- aguzzate la vista

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Gli identikit e i sondaggi: cos'hanno in comune?

Niente. Sono solo gli argomenti di oggi. A volte nei blog si fa così: si pigliano i due fatti del giorno, li si frulla insieme, e ci si crede intelligenti. Prendete nota, ché capiterà anche a voi.

Gli identikit, come i sondaggi, devono dosare realismo e fantasia. Tradurre sensazioni in dati oggettivi – che poi oggettivi non sono mai. In parte è scienza, ma la premessa è pura magia: dalla foto di un ragazzo, tirar fuori un uomo anziano. Da qualche agguato a un seggio, tirar fuori un risultato nazionale. I disegnatori di identikit, come i rilevatori di sondaggi, si muovono sulla lama sottile tra soggettività e luogo comune. Metà professionisti metà ciarlatani, fanno un mestiere ad alto rischio di errore.
E infatti ultimamente prendono cantonate clamorose. Perdonate se continuo a battere sul tasto, ma un blog serve anche a questo. Gli exit poll sono sondaggi molto costosi e rischiosi, che costano quattrini alla collettività, con l'unico risultato di causare malessere psicologico e anche fisico almeno a una parte della collettività. (Io, per dire, ho avuto un'eruzione cutanea). Gli identikit dovrebbero aiutarci a lottare contro il crimine – ma chi lo avrebbe mai riconosciuto, Provenzano, da quell'identikit? Nemmeno i parenti, andiamo.

Gli errori sono facili da rintracciare, col senno del poi – ma solo col senno del poi? Gli elettori di centrodestra sono più timidi all'uscita del seggio, è cosa nota – ma visto che si sapeva già, perché non sono stati applicati dei correttivi? E il naso delle persone cresce, è una delle poche cose che continua a crescere anche in età avanzata, lo so persino io, com'è possibile che i professionisti della Polizia di Stato (o dei CC) abbiano affibbiato al boss Provenzano quel nasino da ragazzo? Un paio di occhiali, poi, a quell'età è quasi d'obbligo. Tutte facili obiezioni. Perfetto, ecco cosa deve fare un blog: le facili obiezioni. Così poi i professionisti hanno più tempo per fare le obiezioni complesse.

I sondaggi, come gli identikit, hanno un'ultima cosa in comune: convincono. Malgrado i ripetuti fallimenti, riescono sempre a creare un'aura di credibilità intorno a sé. Come le opere d'arte, sono a volte più verosimili del vero. Non ci dicono la verità, ma quello che vorremmo sentirci dire. E allora forse vale la pena di leggerli alla rovescio: l'identikit più visto d'Italia non ci mostrava il volto di Provenzano, ma la nostra idea di Provenzano. Il Provenzano che ci sarebbe piaciuto incontrare e catturare.

Un uomo, per prima cosa. Non un vecchietto col collo grinzoso, gli occhiali da vista, il naso a patata. A dispetto dell'anagrafe, un uomo di mezza età, vigoroso, lo sguardo impercettibilmente malinconico, ma senza pietà. Il disegnatore ha azzeccato gli zigomi, ma ci ha messo sopra uno strato di pelle sottile, come se Provenzano fosse un modello a dieta. Forse è lo Zeitgeist, forse ormai siamo capaci di disegnare soltanto modelli a dieta. I parchi di ogni città d'Italia sono pieni di pensionati dagli zigomi morbidi e gonfi, ma il Provenzano-Ideale ha due spigoli scavati nel legno. Perché non è un pensionato. È un dirigente. E quindi non è un nonno: è un padre.

(In un romanzo di Lucarelli c'è un killer geniale che si camuffa da nonno. Si camuffa così bene che tutti quelli che lo vedono passare, pensano istintivamente ai loro nonni. Provenzano si è travestito nella stessa maniera per tutti questi anni).

Domenica abbiamo dovuto scegliere, come capo di governo per i prossimi cinque anni, tra due candidati sulla soglie della settantina. La cosa è già bizzarra da sé (a settant'anni, io non credo che farò progetti quinquennali, né per me né per il mio Paese). Ma ancor più bizzarro è il fatto che il più anziano dei due, Berlusconi, abbia cercato per tutto il corso della campagna di accreditarsi come più giovane e scattante: via le rughe, pelle tirata sotto gli zigomi, stile arrogante da imprenditore in carriera. Mentre Prodi, vuoi per reazione, vuoi per istinto, si è sforzato assai più del necessario a interpretare il ruolo del nonno, bonario e rassicurante – e la guancia cascante certo non gli difettava.

Io a Prodi voglio bene – ridendo e bofonchiando, è l'unico italiano ad aver battuto Berlusconi, e non una ma due volte. Di misura, d'accordo, ma l'ha battuto – e il fatto che l'abbia battuto un tipo così grigio e qualunque come lui, mi dà un surplus di soddisfazione, "se ce l'ha fatta lui poteva farcela chiunque", è la sconfitta di ogni logica di mercato politico, qualcosa di incomprensibile per qualsiasi esperto di scienze della comunicaz. E poi è un reggiano testaquadra, un prof di Bologna, la sintesi di ciò che l'Emilia ha di più rassicurante. Ma soprattutto Prodi è già un nonno, e il nonno in Italia funziona. Da Pertini in poi, perlomeno. Per carità, io quelli che parlano di ricambio generazionale li capisco, e li stimo. Ciascuno di loro mi sembra una persona intelligente. Ma presa nel suo insieme, la generazione dei quarantenni mi sembra una massa di bambinoni inaffidabili. Ora come ora preferisco puntare sui nonni. Usato sicuro.

Anche Berlusconi anagraficamente è un nonno – ma è quel tipo di nonno che tenta in tutti i modi di restare un padre. E come un padre ti blandisce e ti sbeffeggia, è diventato il Rivale, ti toglie spazio, ti dà del coglione e t'impedisce di crescere, si risposa con una ragazza della tua età – è il Padre da sconfiggere. Con l'aiuto del Nonno, l'insospettabile killer.

Io, se non s'era ancora capito, sono rimasto a Freud: gira che ti gira, noi facciamo politica anche per uccidere papà. L'identikit che ha fatto il giro di mille giornali e telegiornali, non ci diceva molto su Provenzano – in compenso è il ritratto sputato del nostro Papà collettivo: ancora in forma, spietato, triste, il rivale perfetto. Dovevamo scovarlo. Tradirlo. Questo ci chiedeva, l'identikit.
E stamattina a un certo punto il telegiornale lo ha mostrato: il Padre è stato tradito, ora è solo un povero vecchio. E intanto su Internet il Nonno, paziente, vinceva la sua ultima partita. Troppo bello per esser vero. Infatti non lo è. Sono solo simboli: si pigliano i due fatti del giorno, si frullano, e a volte quel che salta fuori è tutto qui: simboli. A cosa servono? A niente, forse. E gli identikit, a cosa servono? E i sondaggi?
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- allacciate le maniche

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Ma chi è che diceva di vivere nell'LSI, il Libero Stato d'Isteria? Io? L'ho detto io? Ma allora avevo ragione, su una cosa almeno.

Il nostro è uno Stato di Incoscienza, un paradosso popolato da 57 milioni di persone a cui è meglio dare sempre ragione, sempre, perché non si sa mai. Questo solo stamattina posso dirvi, e se non siete d'accordo vi cito semplicemente due dati:

* Gli exit poll.
Non ci hanno preso, tante grazie, ma avete notato che non ci prendono mai? Voglio dire, non è fantastico? Una rilevazione statistica che sfida le stesse leggi della probabilità. Si tratta di decidere se ha vinto X o Y, e non ci sono terze opzioni. Se faccio con la monetina testa o croce, ho il 50% di probabilità di azzeccarci. Ma se mi affido agli exit poll, da dieci anni a questa parte, ho lo 0% di probabilità, che sono 50 punti percentuali sotto la monetina. Ciononostante noi, voglio dire la Rai, paghiamo un prestigioso Istituto perché ci mostri degli exit poll a partire dalle 15 del pomeriggio. Perché? Perché siamo matti, non ci sono altre spiegazioni. Faccio presente il Mago Otelma in diretta tv avrebbe maggiori possibilità di azzeccarci. O al limite potrei andare io, in tv, a lanciare la monetina, e Ilvo Diamanti poi commenterebbe il mio lancio di monetina, e vi garantisco che io costo meno del Prestigioso Istituto.
E mi spiace citare una persona così apparentemente seria come Diamanti, ma l'ho sentito io, ieri, io con le mie orecchie, spiegare che un dibattito pomeridiano su dati farlocchi avrebbe dato forma al dibattito politico nazionale vero e proprio: il che in un certo senso è perfino vero: la nostra classe dirigente è formata da isterici che sono diventati tali a furia di compulsare compulsivamente statistiche farlocche e sempre - sempre! - sbagliate.

Ora alla Rai diranno che lo fanno per battere la concorrenza, e la concorrenza dirà che lo fa per battere la Rai, e in ogni caso è quel che il publico vuole: ma il pubblico, se non ci fossero le proiezioni degli exit poll, non guarderebbe la diretta con le proiezioni degli exit poll. E' chiaro che se arrivi nel Paese dei matti col carrozzone e prometti l'Elisir di lunga vita, la gente viene a vederti: ma questo non significa necessariamente che la gente per partito preso ami essere presa in giro. E' un ragionamento folle. Non è più un ragionamento. E' follia e basta.

La cosa fantastica è che lo diranno tutti, si lamenteranno tutti, e tra due-tre anni saranno lì di nuovo a guardare gli exit poll. Perché - non me ne voglia Mantellini - gli statistici hanno un modo fantastico per autopromuoversi, sarà il colore delle cravatte, loro muovono un po' la testa e il matto che è in noi non capisce più nulla, ha detto il signore che l'Ulivo è sopra di cinque punti, wow.

*Gli italiani all'estero
E a voi magari sembra ormai una cosa normale. Ma non lo è! E' follia pura! Follia illiberale, tra l'altro, in un Paese dove a momenti si spacciano per liberali anche gli animali domestici. Lo devo ripetere? Ci sono nel mondo persone d'origine italiana che, senza contribuire al PIL, senza usufruire dei servizi dello Stato, probabilmente senza pagare tasse, possono decidere col loro voto la maggioranza in Parlamento e il Governo. Una cosa folle, che va contro un principio elementare del liberalismo ("Non c'è tassazione senza rappresentazione", e viceversa: lo dicevano i patrioti americani). Una cosa che rende il nostro Paese unico al mondo - come se ce ne fosse il bisogno: soltanto noi italiani regaliamo le decisioni sul nostro futuro a chi vive da generazioni a un oceano di distanza.

Io lo scrissi già tre anni fa, e volentieri qui mi ripeto: molti se ne stanno accorgendo soltanto stamattina. Complimenti. Benvenuti nell'LSI, Libero Stato Isterico. Allacciate le cinture della camicia di forza e buon viaggio. Quando arriveremo non si sa, e a questo punto chi se ne frega. L'importante è stare in giro.
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- scaromantico

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Sto pensando che forse ce la facciamo forse ce la facciamo forse ce la facciamo dai.
Ma se non ce la facciamo?

Io ai sondaggi non credo - ma ai brogli, ai brogli un poco sì.
Questa cosa del voto elettronico in Liguria, Lazio, Sardegna, Puglia… voti registrati su chiavette USB… voi vi fidereste di una chiavetta USB? Io no.
Io vedrò, non mi sbilancio, ma se i risultati sono un po' strani potrei anche prendere il treno e venire ad accamparmi in quella piazza, come si chiama, la Piazza di Monte Citorio. E invito tutti a pensarci seriamente: martedì mattina si prende un treno e via. Si fa picchetto, si denunciano i brogli, si chiede un riconteggio, un rivoto, qualunque cosa. Come l'Ucraina, ma senza bandierine colorate. Oppure sì, perché no, io non ho niente contro le bandierine colorate, prego. Come a Kiev, ma a Roma.
E Roma in aprile ha da esser bella.

I tre giorni che sconvolsero il mondo, a partire da domani

Sto pensando che mi piace questa idea di venir giù in treno martedì a far la rivoluzione a Roma. Che a Roma c'è gente che non vedo dai millenni. Sul serio, a Roma c'ho degli amici che a quest'ora li hanno messi coi Fori, da tanto che sono antichi. Ché già ce li vedo: lì c'è la Basilica di Massenzio, lì l'Arco dell'Imperatore Caio Sempronio, e lì i miei amici che non vedo, appunto, dal duemila avanticristo, e manco li chiamo più, dalla vergogna.
Ma t'immagini se martedì all'improvviso suona il telefono: "Ehi, son proprio io, indovina, sto venendo a Monte Citorio a fare la rivoluzione, esatto, hai sentito? siamo in parecchi, dai vieni pure tu!" Ci faccio persino una bella figura. E poi si sta un po' in piazza, si grida, si schiamazza, ci si informa su cosa abbiamo combinato negli ultimi secoli, e ne avremo di cose da dirci. Altrimenti finisce che non ci vediamo proprio mai più, mai più, la vita è una sola e a volte neanche tutta.
Insomma di motivi per fare una rivoluzione ce ne sono sempre, ma in aprile, a Roma, io fatico a trovare dei motivi per non farla.

Mi dispiace per la mia ragazza, che martedì sarà al lavoro, e ha ordini per tutta la settimana. Mi spiace un sacco. Ma la mia scuola è sede di seggio, io sono congedato fino a tutte le vacanze di Pasqua, e come me tanti studenti, così se m'immagino la rivoluzione d'aprile a Roma, ci vedo molti insegnanti e soprattutto studenti, torme di studenti, e ce li vedo bene gli studenti accampati in Monte Citorio a Roma, che di notte si stringono nel cellophane, come ai tempi di Tienammen – sono carini gli studenti, tutti gli vorranno bene, tutta l'Europa ci vorrà bene se in aprile si fa la rivoluzione a Roma, verranno delegazioni dall'Ucraina e da Parigi, sarebbe una cosa dolcissima.

Bisognerebbe solo stare attenti che nessuno si metta a bruciare le macchine – che tanto lo so come va a finire. Io sono quel tipo di rivoluzionario che finisce sergente nel servizio d'ordine, lo sfigato che di notte andrà di ronda per via che nessuno bruci le macchine. Andrà come Genova, io lo so. A Genova venne Manu Chao per un concerto, e io avevo la maglietta gialla del servizio d'ordine noglobal, una contraddizione in termini. Dovevo impedire alle persone di oltrepassare la linea gialla della corsia ambulanza – adesso ditemi voi come si fa a impedire a dei ragazzini venuti da tutto il mondo per oltrepassare una linea rossa a dirgli che oltrepassare la linea rossa è ok, ma quella gialla non si può – e poi cercavo anche di tenerli lontani dagli scogli, non volevo che si rompessero la testa, è da scemi rompersi la testa il giorno prima della revolución.

Mi dispiace per la mia ragazza, ma se vado a Roma è anche per una questione di responsabilità, i ragazzini non capiscono oggettivamente nulla, cominceranno a bruciare le macchine ancor prima di capire cosa sta succedendo, ci vuole qualche trentenne posato che mantenga un barlume di ragione in mezzo al carnevale, e se proprio devo essere io, io mi sobbarco, sarà come andare in gita scolastica, salvo che si fa la rivoluzione.

Poi se qualche giornalistucolo del cazzo, non sapendo chi inquadrare, inquadra me, io lo so già cosa dire: "rifiutiamo i risultati di queste elezioni, che riteniamo inquinate da brogli elettorali. Facciamo appello al Presidente della Repubblica affinché indica al più presto nuove elezioni sotto l'egida di osservatori stranieri eccetera"
"Ma lei a nome di chi parla?"
"Io parlo al nome del popolo, e lei in nome di chi fa le domande, scusi?"
"Ma è vero che bruciate le macchine?"
"Non è vero, però è fantastico. Vi hanno fottuto le scuole gli ospedali le pensione le tasse il futuro sotto il naso, ma se vi fottono la macchina guai, la macchina è sacra".
"Buona questa, però adesso me la devi ripetere con un'altra parola al posto di fottono, così la possiamo mandare in fascia protetta, ti va?"

Non sarebbe fantastico trovarsi di nuovo tutti lì, con gli amici di Roma e con gli amici di tutta l'Italia, e l'Europa, tutti quegli amici di amici che nemmeno ricordiamo di avere, davanti alle telecamere del cazzo a parlare in nome del popolo? E se piove non ci sarà neanche troppo fango, non c'è terriccio in sul Monte Citorio, se ricordo bene. E se qualche poliziotto viene a romperci la testa, sarà certo un danno, ma non ne sarebbe valsa la pena? Tutti quanti su Monte Citorio per tre giorni, non saprei immaginarmi una primavera più bella e più giusta. Mi spiace solo per la mia ragazza, ma se teniamo duro fino a sabato potrebbe scendere anche lei. Sarà Pasqua e avremo vinto. Campane, campane dappertutto. Quante campane ci sono a Roma? Andremo a suonarle tutte. Ci faremo dare la lista delle parrocchie e convinceremo educatamente ogni parroco di Roma. E il mondo intero starà ad ascoltare e capirà come si fanno le rivoluzioni fatte bene. Una rivoluzione che ce la copieranno a Teheran e a Washington, e in tutte le città dove c'è decisamente bisogno di una rivoluzione. E ancora per millenni gli studenti in gita scolastica si sentiranno dire: sulla vostra destra c'è la famosa Piazza di Monte Citorio, dove scoppiò la famosa rivoluzione che tutti da allora si sognano, la Rivoluzione delle Campane, ding dong, ding, dong

"L'hai sentita la sveglia, o no?"
"Scusa, stavo facendo un sogno".
"Un brutto sogno?"
"Lasciami pensare. No".
"Senti io devo andare, ho un sacco di lavoro e lo sai. La colazione è pronta. Ricordati di andare a votare".
"Votare".
"Così vinciamo e non se ne parla più".
"Vinciamo?"
"Non lo so se vinciamo, come faccio a saperlo? Ma sei sicuro di essere sveglio?"
"Temo di sì".

Sto pensando che forse ce la facciamo, ma se non ce la facciamo? Ma dovremmo farcela, ma se non ce la facciamo?
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- post coitum

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Non-fingere

Salve, proprio io, non te l'aspettavi, eh?
Nel bel mezzo del tuo lavoro squallido.
E sì che sono io, insomma non ti fidi?
Mi hai preso per un comico? Macché
Nessuno sa imitarmi come me.

E dunque eccitami, su, è il tuo mestiere, o no?
Dimmi che vuoi votare solo me.
Non devi fare finta, con me non puoi far finta,
Io me ne accorgo, e poi ti pago bene,
dimmi che vuoi votare solo me.

Non è come tu pensi, io non mi sento solo:
stasera ero a un comizio, la gente mi invocava,
la cena, e poi gli autografi, non riuscivo ad andar via.
(La gente non lo vuole, tu questo lo capisci,
la gente mi ama troppo, la gente non vorrebbe
vedermi mai andar via).
Così si è fatto tardi, il sonno mi è passato,
in tv film di merda, nessun sondaggio fresco
(tu puoi capirlo – essendo nel settore:
c'è un'ora della notte, un'ora sola, e lunga,
in cui anche l'uomo più amato del Paese
non riesce a farsi dire un solo sì).
Ma tu me lo puoi dire – soltanto, non-far-finta.
Non sono uno di quelli, con me non puoi far finta.
Inoltre pago bene, per cui avanti, dillo,
che vuoi votare solamente me.

E no che non mi annoio, io non mi annoio mai.
Lavoro sedici ore al giorno, non lo sai?
E tu?
Lo vedi, solo dieci, lo vedi come va:
per questo io faccio il leader, tu la centralinista.
E in più io sono figlio di un professionista
Mentre tuo padre era operaio, vero?
– ma devi dirla giusta, con me non puoi far finta,
io me ne accorgo subito, e inoltre pago bene,
per questo sai che voterai per me.

Ci pensi a quante cose in comune, tra me e te:
noi arrapiamo il popolo, questo è il nostro mestiere.
E quante cose io potrei insegnarti
sull'essere gentile, disposta e mai sincera,
soprattutto mai sincera – sennò ti vien da ridere,
e non si deve ridere! S'ammoscia se tu ridi.
Sorridere bisogna, a denti stretti, sempre
sorridere e sudare, è questo il mio mestiere
(e il tuo, natuaralmente).
Ma stanotte è diverso.
Stanotte non puoi fingere, ti parlo da collega,
se fingi lo capisco, se fingi non ci riesco.
Ti prego, sii te stessa
E dimmi che vuoi votare solo me.

Ma sì, mi rendo conto
Che il tempo è denaro per entrambi.
Tu sai la tua tariffa al minuto, ma la mia?
Lo sai quanto vi costo al minuto, signorina?
Non puoi saperlo, è un conto che ho fatto solo io
Non lo sa neanche Giulio (del resto lui è una frana
Con la calcolatrice).
Ma quasi quasi, sai? A te io lo direi
mi sembri un tipo ammodo, lo sai che me ne intendo
E inoltre pago bene, perciò mi devi dire
che vuoi votare sempre e solo me.

È solo un mio capriccio, sondaggi io ne ho,
e guardacaso dicono quello che voglio io
(del resto è matematico, più paghi più hai ragione
non devi dirlo a me).
Io sono nel settore da trent'anni, si può dire
che i trucchi del mestiere te li ho inventati io
È un gioco troppo facile: più paghi più hai ragione.
Io forse pago troppo, ma questo non vuol dire
che tu ora possa fingere, io me ne accorgo subito,
perciò ora sii sincera, prova a essere sincera
nel dirmi che tu voterai per me.

Non ridere, non ridere,
non c'è niente da ridere:
è quell'ora della notte,
e io ti pago, sai.

Cerca di rilassarti, sii te stessa,
parlami un po' di te, ce l'hai un ragazzo?
Cosa? Hai una bimba? Fantastico! E si chiama?
Silvia! Ma pensa! Che bel nome! Silvia!
E il padre? Ma perché non vi sposate, voi ragazzi?
Io me lo chiedo sempre, perché non vi sposate?
La famiglia è importante, il mettere su casa,
e io posso anche aiutarvi.
L'assegno famigliare, vi toglierò le tasse,
vi laverò la macchina – se tu sarai sincera
devi essere sincera,
e dire che tu voterai per me.

Non può essere altrimenti,
non sei una cogliona.
Sei una che lavora,
non stai coi comunisti.
Mi sembri un tipo ammodo
Senz'altro intelligente
Bella presenza, immagino
– e io non sbaglio mai.
Perché non vieni su
a Cologno, un giorno o l'altro?
Un talento come te
è sprecato per le hotline.
Tu hai tutto quel che serve per sfondare.
Ti basta essere te stessa
– avanti, sii te stessa –
quando dici che mi vuoi
votare, che tu vuoi
votare solo me.

Adesso
Vuoi votare solo me
Dimmelo
Dimmelo
Non Fini, non Casini
Con Prodi non ci godi
Tu vuoi votare solamente me
Dimmelo
Dimmelo
Ma devi essere sincera
Se non sei sincera non ci riesco
Se non sei te stessa io non posso
E se scoppi a ridere io non…

Clic

Ma cribbio, cos'hanno tutte stanotte? Fanno le preziose, fanno.
Con quel che costano.
Proviamone un'altra, va.
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- ombre nere

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E poi, già, ci sarebbe anche il problema dei fascisti.
Ogni tanto bisognerebbe abbassarsi a dirlo. Che stavolta la Casa delle Libertà ha pescato veramente nel torbido; che il primo risultato della svolta di Fini è un bollino nella scheda elettorale con alcune siglette e fiammelle che non avremmo più pensato di trovarci, roba da volantino di liceo o da curva di stadio: fronte nazionale, forza nuova, sul serio? Se vince Berlusconi questa gente va in parlamento? Ma li faranno entrare, in bomber?

Chi non molla è perduto

Il rischio è di sembrare antipatici, radicalscic, anche un po' fuori dal tempo: i fascisti al governo, capirai. Come se in questi anni non avessimo avuto Buontempo o Storace (per dirne due a caso), e monumenti ai caduti di Salò e proposte di pensione ai reduci repubblichini, e fiction su quant'era brava e tosta Edda Ciano. Per cui insomma, uno o due simbolini con la fiamma in più o in meno che differenza fanno? Ma sul serio, cosa cambierà con una dozzina di deputati di Alternativa Sociale in più in parlamento? Cerchiamo di essere moderni, disinvolti, disinibiti. Fiamme tricolori a parte, cosa c'è di così sconvolgente nel programma di Alessandra Mussolini e compagnia? È il classico memo nazionalista: soldi alle famiglie baluardo di civiltà, soldi agli africani, così restano in Africa a farsi i cazzi loro, soldi un po' a tutti, tanto li stampiamo noi, no? (No. Glielo spiegherà poi Tremonti). Il lancio d'ortaggi al Candidato Luxuria, gesto esecrabile in sé, dà la misura della distanza dallo squadrismo storico, quello che bastonava a sangue. Vien da pensare che in Parlamento c'è già di peggio: che magari un po' di bomber tricolori possono equilibrare quegli altri simpatici in camicia verde, che non sono meno pericolosi.

Cosa c'è che non va, allora. Non lo so. Una sensazione. Non è la Mussolini in tv, non è neanche la celtica allo stadio. Gran parte del fascismo contemporaneo è puro folklore, eppure… quando succedono cose terribili come la morte del bambino Tommaso, quando una nazione compatta finalmente può liberarsi fiera, perfettamente giustificata, al suo Quarto d'Ora d'Odio… ti chiedi se in giro non ci sia più voglia di fascismo di quanta le liste elettorali riescano effettivamente a soddisfare.

A questo punto ti verrebbe voglia di misurarti col fenomeno, ma non è facile. Il fascismo è sfuggente. Contrariamente a una certa mitologia (Boia chi molla, chi si ferma è perduto, se indietreggio uccidetemi, ecc. ecc.), non c'è nulla di più sgusciante di un fascista. Sul serio. Prova a trovarne uno, prova a parlarci. Dalle mie parti, perlomeno, è impossibile. Ci sono, ma non si vedono. Sì che il fascismo serio, squadrista e agrario, lo abbiamo inventato qui: c'è scritto sui libri di Storia, e io mi fido. Eppure passiamo per regione rossa. Rossa? Ma è pieno d'ombre, anche qui. Io di sera ne ho viste. Ma scompaiono al sole.

Il caso che conosco meglio è quello di Forza Nuova a Modena. Oddio, "conosco meglio". In realtà non li conosco affatto, quelli di Forza Nuova a Modena. Perché sgusciano, appunto. Nei cinque anni di vita di questo blog, hanno fatto in tempo ad aprire due sedi in Centro – in entrambi i casi scomodando un bel po' di antifascisti incazzati e di forze dell'ordine. Mica male per un'organizzazione politica – salvo che a nessuno dei due indirizzi, oggi, risulta un'organizzazione di nome Forza Nuova. Al punto da chiedersi: ma esiste o no, Forza Nuova a Modena? E se non esiste, perché ci ha fatto perdere tanto tempo?

Prendi me. Ogni volta che Forza Nuova apriva una sede in Centro, io ho trovato un modo per farmi compatire.
La prima volta, è successo esattamente cinque anni fa. Cinque anni e un giorno. A quel tempo io ci abitavo, in Centro; ma non avevo la residenza. Come a dire che non potevo parcheggiare sotto casa.
Il giorno che ho saputo che Roberto Fiore stava per sbarcare in via Ramazzini a bordo di un Freelander, scortato da sette camionette della polizia, il mio antifascismo militante si è precisato in un grido di sdegno: Cani, porci, e puranche l'ideologo di Forza Nuova possono parcheggiare in Centro, ma io no! Tanto che scrissi alla Gazzetta di Modena. Scrissi che sì, va bene, ideologo finché vuole, ma poteva benissimo parcheggiare sui viali ed entrare in Centro Storico a piedi, come tutti i non residenti; o aveva paura? Di che? Dei cinesi di piazza Pomposa? Del Kebab all'angolo? L'ideologo di Forza Nuova ha paura che lo infilzino col Kebab?

In realtà mentre Fiore posteggiava in via Ramazzini (con gli agenti Digos ad aiutarlo a far manovra, suppongo), la prima esperienza di Forza Nuova a Modena si era già conclusa. Il modenese che in un primo momento aveva invitato Fiore stava già spiegando ai microfoni che non era sua intenzione aprire veramente una sezione FN, bensì fondare un'associazione tutta sua, chiamata Unione Nazionalisti Italiani, che forse esiste ancora (il simbolo sembra un aquilotto malriuscito, più probabilmente un piccione, l'animale totemico del Centro Storico). Ma il giorno dopo la Gazzetta titolava la rubrica della posta:

«Vi infilzeranno coi kebab»
Sotto c'era il mio nome. Non solo, ma per completare la frittata, nella versione Web esso compariva sotto un parere favorevole a FN – e sono certo che qualche cache se ne ricorda ancora. Vorrei poter dire di avere imparato, da allora, certe elementari regole di prudenza, ma è stato un processo lento. Due anni dopo a momenti mi arrestavano. La storia sta qui.

In sostanza fino a un certo punto era tutto secondo programma: un gruppo di forzisti, scortato da un nutrito drappello di forze dell'ordine, aveva inaugurato una nuova sede di FN in via Gallucci, mentre da fuori un bel po' d'antifascisti manifestava e sacramentava. Quando si è trattato di uscire dal centro, sono volate ben più che le parole, e bisogna dire che qualche manganellata da pubblici ufficiali se la sono presa anche i forzisti (ma bisogna anche aggiungere che un signore di Forza Nuova ha inciso con un'asta di bandiera un bel taglio sulla testa di un signore che manifestava contro di lui). Così, quando i neri hanno iniziato a ritirarsi virilmente in direzione Trento-Trieste (dove li aspettava un'ambulanza), noi… sapete come fa il cane col gatto, no? Se scappi, t'inseguo. Ecco, ci siamo messi a inseguirli; solo per sfotterli, mica per altro. In quell'occasione un poliziotto promise di rompermi la testa, siccome ero venuto a riprendere Cragno che continuava a sfidare verbalmente i forzisti che si leccavano le ferite (uno a momenti lo centrava con il ghiaccio degli impacchi).

Tutto qui? no, perché il giorno stesso la Digos promise che avrebbe "visionato i filmati", ma che io sappia l'unico video di tutto l'episodio lo chiesero gentilmente a un tale che da un balcone di Trento-Trieste aveva riconosciuto l'amico Cragno: sicché di tutta la manifestazione in questura probabilmente rimangono solo primi piani di Cragno che insulta i forzisti e di me che vengo a prenderlo; e l'unico sonoro è la voce del cameraman che dice: "Toh! Ma quello è Cragno!"

Da quel giorno in poi, non mi è mai capitato di vedere la sede di Via Gallucci aperta, ma è pur vero che non ci passo spessissimo. Le finestre, già protette da sbarre massicce, erano state coperte del tutto da schermi di acciaio dipinti di nero – faceva una certa impressione. Ci furono atti di vandalismo, una petizione dei commercianti – ma c'è stato anche parecchio silenzio, per un paio d'anni. Finché un mesetto fa, improvvisamente, non passo di lì e la trovo aperta! Finalmente! Salvo che non è più la sede di Forza Nuova in Centro. No. Il nero si è fartto giallo – ora è un negozio di articoli etnici. Indiani. (Ariani?) I fascisti sono sgusciati anche stavolta. Altro che Boia chi molla. Qui chi non molla è perduto.

A questo punto mi attendevo l'annuncio trionfale di una sede di Forza Nuova a Modena – che sarebbe già la terza! Ma per adesso, niente. Chissà, forse dopo il dieci aprile. E immagino che riuscirò a farmi compatire anche stavolta.

Nel frattempo me ne resto coi miei dubbi. Perché sono così difficili da afferrare, 'sti fascisti? Perché sgusciano sempre? Non dovremmo essere noi, a scappare da loro? Non dovremmo essere noi, ad avere paura? E in effetti un po' di paura io ce l'ho. Questo ciclico apparire e scomparire, è molto inquietante. Vien da pensare che il nero salti fuori solo quando serve, ma a chi? E com'è che adesso a Modena non serve più? E quand'è che servirà ancora? Qualcuno ne sa niente? Qualcuno ci capisce qualcosa? C'è qualcosa di serio o sono solo ombre, che scompaiono al sole?
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- prepararsi al peggio e al meglio

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Insomma, a questo punto (io lo dico piano) (anzi, non lo dico proprio) (lo dico sotto forma di ipotesi, di ipotesi lontanamente plausibile) (un'ipotesi accademica, pura speculazione) dobbiamo prepararci all'eventualità, intendo dire la remota eventualità, che Berlusconi perda le elezioni.

Cosa fare dopo B ?


E che sarà mai, uno dice. Ne ha perse altre. Sì, ma stavolta è diverso. L'uomo è anziano e stanco – e sarebbe anziano e stanco persino se il dieci aprile vincesse. Spira una certa tramontana, e secondo me è il caso di prepararsi. Noi siamo maniaci di Berlusconi, è cosa nota. Per noi è il simbolo delle mille cose di questo Paese che non ci sono mai piaciute. In questo è persino troppo comodo – un signore che da solo mette insieme il malaffare della Tangentopoli milanese con la mafia siciliana, la speculazione edilizia, la televisione spazzatura, la politica spazzatura, l'anticomunismo da strapazzo, l'arroganza brianzola: nell'odissea dello schifo italiano di questi ultimi vent'anni non c'è praticamente un solo capitolo che non possa essere ricondotto a lui. Forse la mucillagine sulla riviera adriatica. Ma con un po' d'impegno.

Ebbene, questo comodo simbolo, questo sorriso a 32 perle stampigliato su tutte le cose che non ci piacciono, sta per salutarci, ed è un grosso pezzo della nostra vita che se ne va. È probabile che ci sentiremo più liberi, dopo. Ma è la liberta dei canarini fuori dalla gabbia, non è detto che sopravvivremo. Berlusconi è al governo dal 2001, ma ingombra il dibattito politico almeno dal 1994. Eravamo ancora ragazzini quando abbiamo imparato a dare ogni colpa a lui. Cosa faremo quando non ci sarà più? Sul serio, si accettano consigli.

S'intenda, noi non siamo quelli disperati che per saltare dal carro, in questi giorni, sono pronti ad aggrapparsi a qualsiasi cosa, comprese le sdrucciolevoli radici cristiane e le tonache di placidi cardinali che mai avrebbero pensato di trovarsi in prima linea nel conflitto di civiltà. Per quelli ormai è ragione di vita o di morte, per noi no; è abbastanza certo che manterremo gli stessi impieghi e le stesse frequentazioni; però siamo quel tipo di persone che non amano trovarsi a corto d'argomenti, e se B dovesse sparire d'un colpo, potrebbe appunto succederci questo: ritrovarci in società senza argomenti. E questo noi non lo vogliamo, vero?

Sgombriamo il campo da certi equivoci. Il fascismo, per esempio. Ogni tanto (anche all'estero) si fa questo paragone, che in realtà non ci dice molto né su Berlusconi né su Mussolini, né sul fascismo, né sull'Italia in cui viviamo oggi. Berlusconi senz'altro non è un antifascista molto convinto. Ma non ha mai pensato di praticare restrizioni alle libertà dei cittadini paragonabili a quelle di Mussolini. Né la situazione gliel'avrebbe consentito – l'Europa del 1994 non era più quella del 1922. Lo dico con una punta di rincrescimento, perché se fosse stato davvero il neoduce che un po' ci aspettavamo, avrei cospirato contro di lui. Il che francamente non è successo – mi sono limitato a lagnarmi su un blog, e lui me l'ha consentito.

D'altro canto il berlusconismo è stato per certi versi qualcosa di più subdolo e strisciante: e se fosse vivo oggi Pasolini affermerebbe senza tema che il ventennio berlusconiano (1986-2006?) ha fatto assai più danni di quello mussoliniano, perché la tetra propaganda fascista non aveva veramente fatto breccia nella coscienza del popolo, nel borgataro e nella contadina, mentre Canale 5… ma Pasolini è morto, e se fosse vivo io probabilmente non sarei d'accordo con lui e passerei il tempo a fargli il verso, quindi lasciamo perdere.

La verità è che il paragone tra Benito e Silvio è molto abusato perché comporta un notevole risparmio d'energia mentale. Soprattutto all'estero. Quando al Guardian parlano di un ritorno al fascismo, non fanno che interpretare male i sintomi, attribuendoci la stessa malattia di cui ci hanno già visto soffrire. Punti rossi, quindi è varicella. E se fosse morbillo?
C'è un'altra possibilità. Nella coscienza politica degli italiani, di quasi tutti gli italiani, Mussolini rappresenta il polo negativo. Ma all'estero, quando si cita Mussolini, non si ha tanto in mente il traditore ex-socialista, il delitto Matteotti, le leggi razziali, Salò… quanto piuttosto il massimo esempio di moderno tiranno-buffo, tiranno wannabe che si sgola per trascinare all'Impero un popolo di guitti scettici. È questo, dunque? Berlusconi sarebbe il successore di Mussolini in quanto clown?

Oggi non c'è dubbio che Berlusconi sia un clown – e anche come clown, piuttosto malriuscito. Da anni le sue clownerie ingombrano la scena politica italiana, abbassando il livello del dibattito, impedendoci di parlare di altro che non sia una pelata e un nasone rosso. Ma non è sempre stato così.
Nel 1994, quando abbiamo iniziato a preoccuparci seriamente di lui, l'aspetto clownesco era l'ultima voce in lista. A quel tempo eravamo tutti sinceramente spaventati di quello che avrebbe potuto fare un uomo in possesso di tre televisioni e un polo editoriale-pubblicitario, se si fosse conquistato la maggioranza in Parlamento. In effetti non sembravano esserci limiti al suo potere. Avrebbe potuto completare la conquista dei media italiani e sopprimere ogni voce di dissenso. E non era nemmeno inverosimile che un imprenditore di successo riuscisse a dare una scrollata a un sistema di potere incancrenito, e a conquistarsi coi fatti un consenso superiore a quel famoso 51% degli italiani.

Nei fatti, in cinque anni di governo si è 'limitato' a far votare innumerevoli leggi a suo favore, Costituzione inclusa. Ma non è andato oltre, non ci ha costretti ad amarlo con la forza.
Perché? Ci sono tante spiegazioni. Alcune ce le ha fornite lui stesso: gli alleati rissosi, la campagna d'odio della sinistra, il buco dell'Ulivo, l'Euro a 1936 lire, l'undici settembre… sì, sì, d'accordo.
E se B, più semplicemente, fosse un inetto? Come imprenditore ha avuto qualche buona idea (e qualche Santo in paradiso), ma come politico è stato incapace di mettere a frutto l'incredibile credito politico che milioni di italiani (dagli operai a Confindustria) gli hanno aperto nel 1994 (e qui il paragone con Benito Mussolini, giornalista post-socialista abbandonato dagli ex compagni, che in pochi anni si fa gioco di Giolitti e del Re, è davvero impietoso). Nella sua megalomania, si è sempre aspettato che gli italiani dovessero innamorarsi di lui spontaneamente. È un vecchio patetico playboy, che sotto il cerone si crede ancora, in qualche modo, irresistibile.

Ma è facile dirlo col senno del poi. Nel 1994 non potevamo saperlo. Eravamo partiti a lottare contro un tiranno moderno, efficiente e seducente; e ci siamo trovati di fronte, strada facendo, un clown che infila una serie prodigiosa di gaffes e orrende freddure. Dopo un'adolescenza abbastanza spensierata eravamo finalmente pronti alla tragedia, e abbiamo impiegato degli anni a capire che era una farsa, a nostre spese. Il nostro disagio non è poi così dissimile da quello di tanti berlusconiani, che dieci anni fa salirono sul carro pensando di appoggiare uno statista liberista, e oggi devono ridursi a dimostrare la genialità dell'odierna strategia comunicativa del Cavaliere. Partiti per fare i maître à penser, si ritrovano oggi a ridacchiare a comando sulle quinte del Drive In.

Da cui l'equivoco fondamentale, nel quale ci troviamo tutti invischiati: cosa non ci piace veramente in Berlusconi? Il caimano o il clown? Il fatto che abbia concentrato su di sé tutto il potere, o il fatto che non abbia saputo che farsene? Guardiamoci in faccia, compagni di trincea: abbiamo lottato contro un tiranno ridicolo perché era un tiranno o perché era ridicolo? Uno statista democratico altrettanto ridicolo ci andrebbe bene? O non preferiremmo un altro tiranno, ma un po' più serio?

Insomma, dopo B. una possibilità potrebbe essere rifarlo. Ma migliore. Più serio. Niente barzellette. O almeno divertenti. In Italia del resto gli autori non mancano. Siamo un popolo di allenatori, opinionisti, spindoctors. Forse è meglio mettersi sul mercato, si aprono mesi interessanti, le ragazze tirano fuori le camicette, e questa tramontana… è un bel momento, proviamo a godercelo. Ci sentiamo.
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- indecisi d'Italia, 2.

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Vota (per) Natascia

Caro astensionista di sinistra
Come ben sai, ti scrivo tutti gli anni (2001, 2002, 2003, 2004, 2025)– questo è il sesto, e spero che sia l'ultimo.
Direi che ormai ci conosciamo. Tu sei un uomo/donna che non cede ai compromessi, in cabina elettorale. Magari neanche altrove.
Probabilmente sei quel tipo di persona che se il boss ti chiede di restare un'altra mezz'ora al lavoro (che poi diventa un'ora), ti licenzi seduta stante. Io non sono come te. Io vivo nel compromesso.
Probabilmente sei quel tipo di persona che se il compagno/a vuole vedere il grande fratello invece di un film o qualsiasi altra cosa, fai le valigie. Io non sono come te. Un po' t'invidio, va detta.

In ogni caso ti rispetto. Se dopo cinque anni di Berlusconi al governo – se dopo Genova, la Cirami, l'articolo 18, le speculazioni sul caso Biagi, gli insulti al parlamento europeo, la Bossi-Fini, la depenalizzazione di falso in bilancio, i condoni, i cantieri finti, gli assegni per chi manda i figli a scuola dai preti, le chiacchiere su Mussolini che mandava gli antifascisti a prendere il sole, la legge Gasparri, il ministro Martino che rassicura le mamme non andremo mai in Iraq e poi ci siamo andati, la speculazione sui morti di Nassiryia, la gente che è morta per opzionare un po' di petrolio, i CPT appaltati ai privati, la legge sulla fecondazione assistita, e poi basta, non ce la faccio a fare il conto, in cinque anni ho perso di vista tante cose, il cielo a volte mi è sembrato grigio anche d'estate – se dopo cinque anni di tutto questo, tu non hai ancora trovato abbastanza argomenti per votare contro Berlusconi, potrò convincerti adesso io? Non credo. Quindi non ci provo nemmeno.

Hai capito? Non intendo convincerti.
Voglio solo che tu vada a votare.
Non per te. Ma per qualcun altro che vorrebbe votare, che meriterebbe di votare, e non può farlo. Perché in Italia c'è un apartheid, e se ne parla meno di quanto si dovrebbe.
Perché nel mondo ci sono centinaia di migliaia di persone che non vivono in Italia, non lavorano in Italia, non pagano le tasse, ma hanno il diritto di decidere se ci governerà Berlusconi o Prodi – e al contrario, ci sono milioni di persone che si danno da fare in Italia per il PIL italiano, che mandano i figli nelle scuole italiane a imparare l'italiano, che pagano le tasse (quando possono) all'erario italiano, ma non hanno il diritto di decidere proprio niente.
Per me questa è una grande vergogna. Io forse sotto sotto sono un liberale, orfano della Rivoluzione Americana, che nacque sotto un principio pragmatico e tuttora validissimo: No taxation without representation: gli inglesi non possono tassarci senza darci il diritto alla rappresentanza.

Ma per te, astensionista di sinistra? Tu che insegui, senza compromessi, il sogno di un mondo dove tutti abbiano immediatamente pari diritti – davvero puoi resistere ancora un minuto in un Paese che fa votare i cosiddetti "italiani all'estero" e non fa votare le persone che da tutto il mondo sono venute a vivere qui, proprio qui, in mezzo a noi, che lavorano con noi e per noi, pagano le tasse che paghiamo noi e usano i servizi che usiamo noi? E allora basta, scusa. O te ne vai immediatamente, oppure ci aiuti a cambiare le cose subito, senza compromessi. Se il nove aprile non hai intenzione di votare per te, vota per un qualunque straniero che non ne ha il diritto – e che dovrebbe averlo. Aderisci alla campagna Adotta il voto di un immigrato, lanciata da Salamelik.

Non ti sto dicendo per chi votare, attento. Non devi votare per il mio candidato, ma per il suo. Non lo sai? Chiediglielo. Esci in strada e domanda. Secondo me non devi andare molto lontano per trovare uno straniero al lavoro. Guarda, senza neanche uscire dal portone – sul pianerottolo c'è Natascia che dà lo straccio. Ha due figli che contribuiscono a riportare in attivo il bilancio demografico del Paese. Non vuoi votare per te? E vota per Natascia, che dovrebbe averne il diritto, e forse ne ha anche più bisogno.
Che c'è, ti vergogni a chiedere? E allora torna su internet e studiati i programmi dei due schieramenti. Entrambi fanno schifo? Forse, ma ce n'è uno che rispetta Natascia in quanto forza lavoro. E ce n'è uno che considera Natascia potenzialmente pericolosa per la salute pubblica del Paese. Una terza possibilità non c'è.

"Ma lo vedi, si tratta sempre di un compromesso".
Sì, certo, come al solito. Ma posso assicurarti che questo compromesso non intaccherà la tua integrità morale, che è e rimane inviolabile. Non è il tuo compromesso. È quello di Natascia.
Se lei potesse votare per evitarsi altre umilianti ronde notturne intorno alle poste, non lo farebbe? Se lei potesse votare per mettersi in regola, non lo farebbe? Se lei potesse votare per essere riconosciuta come una cittadina nel Paese in cui lavora, non lo farebbe?
E allora fallo tu. E poi basta. Io sono un po' stanco di queste orazioni. Fuori è ancora grigio, ma quando arriva questa primavera? Facciamo che arriva per tutti il dieci aprile? Dipendesse da Natascia. Ma dipende da noi. Solo da noi. Ciao.
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- indecisi d'Italia, 1.

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Da notare quella che è una scelta quasi sicuramente dettata dallo staff di comunicazione di Berlusconi, cioè quella di scrivere e prendere appunti continuamente, spesso disegnando delle figure geometriche e racchiudendo in cerchi le parole precedentemente segnate, come per trasmettere compiutezza e congruenza con parole che vogliono chiarire, mettere nero su bianco i risultati raggiunti dal governo.

Spindoctor for a day

Io non so se i sondaggisti se ne rendano conto, ma esiste una discreta percentuale di italiani che agli sconosciuti non risponde; o se risponde, tutto dice fuorché la verità. Specie a quelli che ti chiamano per telefono.

Fa parte della nostra cultura. Io, per dire, se stasera mi crepasse all'improvviso lo scarico del water, e una pozza d'acqua fetida cominciasse a imbevere i tappetini, mentre la mia ragazza in preda al panico comincia a chiedersi ad alta voce perché ha scelto me invece di quel compagno di banco timido figlio dell'idraulico che adesso è sei mesi all'anno a San Domingo – se in questo preciso frangente squillasse il telefono, e una seducente voce femminile si offrisse di venire, domani, stasera, senza impegno, a cambiarmi le tubature del bagno, e a farmi provare un nuovo spray antiossidante-deodorante gratis, senza impegno, io risponderei grazie, no, non ho bisogno di niente. Perché sono stato educato così, non posso rinnegare la mia cultura.

Dico questo perché negli ultimi dieci giorni si è fatta strada in me la sensazione, dapprima strisciante, poi sempre più forte e insopprimibile, che tutto questo sia soprattutto colpa mia. Volevo aspettare il dieci aprile, per dirlo, ma non ce la faccio più; all'inizio poteva essere divertente, ma ormai provo soltanto una gran pena. Eppure mi sembrava di fare la cosa giusta, quando più o meno 15 giorni fa a uno squillo risposi...

"Pronto".
"Salve, sono della ********, chiamo per un sondaggio…"
"Non compro niente".
"Non le vendo niente, è un sondaggio elettorale, vorrei sapere se…"
"Non voto per nessuno".
"Prego?"
"Non compro niente, non voto per nessuno, non m'interessa la sua offerta, non voglio cambiare gestore telefonico, i deumidificatori per ambiente mi fanno ribrezzo, e inoltre…"
"Ho capito bene, lei ha detto che non voterà per nessuno, è un astensionista, dunque? Un astensionista convinto?"
"No".
"Quindi è un indeciso? Possiamo dire che lei non ha ancora deciso per chi votare il nove aprile?"
"Non rispondo".
"Attenda in linea. Solo un istante. Ehi, ehi, ragazzi!"
"Eh?"
"Ehi, ragazzi, l'ho trovato! Centronord, trentenne, indeciso! È mio! Bingo!"
"Scusi, non la seguo"
"No, no, mi scusi lei, è che con i miei colleghi, qui, stiamo facendo una specie di gioco… il primo che trovava un indeciso-trentenne-centronord vinceva venti euro".
"Siamo così rari?"
"Rari? I sessantenni abruzzesi leghisti, quelli sono rari. Li danno a centocinquanta".
"E qualcuno li ha…"
"Ma no, nessuno beccherà mai un sessantenne abruzzese leghista, è un'astrazione matematica. E anche un indeciso come lei è già piuttosto prezioso. Ma mi perdoni, come fa?"
"Come faccio cosa?"
"Ad essere ancora indeciso. Voglio dire, è trentenne, è nel centronord, ha accesso a tv, giornali… persino internet, sa cos'è internet?"
"Vagamente".
"Insomma, ha tutti i mezzi per farsi un'opinione. I candidati sono gli stessi da dieci anni".
"Effettivamente…"
"Che cosa le manca ancora per capire, cosa vorrebbe da loro?"
"Eh, guardi, non lo so…"
"Mettiamo che io fossi un telefonista che chiama per conto di uno dei due candidati".
"Sì".
"Mettiamo che per una serie di algoritmi statistici che adesso non le posso spiegare, l'indecisione di un trentenne centronord risultasse più importante, che ne so, di quella di una casalinga centro-ovest".
"Sul serio?"
"No, non sul serio, è solo un'ipotesi. Insomma, secondo lei cosa dovrebbe fare, questo candidato per il quale io ipoteticamente lavoro, per convincerla a votare per lei? Se lei fosse lo spindoctor, ha presente cos'è lo spindoctor, no?"
"Certo che ho presente, sono un trentenne centronord".
"Ecco, faccia finta di essere anche uno spindoctor. Ci dica cosa vorrebbe".
"Beh, io vorrei… vorrei… meno promesse chiare e più…"
"Sì?"
"Ma sta prendendo appunti?"
"Certo".
"Allora, meno promesse chiare e più chiacchiere, chiacchiere televisive, ha presente? Punterei meno sui concetti e più sulla funzione fàtica, salve, sono il Grande Candidato, la prego, mi dia del lei, non m'interrompa, mi faccia finire, non mi faccia domande inutili, mi lasci parlare, se non mi dà spazio me ne vado, eccetera. Non so se mi sto spiegando bene".
"Vada avanti".
"Insomma io privilegerei un approccio… come dire… un approccio un po' paranoico. Cioè giocherei molto sull'idea che tutti ce l'hanno con me, m'impediscono di esprimermi, è una congiura nei miei confronti… ecco, mi piacerebbe sentire un candidato in tv che insiste su questo aspetto: c'è una congiura contro di me".
"Una congiura di chi, scusi?"
"Ma non so, magistratura, partiti, industriali, giornalisti… in pratica tutti quelli che osano interrompermi se parlo. Chi non è con me, è contro di me. E poi darei a vedere che sono molto nervoso".
"Sul serio?"
"Sì, per esempio. Mettiamo che si fa un dibattito al vertice, adesso non lo so, non ho seguito molto la campagna fin qui, sa, sono un indeciso. Però mettiamo che si fa una specie di dibattito in tv con i due candidati. Ecco, in questo caso a me piacerebbe vedere un candidato nervoso, che non guarda in camera, che quando non parlano di lui si distrae, fa dei disegnini con la penna… tutte cose che in apparenza sembrano controproducenti, ma in realtà…"
"In realtà?"
"Fanno risaltare la sua grande umanità, e a quel punto io che sono un indeciso guardandolo direi ecco! anche lui è distratto, nervoso, un po' indeciso come me!".
"Comincio a capire. Un meccanismo di identificazione".
"Perfetto, ecco, non mi veniva la parola, identificazione, complimenti".
"Quindi, riepilogando: per conquistarla un candidato dovrebbe apparire: paranoico, distratto, nervoso, …"
"Molto nervoso, io insisterei molto sul nervosismo, noi indecisi siamo molto sensibili al nervosismo. Anzi, vuole sapere qualcosa che ci fa impazzire? L'arroganza".
"In che senso?"
"Nel senso che, mah poniamo che questo candidato vada a un raduno, non so, di commercianti, o industriali… allora, in questi casi la cosa migliore da fare è alzarsi in piedi e arringare la folla in modo maschio, ha presente: voi non capite niente, eravate delle merde e io vi ho salvato, dovete tirarvi su le maniche, venire meno ai convegni e stare più in casa a lavorare!"
"Ma è sicuro?"
"E se il moderatore si lamenta, gli dico taci idiota, non guardare l'orologio, chi se ne frega dell'orologio, la gente è qui perché vuole sentirmi! E se dalle prime file qualche pezzo grosso si azzarda a sorridere, lo chiamo per nome e per cognome e lo accuso di congiurare alle mie spalle con le schegge impazzite della magistratura, farabutto, mi dia del lei! Questo deve fare, un candidato".
"Per convincerla".
"Per convincermi".
"Senta, la ringrazio, devo dire che parlare con lei è stato davvero illuminante".
"Ma si figuri".
"Cioè, chi l'avrebbe detto? Agli indecisi piace lo stile paranoico. È proprio vero, in questo mestiere non si finisce mai d'imparare".
"Lei da quand'è che fa il suo mestiere?"
"Da tre giorni, sono un CoPro a mezza giornata. Sa, di mattina studio".
"Scienze della comunicazione".
"Come ha fatto a capirlo?"
"Ho tirato a indovinare, siete la maggioranza"
"Lei è un mito, davvero. È stato un vero piacere parlare con lei, devo dire che mi ha insegnato molto".
"E poi le ho anche fatto vincere venti euro"
"Eh già. Ora purtroppo la devo lasciare, sa, devo ancora trovare una quarantenne calabrese imprenditrice".
"Ah, mica facile".
"Eh, no".
"Senta un po'… questa conversazione è registrata?"
"Ma cosa sta insinuando?"
"No, no, niente, è che… se nessuno ci sente, io un'imprenditrice calabrese quarantenne in effetti la conosco, pensi un po' che coincidenza…"
"Davvero farebbe questo per me?"
"Ha carta e penna? Tre-quattro-sette-[…………………]. Però non chiami subito, lei a quest'ora di solito riceve i… i… fornitori. Aspetti una mezz'ora, le dispiace?"
"Ma certo. Io non so davvero come ringraziarla per…"
"Ma figurati, se non ci aiutiamo tra noi… A risentirci, allora".
"A risentirci".
Clic.

Tre-quattro-sette-[……………………]
"Agata, ciao, come va? Mamma e papà tutto bene? Senti, non ho molto tempo".
"…"
"No, non è uno dei miei soliti scherzi. Qui se mi aiuti salviamo l'Italia, fidati".
"…"
"Senti, tra venti minuti ti chiamerà un pivello di scienze della comunicazione, ok? No, non vuole venderti niente. Tu per lui sei un'imprenditrice quarantenne di Reggio Calabria. Mi raccomando, la C aspirata".
Quelli di oggi è il Berlusconi che piace a noi: quello che parla al cuore e che entusiasma il pubblico. Non doveva andare al meeting di Confindustria, perchè malato, ma alla fine non ha resistito: ed eccolo lì, in mezzo ai suoi colleghi, fiero del suo passato e fiero del suo presente. Eccolo lì mentre si alza, di scatto, incurante del dolore alla schiena, per parlare agli imprenditori. Ne esce un discorso a braccio di una efficacia strepitosa.
Ci sono tre tipi di bugie: bugie, dannate bugie e statistiche (Benjamin Disraeli)
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