Sia lodato Gesù Cristo, ma perché?

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Ho scoperto che non ci posso fare niente: io sono i film che guardo, o meglio che ho guardato. Per esempio, se mi chiedi cos'è l'eroismo, ebbene, l'eroismo è pilotare un aeroplanino sul Rio delle Amazzoni, in una notte di tempesta, insultando la torre di controllo e rassicurando il passeggero ferito: tranquillo, quando sono sbronzo io sono immortale.



Se invece mi chiedi cos'è la vittoria, ecco, ho già provato a spiegarlo (non che abbia molto senso, comunque): "non m'importa quante palle mi mettete dentro: l'importante è la sola palla che un giorno metteremo noi. Ne basterà una sola, a un certo punto ci sbloccheremo, scenderà Bulldozer, il signore degli Eserciti, vi faremo un culo così, la palla schiacciata in meta scoppierà e non ne verranno fabbricate altre, non ci saranno rivincite, il mio romanzo finirà in quel momento".



Bud Spencer era un atleta e un clown, eppure ho scoperto che quel che mi prendeva di più dei suoi film non erano le coreografie a base di schiaffoni (ancora imbattibili). Ma il modo in cui ogni tanto gli scappava di fare l'eroe, e gli veniva naturale, come dovrebbe venire a ogni padre per quanto sudato e corpulento. La prossima volta che un ferito grave ci implorerà con lo sguardo di portarlo a Manaus, Bud Spencer non potrà più coprirci. Toccherà a noi, che non siamo immortali, in effetti nessuno lo è. Bisognerà farsene una ragione.
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Dillo ancora che lo ami

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E ieri dunque si celebrava Monica Vitti, giustamente, e un tg (non mi ricordo neanche quale) ne ha approfittato per montare un'antologia delle sue pizze più celebri. Perché è vero, la Vitti ha lavorato con Bunuel e con Antonioni, è stata la musa dell'incomunicabilità, bla bla bla, ma noi la conosciamo soprattutto per le pizze che si prendeva in faccia nella commedia all'italiana. Con quel rumore classico di pizza in faccia che se ci pensi è impressionante – il cinema è tanto cambiato negli ultimi cinquant'anni, la resa del sonoro ha fatto passi da gigante – eppure continuiamo a sentire pugni e schiaffi con gli stessi rumori assurdi di quarant'anni fa, e non facciamo una piega. Voglio pensare che sia un buon segno: che il rumore vero dei pugni e degli schiaffi non lo riconosceremmo. Ma è innegabile che di pugni e ceffoni la Vitti ne abbia presi tanti, francamente troppi. Può darsi che a suo modo fosse un tormentone pre-televisivo: per dire, così come un artista finissimo come Totò per contratto doveva anche piazzare quattro o cinque smorfie per far ridere i bimbi piccoli; così come Sordi probabilmente avrebbe potuto essere molto meno macchietta di come gli chiedevano di essere da un certo punto in poi; può darsi che un certo pubblico da un film con la Vitti si aspettasse soprattutto una scena in cui strilla e si fa menare, una specie di madrina nobile di Bud Spencer e Terence Hill. E i rumori infatti erano gli stessi. Però Bud Spencer ci faceva ridere da bambini; la Vitti presa a botte da Sordi, o da Mastroianni, o da Giannini, era uno spettacolo per gli adulti.

Ripensandoci, non un gran spettacolo. Vale la pena di ricordarselo, ogni dieci o venti volte che i film italiani bruttini di oggi ci fanno rimpiangere la Commedia all'Italiana dei bei tempi che furono: non furono dei tempi così belli, dopotutto. In particolare per le donne, quasi sempre subalterne, in ruoli ritagliati a tavolino da sceneggiatori anche sensibili, anche geniali, anche anticonformisti, ma quasi sempre maschi, e anche abbastanza maschilisti. E fieri d'esserlo. A rivederla, quella scena di Amore mio aiutami, sorprende per il meccanismo di complicità che scatena: la Vitti procede a rendersi insopportabile finché lo spettatore maschio non riesce a piegare telepaticamente la volontà di Alberto Sordi, a serrargli i pugni. Era un film che prendeva in giro le coppie aperte, nel 1969: La donna ha appena messo il naso fuori dal sacro matrimonio e già gli autori della commedia all'italiana si affrettano a romperglielo – con tanta ironia, ovviamente. Poi c'è questa storia che Fiorella Mannoia facesse la stunt per la Vitti, e che durante la scena riportò ecchimosi sufficienti a convincerla a cambiare mestiere. Però è una cosa che ho letto solo su internet, non ho tanta voglia di crederci.
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antiamerica

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Il fattore B

Ma l’anti-americanismo dev’essere di sinistra per forza? E non mi riferisco, per carità, a quello residuale di neo e post-fascisti. No, guardo più in basso, terra-terra: c’è davvero bisogno di sfoggiare un’ideologia, per farsi stare sulle palle gli americani?

E se fosse populismo, semplicemente, populismo bello e buono? Populismo ipocrita, perché sputa nel piatto atlantico in cui sforchetta avidamente da 60 anni; populismo sacrosanto, perché fondato su episodi oggettivamente difficili da mandar giù: Ustica, Cermis, e tante altre tragedie di cui, non avendo il diritto di conoscere la verità, ci siamo conquistati quello di covare dubbi e dietrologie da qui all'eternità.

Ma scusate: davvero nel 2007, per essere un comunista, mi è sufficiente protestare perché un estraneo pretende di accamparsi perpetuamente in casa mia? Ma ci hanno pensato bene, a destra, prima di montare questa polemica? Perché l’aspirazione a non avere estranei armati in casa è la cosa più naturale e qualunquista del mondo: ha più a che vedere col mito dei sacri confini della Patria (o più semplicemente del mio orticello) che con l’internazionalismo socialista. Insomma, è una tigre che Berlusconi & co. dovrebbero coltivare per primi, invece di lasciare il campo libero a populisti fai-da-te come i noglobbal. E non ci sarebbe niente di male: dopotutto quand'è che Berlusconi sarebbe stato un vero filo-americano? Quando ha prestato un fondale di cartapesta al vertice di Pratica di Mare? O per i due contingenti omeopatici mobilitati per la guerra al Terrore? Forse è anche grazie ad amici così, che Bush si trova nella peste in cui si trova.

E poi, sì, d’accordo, amiamo tutti la cultura americana, i film il rock e così via. Ma non abbiamo mai apprezzato la loro cucina, i loro sport di squadra assurdi e la loro arroganza. È un rapporto complesso, come ogni rapporto tra padrone e sottoposto. A volte prevale l’odio di classe (e Sanguineti è contento), altre volta la solidarietà aziendale. Dipende anche da come vanno le cose.

Ultimamente vanno male, e non è mica colpa nostra. Se volessimo disegnare un grafico dell’antiamericanismo storico, ci troveremmo due picchi: uno a metà anni Settanta, con l’escalation in Vietnam. Una guerra orribile, senz’altro: ma soprattutto, una guerra persa.
L’altro picco arriva dopo l’undici settembre: anche in questo caso, cos’è che ci rende davvero invisi gli americani? Il fatto che combattano tante guerre, o il fatto che non le vincano?

Tra un picco e l’altro, i gloriosi anni Ottanta, quando Reagan vinceva il bluff della Guerra Fredda costruendo missili e guardandosi bene dall’adoperarli: l’operazione militare stelle-e-strisce più eccitante della mia infanzia fu lo sbarco nell’isoletta di Granada (metà dell’impresa consisteva nel rintracciarla sull’atlante).
Detesto Reagan quanto Bush II, ma non posso non notare la differenza: il primo vinceva senza combattere, il secondo fa tutto il contrario. E indovinate un po’: alla gente piacciono i vincenti (Scoop!) Vi disturba l'antiamericanismo? La prossima volta, provate a vincere una guerra.

Nessuno ama gli arroganti, anche quando portano doni. E tuttavia li sopportiamo volentieri – finché sono potenti e ci difendono. Ma se cominciano a perdere i colpi, perdono anche il loro appeal, e il comunismo c’entra ben poco. L’antiamericanismo che annuso in questi giorni ha una fragranza assai più familiare. Sembra di stare di nuovo in quei film con Bud Spencer, gli unici a mettere in scena la vita nell’indotto delle basi americane. Quei film con gli americani alti robusti e biondi, stereotipo di chiara derivazione dagli übermenschen nazisti. Quanto sono bravi, quanto sono tosti, quanta soddisfazione a pigliarli a calci in culo. Non lo faremo mai, ma lo abbiamo tutti sognato da bambini.

E se alla radice dell’antiamericanismo della mia generazione ci fosse soltanto... lui? Altro che Bertinotti. Lo spettro di Bomber, Bulldozer, quel personaggio a mille nomi che comincia sempre per B e finisce sempre col suffisso di Spencer. Il virus dell’antiamericanismo popolare che viaggiava libero in provincia, in un ventennio di sogni 100% americani. L’uomo che rese ridicolo il western, portò il poliziesco a Napoli, sconfisse il contingente NATO a football e poi a boxe. E adesso milita in Forza Italia. I suoi film vanno in onda ogni sei mesi, su Rete 4. Berlusconi ci dovrebbe fare un pensiero: tenersi caro Bush II, o Carlo Pedersoli? Io non avrei dubbi, è chiaro. Ma ognuno ha il fattore B che si merita.
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Dicono che il maschio è in crisi, e io ci credo, se in edicola espongono ancora Man’s Health.
Del resto lo so, c’è gente che crede ai marziani, perfino gente che crede a Igor Marini, ci saranno anche gonzi pronti a farsi convincere che l’Uomo è l’unico mammifero con l’addome concavo: ma io dico che se ci fossero in Italia almeno una cinquantina di uomini veri, non ci vorrebbe nulla a recarsi alla sede di Man’s Health, evacuare la redazione e appendere editore e direttore responsabile per i loro incongrui genitali. Il che in tre anni non è ancora accaduto, per cui mi arrendo: il maschio è in crisi. E un po’ mi manca.
È con un po’ di nostalgia, perciò, e senza alcuna pretesa di riscatto, che mi accingo a inaugurare la rubrica

Maschi che scompaiono (1) Bud Spencer

C’è una cosa che ho sempre saputo di Bud Spencer, senza mai accettarla veramente, tanto che ancora adesso mi rifiuto di verificarla: il suo passato nel nuoto agonistico. Spencer dividerebbe dunque il destino di Johnny Weissmuller e Raoul Bova, atleti riciclatisi in attori di cassetta. Ora: voi ce lo vedete Bud Spencer tra Weissmuller e Bova?

C’è davvero qualcosa che non va. Bud non può essere stato un atleta, tranne che in una vita precedente. Non ne ha, apparentemente, il fisico. Ma attenzione.
Bud Spencer non è grasso. Vi è mai sembrato grasso, quando eravate bambini? Potremmo definirlo, con più proprietà, corpulento. La quantità del suo corpo non è concentrata in un punto (la pancia), ma uniformemente presente in ogni parte di sé. Quando pensiamo alla grossezza di Bud Spencer ci vengono in mente le mani nodose, da operaio più che da natante; le braccia che un tempo si definivano “rubate all’agricoltura”; il piede senz’altro enorme, tant’è che diventa sineddoche del personaggio stesso, nel ciclo di Piedone; perfino il naso, in sé, riassume e concentra la corpulenza di Bud Spencer. E i peli. I nuotatori sono glabri, il pelo rallenta la bracciata, trattenendo inutili particelle di ossigeno. Bud Spencer è prima di tutto la sua barba nera, senza barba non ci sarebbe Bud Spencer.
Invece, quando pensiamo al corpo di Bud, non ci vengono in mente quelli che oggi sono la nostra quotidiana ossessione: i muscoli. Che Bud sia muscoloso è indubbio, ma non c’è nulla che si possa esibire. Il maschio è forte per quello che fa: Bud è forte perché riesce a spezzare una noce di cocco con una mano sola. Il maschio entra in crisi quando non ha più noci di cocco da spezzare, quando la sua forza fisica non ha più una destinazione d’uso. Solo allora comincerà a guardarsi affannato allo specchio alla ricerca dei muscoli. Ma Bud appartiene a quell’era in cui la forza fisica poteva essere associata a un corpo “grosso”, non atletico, corpulento. Il modello Obelix, che è tramontato durante la nostra infanzia, soppiantato dal modello He-Man.

Non è solo il corpo a denunciare l’inidoneità di Bud al nuoto agonistico: si tratta anche di psicologia. Bud non è un tipo competitivo, la sua reazione immediata di fronte a una difficoltà è: sbuffare (quel suo sbuffo così caratteristico, l’analogo del camera looking per Oliver Hardy). Del resto è Terence Hill che si caccia nei guai: è lui che cerca rogne nel saloon, lui che combina il guaio per il puro gusto di coinvolgere il compare.
“Non voltarti, ma ce n’è uno che ti sta fissando”.
“E cos’ha da fissarmi?”
“Non lo so. Forse non gli sei simpatico”.
“(sbuffa)”.
Terence Hill, biondo e di occhi azzurri come ogni bel bambino, è davvero il bambino che si infila in ogni rissa con la convinzione che il papà verrà a salvarlo. E Bud Spencer, grosso e nerboruto, è il papà di ogni bambino cercarogne, il papà che è il più forte di tutti, il più forte del mondo, basta raccontargli il torto e lui verrà a picchiare anche i vostri papà.
Difatti viene. Malvolentieri, certo, sennò che papà sarebbe. E picchia. Vediamo come picchia Bud Spencer.

Quando si critica la violenza televisiva, si tende a dimenticare che la violenza in tv c’è sempre stata; che uno dei motivi per cui si accende la tv (specie a una certa età) è per vedere un po’ di violenza, e che senza mettere in scena un po’ di violenza sarebbe molto difficile produrre intrattenimento. Dopodiché, è assolutamente vero: oggi in tv c’è molta più violenza di quella che serva.
Le “botte” dei film di Spencer e Hill sono un esempio di come si possa edulcorare la violenza al punto di trasformarla in un gioco rituale, uno spettacolo che forse non scarica nessuna tensione, ma nemmeno l’accumula. Questo era davanti ai nostri occhi sin dalle elementari. Quando la sera prima c’era stato un film di Bruce Lee, per il corridoio era tutto un coro di urla disumane e braccia tese in gesti innaturali. Alla fine qualcuno poteva anche farsi male. Ma nessuno è mai venuto a scuola dopo aver visto Bud Spencer con la voglia di scazzottarsi. Forse, se abbiamo la pazienza di studiare il perché, potremmo riuscire a capire come produrre intrattenimento di qualità per i nostri figli senza trasformarli in belve assetate di sangue.

Per prima cosa, Bud Spencer non odia nessuno. I cattivi dei suoi film sono sufficientemente antipatici da meritarsi una bella ripassata, e non un pugno di più. Per altro di solito Bud è alle prese con i tirapiedi, gente che le botte le prende per mestiere, senza coinvolgimento emotivo, antipatie, rancori. Ce n’è sempre uno che fa particolarmente il bullo: Bud lo sistema con pugno e passa ad altro. Il bullo, traballante, non si rassegna, cerca di ri-attirare l’attenzione di Bud, gli bussa alla schiena. Bud sbuffa e ripete l’operazione. La gag può riproporsi quattro, cinque volte: alla fine il bullo è la parodia di sé stesso, i vestiti eleganti si sono trasformati nel costume del clown. Questa era la sorte che desideravamo per i bulli della classe: non la violenza, ma il ridicolo. Papà Bud, sbuffando, ci accontentava.
C’è una bella convenzione, che i film di Bud Spencer dividono con opere molto più ambiziose, per cui il nemico si può temporaneamente neutralizzare con un pugno ben assestato (lo svenimento è una specie di stand-by, e su chi è a terra è vietato infierire). Convenzione ormai rigettata da Hollywood, probabilmente perché troppo irrealistica: oggi i nemici si sgozzano, si mitragliano, si buttano dal dirupo. Servono molti più nemici, un sacco di comparse. Bud Spencer girava sempre con gli stessi figuranti: all’inizio del film erano un mucchio selvaggio, alla fine una banda di pagliacci. Il suo pugno non neutralizzava soltanto: ridicolizzava.

Il pugno in sé, però, non aveva nulla di ridicolo. Al contrario di Terence Hill, che stordiva gli avversari con leziose acrobazie, Bud non ha nessuna velleità atletica: è un tipo serio che sta facendo il suo lavoro, senza nessun entusiasmo (il lavoro è una cosa seria, non ci si diverte). Bud non scappa mai, non si schermisce: se prende una botta, resta lì, sbuffa e la restituisce. Il suo colpo classico è il “martello”, un pugno in testa, quasi a voler conficcare l’avversario nel suolo (“statti fermo qua e non rompermi più”). Più che pugilato, sembra lavoro nei campi, o nelle officine: Bud non ha niente di personale con le sue vittime, al massimo la malagrazia di un fabbro coi suoi chiodi.

Per questo il pugno di Bud è l’antitesi dell’atletismo ostentato di Bruce Lee. C’è una scena, di un film abbastanza tardo (Banana Joe), che non riesco a dimenticare. Nella giungla brasiliana Bud ha davanti a sé un piccolo giapponese incazzato. Assiste senza fiatare a tutta la manfrina marziale: le mosse, le contromosse, gli urletti, ecc.. Quando non ne può più, lo abbatte con un pugno solo. In quel pugno c’era uno stile di vita: non importa quanto cattivi fossero i nostri nemici, e quanto tempo impiegassero ad assumere le loro pose, a variarle, a studiarci, a impaurirci. Dentro di me ho sempre pensato che alla fine sarebbe bastato un solo colpo, non cattivo, ben assestato, per sistemarli per sempre e non pensarci più. Il pugno di Bud Spencer.
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