Il paradiso dei demoni
15-03-2013, 14:10Beppe Grillo, blog, internet, pedofilie, Rignano FlaminioPermalinkIeri, dopo una breve udienza preliminare, è stato tolto il sequestro a un blog, Il giustiziere - la fabbrica dei mostri. Sappiamo finalmente (lo avevamo sempre sospettato) che il suo autore, Stefano Zanetti, non ha commesso alcun reato. E però il suo blog non lo abbiamo potuto leggere per tre anni: Google (che controlla Blogger.com) lo aveva reso irreperibile nel 2010, soddisfacendo la richiesta di magistrato che in attesa del processo preferiva che nessuno lo leggesse. Il processo c'è stato, tre anni dopo: è durato mezz'ora, e tra breve potremo di nuovo leggere i pezzi di Zanetti. Che non scriveva nulla di particolarmente pericoloso. Ma a partire dal 2007 aveva scelto di occuparsi, tra tante cose, dell'antipedofilo Massimiliano Frassi e del suo blog "l'inferno degli angeli", che oggi ha cambiato indirizzo (ma è rintracciabilissimo on line).
Anche a me era capitato di occuparmi e pre-occuparmi del blog di Massimiliano Frassi, sempre a partire dal 2007, in pratica dallo scoppio del caso Rignano Flaminio. Non in quanto esperto di pedofilia (non lo sono) ma in quanto lettore di blog; perché anche se in altri siti Frassi metteva in primo piano i suoi titoli e le sue competenze, sull'"Inferno" era soprattutto un blogger, con uno stile urlato e viscerale che ha più volte rivendicato. Bisogna dire che oggi questo aspetto si è un po' attenuato: il sito non ha più l'aspetto amatoriale degli anni di splinder, non ci trovi più immediatamente foto fuori contesto di bambini picchiati o feriti (spesso associati a fatti di cronaca in cui queste ferite e questi lividi non si sono mai trovati, ad esempio Rignano Flaminio). Ma è ancora un blog piuttosto forcaiolo. Non uso la parola con leggerezza: una delle prime immagini che ci ho trovato oggi è la seguente.
Ora, secondo me Frassi, quando dà conto di un processo a un catechista (la cui colpevolezza non è messa in dubbio nemmeno per un istante); quando avverte che "terremo il processo sotto stretta osservazione", quando pubblica in calce l'immagine di un pinocchietto impiccato e ci fa notare che "la foto non è certo un'istigazione... né una speranza"... secondo me è in buona fede. Anche quando si premura di informarci che è contro la pena di morte, Frassi non percepisce nessuna contraddizione col pubblicare un cappio in homepage (che è comunque un grosso passo avanti rispetto a immagini assai più esplicite che pubblicava anni fa). Frassi non istiga al linciaggio, il suo pubblico devoto si indigna facilmente ma non uscirà mai nelle strade coi forconi. Frassi il linciaggio si limita a metterlo in scena. Impiccare i pinocchietti è una valvola di sfogo, il blog è una valvola di sfogo, è sempre stato così, un po' per tutti, senz'altro anche per me.
Il problema è che fino a qualche anno fa, sfogandosi, Frassi pubblicava foto di bambini malmenati, chissà da dove le prendeva; io in tanti anni di Internet non avevo mai visto foto di bambini malmenati prima di incappare nell'"Inferno".
L'altro problema è che Frassi non era soltanto il tenutario di un blog in cui sfogava in modo discutibile una rabbia fortissima contro degli indagati, senza mai preoccuparsi di aspettare che qualcuno li dichiarasse colpevoli o no: F. è anche l'autore di libri sull'argomento (tra cui uno porta il pomposo nome di Libro nero della pedofilia), il fondatore di una Onlus che sostiene di lottare attivamente contro gli abusi, facendo conferenze e "consulenze". In particolare la Onlus di Frassi fu coinvolta nei due casi più gravi: Brescia e Rignano Flaminio, che rovinarono la vita a decine di persone indagate per anni, a volte condannate in primo grado, e poi prosciolte. E non è tutto, io credo che rovinarono la vita anche a molti bambini a cui furono estorte fantasiose confessioni di riti sessuali, e a molti genitori che furono incoraggiati a estorcergliele, e che ancora oggi sono convinti che i loro bambini siano stati vittima di violenze. Il che in un certo senso è vero: quei bambini sono senz'altro stati vittima di violenze. Frassi ha giocato un ruolo in tutto questo, non spetta a me determinare quale. Ma ha giocato un ruolo.
Io non lo sapevo: lo scoprii leggendo il blog di Zanetti, che su Frassi e la sua organizzazione diventò in breve tempo una fonte preziosa. A Zanetti si deve anche il merito di averci spiegato che Frassi non è un personaggio isolato, ma che i suoi metodi e la sua concezione del problema (l'idea di una tentacolare lobby pedofila che sequestrerebbe e violenterebbe milioni di bambini in tutto il mondo) venivano da lontano: in particolare dal mondo anglosassone, dove episodi di psicosi collettiva come quelli di Brescia e Rignano si erano già verificati negli anni Ottanta. In particolare Zanetti aveva notato la collaborazione di Frassi con Ray Wyre, sedicente esperto di abusi rituali satanici, che aveva svolto simili consulenze in un caso scoppiato in Gran Bretagna. Queste cose in particolare sono ancora leggibili perché, quando sequestrarono il blog, io recuperai quel post e lo pubblicai sul mio. In calce al post comparvero dopo qualche giorno accuse infamanti a Zanetti, che scomparvero non appena allusi alla tracciabilità degli IP. Nel frattempo Frassi aveva telefonato all'Unità lamentandosi per via di un pezzo che avevo pubblicato su di lui; ma non mi ha mai querelato, perlomeno non mi risulta. Invece dopo qualche giorno un anonimo cominciò a chiamarmi pedofilo sul nodo romano di Indymedia, i cui amministratori malgrado le mie proteste decisero che siccome ero un borghese che scriveva sull'Unità un'accusa di pedofilia con nome e cognome su internet me la potevo anche tenere, al massimo mi concedevano la facoltà di protestare nei commenti. Poi cambiarono server e cancellarono tutti i commenti.
(Questo aspetto della storia c'entra sempre meno, però è abbastanza divertente): Un giorno, incazzato ma anche un po' incuriosito dalla permalosità degli indymediani romani determinati a rovinare la reputazione di un insegnante di scuola, presi un treno e andai a una loro riunione. Giusto per dire ehi, guardatemi, sono io, sono un nessuno che scrive su un blog, pensate sul serio che io sia un pedofilo? Ce la fate a dirmelo in faccia? Erano in una dozzina, la maggior parte ragazze, piuttosto ragionevoli, mi dissero che ci avrebbero pensato. Ma i maschi che gestivano il sito erano rimasti a casa a guardare la partita, e quando seppero s'incazzarono molto, e quindi l'insegnante di scuola media che prese un treno è rimasto un pedofilo.
Un'altra cosa che successe nell'estate del 2010 è che Frassi concesse un'intervista a un giornalista anonimo di un quotidiano on line poco conosciuto, dicendo in sostanza che la storia di Zanetti non gli interessava, lui aveva cose più importanti a cui pensare ("Preferisco parlare di cose più importanti che dare visibilità a certi anonimi soggetti"): poi Zanetti scoprì che quell'intervista era stata scritta da Frassi stesso, che si faceva le domande e si rispondeva annoiato. Frassi però in quell'occasione si lasciò forse un po' andare e scrisse su Zanetti cose infamanti, per le quali Zanetti a sua volta lo denunciò. La coincidenza curiosa è che ieri, mezz'ora dopo l'archiviazione delle accuse a Zanetti, Frassi è stato rimandato a giudizio. Se è colpevole di diffamazione lo sapremo nel 2015.
Nel frattempo la vita va avanti, il suo blog è ancora molto seguito, alcune amministrazioni lo invitano ancora a fare lezioni su come si combatte la pedofilia. Dopo Rignano Flaminio però non sono più scoppiati casi di abuso rituale satanico in Italia. Negli ultimi anni sono state arrestate diverse educatrici con l'accusa di avere malmenato bambini: in tutti quei casi, li ricorderete, le violenze sono state documentate mediante video. Intanto è stata fissata la data per il processo d'appello di Suor Soledad, accusata nel 2006 di violenza sui bambini nell'asilo di Vallo della Lucania e condannata in primo grado. Frassi non si fa scrupolo di definirla "suora pedofila" e di corredare il suo post con questa immagine che ricorda un po' i vecchi tempi del blog su Splinder:
Devo dire che dopo tanti anni e tante avventure, in fondo a tutta l'indignazione, la preoccupazione, ecc., prevale ancora un genuino senso di sorpresa, per il modo in cui una persona che vuole accreditarsi come esperto di un argomento serissimo (la pedofilia) decide di presentarsi nel suo blog: orsetti e fotogrammi di film dell'orrore, una specie di smemoranda per adulti. Nel 2007, quando lo lessi per la prima volta, fui molto stupito dal fatto che si definisse "Il secondo blog più letto in Italia dietro l'inarrivabile Beppe Grillo", una nozione che non mi risultava (e in seguito infatti è scomparsa). A quel tempo c'erano già tante classifiche, chi ci fosse dietro e davanti Beppe Grillo pensavo di conoscerlo. Ma forse mi sbagliavo.
Con gli anni forse ho capito che in Italia ci sono state due civiltà di blog: la prima è cominciata più o meno nel 2001, ha avuto una fase di espansione intorno al 2003, e poi ha continuato a vivacchiare fino a oggi in siti come il mio. La seconda è cominciata con beppegrillo.it, che ha scatenato emulatori che oggi sono diventati a loro volta blog importanti. Questa ondata di blog grillini mi è un po' arrivata addosso senza che me ne accorgessi: ogni tanto mi imbattevo in uno di loro, e non riuscivo a capirlo. L'approccio viscerale, l'abitudine a mettere in scena linciaggi, la passione per le immagini e i fotomontaggi trash, l'anti-intellettualismo esibito (chiunque li critichi è uno snob o un radicalscic); e, dal punto di vista dei contenuti, la chiamata alle armi contro un complotto mondiale che ci impoverisce, ci fa ammalare con le scie chimiche, non vuole che fuggiamo quando stanno per venire i terremoti, e ci violenta i bambini. Tutto questo era intorno a me, sugli stessi server su cui giravano le mie parole, ma ci ho messo veramente troppo tempo a riconoscerlo, e mi dispiace.
Anche a me era capitato di occuparmi e pre-occuparmi del blog di Massimiliano Frassi, sempre a partire dal 2007, in pratica dallo scoppio del caso Rignano Flaminio. Non in quanto esperto di pedofilia (non lo sono) ma in quanto lettore di blog; perché anche se in altri siti Frassi metteva in primo piano i suoi titoli e le sue competenze, sull'"Inferno" era soprattutto un blogger, con uno stile urlato e viscerale che ha più volte rivendicato. Bisogna dire che oggi questo aspetto si è un po' attenuato: il sito non ha più l'aspetto amatoriale degli anni di splinder, non ci trovi più immediatamente foto fuori contesto di bambini picchiati o feriti (spesso associati a fatti di cronaca in cui queste ferite e questi lividi non si sono mai trovati, ad esempio Rignano Flaminio). Ma è ancora un blog piuttosto forcaiolo. Non uso la parola con leggerezza: una delle prime immagini che ci ho trovato oggi è la seguente.
Ora, secondo me Frassi, quando dà conto di un processo a un catechista (la cui colpevolezza non è messa in dubbio nemmeno per un istante); quando avverte che "terremo il processo sotto stretta osservazione", quando pubblica in calce l'immagine di un pinocchietto impiccato e ci fa notare che "la foto non è certo un'istigazione... né una speranza"... secondo me è in buona fede. Anche quando si premura di informarci che è contro la pena di morte, Frassi non percepisce nessuna contraddizione col pubblicare un cappio in homepage (che è comunque un grosso passo avanti rispetto a immagini assai più esplicite che pubblicava anni fa). Frassi non istiga al linciaggio, il suo pubblico devoto si indigna facilmente ma non uscirà mai nelle strade coi forconi. Frassi il linciaggio si limita a metterlo in scena. Impiccare i pinocchietti è una valvola di sfogo, il blog è una valvola di sfogo, è sempre stato così, un po' per tutti, senz'altro anche per me.
Il problema è che fino a qualche anno fa, sfogandosi, Frassi pubblicava foto di bambini malmenati, chissà da dove le prendeva; io in tanti anni di Internet non avevo mai visto foto di bambini malmenati prima di incappare nell'"Inferno".
L'altro problema è che Frassi non era soltanto il tenutario di un blog in cui sfogava in modo discutibile una rabbia fortissima contro degli indagati, senza mai preoccuparsi di aspettare che qualcuno li dichiarasse colpevoli o no: F. è anche l'autore di libri sull'argomento (tra cui uno porta il pomposo nome di Libro nero della pedofilia), il fondatore di una Onlus che sostiene di lottare attivamente contro gli abusi, facendo conferenze e "consulenze". In particolare la Onlus di Frassi fu coinvolta nei due casi più gravi: Brescia e Rignano Flaminio, che rovinarono la vita a decine di persone indagate per anni, a volte condannate in primo grado, e poi prosciolte. E non è tutto, io credo che rovinarono la vita anche a molti bambini a cui furono estorte fantasiose confessioni di riti sessuali, e a molti genitori che furono incoraggiati a estorcergliele, e che ancora oggi sono convinti che i loro bambini siano stati vittima di violenze. Il che in un certo senso è vero: quei bambini sono senz'altro stati vittima di violenze. Frassi ha giocato un ruolo in tutto questo, non spetta a me determinare quale. Ma ha giocato un ruolo.
Io non lo sapevo: lo scoprii leggendo il blog di Zanetti, che su Frassi e la sua organizzazione diventò in breve tempo una fonte preziosa. A Zanetti si deve anche il merito di averci spiegato che Frassi non è un personaggio isolato, ma che i suoi metodi e la sua concezione del problema (l'idea di una tentacolare lobby pedofila che sequestrerebbe e violenterebbe milioni di bambini in tutto il mondo) venivano da lontano: in particolare dal mondo anglosassone, dove episodi di psicosi collettiva come quelli di Brescia e Rignano si erano già verificati negli anni Ottanta. In particolare Zanetti aveva notato la collaborazione di Frassi con Ray Wyre, sedicente esperto di abusi rituali satanici, che aveva svolto simili consulenze in un caso scoppiato in Gran Bretagna. Queste cose in particolare sono ancora leggibili perché, quando sequestrarono il blog, io recuperai quel post e lo pubblicai sul mio. In calce al post comparvero dopo qualche giorno accuse infamanti a Zanetti, che scomparvero non appena allusi alla tracciabilità degli IP. Nel frattempo Frassi aveva telefonato all'Unità lamentandosi per via di un pezzo che avevo pubblicato su di lui; ma non mi ha mai querelato, perlomeno non mi risulta. Invece dopo qualche giorno un anonimo cominciò a chiamarmi pedofilo sul nodo romano di Indymedia, i cui amministratori malgrado le mie proteste decisero che siccome ero un borghese che scriveva sull'Unità un'accusa di pedofilia con nome e cognome su internet me la potevo anche tenere, al massimo mi concedevano la facoltà di protestare nei commenti. Poi cambiarono server e cancellarono tutti i commenti.
(Questo aspetto della storia c'entra sempre meno, però è abbastanza divertente): Un giorno, incazzato ma anche un po' incuriosito dalla permalosità degli indymediani romani determinati a rovinare la reputazione di un insegnante di scuola, presi un treno e andai a una loro riunione. Giusto per dire ehi, guardatemi, sono io, sono un nessuno che scrive su un blog, pensate sul serio che io sia un pedofilo? Ce la fate a dirmelo in faccia? Erano in una dozzina, la maggior parte ragazze, piuttosto ragionevoli, mi dissero che ci avrebbero pensato. Ma i maschi che gestivano il sito erano rimasti a casa a guardare la partita, e quando seppero s'incazzarono molto, e quindi l'insegnante di scuola media che prese un treno è rimasto un pedofilo.
Un'altra cosa che successe nell'estate del 2010 è che Frassi concesse un'intervista a un giornalista anonimo di un quotidiano on line poco conosciuto, dicendo in sostanza che la storia di Zanetti non gli interessava, lui aveva cose più importanti a cui pensare ("Preferisco parlare di cose più importanti che dare visibilità a certi anonimi soggetti"): poi Zanetti scoprì che quell'intervista era stata scritta da Frassi stesso, che si faceva le domande e si rispondeva annoiato. Frassi però in quell'occasione si lasciò forse un po' andare e scrisse su Zanetti cose infamanti, per le quali Zanetti a sua volta lo denunciò. La coincidenza curiosa è che ieri, mezz'ora dopo l'archiviazione delle accuse a Zanetti, Frassi è stato rimandato a giudizio. Se è colpevole di diffamazione lo sapremo nel 2015.
Nel frattempo la vita va avanti, il suo blog è ancora molto seguito, alcune amministrazioni lo invitano ancora a fare lezioni su come si combatte la pedofilia. Dopo Rignano Flaminio però non sono più scoppiati casi di abuso rituale satanico in Italia. Negli ultimi anni sono state arrestate diverse educatrici con l'accusa di avere malmenato bambini: in tutti quei casi, li ricorderete, le violenze sono state documentate mediante video. Intanto è stata fissata la data per il processo d'appello di Suor Soledad, accusata nel 2006 di violenza sui bambini nell'asilo di Vallo della Lucania e condannata in primo grado. Frassi non si fa scrupolo di definirla "suora pedofila" e di corredare il suo post con questa immagine che ricorda un po' i vecchi tempi del blog su Splinder:
Devo dire che dopo tanti anni e tante avventure, in fondo a tutta l'indignazione, la preoccupazione, ecc., prevale ancora un genuino senso di sorpresa, per il modo in cui una persona che vuole accreditarsi come esperto di un argomento serissimo (la pedofilia) decide di presentarsi nel suo blog: orsetti e fotogrammi di film dell'orrore, una specie di smemoranda per adulti. Nel 2007, quando lo lessi per la prima volta, fui molto stupito dal fatto che si definisse "Il secondo blog più letto in Italia dietro l'inarrivabile Beppe Grillo", una nozione che non mi risultava (e in seguito infatti è scomparsa). A quel tempo c'erano già tante classifiche, chi ci fosse dietro e davanti Beppe Grillo pensavo di conoscerlo. Ma forse mi sbagliavo.
Con gli anni forse ho capito che in Italia ci sono state due civiltà di blog: la prima è cominciata più o meno nel 2001, ha avuto una fase di espansione intorno al 2003, e poi ha continuato a vivacchiare fino a oggi in siti come il mio. La seconda è cominciata con beppegrillo.it, che ha scatenato emulatori che oggi sono diventati a loro volta blog importanti. Questa ondata di blog grillini mi è un po' arrivata addosso senza che me ne accorgessi: ogni tanto mi imbattevo in uno di loro, e non riuscivo a capirlo. L'approccio viscerale, l'abitudine a mettere in scena linciaggi, la passione per le immagini e i fotomontaggi trash, l'anti-intellettualismo esibito (chiunque li critichi è uno snob o un radicalscic); e, dal punto di vista dei contenuti, la chiamata alle armi contro un complotto mondiale che ci impoverisce, ci fa ammalare con le scie chimiche, non vuole che fuggiamo quando stanno per venire i terremoti, e ci violenta i bambini. Tutto questo era intorno a me, sugli stessi server su cui giravano le mie parole, ma ci ho messo veramente troppo tempo a riconoscerlo, e mi dispiace.
Comments (11)
Ribadisce la sua incompetenza
27-06-2012, 00:56pedofilie, Rignano Flaminio, segnalazioniPermalinkIo ero un po' perplesso, ma alla fine mi hanno intervistato su State of Mind (giornale delle scienze psicologiche) a proposito del caso di Rignano Flaminio. Sono sicuro che c'è molta gente che ne sa più di me sull'argomento, compreso un blogger a cui hanno sequestrato il sito. Due anni fa. E non glielo rendono. È una cosa che mi rende più difficile star zitto, diciamo.
Comments (3)
Bonini vs Bonini
30-05-2012, 23:09giornalisti, pedofilie, Rignano FlaminioPermalink
Io ora farò una cosa facile e
antipatica. Affiancherò su due colonne due articoli di un
giornalista di Repubblica che stimo, Carlo Bonini, scritti a cinque
anni e un mese di distanza: in mezzo c'è tutto l'iter giudiziario del caso
Rignano Flaminio.
Lo farò per un ovvio spunto polemico:
in quei giorni Repubblica sposò tesi colpevoliste che furono
condivise anche dal famoso ceto medio riflessivo, che certe volte
potrebbe riflettere un po' più a lungo. Ma lo farò anche per una
curiosità umana. Tra un pezzo e l'altro c'è un'inversione a U che
secondo me non deve essere additata come una vergogna. C'è qualcosa
di eroico in un italiano che cambia idea, e in un giornalista che
cambia idea, e Bonini è un giornalista italiano. Sarebbe ancora più
eroico se volesse spiegarci come ha fatto a cambiarla: perché cinque
anni fa la pensava in un modo; cosa gli ha fatto capire di essersi
sbagliato, come si è sentito, come si sente adesso. Potrebbe essere
una testimonianza importante per tanti Fonzarelli che il coraggio
ancora non lo trovano. Ecco qui.
Pelouche, narcotici e "giochi" / così l'accusa racconta l'orroredi CARLO BONINI (27 aprile 2007, dalla prima pagina)
ROMA -
Le voci dei bambini - sedici - e i loro disegni. Il loro quadro
psichiatrico. Cento pupazzi chiusi in sacchi di plastica,
ammucchiati nel ripostiglio di un terrazzo. Una piscinetta
abbandonata in un giardino. Molecole di farmaci
"neurologico-sedativi" ("clonazepam" e
"diazepam") nei capelli di due bimbe.
I referti medici dell'ospedale Bambino Gesù. "Formazioni pilifere e tracce di altre sostanze organiche" nella Fiat 500 rossa di una delle maestre (Marisa Pucci) e dvd, e cd, e cassette Vhs, e hard disk di computer fissi e portatili della cui natura dirà un futuro incidente probatorio. Le testimonianze di due agenti della polizia municipale e di una colf. Nel perimetro giudiziario che, al momento, definisce e attribuisce le responsabilità per gli orrori della "Olga Rovere", il gip Elvira Tamburelli e il pm Marco Mansi declinano il quadro indiziario con la certezza dell'indicativo. La pietra angolare dell'istruttoria - documentano nell'ordinanza di custodia cautelare - è in ciò che i bambini riferiscono prima "ai loro genitori" e quindi nell'"esame scientifico" ("test di Roscharch, disegno della figura umana di K. Machover, questionario Ceipa, test dell'albero di K. Koch; disegno della famiglia reale di M. Porot") condotto dalla dottoressa Marcella Battisti Fraschetti, consulente psichiatra del pm. E' nei "riscontri obiettivi" che questi racconti hanno trovato con "i luoghi dell'abuso", con "l'identificazione dei responsabili". E' in un argomento logico-deduttivo. Quel che i bambini e i loro genitori hanno detto "non può essere frutto di mitomania e fantasticheria", perché "l'abuso è fenomeno denunciato in modo analogo da nuclei familiari completamente diversi, socialmente e culturalmente". "Perché i bambini, vista la loro piccolissima età, non hanno la malizia per organizzare una versione comune". I bambini, dunque. Per come è ricostruita, la violenza ha uno schema fisso. Durante l'orario scolastico, i bambini vengono fatti uscire in piccoli gruppi dal retro della "Olga Rovere". Invitati a percorrere a piedi un breve tratto di sterrata e quindi caricati su "un'auto rossa". Accompagnati nelle case di una delle maestre (con maggiore frequenza in quella di Patrizia Del Meglio) e quindi abusati da chi li attende. Quando questo non è possibile, le violenze si consumano all'interno della scuola. Nei bagni, nel cortile, in uno sgabuzzino che si apre in fondo ad uno dei corridoi su cui affacciano le aule. Gli abusi vengono descritti con precisione. Ciascuno ha un nome. "Il gioco della patatina"; "del dito a punta"; "della penna azzurra"; "del tavolo"; "dello scatolone"; "della mamma e dei figli"; "del dottore"; "del lupo e dello scoiattolo". Scrive il gip: "Le vittime erano costrette a pratiche sessuali spesso cruente, valendosi anche di iniezioni o inoculazione di narcotici e sostanze varie (...) Le vittime venivano riprese e fotografate". I loro carnefici "effettuavano riti di sangue e violenza con chiari richiami a pericolosi rituali di sette sataniche: maschere, vestizioni da diavoli o conigli neri, cerchi di fuoco, croci, cappucci". Né il gip, né il pubblico ministero, né i carabinieri della compagnia di Bracciano hanno mai incontrato i bambini di Rignano. Del loro esame da parte della consulente del pubblico ministero non esiste registrazione. Il loro racconto - nei casi in cui ne è conservata traccia - è documentato dagli appunti presi dai loro genitori. In tre casi, da videoregistrazioni domestiche. Il gip avverte la difficoltà del passaggio. Scrive: "Della credibilità e affidabilità dei racconti dei genitori non è motivo dubitare. E' anzi apprezzabile il loro sforzo di rispettare il più possibile le modalità logiche ed espressive dei bambini. Né inficia in alcun modo l'affidabilità delle loro denunce la circostanza che i genitori si siano ad un certo punto confrontati su quanto andava emergendo". Certo, resta il problema del metodo di lavoro della dottoressa Marcella Battisti Fraschetti. Ma la spiegazione che la consulente del pm fornisce è ad avviso del gip sufficiente per mettere in un canto ogni dubbio: "I bambini sono ancora nella fase acuta della disorganizzazione del pensiero e questo non ha reso possibile di poter procedere a forme di registrazione, ai cui tentativi i minori hanno opposto un deciso e netto rifiuto". I referti obiettivi di cui conta l'istruttoria sono quelli medico-pediatrici. Uno soltanto - redatto al Bambino Gesù - documenta cicatrici nella carne ("la presenza di "setto" dell'imene" in una delle bambine), pur senza trarne conclusioni univoche ("conformazione congenita? esito cicatriziale?"). Gli altri, accertano un'infezione genitale rara ("anite rossa") o ferite profonde della psiche. "Reazione di ansia, con irrigidimento del corpo, al momento della visita ai genitali, con immediata erezione"; "balbuzie emozionale"; "aggressività inesplosa"; "ipercinetismo". Nell'argomentare del gip, la sproporzione tra la descrizione delle violenze e l'assenza di significative cicatrici fisiche è argomento aggirabile con l'incertezza sui tempi in cui gli abusi si sarebbero consumati. Verosimilmente tra il 2005 e l'autunno dello scorso anno. E, nell'ordinanza, l'argomento viene puntellato con l'esame tossicologico sui capelli di due bambine. Gli investigatori scelgono quelle che li hanno più lunghi, "tali da consentire una loro analisi retroattiva al 2005-2006". In quelle ciocche, i laboratori fissano tracce di "benzodiazepine". I sedativi dei racconti dell'orrore - chiosa l'accusa - I sedativi che una delle arrestate, Patrizia Del Meglio "ha negato di aver mai assunto durante il suo interrogatorio con il pm", ma che, "al contrario, dopo un ricovero per crisi depressive, acquistava in una farmacia diversa da quella di Rignano, assumeva con prescrizione medica e nascondeva in casa". I racconti dei bambini e il loro esame medico-psichiatrico fermano il tempo dell'inchiesta al giorno in cui è cominciata - luglio 2006 - e al successivo autunno del "blitz", quando si è arricchita di nuove denunce. Dunque, cosa è accaduto in questi nove mesi in cui gli indagati sono rimasti in quotidiano contatto con le loro presunte vittime? E perché arrestarli soltanto martedì? Il gip dà atto che non molto è accaduto. Che, allo stato, non sono state trovate né foto né video degli orrori. Scrive: "I servizi di osservazione degli indagati non consentivano un'efficace controllo per la carenza di personale dell'Arma, né risultati utili sono venuti dall'attività di intercettazione telefonica". Quel che dunque salta fuori è questo. In un ripostiglio della casa di Patrizia Del Meglio, erano stipati in sacchi di plastica "maschere, vestiti" e 100 pupazzi che i bambini "hanno riconosciuto come quelli utilizzati durante i giochi erotici, riuscendo anche a collocarli nei diversi locali della casa". E dove, "al contrario di quel che l'indagata afferma", "i bambini venivano portati". Simona Baldoni, colf della Del Meglio dal 1999 al 2001, ricorda due singoli episodi. Aver "sorpreso" la signora, "in una occasione", rientrare da scuola con alcuni dei suoi piccoli alunni. Aver osservato sullo schermo del pc del marito, Gianfranco Scancarello, "foto di maschietti e femminucce con grembiulini rosa o celesti, che mi venne detto fossero per lo Zecchino d'oro". Parlano anche altre due donne: Elisabetta Palamides e Nadia Di Luca, agenti della municipale di Rignano. Nel maggio-giugno 2006 sorprendono "un gruppetto di bambini della "Rovere" fuori dalla scuola". Chiedono dove se ne stiano andando da soli. Gli viene risposto: "In gita alla fattoria. Aspettiamo il pulman". "Quel giorno - scrive il gip - è stato accertato che non c'era alcuna gita alla fattoria". Parlano infine, "confermando i racconti dei bambini", i colori. Meglio, un colore: il rosso. "Rossa era l'auto Suzuki che aveva la Del meglio nel 2001". "Rossa è la Fiat 500 della maestra Marisa Pucci". "Rossa è la vasca chicco a forma di conchiglia" trovata nel suo giardino di casa. Per il gip ce ne è abbastanza per aprire le porte di un carcere. Anche a distanza di nove mesi dall'accertamento dei fatti. Le motivazioni non prendono più di una cartella e mezzo. Indubbiamente - scrive - "non si ravvisa un pericolo di fuga", ma "i reati commessi sono gravissimi. Esiste un concreto pericolo di inquinamento delle prove, a cominciare dai bambini, facilmente condizionabili e noti agli indagati. Il presidente dell'Associazione genitori di Rignano Flaminio, Arianna Di Biagio, e la segretaria, Antonella Paparelli, hanno subito minacce da ignoti". |
Troppe suggestioni e niente prove / così è crollato il teorema dei pm
29
maggio 2012 — pagina 25 sezione: CRONACA
ROMA
- Non esistevano dunque né orchi, né streghe nella scuola per l'
infanzia "Olga Rovere". I sei sventurati, inquisiti e
come tali processati, sono un abbaglio da psicosi e contagio
collettivi.
I ventuno bimbi che si volevano abusati o comunque
"esposti" a un trauma sessuale di nessuna violenza sono
mai stati vittime. E la storia di una catastrofe processuale,
umana, civica, arriva così al suo inevitabile compimento. Con un'
assoluzione che prende atto con coraggio e limpidezza di un vuoto
probatorio macroscopico. Che mette a nudo l'ostinazione di una
Procura della Repubblica e di un ufficio gip che pur di non
riconoscere i propri errori, di non arrendersi all' evidenza
contraria del fatto che si intendeva provare, hanno trasformato
questa storia in un' interminabile ordalia che ha schiantato per
sempre le vite di chi ne è stato inghiottito.
Ventuno bambini che
hanno consumato e continuano a consumare la loro infanzia (avevano
4 anni quando questa storia è cominciata, ne hanno oggi 10) tra
psico-terapeuti e visite ginecologiche, necessarie ad esplorare
gli anfratti della loro psiche e dei loro corpi.
Le loro famiglie,
che hanno finito per convincersi di essere state vittime di un
orrore al punto tale da non riuscire oggi a provare sollievo nell'apprendere che così non è stato. Quattro donne e due uomini che
hanno perso tutto. Il lavoro, gli affetti, la dignità e che
continueranno ad essere inseguiti fino all' ultimo dei loro giorni
dal sospetto infame di essere in fondo quei pedofili che «un
tribunale di merda» (come gridava ieri pomeriggio qualcuno alla
lettura del dispositivo della sentenza) non avrebbe avuto il
coraggio di condannare.
Eppure, a questa catastrofe si sarebbe
potuti non arrivare. Perché i suoi inconfondibili indizi erano
sotto gli occhi di tutti già in quel lontano aprile del 2007.
Solo a volerli vedere. Perché quando ai sei indagati vengono
strette le manette ai polsi appare già chiaro quello che il tempo
renderà ancora più nitido. E che una sentenza del Tribunale del
Riesame prima (10 maggio 2007) e una pronuncia della Cassazione
poi (18 settembre 2007) provvederanno a documentare con parole
inequivoche. «L' accusa nei confronti degli indagati - scrivono
quei due primi "giudici terzi" nel motivare il perché
gli indagati non debbano restare in carcere un minuto di più -
non trova riscontri esterni alle dichiarazioni dei bambini». Non
una testimonianza, non una prova documentale (che sia l'oscenità
di una foto, di un diario, di un file custodito in qualche
computer) o un' intercettazione telefonica.
Non un' evidenza
medica sui corpi dei piccoli, non una traccia biologica sugli
oggetti maneggiati dagli "orchi" o nei luoghi indicati
come teatro dei loro indicibili riti (peluche, automobili,
abitazioni degli indagati). Per giunta, non il ricordo di un
genitore che pure avrebbe dovuto accorgersi delle tracce di
violenza (e che violenza) sul proprio figlio.
«L'istruttoria fa
una indebita confusione tra indizie prove» e «la forte pressione
dei genitori sui minori» non consente di escludere «un contagio
dichiarativo», scrive allora la consigliera di Cassazione Claudia
Squassoni. Non un giudice qualunque, ma un'autorità in materia
di diritti dei minori e tra e le autrici della "Carta di
Noto" sui diritti dell' infanzia violata. Ma c'è di più.
La discovery degli atti istruttori compiuti dal pm Marco Mansi
documenta con quale approssimazione si è lavorato sui racconti
dei bambini.
Marcella Fraschetti, la consulente scelta dall'
accusa per raccogliere e valutare significato e rilevanza delle
parole di bimbi tra i 4 e i 5 anni, è, almeno in origine, laureata
in scienze politiche ed è alla sua prima esperienza in un caso di
questa portata. Al punto che di quel suo primo, cruciale lavoro di
raccolta delle testimonianze, non provvede a conservare alcuna
traccia né filmata, né fonica. «Quando mi chiamarono i
carabinieri per incaricarmi - racconterà durante la sua
deposizione al dibattimento - pensai a uno scherzo».
Già, i
carabinieri. Sono i militari della stazione del lago di Bracciano
quelli che lavorano al caso. Non esattamente una polizia
specializzata. Al punto che non hanno la forza né di opporsi, né
di far desistere quei genitori che hanno filmato e continuano a
filmare "interrogatori domestici" ai propri figli in cui
chiedono di raccontare e mimare gli abusi. Al punto da convincersi
che nel mazzo dei sospetti vada certamente infilato un benzinaio
cingalese, Kelum De Silva (arresteranno anche lui). Che con la
"Olga Rovere" non ha nulla a che vedere. Ma di sfortune
le ha tutte. Il colore della pelle. Il mestiere che fa. La cattiva
idea di esibirsi in una linguaccia, pensando di strapparle un
sorriso, con la bambina che è a bordo della macchina cui in un
giorno d'estate sta facendo il pieno di benzina. Diventa «l'uomo nero» e si fa 15 giorni a Rebibbia (prima di essere
"archiviato" nel febbraio 2010). Dove conosce l' inferno
riservato a chi entra in una galera con l' accusa di aver stuprato
innocenti.
E dove l'umiliazione può anche essere quella che
conosce Patrizia Del Meglio, maestra di mezza età, che, in due
settimane, verrà sottoposta, senza alcuna comprensibile ragione,
a tre visite ginecologiche nella medicheria del carcere. In
realtà, l' inchiesta sulla "Olga Rovere" è chiusa già
il 28 luglio del 2008, quandoi 21 bambini, per un anno, saranno
sottoposti al calvario di un incidente probatorio che deve fissare
a futura memoria i demoni che li tormentano.
Nessuno, a quel
punto, ha il coraggio di fermare un treno che è evidente andrà a
deragliare. La magistratura si convince che il «processo è
dovuto». Anche se due anni di processo a porte chiuse non portano
una sola prova o un riscontro che sia uno. Diventano solo un
crudele redde rationem tra adulti. Che, purtroppo, non finirà
neppure con questa sentenza.
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Non si esce dal Castello
29-05-2012, 04:20delitti e cronaca, internet, pedofilie, Rignano FlaminioPermalink
ll tribunale di Tivoli ha assolto con la piu' ampia delle formule le tre maestre, una bidella e un autore televisivo per le vicenda legata ai presunti abusi sessuali che sarebbero stati compiuti su 21 bambini della scuola materna 'Olga Rovere' di Rignano Flaminio nell'anno scolastico 2005-06 (Cerazade)
Sipario sul processo per il dannato caso dell'asilo Olga Rovere di Rignano Flaminio: IL FATTO NON SUSSISTE, quegli orrendi abusi sessuali pedosatanisti ritualizzati non sono mai avvenuti ai danni dei piccoli alunni, nessuno li ha mai toccati nelle parti intime, trascinati in case dell'orrore o costretti a bere pozioni di sangue. (Giustizia intelligente)
Quando un lungo processo finisce con un'assoluzione, si pesca spesso nel frasario giornalistico l'espressione "è la fine di un incubo". Non è questo il caso. Posto che non esistono risarcimenti per un incubo durato cinque anni, i cinque innocenti di Rignano Flaminio non ne saranno mai completamente fuori. Ci sarà sempre qualcuno che dubita, qualcuno che la sa lunga, qualcuno che ha letto delle cose. Ma loro almeno sono adulti, in un qualche modo andranno avanti. Poi ci sono i bambini. Se avevano quattro anni nel 2006, adesso ne hanno dieci. Per quanto si possano essere disinteressati della faccenda, ogni tanto del processo avranno sentito parlare. Oggi, per esempio, quando le troupe dei telegiornali si concederanno un altro giro - stavolta un po' più breve, perché un'assoluzione con formula piena non è poi questa notizia, vuoi mettere con il linciaggio di cinque anni fa?
Quei bambini conservano probabilmente qualche ricordo di un abuso - vero o falso, non ha nessuna importanza. L'unico passato che esiste per noi è quello che tratteniamo nella nostra memoria; un fatto falso che ricordiamo come vero segna la nostra vita molto più di un'esperienza reale che abbiamo dimenticato. Se quei ragazzini credono ancora di essere stati vittima di abusi, essi sono stati vittima di abusi. L'incubo per loro non finisce certo oggi. Forse col tempo ricorderanno meglio, succede anche questo: non sarebbe la prima volta che a distanza di anni ex vittime raccontano di essersi inventate tutto. Ma a quel punto potrà subentrare il senso di colpa, la percezione di avere incastrato con racconti di bambini cinque persone innocenti. L'incubo si allungherà un altro po'. Potrebbero metterci anni a perdonarsi per qualcosa che non hanno fatto, per qualcosa che i grandi li hanno costretti a dire. Io non credo negli abusi del castello cattivissimo, ma sono convinto che quei bambini siano vittime di qualcosa di orribile e di perverso, che purtroppo non finisce oggi. Gli "esperti", i "consulenti" che hanno convinto i loro genitori dell'esistenza di una setta pedofila annidata nella loro scuola materna, sono ancora in circolazione. Massimiliano Frassi fa ancora conferenze. Le premesse sulle quali si basa sono ancora le stesse, e purtroppo sono condivise dagli inquirenti che per cinque anni hanno mandato avanti un processo senza una sola prova: i bambini non mentono mai. Cioè, forse quando si tratta di sottrazioni di biscotti nella dispensa, ecco, in questo caso a volte sì, possono mentire... ma non quando si tratta di cose gravi. Più sono gravi, meno possono mentire. Di conseguenza, se raccontano qualcosa di enorme, ciò può essere acquisito come prova in sede di dibattimento. Il risultato delle consulenze di Frassi lo abbiamo visto a Brescia e a Rignano: lunghi processi, vite rovinate, zero condanne. La settimana scorsa Frassi ha tenuto un corso per operatori delle forze dell'ordine.
Chi cominciò a seguire il caso di Rignano, cinque anni fa, dovette subito scegliere da che parte stare. O c'era una lobby satanica operativa sul territorio, perfettamente organizzata, in grado di gestire abusi collettivi nell'orario scolastico, o c'era una psicosi collettiva. Per molti, anche in buona fede, la psicosi collettiva era un'ipotesi meno credibile della gang pedosatanica che fa la spola col pulmino tra la scuola materna e il castello cattivissimo. Una psicosi del genere non si è mai vista, dicevano. E invece era stata soltanto trent'anni prima negli Stati Uniti, vent'anni prima in Gran Bretagna, qualche anno prima in Francia. Non c'è che da augurarsi che i casi di Brescia e Rignano siano per noi quello che è stato il caso D'Outreau per i francesi, il caso McMartin per gli americani, i casi Broxtowe in Gran Bretagna: il momento in cui gli inquirenti prendono atto che le psicosi esistono, e cambiano approccio al problema. Io sono ottimista, tengo la tv accesa e di gang pedosataniche non sento più parlare. Di violenze negli asili purtroppo sì, ma fateci caso: gli ultimi casi hanno tutti in comune la prova video. Le educatrici processate negli ultimi anni per aver picchiato i bambini, lo avevano fatto davanti a una telecamera nascosta. Sarà un caso, ma il movente pedosatanico è sparito dalla circolazione.
Qui sotto, per completezza, la piccola parte della storia che mi riguarda personalmente. Quello che forse mi spinse a interessarmi di una faccenda fu l'aspetto e il tono del blog di Frassi, che presentandosi come esperto pubblicava immagini discutibili, di violenze decontestualizzate, lasciandosi andare un po' troppo spesso a fantasie di linciaggio. Fu grazie a un altro blog, Ilgiustiziere, che scoprii che Frassi aveva rapporti diretti con Ray Wyre, un 'consulente' che aveva avuto un ruolo nella caccia alle streghe pedosataniche negli USA e in Gran Bretagna. Due anni fa ilgiustiziere fu chiuso su richiesta di un GIP che sospettava che contenesse materiale diffamatorio nei confronti di Frassi. Non sapremo mai se il sospetto si è concretizzato, fatto sta che un sospetto del genere è bastato per chiudere un blog, un blog bello e mortalmente serio, sulla stessa piattaforma che sto usando io. Da lì in poi ho fatto backup più spesso.
In cinque anni sono successe tante cose; io per esempio ho messo su famiglia, cosa che, dicevano, mi avrebbe fatto cambiare idea su tutto quanto. Per ora non ho cambiato idea. Sono ancora profondamente incazzato per gli innocenti che si sono fatti cinque anni di processo, per i bambini convinti di essere stati abusati, per i loro genitori che se ne sono convinti e che li hanno aiutati a convincersi; mi vergogno di vivere in un paese dove processi del genere si allungano per cinque anni, e i blog si sequestrano per un sospetto. L'incubo per me non finisce qui, non credo che debba finir qui per nessuno.
Sipario sul processo per il dannato caso dell'asilo Olga Rovere di Rignano Flaminio: IL FATTO NON SUSSISTE, quegli orrendi abusi sessuali pedosatanisti ritualizzati non sono mai avvenuti ai danni dei piccoli alunni, nessuno li ha mai toccati nelle parti intime, trascinati in case dell'orrore o costretti a bere pozioni di sangue. (Giustizia intelligente)
Quando un lungo processo finisce con un'assoluzione, si pesca spesso nel frasario giornalistico l'espressione "è la fine di un incubo". Non è questo il caso. Posto che non esistono risarcimenti per un incubo durato cinque anni, i cinque innocenti di Rignano Flaminio non ne saranno mai completamente fuori. Ci sarà sempre qualcuno che dubita, qualcuno che la sa lunga, qualcuno che ha letto delle cose. Ma loro almeno sono adulti, in un qualche modo andranno avanti. Poi ci sono i bambini. Se avevano quattro anni nel 2006, adesso ne hanno dieci. Per quanto si possano essere disinteressati della faccenda, ogni tanto del processo avranno sentito parlare. Oggi, per esempio, quando le troupe dei telegiornali si concederanno un altro giro - stavolta un po' più breve, perché un'assoluzione con formula piena non è poi questa notizia, vuoi mettere con il linciaggio di cinque anni fa?
Quei bambini conservano probabilmente qualche ricordo di un abuso - vero o falso, non ha nessuna importanza. L'unico passato che esiste per noi è quello che tratteniamo nella nostra memoria; un fatto falso che ricordiamo come vero segna la nostra vita molto più di un'esperienza reale che abbiamo dimenticato. Se quei ragazzini credono ancora di essere stati vittima di abusi, essi sono stati vittima di abusi. L'incubo per loro non finisce certo oggi. Forse col tempo ricorderanno meglio, succede anche questo: non sarebbe la prima volta che a distanza di anni ex vittime raccontano di essersi inventate tutto. Ma a quel punto potrà subentrare il senso di colpa, la percezione di avere incastrato con racconti di bambini cinque persone innocenti. L'incubo si allungherà un altro po'. Potrebbero metterci anni a perdonarsi per qualcosa che non hanno fatto, per qualcosa che i grandi li hanno costretti a dire. Io non credo negli abusi del castello cattivissimo, ma sono convinto che quei bambini siano vittime di qualcosa di orribile e di perverso, che purtroppo non finisce oggi. Gli "esperti", i "consulenti" che hanno convinto i loro genitori dell'esistenza di una setta pedofila annidata nella loro scuola materna, sono ancora in circolazione. Massimiliano Frassi fa ancora conferenze. Le premesse sulle quali si basa sono ancora le stesse, e purtroppo sono condivise dagli inquirenti che per cinque anni hanno mandato avanti un processo senza una sola prova: i bambini non mentono mai. Cioè, forse quando si tratta di sottrazioni di biscotti nella dispensa, ecco, in questo caso a volte sì, possono mentire... ma non quando si tratta di cose gravi. Più sono gravi, meno possono mentire. Di conseguenza, se raccontano qualcosa di enorme, ciò può essere acquisito come prova in sede di dibattimento. Il risultato delle consulenze di Frassi lo abbiamo visto a Brescia e a Rignano: lunghi processi, vite rovinate, zero condanne. La settimana scorsa Frassi ha tenuto un corso per operatori delle forze dell'ordine.
Chi cominciò a seguire il caso di Rignano, cinque anni fa, dovette subito scegliere da che parte stare. O c'era una lobby satanica operativa sul territorio, perfettamente organizzata, in grado di gestire abusi collettivi nell'orario scolastico, o c'era una psicosi collettiva. Per molti, anche in buona fede, la psicosi collettiva era un'ipotesi meno credibile della gang pedosatanica che fa la spola col pulmino tra la scuola materna e il castello cattivissimo. Una psicosi del genere non si è mai vista, dicevano. E invece era stata soltanto trent'anni prima negli Stati Uniti, vent'anni prima in Gran Bretagna, qualche anno prima in Francia. Non c'è che da augurarsi che i casi di Brescia e Rignano siano per noi quello che è stato il caso D'Outreau per i francesi, il caso McMartin per gli americani, i casi Broxtowe in Gran Bretagna: il momento in cui gli inquirenti prendono atto che le psicosi esistono, e cambiano approccio al problema. Io sono ottimista, tengo la tv accesa e di gang pedosataniche non sento più parlare. Di violenze negli asili purtroppo sì, ma fateci caso: gli ultimi casi hanno tutti in comune la prova video. Le educatrici processate negli ultimi anni per aver picchiato i bambini, lo avevano fatto davanti a una telecamera nascosta. Sarà un caso, ma il movente pedosatanico è sparito dalla circolazione.
Qui sotto, per completezza, la piccola parte della storia che mi riguarda personalmente. Quello che forse mi spinse a interessarmi di una faccenda fu l'aspetto e il tono del blog di Frassi, che presentandosi come esperto pubblicava immagini discutibili, di violenze decontestualizzate, lasciandosi andare un po' troppo spesso a fantasie di linciaggio. Fu grazie a un altro blog, Ilgiustiziere, che scoprii che Frassi aveva rapporti diretti con Ray Wyre, un 'consulente' che aveva avuto un ruolo nella caccia alle streghe pedosataniche negli USA e in Gran Bretagna. Due anni fa ilgiustiziere fu chiuso su richiesta di un GIP che sospettava che contenesse materiale diffamatorio nei confronti di Frassi. Non sapremo mai se il sospetto si è concretizzato, fatto sta che un sospetto del genere è bastato per chiudere un blog, un blog bello e mortalmente serio, sulla stessa piattaforma che sto usando io. Da lì in poi ho fatto backup più spesso.
In cinque anni sono successe tante cose; io per esempio ho messo su famiglia, cosa che, dicevano, mi avrebbe fatto cambiare idea su tutto quanto. Per ora non ho cambiato idea. Sono ancora profondamente incazzato per gli innocenti che si sono fatti cinque anni di processo, per i bambini convinti di essere stati abusati, per i loro genitori che se ne sono convinti e che li hanno aiutati a convincersi; mi vergogno di vivere in un paese dove processi del genere si allungano per cinque anni, e i blog si sequestrano per un sospetto. L'incubo per me non finisce qui, non credo che debba finir qui per nessuno.
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Vivono tra noi
21-01-2011, 10:35delitti e cronaca, famiglie, pedofilie, repliche, Rignano FlaminioPermalink[È un pezzo del maggio 2007]:
Amare i bambini
Noi siamo persone normali, persone buone. Abbiamo chi un cane, chi un gatto, chi almeno un canarino. E molti di noi hanno bambini. Sono belli, i bambini. Teneri, senza colpe. Sono angeli. Noi amiamo i bambini.
E questo ci riempie di angoscia, perché sono indifesi, i bambini. Se potessimo tenerli sempre con noi – ma non è possibile. Ogni tanto dobbiamo lasciarli andare fuori.
Fuori ci sono altre persone. Sembrano normali, come noi, ma non sono normali. Magari hanno un cane, hanno un gatto, come noi, ma sono mostri. Sono pedofili. Sono organizzati. Hanno libri e siti internet.
Adescano i nostri bambini. Li drogano, coi tranquillanti. Li costringono a fare cose che noi non riusciamo neanche immaginare. Davanti a una telecamera li molestano. Gli rubano l’infanzia e la felicità per sempre.
In una casa come la nostra c’è una stanza buia, in cui torturano i nostri bambini. Fuori i pulmini girano indisturbati, nel traffico pigro di metà mattina. Bidelli e benzinai sono d’accordo. Insegnanti e medici, custodi, obiettori, avvocati, preti. Non ti puoi fidare di nessuno.
I bambini di questo non parlano. Non esistono, alla loro età, le parole, per l’orrore che hanno dentro. Vorrebbero dimenticare.
Per salvarli dai pedofili, noi non li facciamo più uscire. Per aiutarli a non dimenticare, li chiudiamo in una stanza, e cominciamo con le domande. Quello che devono dirci, lo abbiamo già sentito da altri, a cui è successa la stessa cosa. Perché noi ci teniamo informati. Abbiamo libri, abbiamo siti internet.
Loro all’inizio non vogliono dire niente. Allora insistiamo. Li tempestiamo di domande.
Può durare un paio d’ore o un paio di giorni. A volte occorre abbassare la luce, e minacciarli. È durissimo ascoltarli quando ancora non vogliono parlare. È odioso riprenderli con una telecamera. Ma è l’amore che ci fa resistere, è l’amore che ci costringe a farli parlare. E alla fine l’amore vince sempre.
Arriva il momento in cui parlano. È terribile starli ad ascoltare, ma tutto quello che dicono di solito coincide. E non sono invenzioni. Tutti i racconti coincidono. Come potrebbero, bambini così piccoli, inventarsi dettagli così orribili. E sono sempre gli stessi! Chi può in buona fede pensare a un’invenzione? I bambini non mentono mai. Sono angeli.
Dopo aver parlato sono sempre molto scossi. Fanno fatica a uscire. A volte dobbiamo dargli tranquillanti, perché ciò che hanno ricordato, ciò che hanno vissuto in quella stanza buia è orribile. Resterà con loro per tutta la vita.
Ora però abbiamo il loro racconto. Lo metteremo su internet. Faremo girare anche il video, è giusto che tutti vedano, che tutti sappiano. Perché ci sono persone cattive là fuori.
Persone che torturano i bambini. Che mettono i video on line. Ci sono i mostri. Il mondo deve saperlo. E glielo dobbiamo dire noi.
Bisogna che tutti stiano attenti. Fuori c’è gente cattiva. Torturano i bambini. Dicono di amarli, ma sono i mostri.
Fuori i pulmini girano indisturbati, nel traffico pigro di metà mattina. Vigili e carabinieri sono d’accordo. Giornalisti e psicologi, giudici e magistrati. Di chi ti puoi fidare.
Amare i bambini
Noi siamo persone normali, persone buone. Abbiamo chi un cane, chi un gatto, chi almeno un canarino. E molti di noi hanno bambini. Sono belli, i bambini. Teneri, senza colpe. Sono angeli. Noi amiamo i bambini.
E questo ci riempie di angoscia, perché sono indifesi, i bambini. Se potessimo tenerli sempre con noi – ma non è possibile. Ogni tanto dobbiamo lasciarli andare fuori.
Fuori ci sono altre persone. Sembrano normali, come noi, ma non sono normali. Magari hanno un cane, hanno un gatto, come noi, ma sono mostri. Sono pedofili. Sono organizzati. Hanno libri e siti internet.
Adescano i nostri bambini. Li drogano, coi tranquillanti. Li costringono a fare cose che noi non riusciamo neanche immaginare. Davanti a una telecamera li molestano. Gli rubano l’infanzia e la felicità per sempre.
In una casa come la nostra c’è una stanza buia, in cui torturano i nostri bambini. Fuori i pulmini girano indisturbati, nel traffico pigro di metà mattina. Bidelli e benzinai sono d’accordo. Insegnanti e medici, custodi, obiettori, avvocati, preti. Non ti puoi fidare di nessuno.
I bambini di questo non parlano. Non esistono, alla loro età, le parole, per l’orrore che hanno dentro. Vorrebbero dimenticare.
Per salvarli dai pedofili, noi non li facciamo più uscire. Per aiutarli a non dimenticare, li chiudiamo in una stanza, e cominciamo con le domande. Quello che devono dirci, lo abbiamo già sentito da altri, a cui è successa la stessa cosa. Perché noi ci teniamo informati. Abbiamo libri, abbiamo siti internet.
Loro all’inizio non vogliono dire niente. Allora insistiamo. Li tempestiamo di domande.
Può durare un paio d’ore o un paio di giorni. A volte occorre abbassare la luce, e minacciarli. È durissimo ascoltarli quando ancora non vogliono parlare. È odioso riprenderli con una telecamera. Ma è l’amore che ci fa resistere, è l’amore che ci costringe a farli parlare. E alla fine l’amore vince sempre.
Arriva il momento in cui parlano. È terribile starli ad ascoltare, ma tutto quello che dicono di solito coincide. E non sono invenzioni. Tutti i racconti coincidono. Come potrebbero, bambini così piccoli, inventarsi dettagli così orribili. E sono sempre gli stessi! Chi può in buona fede pensare a un’invenzione? I bambini non mentono mai. Sono angeli.
Dopo aver parlato sono sempre molto scossi. Fanno fatica a uscire. A volte dobbiamo dargli tranquillanti, perché ciò che hanno ricordato, ciò che hanno vissuto in quella stanza buia è orribile. Resterà con loro per tutta la vita.
Ora però abbiamo il loro racconto. Lo metteremo su internet. Faremo girare anche il video, è giusto che tutti vedano, che tutti sappiano. Perché ci sono persone cattive là fuori.
Persone che torturano i bambini. Che mettono i video on line. Ci sono i mostri. Il mondo deve saperlo. E glielo dobbiamo dire noi.
Bisogna che tutti stiano attenti. Fuori c’è gente cattiva. Torturano i bambini. Dicono di amarli, ma sono i mostri.
Fuori i pulmini girano indisturbati, nel traffico pigro di metà mattina. Vigili e carabinieri sono d’accordo. Giornalisti e psicologi, giudici e magistrati. Di chi ti puoi fidare.
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Taormina chi lo paga? e altre domande
17-07-2007, 17:45delitti e cronaca, pedofilie, Rignano FlaminioPermalinkFa più danni un indignato
Le persone che usano più spesso e più intensamente internet sono più socievoli, hanno più amici, hanno rapporti familiari più intensi, più iniziativa professionale, meno tendenza alla depressione e all’isolamento, mostrano più autonomia, più ricchezza comunicativa e una maggiore partecipazione alla vita civile e politica rispetto agli altri. Non ve lo dico io, ma una ricerca dell’Università della Catalogna (in sette volumi), illustrata sull’ultimo Internazionale da Manuel Castells. Ecco, questo è esempio di come si parla di internet all’estero, sui giornali seri.
Sui giornali italiani invece l’idea che passa è che internet sia, sostanzialmente, un covo di maniaci che passano il tempo a stuprare i bambini su second life o a scambiarsi ecografie per fini pedo-porno (e dire che c'è un sacco di genitori che le ecografie le mette sui blog senza lucrarci neanche un po'): vedi l’ultima inchiesta a tinte fosche di Repubblica. In due pagine “degne di cronaca vera” (Wittgenstein) Paolo Berizzi si finge per noi pedofilo on line, chatta un po’ con qualche orco, ma appena le cose si fanno serie viene sopraffatto dallo schifo e lascia perdere. Sul serio, il reportage è tutto qui. Nel pezzo non c’è davvero nulla che non si sappia già: le cifre sono le solite dell’associazione Meter (Don Fortunato di Noto) e della polizia postale. I pedofili esistono, e usano internet per scambiarsi immagini pedoporno: se usano server italiani, e se scaricano su dischi rigidi nel territorio italiano, sono perseguibili ai termini di una delle leggi più aspre del continente. Quindi? A che serve questo “sollevamento della nostra indignazione a suon di aggettivi senza nulla intorno” (Mantellini)? A supporre che l’obiettivo del cronista sia creare un alone di terrore intorno a internet si pensa male – ma forse ci si azzecca.
Nella seconda parte del servizio Berizza si fa sfuggire qualcosa di più – la profonda indignazione per i siti di “pedofilia culturale”. Oddio, e cosa sarebbero? I siti, i forum e i blog in cui si difende la pedofilia come manifestazione d’amore nei confronti dei bambini eccetera eccetera. Per Berizzi questi siti sarebbero solo un paravento dietro al quale gli orchi proseguono il loro traffico immondo. Qui basterebbe usare il buon senso, e dare per scontato che a nessuno piaccia andare in galera: se è possibile che questi siti attirino i pedofili alle prime armi, è molto difficile che dei trafficanti inveterati siano così poco astuti da farsi pizzicare proprio lì, nel primo posto dove la polizia li andrà a cercare. Però Berizzi ci insiste molto, sull’ipocrisia dei pedofili culturali. Ha l’aria di pensare che quei siti andrebbero chiusi d’ufficio, anche se non commettono alcun reato. È la nota logica dei benpensanti: se chiudiamo il bar losco, la gente smetterà di spacciare lì intorno.
Il pensiero vola alla campagna anti-giorno-del-pedofilo-orgoglione, un episodio da cui Berizza non ha evidentemente imparato. Riassumo? C’è un sito internet, un piccolo sito di tre pagine striminzite senza quasi link all’esterno, che propone di festeggiare un certo giorno come “giorno dell’orgoglio pedofilo”. È da anni che la cosa va avanti, nell’indifferenza generale. Quest’anno però l’indignazione ha avuto un soprassalto, non si capisce perché. È stata fatta una campagna di firme via internet. C’è stata anche una marcia su Roma di associazioni anti-pedofilia. Risultato: il ministro delle comunicazioni ha reso il sito internet inaccessibile per i navigatori italiani. Perlomeno ci ha provato, con risultati scarsissimi. Le associazioni anti-pedofilia hanno cantato vittoria, malgrado il sito fosse ancora on line e visitabile. Non solo, ma grazie a tutto questo battage pubblicitario in quei giorni ha fatto un prevedibile record di accessi. Ecco il risultato dell’ultima di queste periodiche onde di indignazione. Fin qui la sensazione è quella di trovarsi di fronte a un'orda di indignati un po' pasticcioni, ma mossi dalle migliori intenzioni. La storia però è un po' più complicata di così.
Il contenuto di quel sito era noto da anni. Ogni tanto un giornalista italiano lo metteva in un pezzo di colore, e la cosa finiva lì. Quello che è successo quest’anno è un po’ diverso, e vede protagonisti i blog. L’indirizzo del sito appare una prima volta in un commento al blog di Massimiliano Frassi, fondatore della onlus Prometeo che combatte la pedofilia con metodi un po’ particolari, scrivendo libri allarmisti e discutibili e raccontando qualche panzana (anche ai radicali, a quanto pare). È lo stesso blog che pubblica liberamente foto di bambini sanguinanti o pieni di lividi, senza che nessuno ci trovi nulla di morboso (lui lo fa per creare indignazione, quindi è ok).
Frassi a dire il vero non è molto contento che quel link appaia sul suo sito, così scrive questa severa reprimenda: “Oggi che il blog è diventato il più letto in Italia cercate di non generare inutili problemi da chi non sa più dovre attaccarsi.....”. Nel frattempo però il meme è stato seminato.
In quegli stessi giorni, Frassi ha qualche ragione per essere di pessimo umore, per via di due inchieste in cui la sua associazione è coinvolta: Brescia e Rignano Flaminio. In entrambi i casi i genitori dei bambini si sono avvalsi della sua consulenza. I racconti fatti dai bambini sono molto simili. A Brescia, però, come a Rignano, gli inquirenti hanno un bel problema: non riescono a trovare prove. Per gli indagati di Brescia proprio in quei giorni è arrivata la sentenza: tutti innocenti (tranne uno). E allora? Il blog tira avanti, con notizie di cronaca nera e foto di bimbi abusati da tutto il mondo. Nei giorni successivi Frassi si fa patrocinatore di una vera e propria campagna-anti-giorno-dell’orgoglio-pedofilo, che arriva ai quotidiani più importanti e viene poi lanciata sulla carta stampata dai quotidiani Epolis.
E il ventitré giugno marcia su Roma, con la Prometeo e le altre associazioni dei genitori: ricevuto da Bertinotti, dal sottosegretario all’economia Paolo Cento e dai presidenti di regione e provincia, Marrazzo e Gasbarra. L’idea è quella di fronteggiare i pedofili nel loro giorno dell’orgoglio. La richiesta formale è quella di formare una super-procura anti-pedofilia. E poi ce n’è un’altra, di cui sui giornali si parla meno: l’assistenza legale. Secondo il giustiziere, quel giorno Marrazzo e Gasbarra si sarebbero fatti sfuggire una promessa importante: finanziare le spese processuali dell’Agerif, l’associazione dei genitori di Rignano Flaminio. Ogni promessa è un debito, e questa lo è un po’ di più, visto che l’Agerif, a corto di prove, aveva appena assunto l’Avvocato Taormina. Uno che a occhio non costa poco.
C’è da dire che l’irruzione di Taormina in questo caso non ha portato gli sviluppi attesi. Ai primi avvistamenti da Vespa e Mentana c’eravamo aspettati il carrozzone mediatico in stile Cogne. Poi però è scomparso. Se ha deciso per una strategia diversa, tanto meglio (anche perché il metodo Cogne non è stata così produttivo, dopotutto).
Rimane l’interrogativo: Taormina chi lo paga? Non è per caso una voce del bilancio dei contribuenti della regione Lazio, vero? Ed è possibile che queste ondate di indignazione vengano orchestrate da persone che tentano di specularci su? Sì, è possibile. E sarebbe uno scandalo: non mostruoso come quello della pedofilia, ma comunque uno scandalo.
Le persone che usano più spesso e più intensamente internet sono più socievoli, hanno più amici, hanno rapporti familiari più intensi, più iniziativa professionale, meno tendenza alla depressione e all’isolamento, mostrano più autonomia, più ricchezza comunicativa e una maggiore partecipazione alla vita civile e politica rispetto agli altri. Non ve lo dico io, ma una ricerca dell’Università della Catalogna (in sette volumi), illustrata sull’ultimo Internazionale da Manuel Castells. Ecco, questo è esempio di come si parla di internet all’estero, sui giornali seri.
Sui giornali italiani invece l’idea che passa è che internet sia, sostanzialmente, un covo di maniaci che passano il tempo a stuprare i bambini su second life o a scambiarsi ecografie per fini pedo-porno (e dire che c'è un sacco di genitori che le ecografie le mette sui blog senza lucrarci neanche un po'): vedi l’ultima inchiesta a tinte fosche di Repubblica. In due pagine “degne di cronaca vera” (Wittgenstein) Paolo Berizzi si finge per noi pedofilo on line, chatta un po’ con qualche orco, ma appena le cose si fanno serie viene sopraffatto dallo schifo e lascia perdere. Sul serio, il reportage è tutto qui. Nel pezzo non c’è davvero nulla che non si sappia già: le cifre sono le solite dell’associazione Meter (Don Fortunato di Noto) e della polizia postale. I pedofili esistono, e usano internet per scambiarsi immagini pedoporno: se usano server italiani, e se scaricano su dischi rigidi nel territorio italiano, sono perseguibili ai termini di una delle leggi più aspre del continente. Quindi? A che serve questo “sollevamento della nostra indignazione a suon di aggettivi senza nulla intorno” (Mantellini)? A supporre che l’obiettivo del cronista sia creare un alone di terrore intorno a internet si pensa male – ma forse ci si azzecca.
Nella seconda parte del servizio Berizza si fa sfuggire qualcosa di più – la profonda indignazione per i siti di “pedofilia culturale”. Oddio, e cosa sarebbero? I siti, i forum e i blog in cui si difende la pedofilia come manifestazione d’amore nei confronti dei bambini eccetera eccetera. Per Berizzi questi siti sarebbero solo un paravento dietro al quale gli orchi proseguono il loro traffico immondo. Qui basterebbe usare il buon senso, e dare per scontato che a nessuno piaccia andare in galera: se è possibile che questi siti attirino i pedofili alle prime armi, è molto difficile che dei trafficanti inveterati siano così poco astuti da farsi pizzicare proprio lì, nel primo posto dove la polizia li andrà a cercare. Però Berizzi ci insiste molto, sull’ipocrisia dei pedofili culturali. Ha l’aria di pensare che quei siti andrebbero chiusi d’ufficio, anche se non commettono alcun reato. È la nota logica dei benpensanti: se chiudiamo il bar losco, la gente smetterà di spacciare lì intorno.
Il pensiero vola alla campagna anti-giorno-del-pedofilo-orgoglione, un episodio da cui Berizza non ha evidentemente imparato. Riassumo? C’è un sito internet, un piccolo sito di tre pagine striminzite senza quasi link all’esterno, che propone di festeggiare un certo giorno come “giorno dell’orgoglio pedofilo”. È da anni che la cosa va avanti, nell’indifferenza generale. Quest’anno però l’indignazione ha avuto un soprassalto, non si capisce perché. È stata fatta una campagna di firme via internet. C’è stata anche una marcia su Roma di associazioni anti-pedofilia. Risultato: il ministro delle comunicazioni ha reso il sito internet inaccessibile per i navigatori italiani. Perlomeno ci ha provato, con risultati scarsissimi. Le associazioni anti-pedofilia hanno cantato vittoria, malgrado il sito fosse ancora on line e visitabile. Non solo, ma grazie a tutto questo battage pubblicitario in quei giorni ha fatto un prevedibile record di accessi. Ecco il risultato dell’ultima di queste periodiche onde di indignazione. Fin qui la sensazione è quella di trovarsi di fronte a un'orda di indignati un po' pasticcioni, ma mossi dalle migliori intenzioni. La storia però è un po' più complicata di così.
Il contenuto di quel sito era noto da anni. Ogni tanto un giornalista italiano lo metteva in un pezzo di colore, e la cosa finiva lì. Quello che è successo quest’anno è un po’ diverso, e vede protagonisti i blog. L’indirizzo del sito appare una prima volta in un commento al blog di Massimiliano Frassi, fondatore della onlus Prometeo che combatte la pedofilia con metodi un po’ particolari, scrivendo libri allarmisti e discutibili e raccontando qualche panzana (anche ai radicali, a quanto pare). È lo stesso blog che pubblica liberamente foto di bambini sanguinanti o pieni di lividi, senza che nessuno ci trovi nulla di morboso (lui lo fa per creare indignazione, quindi è ok).
Frassi a dire il vero non è molto contento che quel link appaia sul suo sito, così scrive questa severa reprimenda: “Oggi che il blog è diventato il più letto in Italia cercate di non generare inutili problemi da chi non sa più dovre attaccarsi.....”. Nel frattempo però il meme è stato seminato.
In quegli stessi giorni, Frassi ha qualche ragione per essere di pessimo umore, per via di due inchieste in cui la sua associazione è coinvolta: Brescia e Rignano Flaminio. In entrambi i casi i genitori dei bambini si sono avvalsi della sua consulenza. I racconti fatti dai bambini sono molto simili. A Brescia, però, come a Rignano, gli inquirenti hanno un bel problema: non riescono a trovare prove. Per gli indagati di Brescia proprio in quei giorni è arrivata la sentenza: tutti innocenti (tranne uno). E allora? Il blog tira avanti, con notizie di cronaca nera e foto di bimbi abusati da tutto il mondo. Nei giorni successivi Frassi si fa patrocinatore di una vera e propria campagna-anti-giorno-dell’orgoglio-pedofilo, che arriva ai quotidiani più importanti e viene poi lanciata sulla carta stampata dai quotidiani Epolis.
E il ventitré giugno marcia su Roma, con la Prometeo e le altre associazioni dei genitori: ricevuto da Bertinotti, dal sottosegretario all’economia Paolo Cento e dai presidenti di regione e provincia, Marrazzo e Gasbarra. L’idea è quella di fronteggiare i pedofili nel loro giorno dell’orgoglio. La richiesta formale è quella di formare una super-procura anti-pedofilia. E poi ce n’è un’altra, di cui sui giornali si parla meno: l’assistenza legale. Secondo il giustiziere, quel giorno Marrazzo e Gasbarra si sarebbero fatti sfuggire una promessa importante: finanziare le spese processuali dell’Agerif, l’associazione dei genitori di Rignano Flaminio. Ogni promessa è un debito, e questa lo è un po’ di più, visto che l’Agerif, a corto di prove, aveva appena assunto l’Avvocato Taormina. Uno che a occhio non costa poco.
C’è da dire che l’irruzione di Taormina in questo caso non ha portato gli sviluppi attesi. Ai primi avvistamenti da Vespa e Mentana c’eravamo aspettati il carrozzone mediatico in stile Cogne. Poi però è scomparso. Se ha deciso per una strategia diversa, tanto meglio (anche perché il metodo Cogne non è stata così produttivo, dopotutto).
Rimane l’interrogativo: Taormina chi lo paga? Non è per caso una voce del bilancio dei contribuenti della regione Lazio, vero? Ed è possibile che queste ondate di indignazione vengano orchestrate da persone che tentano di specularci su? Sì, è possibile. E sarebbe uno scandalo: non mostruoso come quello della pedofilia, ma comunque uno scandalo.
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