Israele i problemi li bombarda
28-01-2025, 03:14giorno della memoria, Israele-Palestina, RomaPermalinkQuesta cosa è oggettivamente notevole.
"GAZA IS THE BEST PLAYGROUND"https://t.co/ZkolqKtVud
— Zionism Observer (@receipts_lol) January 26, 2025
La ragazza che gridava: "Via, giudei"
27-01-2025, 19:14antisemitismo, giorno della memoria, memoria del 900, razzismiPermalink(Comunque, davvero non c'è bisogno di spiegare perché non partecipate al Giorno della Memoria. Né di inventarsi pretesti o persecuzioni inesistenti, o di gridare al lupo o all'antisemitismo, che purtroppo ormai è lo stesso grido. Sappiamo perché la memoria vi dà fastidio; sappiamo perché non vorreste ricordare).
Uno dei tanti modi in cui le opere d'arte si rendono utili, è il fatto che restano a nostra disposizione, più o meno immutabili; così che ogni volta che torniamo a dare un'occhiata, possiamo misurare la nostra distanza tra loro e noi. Se ci sembra che la Gioconda sorrida in un modo diverso, siamo noi che abbiamo scoperto un nuovo significato in un sorriso. Detto questo, oggi purtroppo non ho avuto l'occasione di rivedere Schindler's List, un film che tanto so a memoria. Eppure ogni volta c'è sempre qualcosa di nuovo che attira la mia attenzione. Malgrado l'industria culturale si sia data molto da fare dal 1993 in poi sull'argomento, Schindler continua a sembrarmi il top di gamma, per tutta una serie di motivi che magari altre volte troverò il tempo di spiegare – nel frattempo però sarò cambiato, e Schindler mi dirà cose diverse. Per ora annoto un dettaglio che mi sembra importante.
La cosa che più mi impressionò, la prima volta che lo vidi, fu una ragazzina. Non la bambina col cappotto rosso (una delle migliori dimostrazioni del geniale cinismo di Spielberg), ma la ragazza polacca o tedesca che grida "Andate via giudei" agli ebrei di Cracovia che marciano per entrare nel ghetto. In tre ore di film credo sia l'unica manifestazione di antisemitismo a non provenire da militari, gerarchi o industriali. A metà Novanta mi lasciò atterrito: una ragazza che tirava fango agli ebrei, era successo davvero? Ecco.
Probabilmente questa è la principale differenza tra il me stesso di trent'anni fa: quella bambina, oggi, non mi sorprende più. Sono cresciuto, ho assistito a tante guerre: tutte da lontano, per fortuna. Il mondo è molto diverso – per lo più abitato da persone che nel 1993 non erano ancora nate. Per certi versi è un mondo migliore (alcune statistiche perlomeno direbbero questo) ma è un mondo in cui una bambina così non mi sorprende più. Quello che per me era il resoconto cinematografico di un orrore che la mia fantasia non era riuscita a immaginare, oggi è una scena di repertorio a portata di telecomando, di clic. Una volta non lo sapevo, ma c'è gente che odia senza vergognarsene, che odia volentieri, a voce alta: e anche quando non sono bambini, non fa più una grande differenza.
Non vi si nota anche se non venite (alla Giornata della Memoria)
25-01-2025, 02:18antisemitismo, giornalisti, giorno della memoria, Israele-Palestina, memoria del 900PermalinkMa io me lo immagino, il povero giornalista (in questo caso Pierluigi Battista), che verso metà gennaio comincia a sfogliare speranzoso i quotidiani. Siccome la consegna è prendersela coi filopalestinesi, quando ci si avvicina al Giorno della Memoria, non resta che trovare qualche filopalestinese che vuole boicottare il Giorno della Memoria, e il pezzo si scrive da solo. Io me lo immagino, mentre ripassa mentalmente tutte le citazioni che gli faranno raggiungere le cinquemila battute. Chi non ha memoria non ha futuro! Meditate che questo è stato! Ecc. Me lo immagino mentre scrolla la testa sconsolato, per questi filopalestinesi che negano il valore della più sacra delle commemorazioni. Senonché.
Senonché passano i giorni, il 27 si avvicina, e il povero Battista questi filopalestinesi boicottanti la memoria non riesce a trovarli. Non fanno che parlare di Palestina, maledetti; non fanno che contemplare le rovine e documentare il disastro, e non ce n'è nessuno disposto a litigare sulla più sacra delle commemorazioni, il che è molto sleale da parte loro; anche perché Battista questo pezzo prima o poi deve consegnarlo. Cosicché.
Cosicché, quando arriva il 23, Battista scioglie gli indugi, siede alla scrivania e scrive un pezzo accorato per informare i tre lettori del Foglio che la Giornata della Memoria la boicotta lui. Perché anche l'antisemitismo a certi livelli è un lavoro, e quando vuoi fare un lavoro serio, devi fartelo da solo.
In questo articolo, tra le altre cose, Battista ci spiega che "Ad Amsterdam, la città di Anna Frank, hanno linciato gli ebrei strada per strada, albergo per albergo, con i taxi guidati da islamisti che coordinavano le aggressioni con le modalità del pogrom". A tutt'oggi la pagina di Wiki sui fatti di Amsterdam registra "5 hospitalized, 20–30 injured": una cifra non molto distante dalla media dei match UEFA. Viene il sospetto che se la partita non fosse caduta proprio nell'anniversario della Notte dei Cristalli – e se non avesse coinvolto tifosi israeliani – i tafferugli avrebbero ottenuto un decimo dell'attenzione internazionale che ottennero. Chiunque altro li paragonasse a un pogrom dovrebbe soltanto vergognarsi di strumentalizzare la tragedia dei pogrom per portare acqua al suo mulino, ma Battista è un editorialista italiano, ha il suo lavoro da fare. Scrive anche che "cacciano gli studenti ebrei dalle Università, da Harvard fino a Torino", una notizia che sinceramente mi era sfuggita (studenti ebrei espulsi dalle università?): a me sembrava di ricordare di una rettrice di Harvard costretta alle dimissioni perché aveva osato affermare che l'antisemitismo del coro "from the river to the sea" dipendeva dal contesto. Il che è discutibile, ma insomma, quando i sionisti dicono di voler unire la Terra Promessa dal Giordano (che è il "fiume") al Mediterraneo (che è un "mare") non saranno mica antisemiti anche loro? Dipenderà dal contesto, o no? Scrive: "Hanno boicottato una nota manifestazione canora perché tra i partecipanti c’era un’ebrea israeliana che cantava con animo straziato le vittime del pogrom di Hamas". Credo sia un riferimento all'Eurovision. Qualcuno ha boicottato l'Eurovision? Al massimo non l'avrà visto in televisione. Battista si è sentito in dovere di vederlo? Si è sentito in dovere di trovare "straziante" la canzone israeliana? Mi spiace tanto per lui, e capisco l'amarezza e persino il disgusto, ma non credo sia un buon motivo per non commemorare il 27 gennaio.
Battista insomma ha strumentalizzato la ricorrenza del Giorno della Memoria per cucinare un pezzo di bassa propaganda imbottito di fake news: cosa di cui, non fosse un editorialista italiano, si dovrebbe tanto vergognare – e dei suoi gusti musicali. I filopalestinesi no: i filopalestinesi italiani per lo più si stanno comportando, in questi giorni, con una maturità sorprendente (perlomeno sorprende me), resistendo alle tentazioni di strumentalizzare la commemorazione ed evitando sciocchi paragoni tra la Shoah e la catastrofe di Gaza, di cui stiamo soltanto cominciando a misurare l'entità. Siccome questi paragoni erano, fino all'anno scorso, una trita consuetudine, mi viene da pensare che almeno qualcuno sta crescendo e sta capendo come evitare certi tranelli; oppure le immagini che ci arrivano da Gaza sono così terribili che non c'è più bisogno di paragoni storici per commentarli: la cronaca è decisamente più dettagliata della Storia, perlomeno finché qualche giornalista in zona sopravvive.
Tutto questo dev'essere molto snervante per alcuni sionisti italiani, che per giustificare il loro boicottaggio del Giorno della Memoria non hanno trovato di meglio che lamentarsi perché sui social qualcuno insulta la Segre. Il che è senz'altro increscioso – la Segre merita rispetto in quanto reduce e testimone, al di là delle opinioni più o meno informate che esprime su altri argomenti – ma è veramente un po' poco: anche perché come ad Amsterdam, manca una riflessione quantitativa; quanta gente perde davvero tempo a scrivere brutte cose alla Segre su Facebook? Cento, duecento, mille, un milione? Farebbe una certa differenza.
Dopodiché, amen. Mi dispiace se qualche ebreo italiano non partecipa alla commemorazione del 27 gennaio, ma spero capisca che il 27 gennaio è di tutti, o meglio: interpella tutti. E non solo in quanto potenziali vittime, ma soprattutto come potenziali carnefici o complici di carnefici. Statevene pure a casa se avete paura del confronto con chi ha opinioni diverse; ma spero che non vi siate davvero convinti che a voi non possa mai succedere questa cosa, di assistere a una carneficina senza muovere un dito, o addirittura di collaborare coi carnefici. Perché vi garantisco che può capitare a tutti; e in particolare a chi meno se l'aspetta. Meditate.
Benigni e la Shoahsploitation
29-01-2024, 01:46antisemitismo, cinema, giorno della memoria, memoria del 900PermalinkUn giorno o l'altro, non necessariamente un Giorno del Ricordo, dovrei mettere per iscritto la mia annosa diffidenza nei confronti di La vita è bella. Ha a che vedere col concetto di Shoahsploitation, parola che mi sono inventato e non ne vado fiero, anche perché alla fine è inutile prendersela: se imponi un momento di approfondimento tutti gli anni in tutte le scuole è inevitabile che nascano prodotti che servono esattamente a questo – magari si può rimarcare che Benigni/Cerami sono stati tra i primi a capire che razza di mercato si stava aprendo. Cruciale fu l'incontro con Mihăileanu, che aveva già in mente il concept di Train de vie e pensava a Benigni un protagonista: forse non capiva di avere davanti anche un produttore abbastanza scafato che poteva copiargli l'idea.
La mia diffidenza ha a che vedere con l'equivoco per cui quello che chiediamo a questi prodotti 'leggeri' a tema Shoah è uno spunto per parlare di Shoah a un'età in cui rischiamo di scioccare i bambini. Servono a questo. Il problema è che forse li scambiamo per punti d'accesso all'argomento, laddove manco ci provano: La vita è bella non "spiega" la Shoah, non introduce alla Shoah (neanche Train de vie, neanche Jojo Rabbit). Sono film che rimangono nei dintorni, raccontano episodi quasi sempre inventati intorno all'argomento, cercano di non risultare troppo depressivi o disturbanti e ti danno la sensazione che hai passato un paio d'ore a ricordare la Shoah. Nel frattempo i ragazzi crescono, un 27 gennaio dopo l'altro hanno effettivamente il tempo per imparare qualcosa, per cui alla fine qualcosa passa: è più liturgia che didattica, comunque.
Di tutti questi film La vita è bella è il più pervasivo, al punto che alla fine della scuola dell'obbligo i ragazzi rischiano di averlo già visto due o tre volte, di associare per sempre la faccia grulla di Benigni all'ebraismo, che già tante offese ha patito e sopravvivrà indubbiamente anche a questa, però forse il mio fastidio parte proprio da Benigni, e dal concetto del film, che non riesco ad accettare (non da un punto di vista morale, è proprio la sospensione dell'incredulità che non mi scatta): un padre che convince un bambino che Auschwitz è un gioco a premi. Questo pone tutta una serie di problemi.
a) Non si ingannano i bambini – cioè, succede spesso, ma costruirci sopra un film è discutibile. Proporre poi questo film ai bambini è proprio un corto circuito che m'infastidisce.
b) I bambini non sono mica deficienti, cioè come fai a credere che Auschwitz sia Takeshi's Castle (se tra l'altro non hai mai visto Takeshi's Castle). Davvero quel bambino non può crederci davvero, l'unica strategia che trovo per reggere la visione è immaginare che sia lui che sta prendendo suo padre per scemo, gli regga la candela perché altrimenti suo padre non potrebbe fare più il pagliaccio, e a quel punto gli prenderebbe la depressione.
c) Questa finzione dipende tutta appunto dalla capacità di Benigni di fare il pagliaccio. Tutto il film posa sulle spalle di questo tizio che manco fosse Charlie Chaplin, cioè se chiedevano a Charlie Chaplin lui probabilmente gli avrebbe detto no, guardate, neanche io riuscirei a rendere credibile una situazione del genere, e sono il più grande pagliaccio del mondo, ma se potessi fare un film del genere l'avrei fatto, e se non l'ho fatto c'è un motivo (anche Jerry Lewis all'ultimo momento ha bloccato tutto, vi ricordo). Benigni osa dove non ha osato Jerry Lewis, e il problema è che non è nemmeno il Benigni al top della forma, cioè per gran parte del film è il Benigni al minimo sindacale che ti ride in faccia e si aspetta che ridi anche tu per simpatia.
d) L'idea del campo come concorso a premi mi sembra anacronistica, anche se capisco che in epoca di Squid Game possa ritornare interessante (e qui potremmo aprire una digressione su quanto sia disumano il concetto di concorso a premi, e in generale la gamification della realtà che proprio nei Paesi dove è più avanzata ha prodotto fiction come Battle Royale o Squid Game).
Beh alla fine forse ce l'ho fatta, ho messo per iscritto quasi tutti i problemi che ho con la Vita è bella, senza nemmeno toccare l'annoso problema dei carri armati, che quando finalmente arrivano, sono quelli americani. Ma davvero mi sembra l'ultimo dei problemi, anche gli americani qualche campo l'hanno liberato. Ne approfitto per dire che per quanto m'infastidisca La vita è bella, forse funziona meglio di altri prodotti pensati per la scuola e più nobili, come La tregua di Rosi che in teoria non ha niente che non va e in pratica non gira, non saprei dire il perché, io alla fine quando vedo che un film non gira non lo guardo più e dopo un po' mi dimentico il perché.
Prima ricordare
27-01-2024, 01:46antisemitismo, giorno della memoria, Israele-Palestina, memoria del 900PermalinkVorrei rassicurare chi se ne preoccupasse sul fatto che io oggi, 27 gennaio, parlerò ai miei studenti della Shoah, che è "lo sterminio del popolo ebraico". A seconda del tempo e dei mezzi che avrò a disposizione, ricorderò "le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati". I virgolettati sono ovviamente presi dagli articoli 1 e 2 della legge 211 del 20 luglio 2000, che istituiva la Giornata della memoria. E basta.
Non paragonerò la Shoah ad altre stragi passate, future o presenti; non emetterò un giudizio su chi pensa che basta farsi fotografare ad Auschwitz per lavar via l'antisemitismo disseminato qua e là per anni; non approfitterò per entrare in polemica con governanti che non hanno ancora del tutto rinnegato il loro Almirante (e il loro Mussolini). Come ho scritto altre volte, sono convinto che la Shoah sia un evento assolutamente eccezionale, per modalità e per dimensioni. Non sono del tutto sicuro che il modo migliore di studiarlo sia la liturgia scolastica della Giornata, per come si è evoluta in questi 24 anni, ma se c'è un evento storico che merita almeno di essere ricordato un giorno all'anno, credo che si tratti questo. E la legge è molto chiara, quindi la osservo. Anche qui sopra, per oggi eviterò di entrare in esplicita polemica con chi non accetta altri paragoni con la Shoah tranne i propri.
Poi ovviamente l'anno è fatto di altri 365 giorni (è bisestile), e da domani fino al 26 gennaio 2025 ci sarà tempo per qualsiasi altra riflessione – talvolta stimolata da studenti che di quel che succede qua fuori sentono parlare, sia a casa sia sullo smartphone, così che se pensate che io abbia mai la tentazione di incitarli a boicottaggi o lotta armata ebbene è l'esatto contrario: mi tocca smentire tante storie deformate, leggende metropolitane, savi di Sion e quant'altro. Per cui di fronte all'eterno dibattito: è ammissibile paragonare la Shoah ad altri fenomeni? La mia risposta oggi è che per stabilirlo come minimo prima dobbiamo capire cos'è stata la Shoah, percepire la sua eccezionalità: prima studiare, poi paragonare.
Questo è il modo in cui passerò il 27 gennaio al lavoro e in questo spazio. Altri hanno deciso diversamente, e ne approfitteranno per manifestare contro Israele. È una scelta che non condivido, ma non posso nemmeno fare nulla per impedirla. Con buona pace di chi in questi casi se la prende, la legge dice semplicemente che dobbiamo ricordare degli avvenimenti. Non proibisce a nessuno di istituire paragoni (anche sballati), né di manifestare per altre cause che hanno più o meno a che fare con la Shoah. Un'eventuale legge che includesse questi divieti sarebbe, temo, incostituzionale: tutti infatti hanno "diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione", articolo 21. Poi certo, magari non sarà sempre così, specie coi riformatori costituzionali che girano oggigiorno. Ma per quest'anno è andata, inutile prendersela. Specie in un giorno così importante, con tante cose più gravi da ricordare.
(Vabbe' alla fine un po' di polemica forse l'ho fatta, mi dispiace, sono umano).
La memoria e la farsa
27-01-2022, 22:01antisemitismo, giorno della memoria, Israele-Palestina, memoria del 900PermalinkNoi siamo abbastanza sicuri del fatto che chi dimentica il passato sia condannato a riviverlo. Non è solo un proverbio ripetuto da persone autorevoli: è un'osservazione riferita più volte da persone che la Storia l'hanno studiata da vicino. E siccome nel passato sono stati commessi errori orribili, scegliamo per quanto possiamo di ricordare. Però.
(Lo sapevate che c'era un però).
UGUALE |
Noi sappiamo anche che la Storia si ripete in farsa. Anche questa non è una semplice battuta di uno storico o di un economista: è un'osservazione molto sottile, che si adatta a così tanti episodi antichi e recenti. È una regola vagamente simile al principio di indeterminazione: una volta accettato che il passato va osservato (per evitare di riviverlo), occorre studiarlo, per osservarlo si inventa una disciplina – la Storia, che oltre a essere per quanto possibile una scienza dev'essere anche il più possibile popolare, un cannocchiale in un promontorio che tutti hanno il diritto/dovere di usare senza nemmeno l'esborso di una monetina – dopodiché come possiamo impedire che la Storia sia modificata dal fatto stesso che noi la studiamo, la popolarizziamo, ovvero la rendiamo più vicina al popolo fino al momento in cui il popolo non comincia a sognare di viverci dentro? Una volta sensibilizzati i sudditi dei regni ottocenteschi sul fatto che quei ruderi di campagna erano castelli di una civiltà importante ingiustamente svalutata, come impedire che gli stessi sudditi ottocenteschi si mettano a costruire palazzi con merlature ghibelline pacchiane e farlocchissime? Non puoi impedirlo, nemmeno ci provi, finché sono merlature pazienza.
Con la Shoah però.
Noi non vogliamo che la Shoah si ripeta, quindi non ci basta studiarla: cerchiamo di parlarne il più possibile. Il che è comprensibile e giusto. Abbiamo creato una liturgia, ed era inevitabile che intorno alla liturgia si formasse un'economia. Ogni anno qualche libro in più, qualche film: l'argomento ci interessa ed è giusto interessarsene, quindi continuiamo. Finché un giorno non ci accorgiamo (ma non avremmo dovuto immaginarcelo?) che c'è un sacco di gente che in quei film e quei libri crede di viverci, benché siano molto meno confortevoli dei libri in costume sul medioevo – ma forse la fantasia rifugge il comfort. E quindi eccoci qui, coi novax che sfilano con le stelle di David, persone intorno a noi che vivono tutto un loro film personale in cui stanno lottando contro il nazismo, prima o poi si aspettano che torni la pellicola a colori e almeno una sequenza in cui i volenterosi carnefici del Green Pass guarderanno in camera terrorizzati mentre il giudice di una nuova Norimberga impugnerà il martelletto.
Sembriamo abbastanza fregati. Chi dimentica il passato è condannato a riviverlo. Chi se lo ricorda invece lo trasforma in una farsa. C'è un modo di evitare questo corto circuito?
Qualche opzione forse c'è, ad esempio si può liquidare i fenomeni farseschi come esagerazioni, aberrazioni, cose che forse è inevitabile che accadano ma che con un minimo di controllo si possono evitare. Sembra buon senso – e come sempre, con gli inviti al buon senso, vale la pena esitare un attimo prima di entrare. Serve un controllo: chi controlla? Chi si metterà lì alla lavagna a dividere i riferimenti alla Shoah autorizzati da quelli aberranti? E con quali criteri?
Sembra tutto molto controriformistico – e siccome una Controriforma c'è già stata, non può che trattarsi di una farsa della medesima; tra gli aspetti farseschi vi è proprio che questa opzione di sapore tanto veterocattolico è quella adottata, in perfetta buona fede, da molti sionisti. Il loro criterio ha almeno il pregio della semplicità: a cosa è consentito paragonare la Shoah? A nient'altro. Che sia da considerare esclusivamente la tragedia del popolo ebraico. Chiunque la usi come un termine di paragone si sta impossessando per fini propagandistici di un genocidio, e va escluso dal dibattito civile in quanto antisemita.
Ora, non è che la cosa non abbia un senso. Perlomeno ci eviterebbe le manfrine di quelli che scambiano una classe con le finestre aperte per un vagone piombato. E da un punto di vista statistico lo sappiamo benissimo, che il 90% di chi tira fuori paragoni con la Shoah sta ciurlando nel manico. Ci perdiamo un 10%? Forse ne vale la pena. E allo stesso tempo non possiamo impedirci di pensare: che senso ha ricordare qualcosa che non può essere più paragonato a nulla se non a sé stesso? Chi non ricorda è condannato a ripetere, ma la Shoah potrebbe ripetersi soltanto in quanto Shoah: le uniche vittime possibili sono gli ebrei, gli unici carnefici possibili sono i nazisti. Non solo sembra tutto innaturalmente rigido, ma anche questo non ci salva dalla deriva: una volta istituita una Corte che impedisca a chiunque di paragonare la Shoah a qualsiasi cosa non riguardi gli ebrei, come impedire che concentri le sue attenzioni (già in partenza così selettive) su qualsiasi discorso riguardi gli ebrei? Come impedire che qualsiasi critica al popolo ebraico non venga presto o tardi associata alla Shoah? Nei fatti, nessuno lo sta impedendo. C'entrerà in molti casi la malizia interessata di questo o quell'osservatore; ma in generale, non è anche questo un passaggio inevitabile? È possibile ricordare la Shoah in quanto Shoah, vigilare affinché nessuno paragoni la Shoah ad altro che alla Shoah, senza rimanerne comunque ossessionati?
Sinceramente non lo so. Qualcuno ha un'idea?
Giornata della memoria, appunti sulla
30-01-2019, 17:22cinema, ebraismo, giorno della memoria, memoria del 900, rifiutati, scuola, StoriaPermalinkIl suo nome è sulla lista?
26-01-2016, 18:52autoreferenziali, giorno della memoria, memoria del 900, scuolaPermalinkCiò detto, quest'anno insegno in una classe esposta a sud, con tapparelle discutibili, e se c'è il sole la LIM è nitida solo fino alle 9 del mattino, poi è meglio fare altro. Quindi in terza se voglio proiettare un po' di Schindler's List devo partire subito, l'appello magari lo faccio quando il sole comincia a picchiare.
Ecco. Fare l'appello dopo aver visto un qualsiasi pezzo di Schindler's List è inquietante in un modo che non vi immaginate - cioè adesso che ve l'ho raccontato magari ve lo immaginate, ma anche un po' di più.
(Dall'archivio:
Non parlerai di Gaza il 27
27-01-2015, 15:46ebraismo, fb2020, giorno della memoria, Israele-Palestina, memoria del 900PermalinkUna storia del genere capita forse tutti gli anni: quest'anno è capitata a Magenta (MI). Una mostra dal discutibile titolo "Shoah di ieri shoah di oggi" è stata prima patrocinata dal comune, poi precipitosamente annullata quando esponenti della comunità ebraica hanno fatto notare che esporre foto dei campi di sterminio tedeschi accanto a disegni dei bambini di Gaza avrebbe potuto creare "confusione su due piani storici e di consistenza differenti” (Daniele Cohen, assessore alla cultura della Comunità ebraica di Milano). Nel frattempo la proprietaria della libreria che aveva promosso la mostra si dichiara scossa dalle mail di odio ricevute.
Il Giorno della memoria si celebra in Italia ormai da quindici anni. Come tutte le ricorrenze, ha generato in breve tempo i suoi automatismi: la Shoah si è fatta spazio nei palinsesti tv e nei manuali scolastici; persino la programmazione dei cinema ne risente. Chi passa quotidianamente davanti alla vetrina di una libreria conosce la sensazione: a Natale renne e uomini di neve, un mese dopo stelle di David e filo spinato. Ha persino un senso: dopo la festa della bontà obbligatoria, il ricordo di quanto possiamo essere crudeli. De Bortoli qualche anno fa cominciava a sentire una certa stanchezza, avvertiva "un pericoloso scivolamento nella retorica o nella ritualità dei ricordi". Ma retorica e ritualità sono entro un certo livello inevitabili, quando si decide di fissare un evento sul calendario per tutti gli anni a venire. E funzionano: per ogni De Bortoli che si stanca di leggere o scrivere il solito temino, ci sono nuove classi che ogni tanto si affacciano sui banchi di scuola, e di una certa dose di retorica e di ritualità hanno bisogno.
Allo stesso tempo, retorica e ritualità non sono i migliori custodi dei ricordi che loro affidiamo. Così come il Natale non è nato festa dei bambini, e di renne volanti per secoli non si è parlato, anche la giornata della memoria tra un secolo non sarà quella che oggi immaginiamo. Credo che sia inevitabile che col tempo certe narrazioni più rassicuranti, come La vita è bella o Il bambino col pigiama a righe, scacceranno le meno concilianti e più crude. Per ora, si registra il tentativo di respingere le interpretazioni 'attualizzanti'. Mescolare il passato col presente, suggerire come la libraia di Magenta che "i bambini, ebrei e palestinesi, hanno gli stessi sogni", è sbagliato. Come dichiara il suo vicesindaco: "Promuovere quella mostra è stato un grave errore, ci scusiamo eliminandola dal programma. Parlare dei bambini palestinesi il 27 gennaio non è opportuno in quanto è un dramma diverso dal punto di vista storico e di dimensione".
È un'opinione che tutto sommato condivido: sono convinto che il paragone sballato tra territori occupati e lager nazisti non abbia mai giovato alla causa palestinese. Purtroppo è un paragone che non si può evitare. Ovvero: io posso rispondere di me stesso. Ma non posso evitare che qualcun altro lo faccia (la libertà di espressione, ricordate?) È un paragone sbagliato, proprio dal punto di vista storico e "di dimensione": ma è un paragone inevitabile, com'è inevitabile confondere parole molto simili dal significato anche diverso. Ebrei sterminati in un recinto, israeliani che alzano un recinto. È sbagliato accostare le due immagini, anche se sono simili. È sbagliato istituire correlazioni causa-effetto, ma il nostro cervello funziona così: vede cose simili e cerca di capire se una è la causa dell'altra. Dobbiamo chiedere al nostro cervello di sospendere un attimo la cosa, per favore, perché è controproducente. Una volta sistemata la questione col nostro cervello, dovremmo anche provare a convincere quello degli altri: da bravi, "parlare dei bambini palestinesi il 27 gennaio non è opportuno". Tutti gli altri giorni va bene: il 27 magari evitate. Non è un giorno come gli altri.
Io non credo che la libraia di Magenta sia antisemita, come le hanno scritto a quanto pare in tanti. Mi chiedo spesso a che serva l'etichetta di antisemitismo, se la si banalizza così. Si minaccia in un qualche modo il popolo ebraico esponendo disegni di bambini di Gaza? Si lede l'immagine di Israele e quindi la sua economia e quindi si congiura contro la sopravvivenza del suo popolo? C'è qualcuno che la pensa seriamente così? E se invece esporre disegni non danneggia in nessun modo concreto né Israele né l'ebraismo, cos'è esattamente questo "antisemitismo" che si esprimerebbe solo in pensieri e non in azioni, uno psicoreato? (continua sul Post)
A questo punto scatta una obiezione, anche questa ormai automatica: se proprio si devono cercare situazioni paragonabili alla Shoah, perché proprio Gaza? Con tutto il mondo a disposizione? Perché i bambini di Gaza possono esporre in una libreria italiani e di quelli che a pochi chilometri di distanza vivono la tragedia della Siria non ci interessiamo? Giusto. Ma l’obiezione si può anche ribaltare: se la libraia avesse esposto disegni di Kobane invece che di Gaza, la comunità ebraica avrebbe protestato ugualmente per il paragone indebito? Voglio pensare che sì; che se è indebita la Gaza recintata e saltuariamente bombardata dagli israeliani, sarebbe indebita anche Kobane occupata dall’Isis. Che non si tratta di difendere le politiche di Israele, ma di salvare la specificità della Shoah, tragedia assoluta senza termini di paragone.
D’altra parte, a questo punto possiamo domandarci: che ce ne facciamo di una tragedia assoluta se non possiamo usarla come termine di paragone? Che senso ha ricordare l’orrore nazista se poi dobbiamo subito puntualizzare che nessun orrore sulla terra può essere paragonato a esso? O qualche orrore può essere paragonato a esso, senza che nessuno si offenda? È una domanda non retorica. La comunità ebraica è oggettivamente investita della responsabilità non leggera di decidere cosa si debba ricordare nel Giorno della Memoria e cosa no. Il paradosso per cui il 27 gennaio rischia di diventare il giorno in cui tante altre cose devono essere temporaneamente dimenticate, per evitare paragoni sbagliati, era forse prevedibile già nella lettera della legge 211/2000, che definiva la Shoah “sterminio del popolo ebraico” e prescriveva di ricordare “gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte”. Nessun cenno alle altre minoranze sterminate: omosessuali, Testimoni di Geova, zingari sono universalmente riconosciuti come vittime dei lager, ma nella legge non se ne faceva menzione. (Eppure se quindici anni fa avessimo cominciato a riflettere più seriamente su come avevamo trattato zingari e omosessuali durante la seconda guerra mondiale, forse oggi vivremmo in una società diversa. Pensate soltanto a quanti italiani sono passati nelle nostre scuole negli ultimi quindici anni).
La legge insisteva invece sulla tragedia degli ebrei e anche questo ha un senso (un senso “di dimensione”, direbbe il vicesindaco, e suona goffo ma non saprei trovare un’espressione più felice). Nessun genocidio ha le dimensioni di quello ebraico; nessun altro dimostra la geometrica efficienza dell’uomo nell’eliminare il prossimo. Nessun altro mette in gioco la facoltà cruciale della memoria, configurandosi come una sfida alla Storia che, se avessero vinto i nazisti, sarebbe stata riscritta eliminando un intero popolo. Tutto questo è eccezionale e merita che ogni anno ci fermiamo a rifletterci, anche se certi anni non ci verrà in mente niente da dire e ci affideremo alle stampelle della ritualità e della retorica. Ma il dubbio rimane: che senso ha ricordare una cosa che ci è successa, se ogni anno ci dobbiamo affrettare ad aggiungere che è stata eccezionale, non paragonabile a nulla di presente e vivo?
Oggi è il 27 e in molte scuole si tratta di scegliere che film guardare, che brano leggere. Per orientarmi in mezzo a una produzione vastissima io di solito faccio tre mucchi: c’è la Shoah delle vittime, la Shoah degli spettatori e la Shoah dei carnefici. Alcuni prodotti (Schindler’s list) sono abbastanza complessi da rientrare in qualche modo in tutti e tre. La Shoah delle vittime può essere molto cruda (il Pianista), ma conserva di solito un impianto rassicurante: lo spettatore è indotto a immedesimarsi nella vittima, il che lo riempie momentaneamente di angoscia ma lo tranquillizza sulla propria condotta: i cattivi sono gli altri. La Shoah degli spettatori è ambigua, e adatta a un pubblico un po’ più cresciuto, al quale viene chiesto di immedesimarsi in personaggi né vittime né carnefici, che a un certo punto devono fare una scelta. La scelta di solito è di opposizione al nazismo, e quindi anche queste opere si chiudono su una nota rassicurante. La Shoah dei carnefici è quasi improponibile nelle scuole, ma credo che da un certo punto in poi dovrebbe essere l’unica a interessare chi ebreo non è, e non è omosessuale o zingaro, o testimone di Geova o handicappato: il passato che rischiamo di rivivere, se non stiamo attenti, è quello in cui gente come noi non fu vittima, ma volenterosa esecutrice.
Ricordare stanca?
07-02-2011, 12:15giorno della memoria, ho una teoria, memoria del 900, razzismi, scuolaPermalink“Collega, devo chiederti un favore. Tu insegni nel corso Z, vero?”
“Ecco, appunto, io dopo dieci anni di La vita è bella non ne posso più, mi esce dalle occhi”.
"Altrimenti ho due rom".
"Gli zingari sono perfetti. Vedi? Ne hai fin troppi, prestamene un po'”.
Il futuro di chi ha memoria
27-01-2008, 10:5921tw, fb2020, giorno della memoria, il cattivo supplente, memoria del 900, racconti, scuolaPermalinkServirà a qualcosa? Questi ragazzi ricorderanno? O anche questi ricordi non sono destinati a perdersi come lacrime nella pioggia martellante di Scusa se ti chiamo amore e/o Alien vs Predator 2?
Dopo anni di martellamento a furia di Schindler's List e Il Pianista e La Caduta, credo di sì, credo che qualcosa resterà. In fondo sono piccoli, s'immedesimano in tutto.
Così a volte penso a me stesso più vecchio, mentre faccio una fila nella nebbia. A un certo punto un giovane seduto a un banchetto mi chiede COGNOME E NOME.
“Randolla Matteo”.
“Randolla... un suo parente non faceva il maestro alle medie di *****, per caso?”
“Veramente ero io”.
“Era lei? Il Prof Randolla?” Si alza di slancio, rivelando due metri di eleganza un po' marziale. “Professore, sono io! Galavotti Enea, si ricorda? La terza effe del duemiladieci!”
Queste cose io le odio, perché i nomi e i volti sono il mio punto debole, così corrugherò un attimo la fronte e poi la distenderò facendo finta di ricordare, e nel frattempo continuerò a frugare nei resti della mia memoria, alla ricerca dei medesimi occhi verdi, di un naso analogamente schiacciato, e di quel nome, Enea, Enea, Enea.
“Ah, bene, Enea, vedo che ti sei sistemato!”
“Se n'è accorto, eh?” E si tocca le spalle, indicando un distintivo o una mostrina di cui in realtà io ignoro il significato. “E se tutto questo va a buon fine ci dovrebbe anche essere una promozione”.
“Beh, in bocca al lupo”.
“Professore, devo dirle, in questi anni ho pensato molto a lei”.
“Ah, sì, beh...”
“Vede, ne ho discusso anche con i miei coetanei, e siamo arrivati alla medesima conclusione: gli anni delle medie sono stati i più formativi”.
“Ah, però. Chi se l'aspettava”. (Io, no. Io pensavo di gestire un parcheggio tra le elementari e il liceo).
“Sì, perché in quegli anni hai la mente e il cuore... come dire... teneri. Si plasmano su quello che trovano, capisce. E io ho avuto una grande fortuna a incontrare lei”.
“Ah, davvero?”
“Ho ancora vivide nella memoria le immagini che ci proiettava, tutti quei film... a volte penso che tutto quello di buono che ho fatto nella vita lo devo a quei film”.
“Tutto questo è molto commovente, Enea, ma fa un po' freddo, la fila è lunghissima e sento che dal fondo qualcuno ci sta maledicendo”.
“Ma non si preoccupi. Senta (mi prende sottobraccio, la sua uniforme di ufficiale si strofina sul mio pigiama liso). Noi adesso qui dobbiamo dividervi in gruppi di sei e poi mettervi in fila. Lei cerchi di stare in fondo alla fila. Sempre in fondo”.
“Ma perc...”
“Poi vi portano nel piazzale della palestra, e sparano al torso del primo della fila. La pallottola trapassa e ne ammazza altri quattro, ma a volte l'ultimo si salva, capisce? Se riesce a fare il morto fino a sera può scappare”.
“Ma farà freddo!”
“I cadaveri scaldano”.
“Ma Enea, posso farti una domanda seria?”
“Dica pure, prof”.
“Perché tutto questo orrore, perché?”
“Cosa vuole che le dica, stiamo esaurendo le munizioni, dobbiamo fare economia. O preferirebbe che vi strangolassimo? Converrà che questo è un metodo più pietoso”.
“Ma...”
“E lo abbiamo preso da un film, sa? Quello in bianco e nero lungo lungo, ha presente? Che gran film! Credo proprio che ce lo abbia fatto vedere lei”.
“Sì, però...”
“Aveva ragione, sa? Anche dai film si può imparare. E noi abbiamo imparato tutto. Ora, se non le spiace, devo esaurire questa coda. In bocca al lupo, professore”.
“In bocca al lupo, Enea, e grazie”.
“Ma grazie a lei. E si ricordi. Stia in fondo alla fila. Sempre in fondo”.
- Giornata della memoria 2004.
“Be’, quando girava “La caduta degli dei”, Luchino Visconti raccontava un aneddoto non so quanto significativo, ma certamente inquietante. Per la scena della “notte dei lunghi coltelli”, […], aveva assunto un nutrito gruppo di giovani bavaresi locali. Era già in atto quella specie di unificazione antropologica dei giovani di tutto il mondo, e anche questi erano dei giovani qualsiasi: blue jeans, capelli lunghi, andatura dinoccolata. Visconti temeva di avere il suo da fare per farne delle SS attendibili, ma si sbagliava. Con i capelli tagliati e le divise indosso si comportarono istintivamente come il regista voleva… O forse no, non era istinto, era semplicemente immedesimazione. Ma attenti: la sera, finite le riprese, questi giovani le divise non se le toglievano. Il paese in cui si girava risuonava di stivali in marcia, di sbattere di tacchi, di ordini sbraitati. Insomma, gli piaceva”.
Ferruccio Alessandri, Introduzione a Ray Bradbury, Molto dopo mezzanotte, Oscar Mondatori 1979
La Giornata della Memoria, secondo me, è un’ottima idea: e credo che molti studenti della scuola dell’obbligo siano d’accordo con me.
Quando la facevo io, la scuola dell’obbligo, la Giornata non esisteva, e spesso in terza media non si arrivava a parlare del fascismo, figurarsi la seconda guerra mondiale. Insomma, c’era una certa ignoranza. C’erano anche diverse svastiche incise sui banchi. La maggior parte dei loro autori – parlo della mia scuola di provincia – non avevano un’idea precisa di cosa quelle svastiche significassero. Erano vagamente associate a gruppi punk e atteggiamenti riprovevoli e proibiti. Ma per esempio, il mio compagno G., che in quarta elementare riempiva fogli su fogli di svastiche con un pennarello nero, non avrebbe ascoltato i Sex Pistols per altri dieci anni. Era già in grado però di apprezzare l’eleganza del simbolo, perfettamente radiale e simmetrico. Non a caso ha affascinato l’uomo da millenni, sin da antiche incisioni rupestri in cui rappresenta il ciclo del sole. Karl Gustav Jung, se fosse venuto a trovarci, avrebbe magari sostenuto che G. disegnava svastiche a ripetizione per esprimere l’insorgenza degli archetipi dell’inconscio collettivo (e Jung infatti curava i suoi pazienti facendo loro dipingere dei mandala, e guardacaso i mandala sono diagrammi circolari, proprio come le prime svastiche). Ma non si è mai presentato, Karl Gustav, e noi abbiamo dovuto arrangiarci da soli, col nostro inconscio collettivo e i nostri archetipi.
(Ancora adesso, quando mi capita di scribacchiare al telefono, sto molto attento a evitare che una serie di figure astratte non possa essere interpretata come una svastica. La svastica è un tabù grafico).
Anni dopo per ragioni di lavoro mi sono rimesso a bazzicare le scuole dell’obbligo, e una delle prime novità che ho scoperto è stata la Giornata della Memoria. Non vogliatemene se vi dico che di solito è sempre una bella giornata. Io ho sempre amato la Storia, e volentieri da bambino avrei sacrificato tutte le ore di scienze e persino di educazione fisica per qualche documentario in bianco e nero. Ma oggi si può fare di più. Quest’anno dove lavoro io, le terze si sono trasferite in un cinema per la proiezione de La Vita è Bella. L’anno scorso abbiamo visto Il Grande Dittatore. (Immagino che scuole un po’ più ambiziose provino con Schindler’s List). Due anni fa stavo in una scuola che, per ragioni topografiche, era praticamente forzata a mandare i propri studenti al Museo del Deportato e al Campo di Concentramento di Fossoli almeno una volta all’anno. Una visita a Fossoli non è quel tipo di esperienza che definirei “piacevole”, ma sono convinto che qualsiasi studente tra gli undici e i quattordici anni la preferisca alle solite cinque ore di educazione tecnica, matematica italiano e religione.
La scuola dell’obbligo non è il paradiso, e molto di quello che ci impari è destinato a scorrere via: ma non c’è dubbio che i ragazzini di oggi escano fuori con una nozione molto più precisa della Shoah, grazie anche e soprattutto alla Giornata della Memoria. E allora la domanda è: hanno smesso di incidere svastiche sui banchi?
Non lo so, bisognerebbe indagare su un campione di scuole in un dato numero di anni. Quello che però che mi sento di affermare è: chi disegna una svastica, o una celtica, su uno zainetto, oggi probabilmente sa che quel segno non è soltanto un piacevole e trasgressivo motivo ornamentale. E questo grazie alla Giornata della Memoria. Però non sono del tutto sicuro che questa sia una buona cosa.
Coi ragazzini basta così, veniamo agli adulti. Se come me continuate ad amare i documentari storici, ieri avete avuto l’occasione di farne una scorpacciata. E ora che siete satolli – e forse anche un po’ saturi – ditemi: siete sicuri che questo vostro gusto sia del tutto sano?
Ci si lamenta spesso che i palinsesti televisivi non lascino molto spazio alla storia e alla cultura. Però si tende a sopravvalutare certi cosiddetti ‘fenomeni di costume’ che durano cinque o sei stagioni e si conquistano lo share con un costante bombardamento mediatico. Lo zoccolo duro dei telespettatori, secondo me, è quello che guarda da decenni gli stessi programmi più o meno nelle stesse fasce orarie. Le telenovele. I telefilm. I documentari sugli animali. I documentari sul fascismo. Se ci fate caso, li programmano abbastanza spesso. Ce n’è uno, “Mussolini. Ascesa e caduta di un dittatore”, che mi sembra sia passato e ripassato infinite volte.
È chiaro che si tratta di riempire in modo conveniente un palinsesto. Però ci sono tanti documentari storici: perché alla fine ti mostrano sempre nazisti e fascisti? Ho il sospetto che quel tipo di documentari sia programmato spesso perché ai telespettatori piace di più. Io non credo molto all’auditel, ma di vhs su nazisti e fascisti ne ho trovate molte anche nelle edicole. Evidentemente c’è chi le compra.
Ora, io non mi sogno di sostenere che gli italiani a una certa ora della notte amino guardare le immagini di Mussolini sul balcone più dei film di Franco Franchi e Ciccio e Ingrassia: però di sicuro preferiscono i discorsi del Puzzone ai documentari su Garibaldi, Mazzini, Giolitti, De Gasperi, Togliatti, Aldo Moro. Evidentemente il Puzzone ci interessa di più. Non significa che ci piace. Ma con le sue pause, le sue boccacce assurde, i suoi costumi strampalati… possiamo dire che ci affascina un po’? Lo stesso per il suo amico baffetto. I tedeschi che marciano a passo dell’oca hanno qualcosa di sinistro e seducente. Gli “stivali in marcia, lo sbattere di tacchi, gli ordini sbraitati”: è tutto così… fotogenico. Mussolini diceva che la “Cinematografia è l’arma più forte”. Ci sarà stato un motivo. I nazisti inventarono il televisore. Ci sarà stato un motivo.
Si è fatto tardi ed è ora di spegnere la tv ed andare a letto. Oggi abbiamo fatto il nostro dovere di cittadini, abbiamo ricordato la Shoah, e riguardato una serie d’immagini, molte delle quali conoscevamo già.
Domani sarà un altro giorno – ma cosa sarà restato, in noi, della Giornata della Memoria del 2004? Voglio sperare che domani nessuno ci sorprenda a marciare un po’ più marziali del solito – a trattare un sottoposto con qualche ordine secco in più. Abbiamo accettato che chi dimentica il passato è condannato a riviverlo. Resta da capire cosa succede a chi quel passato lo consuma tutti gli anni, magari seduto in poltrona, davanti all’ennesimo documentario o film di qualità. Io, per quel che vale il mio parere, non ho mai creduto molto in Karl Gustav Jung e nel suo inconscio collettivo. L’aneddoto di Visconti però mi dà i brividi. Può darsi che ci sia un nazista in ognuno di noi, che aspetta il momento buono per vestire una divisa: può darsi che la Giornata della Memoria sia quel che ci vuole per combatterlo; ma può anche darsi che diventi una strategia per solleticarlo ed eccitarlo, con qualche filmato in bianco e nero, qualche bella uniforme d’epoca, qualche racconto di brutalità e sopraffazione… Dipenderà molto da come la celebriamo, questa Giornata. Dipenderà da noi, come al solito.