui parlano gli investigatori, ad ogni modo, è un affresco in cui le varianti urbanistiche si mischiano con una serie di presunte tangenti: così diventa impossibile distinguere gli affari privati da quelli pubblici. Brugnaro, ricco e potente imprenditore con un considerevole numero di affari in laguna, nel 2017 aveva ben pensato a come tirarsi fuori dalle inevitabili accuse di conflitti d’interesse. Primo in Italia, infatti, aveva affidato tutto il suo patrimonio a un blind trust gestito da un avvocato di New York, Anthony Sacks. E però, almeno secondo quanto sospettano gli investigatori, il sindaco, il capo di gabinetto del Comune Morris Ceron e il suo vice Derek Donadini non avrebbero mai smesso di tenere d’occhio gli affari. Anzi, di più, di «occuparsene attivamente e in prima persona».
Come nel caso dell’area dei Pili, oggetto di un tentativo (non riuscito) di vendita all’imprenditore di Singapore Ching Chiat Kwong, che il sindaco avrebbe incontrato almeno in due occasioni, a Londra e a Berlino. Brugnaro aveva acquistato quell’area di 42 ettori per 5 milioni di euro, e l’affare si stava per concludere a quota 150 milioni di euro, con la promessa di aumentare la superficie edificabile. Con un non detto di fondo: i Pili sono da bonificare e per il ministero dell’Ambiente è uno di quei siti «ad alto rischio ambientale». Brugnaro l’ha sempre saputo e, sempre secondo i magistrati, avrebbe provato in tutti i modi ad «addomesticare» le perizie. Da qui, tra le altre cose, deriverebbe la fondazione di Coraggio Italia con Giovanni Toti: un tentativo di incidere anche a Roma. O meglio, negli uffici dei ministeri di Roma. Sullo sfondo ci sono i Pums, i piani urbanistici speciali che il Comune sta cercando da tempo di mettere a punto. Uno riguarderebbe proprio i Pili, e così si giustifica il loro aumento di valore.
NON SE N’È FATTO NIENTE, ma Ching Chiat Kwong un affare a Venezia lo ha fatto lo stesso con l’acquisto dello storico palazzo Papadopoli: pagato 10 milioni quando il suo valore era almeno di 14 milioni di euro. A gestire l’operazione per gli inquirenti è stato Boraso, la cui società Stella Consulting avrebbe incassato 73.200 euro per una consulenza. Il problema però non è solo nella svendita di palazzo Papadopoli. Né nella vicenda dei Pili e dei Pums. Lo scandalo dell’amministrazione che ha governato Venezia dal 2015 ad oggi, va ben oltre le, pur importanti, inchieste della magistratura. Perché è essenzialmente uno scandalo politico e riguarda una gestione della cosa pubblica sempre sottomessa a logiche clientelari volte a favorire i privati ed a creare consenso politico con interventi di facciata. Uno scandalo sottolineato anche nelle carte dell’inchiesta dei pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini che non esitano a definire il sistema Venezia come un «mercimonio della funzione pubblica» volto a «coltivare gli interessi privati a detrimento del bene comune».
BRUGNARO non ha fatto altro in questi anni in cui ha indossato la fascia tricolore di sindaco, che fare quello che aveva sempre promesso di fare: gestire il Comune come un’azienda. La sua. Nessun dialogo con le opposizioni, rarissime comparsate in consiglio comunale, revoca delle deleghe ai consigli di quartiere, querele ai giornalisti che pongono domande scomode, pieno controllo della macchina amministrativa con assunzione di personale di sua stretta fiducia. Come se un imprenditore del suo calibro non avesse tempo da perdere con le scocciature della vita democratica della città.
Questioni come la tutela dell’ambiente, della salute pubblica, della vivibilità di una città assediata dal turismo sono solo aspetti secondari rispetto ai schei. Esemplare in questo senso è il contestassimo ticket di ingresso che, se da un lato ha gonfiato le casse comunali, dall’altro ha umiliato i veneziani, costretti a dimostrare la loro residenzialità per superare i tornelli ed a spedire codici Qr agli amici in visita per non far pagar loro pedaggio. Un altro esempio, tra i tanti sottolineati dagli inquirenti, sono le delibere per l’efficientamento dell’illuminazione pubblica in cui, si legge negli atti, gli «atti amministrativi adottati hanno ricadute molto favorevoli verso le società di Brugnaro o talora di privati». Il contenimento dei consumi, l’efficienza delle soluzioni adottate non sono voci da mettere in capitolo.
UN SISTEMA DI GOVERNO, in altre parole, malato sin nelle sue fondamenta ma che è sempre riuscito a nascondere ogni problema dietro altisonanti battaglie condotte nel nome della sempiterna «sicurezza» o contro il «degrado dei costumi» (impossibile dimenticare che il primo atto dell’amministrazione Brugnaro fu quello di far sparire i libri sull’educazione di genere dalle biblioteche comunali). Le assunzioni di vigili palestrati – «Li voglio in grado di correre dietro ai nigeriani» -, i taser e le pistole con i quali ha armato la polizia municipale, oltre alla chiusura o al drastico ridimensionamento di tutte le attività sociali di riduzione del danno e di sostegno sulle strade, non hanno fatto altro che trasformare via Piave di Mestre nel più grande supermarket veneto della droga dove la sera non è consigliato passeggiare.
DALL’ALTRA PARTE del ponte, la Venezia insulare non è mai stata altro che un bancomat per questo sistema dove gli interessi privati dettano letteralmente legge. Nessun freno è stato posto all’aumento dei plateatici, all’alberghizzazione selvaggia, al dilagare degli affitti brevi in case acquistate in blocco da foresti al solo scopo di farne un business turistico. Questioni che Brugnaro e i suoi assessori si sono ben guardata dall’affrontare, pure se un emendamento alla finanziaria firmato dal deputato Nicola Pellicani (Pd) consentirebbe al Comune di intervenire per limitare la proliferazione di B&B. Come conseguenza, lo scorso dicembre, i posti letto per turisti hanno superato quelli per residenti. Un primato mondiale di cui Venezia farebbe volentieri a meno. Un dato che si sposa con quell’altro, il famoso 49.999 che, esattamente due anni fa, ignoti veneziani hanno trasformato in un cartello con cui hanno tappezzato calli e ponti. Per la prima volta nella sua millenaria storia, Venezia è scesa sotto i 50 mila residenti. Un trend che è continuato negli anni successivi. Com’è triste, così, Venezia.
Raid razzisti, blitz a Verona: in manette 7 estremisti di destra
13/07/2024Il ManifestoINDAGATE ALTRE 29 PERSONE. Gli arrestati sono militanti di Casa Pound e ultrà del Chievo. Tra i reati contestati lesioni, violenza privata, minacce e danneggiamenti
Sette giovani arrestati e altri 29 indagati è il risultato di un blitz della polizia veronese condotto venerdì mattina in seguito ad una corposa indagine sulle organizzazioni di estrema destra della città scaligera. Gli arrestati, sei veronesi e un trentino, hanno tra i 19 e i 27 anni e sono tutti attivisti della sezione locale di Casa Pound e militano nel gruppo ultras «North Side» che sostiene il Chievo Verona.
Alcuni degli episodi contestati ai giovani, sono infatti legato al tifo calcistico, non senza una componente xenofoba e razzista. Ricordiamo la feroce aggressione ad esponenti della locale comunità magrebina che il 6 dicembre del 2022 erano scesi nelle piazze veronesi per festeggiare la vittoria ai rigori della loro nazionale contro la Spagna nel Mondiale. Un gruppo di giovani vestito con felpe nere e passamontagna aveva aggredito e picchiato con bastoni e manganelli i tifosi del Marocco “colpevoli”, a loro modo di vedere, di festeggiare con canti e balli il passaggio ai quarti della loro nazionale nelle strade di Verona. Con spranghe e nunchaku, gli attivisti di Casa Pound avevano attaccato, al grido di «Tornate al vostro Paese», anche i caroselli di auto che sventolavano la bandiera del Marocco.
A TREDICI dei giovani del branco che sono stati identificati, è stato notificato un daspo.
Un altro episodio di violenza contestato agli attivisti di Casa Pound, riguarda il rudimentale ordigno esplosivo fatto brillare nel luglio 2023, durante la Festa in Rosso a Quinzano, una frazione del Comune di Verona, e i tentativi di ferire con bottiglie di vetro alcuni partecipanti alla manifestazione di Rifondazione Comunista.
«GLI ARRESTI odierni di neofascisti a Verona – ha dichiarato Maurizio Acerbo, segretario nazionale del partito – confermano quanto denunciamo da anni. Verona è da troppi decenni un caposaldo della destra che, quando governava la città, non disdegnava di organizzare, senza incontrare opposizione istituzionali, concerti nazi rock o eventi che inequivocabilmente si configuravano come anticostituzionali in quanto apologetici del fascismo e del nazismo».
I reati contestati agli indagati sono quelli di lesioni, violenza privata, minacce, danneggiamento pluriaggravati e porto di oggetti atti ad offendere, con le aggravanti della finalità dell’odio e della discriminazione razziale. L’esigenza di applicare le misure cautelari, scrive nell’ordinanza il Gip di Verona, Carola Musio, è giustificata in quanto «vari pretesti, prevalentemente di colore politico hanno costituito e potranno costituire in futuro una sicura miccia per attacchi gratuiti e di inaudita violenza».
Tanti gli episodi contestati dai magistrati agli attivisti di Casa Pound. Gli indagati, si legge nell’ordinanza, «non hanno mai provato alcuna remora nell’avventarsi con ferocia anche contro soggetti estranei alle loro logiche di scontro politico o contro soggetti inermi».
INQUIETANTI, sempre secondo i magistrati, le dinamiche del branco: «I soggetti si fomentano a vicenda, organizzano le spedizioni punitive e traggono giustificazione e sostegno per le proprie condotte. Gli stessi partecipano attivamente con i propri commenti anche quando non prendono parte direttamente alle spedizioni punitive, cosi dimostrando la loro piena partecipazione ad un gruppo che prevede l’uso della violenza come normale strumento di lotta politica». In altre parole: una organizzazione fascista.
«Non giriamoci attorno – conclude Jessica Cugini, consigliera Comunale per Avs – sappiamo tutti chi sono questi i ragazzi arrestati dalla Digos, sappiamo della loro giovane età e del loro protagonismo in altri episodi di violenza cittadina. Rribadiamo, ancora una volta, che occorre sciogliere questi gruppi nazifascisti che si richiamano a un agire anticostituzionale. Chiediamo lo scioglimento di Forza Nuova, Casapound, Fortezza Europa».
La Digos alla Ca’ Foscari identifica gli studenti
14/06/2024Il ManifestoPalestina/Italia Durante un seminario su Israele, la polizia arriva all’università veneziana, fotografa e scheda. «Niente violenza, solo contestazioni verbali». I docenti chiedono agli agenti di uscire
Gli studenti di Ca’ Foscari sono in mobilitazione per denunciare quanto accaduto lunedì scorso: durante un seminario alcuni agenti della Digos sono entrati nell’aula universitaria e hanno fotografato e identificato alcuni studenti.
È accaduto a palazzo Vendramin, una delle sedi dell’ateneo veneziano, durante un incontro sul tema «Dove va Israele? Scenari, sfide, prospettive» organizzato dall’Osservatorio di Politica e Relazioni internazionali dell’università. Tra i relatori del convegno pomeridiano, per lo più tutti docenti di Ca’ Foscari, figurava come esterno il professore Sergio Della Pergola, che insegna all’Università ebraica di Gerusalemme e che in più occasioni ha dichiarato le sue simpatie per il sionismo.
UN GRUPPO di studenti e studentesse si era recato al seminario e aveva atteso il dibattito finale per contestarlo. «Voglio sottolineare che nessuna di noi ha manifestato comportamenti violenti e neppure ci siamo abbassate agli insulti», spiega Alice Bazzoli, una delle portavoce delle assemblee studentesche che in questi ultimi mesi hanno organizzato accampate nei campus veneziani e occupazioni di rettorati dei tre istituti presenti in città: Ca’ Foscari, lo Iuav e l’Accademia. «I relatori non ci hanno permesso di intervenire al dibattito, togliendoci la parola, non concedendoci il diritto di spiegare le nostre ragioni o di porre domande scomode».
Ma la cosa più grave è successa fuori dell’istituto, quando agenti in borghese della Digos hanno fermato gli studenti che uscivano dalla sala per identificarli chiedendo loro i documenti. «Come se non bastasse, alcuni agenti sono entrati nella sala del dibattito e hanno scattato fotografie ai presenti – spiega la studentessa Alice Bazzoli -. Un intervento chiaramente intimidatorio. Ci piacerebbe che la rettrice Tiziana Lippiello prendesse le distanze da questa operazione e ci garantisse che non è stata lei a chiamare la polizia dentro i locali dell’ateneo».
IPOTESI smentita sia dalla rettrice che dai professori presenti al dibattito. Alcuni di loro, aderenti al comitato Guerra&Pace, hanno preso le difese degli studenti, invitando la polizia a uscire dalla sala. Resta il fatto grave di una intrusione delle forze dell’ordine in un contesto universitario in cui non stava accadendo nessun episodio violento ma una semplice contestazione verbale.
«Non ci faremo intimidire da questi atteggiamenti – conclude Bazzoli . Continueremo a denunciare il sionismo, come fatto finora e a chiedere che i fabbricanti di armi rimangano fuori delle nostre università. Una vittoria l’abbiamo già ottenuta: mercoledì 26 giugno ci sarà l’assemblea di ateneo in cui ribadiremo le nostre posizioni e porteremo le nostre richieste per una università disarmata. Dovrebbe svolgersi ogni anno ma a Ca’ Foscari l’ultima è stata organizzata nel 2015. Questa assemblea è frutto delle nostre lotte, dei nostri accampamenti e delle nostre occupazioni. Continueremo così anche di fronte a queste intimidazioni».
La Tav sul bosco Lanerossi, rivolta degli ambientalisti
3/06/2024Il ManifestoVICENZA. Cittadini e associazioni occupano l’area boschiva dove dovrebbe passate la ferrovia. In difficoltà il giovane sindaco di centrosinistra. Ricorso al Tar di Italia nostra contro il progetto alta velocità Verona - Padova
Venezia, «no al ritorno delle grandi navi»
27/05/2024Il ManifestoIn laguna Corteo per mare e per terra contro il piano dell’Autorità portuale per rilanciare la crocieristica con nuovi scavi e l’approdo a Fusina. Mentre il canale Vittorio Emanuele potrebbe riportare i giganti dentro la Stazione marittima
Buttate fuori dalla porta, le grandi navi da crociera provano a rientrare dalla finestra e il popolo dei No Navi torna a manifestare come si può manifestare solo a Venezia: in barca. La giornata non comincia bene. Piove a dirotto per tutta la mattina. Già un mesa fa l’iniziativa era stata rinviata per il maltempo. Il primo gruppo di attiviste e attivisti – qualche centinaio di persone – si dà appuntamento a mezzogiorno alle Zattere, storica “casa” del comitato, punto di partenza di tante manifestazioni per terra e per acqua. La gente arriva alla spicciolata con l’ombrello in mano.
«CI SONO VOLUTI dieci anni di lotta per ottenere nel 2021 che le grandi navi da crociera non transitassero più a far danni davanti a San Marco – spiega Ruggero Tallon, portavoce del comitato -. E senza navi, non mi pare che la città abbia sofferto per la mancanza di turisti, considerato che stiamo letteralmente soffocando e che, per studenti e giovani coppie, trovare una casa è una impresa impossibile: ci sono più locazioni B&B che appartamenti. Ora però chi vuole il male di Venezia, dal Comune alla Regione, dall’autorità portuale al Governo, vuole riportare dentro le navi. Anche a prescindere dall’inquinamento e dai danni a quel che rimane dell’ecosistema lagunare, ciò significa un milione e mezzo di turisti in più all’anno. Mi pare proprio che non ne abbiamo bisogno. E poi impongono il ticket di ingresso con l’obiettivo di ‘fermare i flussi’. Ridicolo!».
Verso l’una il sole splende sulla laguna. In fondamenta delle Zattere approdano una ventina di barche, per lo più tradizionali a remi con un piccolo fuoribordo. Gli attivisti si imbarcano verso Fusina, a ridosso di Marghera, dove li attende dietro a lunghi striscioni il presidio organizzato dagli attivisti di terraferma.
UN CORTEO ACQUEO coloratissimo, quello che sfila sotto le bandiere No Navi verso la gronda lagunare. Artisti della Biennale d’Arte hanno dato il loro contributo realizzando grandi pupazzi in cartapesta a forma di polpi e di pesci, uno dei quali lungo 15 metri, e dipinto decine e decine di maschere con musi di animali lagunari arrabbiati che gli attivisti indossano come ad una festa di carnevale.
L’OBIETTIVO del corteo era quello di bloccare il transito di una grande nave, previsto per le 16, ma la capitaneria ha giocato d’anticipo e la crociera è partita due ore prima. Interdetto per legge il Bacino di San Marco, la Msc Crociere ha spostato il suo approdo sulla banchine di Fusina per far uscire le sue navi da un’altra bocca di porto lagunare, quella di Malamocco, percorrendo il canale dei Petroli.
Una soluzione decisamente provvisoria, come stabilisce lo stesso decreto Draghi che ha allontanato le navi da San Marco, ma una soluzione che le compagnie crocieristiche vorrebbero fa diventare definitiva con la realizzazione di un grande porto turistico su misura a Marghera e lo scavo e l’allargamento dei canali lagunari per poterci far transitare navi di stazza ancora superiore alle attuali.
Senza contare che lo scavo di un altro canale, il Vittorio Emanuele, potrebbe riportare le grandi navi addirittura dentro la Stazione marittima di Venezia. Esattamente da dove, dopo dieci anni di lotte per terra e per mare, il popolo dei No Navi era riuscito a scacciarle. E questa volta a entrare in laguna non sarebbero più solo le grandi navi, ma la mega crocieristica, il gigantismo navale di ultimo livello, che si sta ritagliando spazi in tutti i mari del mondo puntando su offerte di vacanza low cost. Un progetto fortemente appoggiato dall’Autorità Portuale e dalle attuali amministrazioni di destra in Comune e in Regione.
«LO SCAVO di questi canali non implicherebbe solo la devastazione definitiva della nostra laguna ma anche un inquinamento senza precedenti, sia nell’atmosfera che nell’acqua, considerando che in queste zone sono state interrate tonnellate di fanghi tossici. – spiega Marta Sottoriva, portavoce del Comitato – Inoltre, come hanno sottolineato anche molti studi tecnici, c’è il pericolo che queste enormi navi in transito lungo un canale comunque sottodimensionato, in caso di maltempo improvviso e di vento forte, scarroccino sino a cozzare contro gli impianti dell’area industriale di Marghera».
Arrivato davanti a Fusina, il corteo ha trovato una flotta di motoscafi della polizia a far muro. Ne è nato qualche tafferuglio navale con scambi di spruzzate d’acqua ma alla fine il corteo è riuscito a ricongiungersi col presidio di terraferma al grido di «Fuori le navi dalla laguna». Quelle navi che buttate fuori dalla porta, spingono per rientrare dalla finestra. Più grandi, più inquinanti, più pericolose di prima.
Venezia, parte il ticket d’ingresso. I residenti: «Non siamo allo zoo»
27/04/2024Il ManifestoLa protesta Primo giorno d’accesso in città a pagamento: chi aggira la misura, chi manda al diavolo i controllori. I comitati: facciamo ricorso al Tar
La signora ha una certa età, una bandiera No Navi sulla spalle e sta andando alla manifestazione contro il ticket di ingresso. «Che umiliazione! La città in cui sono nata, cresciuta e dove mi ostino a vivere è diventata un parco tematico, un museo con biglietto di ingresso. Gruppi di ragazzini che non sono nemmeno di qui, ti fermano ai varchi mentre vai a casa tua, per chiederti un... codice Querre che, io che ho ancora un cellulare con i tasti, non so neppure cosa sia». E aggiunge: «Il sindaco ci odia, non c’è altra spiegazione».
PRIMO GIORNO di sperimentazione del cosiddetto «contributo di accesso a Venezia». Primo giorno di manicomio. Se l’obiettivo dichiarato dal comune era quello di «limitare i flussi turistici», proprio non ci siamo. Circa centomila persone sono arrivate ieri mattina in città dopo essersi «loggate» sul sito e aver scaricato il codice di accesso. Il sistema infatti non prevede, come sarebbe giusto attendersi se davvero lo scopo fosse quello di limitare il flusso, un limite alle entrate.
È SUFFICIENTE pagare i famosi 5 euro e hai il via libera. Ma solo un decimo dei turisti in visita ha pagato. Gli altri sono i cosiddetti «esenti»: persone cioè che risiedono in Veneto oppure turisti con la prenotazione alberghiera, che godono di una speciale entrata gratuita. Tanti altri visitatori sono sbarcati dai treni o dagli autobus e hanno eluso i controlli prendendo calli secondarie. Oppure rifiutandosi semplicemente di esibire il codice ai controllori: circa 200, per lo più giovanissimi precari, che non appartenendo a forze dell’ordine non hanno nessuna autorità per chiedere i documenti. Il risultato è stato un piazzale della stazione che pareva un manicomio, strapieno di gente che non sapeva dove andare, controllori che si prendevano la loro dose di insulti e turisti che si chiedevano in che girone del purgatorio fossero capitati.
UN PONTE e una calle più in là, in fondamenta Santa Chiara, mezzo migliaio di residenti si è dato appuntamento per manifestare contro il ticket. «Questa città non è uno zoo e noi non siamo comparse nel supermarket turistico del sindaco Brugnaro» grida indignato al megafono Ruggero Tallon, del comitato No Navi. «A Venezia ci sono 2 mila case vuote – continua Federica Toninelli dell’Asc, l’Assemblea Sociale per la Casa -. Il ticket serve solo a far finta che si stia facendo qualcosa. Il turismo di massa si contrasta offrendo queste case e relativi servizi a chi vorrebbe continuare a vivere a Venezia. Bisogna combattere le locazioni turistiche selvagge che stanno svuotando la città e il proliferare di alberghi. Tutte cose che il sindaco si guarda bene dal fare». Non manca qualche frecciatina al Pd, che non ha aderito alla manifestazione per partecipare a quelle istituzionali del 25 aprile. «Noi invece la resistenza più che commemorarla preferiamo farla!” ha sottolineato Federica Toninelli.
RESPINTO IL TENTATIVO di entrare in corteo nel piazzale della stazione da un cordone di poliziotti in assetto antisommossa, i manifestanti hanno raggiunto campo Santa Margherita a ritmo di musica «per rallegrare la città a cui Brugnaro vorrebbe fare il funerale». «Stiamo preparando un ricorso al Tar contro questo provvedimento medioevale – ha spiegato
Andreina Zitelli di Ambiente Venezia che ha passato mezza mattinata in stazione a spiegare in inglese ai turisti che potevano tirare dritti, senza dare credito ai supposti controllori -. Il ticket viola il principio di libera circolazione ed è violazione dei diritti anche l’obbligo da parte dei residenti veneziani di dimostrare il loro status». «Questo provvedimento è solo fumo negli occhi – ha commentato il consigliere di opposizione Gianfranco Bettin, Europa Verde -. Il comune è stato messo sotto accusa dall’Unesco per la mancata gestione del turismo e questo ticket serve solo a far credere che siano facendo qualcosa. Intanto, l’amministrazione lascia in sospeso l’emendamento Pellicani che consentirebbe al comune di intervenire sulla concessione di locazioni turistiche, limitandole».
AL TICKET di ingresso, i veneziani hanno tentato di rispondere usando l’ironia. L’Arci ha stampato un finto passaporto, che ha consegnato ai visitatori. All’interno si cita l’articolo 16 della Costituzione sulla libera circolazione dei cittadini. Ancora più spiritoso il finto biglietto stampato dall’Asc che ricalca i colori e i font usati dal comune per la campagna informativa sul ticket. Dietro si legge: «Il biglietto è valido per visitare tutta l’area di Venezia Museo. Non oltrepassare le recinzioni, potrebbero costituire pericolo. Per favore, non date da mangiare ai veneziani e non lanciate loro oggetti, neanche per attirare la loro attenzione».
«Disarmare Israele», corteo davanti alla fiera delle armi a Verona
18/02/2024Il ManifestoLA NUOVA VESTE della tradizionale fiera delle armi di Verona, dopo una lunga trattativa con associazioni pacifiste e il Comune, ha accettato di abbassare i toni e mimetizzarsi in una esposizione dedicata alla caccia, al tiro e alla pesca, togliendo il contestato termine «armi di difesa personale». Come se nel nostro Paese, in cui tutte le armi semiautomatiche sono considerate armi da sparo, ci fosse distinzione tra una pistola “sportiva” e una da difesa.
Proprio la “mimetizzazione” di quella che resta comunque una mera esposizione di armi, è stata considerata inaccettabile dalla Rete veronese per la Palestina, considerato che tra i circa 300 espositori figurano anche aziende israeliane o comunque aziende che forniscono armi ad Israele, così come a tante altre nazioni che non brillano per la difesa dei diritti umani. «In questa fiera vengono esposte armi che vengono usate per reprimere il dissenso – spiega Mackda Ghebremariam Tesfau’, attivista per i diritti dei palestinesi – Ad esporre i loro prodotti di morte figurano le maggiori industrie di armi del mondo, perché chi vende armi da caccia, da tiro e sportive, da difesa personale, equipaggia anche gli eserciti, che portano orrore e distruzione attraverso la guerra globale permanente. Guerra che ricadono come sempre sulla popolazione civile, come sta accadendo a Gaza».
Circa un migliaio di attiviste e attivisti ha accolto l’appello dell’associazione e si è radunato dietro al grande striscione «Stop al genocidio. Disarmiamo Israele». Da piazza della Fiera, il corteo ha marciato attorno alla sede espositiva per concludere davanti ai cancelli d’entrata dove si è verificato qualche tafferuglio con le forze di polizia che non hanno risparmiato le manganellate. Alla fine i manifestanti sono comunque riusciti ad esporre uno striscione pro Gaza davanti all’ingresso e sono rimasti sino a sera a gridare slogan contro Israele e le industrie belliche.
TRA GLI ADERENTI alla manifestazione, associazioni per i diritti, per il disarmo, centri sociali, partiti come i Verdi, Sinistra e Rifondazione e anche molte organizzazioni animaliste che certo non avranno gradito le dichiarazioni dell’assessore regionale veneto allo sport, Cristiano Corazzari, che dall’interno dell’esposizione ha rimarcato il fondamentale ruolo dei cacciatori, a suo dire, autentici ambientalisti «che in perfetto accordo con la Regione hanno un ruolo fondamentale nella gestione ambientale del territorio a tutto vantaggio della comunità». Rimarcando di seguito come «la gente che è qui dentro è la migliore perché è gente che rispetta le regole».
Magari, l’assessore non si riferiva al rispetto del codice etico – una novità di quest’anno espressamente voluta dal Comune – che chiedeva agli espositori di non mettere le armi in mano ai bambini. Disposizione sostenuta anche dalla Questura ma che è stata completamente disattesa.
Giorgio Beretta, autore del libro Il Paese delle Armi (Altreconomia), ha twittato da dentro la fiera: «Ma la Questura sta controllando che la sua disposizione sulla preclusione ai minori di maneggiare armi sia applicata? Ho visto molti bambini con le armi in mano con tanto di immagini – a volto oscurato – di bimbi che giocano con fucili più grandi di loro».
«Quanta ipocrisia! Pensi che alla fiera del vino l’ingresso ai minori è, giustamente, vietato. Qui invece è addirittura gratuito!», mi ha sussurrato una signora con in mano un cartello con scritto: «Anche le armi detenute legalmente ammazzano le donne».
Verona, domani il corteo contro la Fiera delle armi
16/02/2024Il ManifestoTorniamo a bomba Il sindaco: solo strumenti “sportivi”. Limiti strappati dai pacifisti, non basta ai centri sociali: «Ci sono anche aziende israeliane»
«C’è davvero differenza tra un’arma da difesa e un’arma da tiro? Il fucile del cacciatore che spara al cervo è lo stesso fucile che viene utilizzato dal cecchino». Alberto Modenese, attivista della Rete Veronese per la Palestina, non cambia il suo giudizio sulla Fiera della Armi che andrà in scena a Verona a partire da sabato prossimo.
«Da Fiera Internazionale delle Armi, l’hanno fatta diventare ‘European Outdoor Show. Caccia, tiro sportivo, pesca’. Ma la sostanza non cambia. Di fatto, esporranno i loro strumenti di morte le maggiori industrie di armi del mondo. Chi vende armi da caccia, da tiro e sportive, sono gli stessi che equipaggiano anche gli eserciti, foraggiano la guerra globale e spargono dolore e distruzione nel mondo». La Rete ha annunciato una manifestazione che si svolgerà sabato, nel giorno dell’apertura dell’esposizione, a partire dalle ore 14.30 nel piazzale Fiera di Verona.
Gli attivisti della rete, alla quale hanno aderito i centri sociali del Veneto, ritengono insufficienti i cambiamenti che la nuova amministrazione comunale guidata dal sindaco Damiano Tommasi ha apportato all’evento – con la spinta decisiva (e dopo un lavoro durato due anni) di associazioni pacifiste come il Movimento Nonviolento, la Rete Pace e Disarmo, l’Opal (Osservatorio permanente armi leggere), che ieri hanno tenuto una conferenza stampa per illustrare il «discreto risultato» ottenuto. «I minori dovranno essere accompagnati – spiega ancora Modenese – ma non è stata proibita loro l’entrata. Anche le scolaresche potranno entrare in fiera con una visita guidata. Magari per imparare che la caccia è uno ‘sport’ come un altro...».
A presentare i loro prodotti nell’esposizione veronese, ci saranno anche società israeliane le cui armi stanno mietendo in Palestina migliaia di vittime innocenti, devastando ospedali, scuole, case. E altre aziende che armano l’esercito israeliano che, con la complicità dei “democratici” governi occidentali, sta compiendo quello che l’Onu chiama “plausibile genocidio” del popolo palestinese. «Tutto questo – conclude Mackda Ghebremariam Tesfau’, una giovane attivista veronese per i diritti della Palestina – per noi è inaccettabile. Così come è inaccettabile la semplificazione dell’acquisto di pistole e fucili, magari con la mimetizzazione dello ‘sport’, che i produttori di armi vogliono far passare, proponendoci un nuovo modo di essere: tutti armati, tutti pronti a sparare su qualcun altro per difendere privilegi, denaro, proprietà. Questa fiera propone un mondo dove la parola “pace” sia sempre accompagnata da “armata”».
Venezia, polemiche per la nomina di Roberto Rossetto come presidente dell’Autorità della Laguna
5/02/2024Il ManifestoGestirà anche il Mose Urbanista e paesaggista in pensione, 71 anni, nessuna competenza da segnalare nel campo della morfologia della laguna e delle sua salvaguardia. Zanella (Verdi e sinistra): «Ancora una volta le logiche della politica hanno il sopravvento rispetto alle competenze scientifiche
Manca solo l’avallo della Corte dei Conti perché Roberto Rossetto venga nominato presidente dell’Autorità per la Laguna di Venezia, il nuovo ente che dovrà raccogliere l’eredità del Magistrato delle Acque e che avrà in gestione il Mose quando, presumibilmente il prossimo anno, il Consorzio Venezia Nuova terminerà i lavori e chiuderà i battenti.
Ma chi è costui? Nel curriculum Rossetto si dipinge come un urbanista e paesaggista in pensione con una lunga attività nel settore privato. Tutto qua. Nessun “incarico istituzionali di grande responsabilità e rilievo” come richiede l’articolo 95 del decreto legge 14 agosto 2020 n.104 che istituisce l’Autorità per la Laguna. Nessuna competenza particolare da segnalare nel campo della morfologia della laguna e delle sua salvaguardia, anche queste caratteristiche richieste dalla legge. In altre parole, si tratta di un illustre sconosciuto. Un illustre sconosciuto gradito però al potere politico che, dopo tre anni di impasse, ha fatto quadrato attorno a lui. A caldeggiare la nomina di Rossetto infatti è il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, ed il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro.
«Siamo di fronte all’ennesima nomina politica» sostiene la deputata Luana Zanella, Alleanza verdi e sinistra che ha chiesto che l’urbanista venga ascoltato in commissione Ambiente della Camera. «Ancora una volta, di fronte ad un problema delicatissimo come la salvaguardia della laguna di Venezia, le logiche della politica hanno il sopravvento rispetto alle competenze scientifiche». La deputata Zanella ha sollevato anche il problema dell’età di Rossetto, 71 anni, e il suo stato di pensionato, in quanto il comma 9 dell’articolo 5 del decreto-legge n. 95 del 2012 vieta l’attribuzione di incarichi ai lavoratori collocati in quiescenza. Come se non bastasse, la legge istituiva dell’Autorità prevede che il presidente sia scelto tra una rosa di candidati papabili. Una rosa che, nel caso di Rossetto ha solo un petalo: il suo.
Tutte incompatibilità che non preoccupano l’urbanista che in città si è già reso operativo concedendosi a conferenze stampa e partecipando a vari incontri col sindaco Brugnaro per discutere sul da farsi, proprio come se la nomina fosse già nelle sue tasche.
Un comportamento che l’associazione Ambiente Venezia non ha esitato a definire «arrogante», sottolineando anche presunti conflitti di interesse. Rossetto, si legge in una nota dell’associazione ambientalista, «svolge attività professionale privata su progetti gestiti dal ministero delle Infrastrutture. Inoltre ha in essere incarichi professionali con le Istituzioni che lo hanno indicato, come la Regione con la Pedemontana Veneta, e il Comune con cui ha incarichi di consulenza per valutazioni ambientali. Essendo un libero professionista, la normativa prevede una interruzione di rapporto da almeno due anni». Ambiente Venezia lancia un appello alla Corte dei Conti, l’ultimo ostacolo alla nomina di
Rossetto: «Non vogliamo altro che la nomina sia conforme alla legge e che venga seguito il corretto percorso di comparazione e selezione dei candidati».
Non sa cosa pensare Luigi D’Alpaos, professore emerito di Idraulica dell’Università di Padova, uno dei massimi esperti della morfologia lagunare. Non sa cosa pensare perché non ha mai sentito parlare di Roberto Rossetto prima. «In tutti questi anni non l’ho mai sentito intervenire sui fatti e sulle opere lagunare su cui si discute. Non so quale sia la sua esperienza su questo campo e quindi non saprei cosa pensare della sua nomina. Quel poco che l’ho sentito dire, su interviste apparse nei giornali di questi giorni, sono solo dichiarazioni quantomeno fuori tempo e fuori luogo. Ed invece un incarico di questo tipo dovrebbe prevedere una bagaglio di conoscenze vastissimo, non solo idrauliche e morfologiche. Ma oramai la salvaguardia della laguna è solo uno specchietto per le allodole, tutti ne parlano e nessuno la pratica».