Non nominare l'omeopata invano
07-08-2011, 19:02ho una teoria, internet, multinazionali maledettePermalinkCome probabilmente sapete, in questo piccolo mondo che è il Www, ci sono delle regole scritte e non scritte. La prima probabilmente è: puoi parlare di tutto, ma proprio di tutto, ma lascia stare le aziende farmaceutiche. Lasciale stare e nessuno ti farà male. Perlomeno, fino al mese scorso.
Poi è arrivato Blogzero. Sull'Unità.it è on line Primo: non parlerai di farmaci e omeopatia (H1t#84), che si commenta là speriamo come al solito bene.
(Le ventuno notti proseguono domani. Nel caso che qualcuno fosse in pensiero, eh).
Dopo aver letto che che la prima pagina web è andata on line più o meno vent'anni fa, ho cercato di ricordare quando ne ho sentito parlare per la prima volta. Dev'essere successo abbastanza tardi, forse addirittura nel 1994 (per dire, Berlusconi era già al governo). Io a quel tempo ovviamente scrivevo già, su molti fogli, perlopiù formato A3 piegati quattro volte per formare rivistine studentesche che distribuivo a mano chiedendo a volte pure cinquecento, mille lire in cambio (che vergogna).
Fu durante una riunione di redazione di una rivista del genere che uno scrittore cyberpunk modenese mi parlò per la prima volta di questa nuova modalità, questo nuovo protocollo, non ricordo bene come lo chiamò, insomma, era qualcosa di totalmente nuovo che di lì a pochissimo ci avrebbe consentito di divulgare le nostre idee “nella rete”, senza più bisogno di fotocopiatrici. La cosa fantastica è che in questa rete si sarebbe potuto parlare di tutto, e nessuno sarebbe stato in grado di censurarci, anche se forse era meglio non parlare di farmaci. Disse proprio così, me lo ricordo: parlare di Berlusconi non sarebbe stato un problema, ma discutere di farmaci aveva messo nei guai un suo conoscente già su usernet, per cui era veramente meglio non parlare di farmaci.
Sono passati vent'anni, dieci dei quali li ho passati proprio in quella misteriosa rete. Ho scritto un po' di tutto, senza intendermi quasi di niente, e fino a questo momento non ho avuto ancora una sola vera grana legale. Sarà anche questione di fortuna. Sarà che il più delle volte mi riduco a scrivere di Berlusconi, e di Berlusconi si può scrivere veramente di tutto, senza temere conseguenze (sarà difficile spiegarlo ai nostri nipotini, quando gli racconteremo di questi vent'anni di regime). Sarà che ho ancora in mente il consiglio di quel saggio cyberpunk: scrivi quel che ti pare, ma lascia stare le farmaceutiche.
È un consiglio veramente buono. Proprio in questi giorni leggevo di quello che è successo all'ingegnere informatico Samuele Riva, che su Blogzero aveva pubblicato un bell'articolo sull'omeopatia, smontando per l'ennesima volta i concetti di “memoria dell'acqua” e similari. Non lo si dice mai abbastanza: i farmaci omeopatici (quando sono realmente omeopatici, e non prodotti di erboristeria) sono semplicemente acqua, e hanno le stesse proprietà curative che ha l'acqua (poche: altrimenti ci cureremmo le allergie col rubinetto). Da un punto di vista scientifico questo è difficilmente contestabile, anche se qualche difensore dell'omeopatia ogni tanto ci prova. Riva ha avuto il merito di ribadire il concetto in modo chiaro, e di aver scatenato un'interessante discussione nei commenti.
Però ha anche avuto la pessima idea di citare un'azienda produttrice di farmaci omeopatici, la Boiron, mostrando addirittura la foto di un loro prodotto, violando così la Prima Direttiva di chiunque voglia scrivere sul World Wide Web: Non Citerai Le Aziende Farmaceutiche! A questo punto si è scomodato addirittura l'amministratore delegato della Boiron, che con una letterina ha chiesto al responsabile di Blogzero non solo di rimuovere la foto del prodotto (cosa tutto sommato comprensibile), ma di eliminare dal blog tutti gli articoli sull'omeopatia firmati da Riva, e di impedirgli l'accesso al blog.
Com'è andata a finire? Non è ancora finita, ma per ora l'articolo è rimasto al suo posto, anche se la foto e i riferimenti alla Boiron sono spariti. In compenso si è verificato il solito tam-tam che è l'unico vero strumento di autodifesa del www, per cui a dieci giorni dalla diffida già una ventina di siti hanno ripreso la notizia, tra cui blogger affermati come Mantellini eMalvino che hanno coraggiosamente violato la Prima Direttiva. Risultato: un sito sconosciuto ai più come Blogzero ha avuto un record di accessi; Google se n'è accorto, e ora digitando “Boiron” i pezzi critici nei confronti dell'azienda compaiono nella prima pagina dei risultati. Anche sui social network si parla di omeopatia, e non in termini positivi.
Insomma, con le sue minacce la Boiron sembra essersi impigliata nella Rete, come è già successo a tante altre aziende prima di lei. Tutto questo costituisce una notizia? Pare di no. Perlomeno, non mi risulta che in questi giorni i quotidiani se ne siano accorti. Ok, non è un agosto come gli altri, c'è una crisi mondiale e tutto il resto. Però il piccolo blogger che sfida e (per ora) fa tremare un'azienda farmaceutica poteva pur valere un trafiletto nelle pagine di costume o cultura o quel che è. Ma forse anche i giornali hanno la loro Prima Direttiva... http://leonardo.blogspot.com
Poi è arrivato Blogzero. Sull'Unità.it è on line Primo: non parlerai di farmaci e omeopatia (H1t#84), che si commenta là speriamo come al solito bene.
(Le ventuno notti proseguono domani. Nel caso che qualcuno fosse in pensiero, eh).
Dopo aver letto che che la prima pagina web è andata on line più o meno vent'anni fa, ho cercato di ricordare quando ne ho sentito parlare per la prima volta. Dev'essere successo abbastanza tardi, forse addirittura nel 1994 (per dire, Berlusconi era già al governo). Io a quel tempo ovviamente scrivevo già, su molti fogli, perlopiù formato A3 piegati quattro volte per formare rivistine studentesche che distribuivo a mano chiedendo a volte pure cinquecento, mille lire in cambio (che vergogna).
Fu durante una riunione di redazione di una rivista del genere che uno scrittore cyberpunk modenese mi parlò per la prima volta di questa nuova modalità, questo nuovo protocollo, non ricordo bene come lo chiamò, insomma, era qualcosa di totalmente nuovo che di lì a pochissimo ci avrebbe consentito di divulgare le nostre idee “nella rete”, senza più bisogno di fotocopiatrici. La cosa fantastica è che in questa rete si sarebbe potuto parlare di tutto, e nessuno sarebbe stato in grado di censurarci, anche se forse era meglio non parlare di farmaci. Disse proprio così, me lo ricordo: parlare di Berlusconi non sarebbe stato un problema, ma discutere di farmaci aveva messo nei guai un suo conoscente già su usernet, per cui era veramente meglio non parlare di farmaci.
Sono passati vent'anni, dieci dei quali li ho passati proprio in quella misteriosa rete. Ho scritto un po' di tutto, senza intendermi quasi di niente, e fino a questo momento non ho avuto ancora una sola vera grana legale. Sarà anche questione di fortuna. Sarà che il più delle volte mi riduco a scrivere di Berlusconi, e di Berlusconi si può scrivere veramente di tutto, senza temere conseguenze (sarà difficile spiegarlo ai nostri nipotini, quando gli racconteremo di questi vent'anni di regime). Sarà che ho ancora in mente il consiglio di quel saggio cyberpunk: scrivi quel che ti pare, ma lascia stare le farmaceutiche.
È un consiglio veramente buono. Proprio in questi giorni leggevo di quello che è successo all'ingegnere informatico Samuele Riva, che su Blogzero aveva pubblicato un bell'articolo sull'omeopatia, smontando per l'ennesima volta i concetti di “memoria dell'acqua” e similari. Non lo si dice mai abbastanza: i farmaci omeopatici (quando sono realmente omeopatici, e non prodotti di erboristeria) sono semplicemente acqua, e hanno le stesse proprietà curative che ha l'acqua (poche: altrimenti ci cureremmo le allergie col rubinetto). Da un punto di vista scientifico questo è difficilmente contestabile, anche se qualche difensore dell'omeopatia ogni tanto ci prova. Riva ha avuto il merito di ribadire il concetto in modo chiaro, e di aver scatenato un'interessante discussione nei commenti.
Però ha anche avuto la pessima idea di citare un'azienda produttrice di farmaci omeopatici, la Boiron, mostrando addirittura la foto di un loro prodotto, violando così la Prima Direttiva di chiunque voglia scrivere sul World Wide Web: Non Citerai Le Aziende Farmaceutiche! A questo punto si è scomodato addirittura l'amministratore delegato della Boiron, che con una letterina ha chiesto al responsabile di Blogzero non solo di rimuovere la foto del prodotto (cosa tutto sommato comprensibile), ma di eliminare dal blog tutti gli articoli sull'omeopatia firmati da Riva, e di impedirgli l'accesso al blog.
Com'è andata a finire? Non è ancora finita, ma per ora l'articolo è rimasto al suo posto, anche se la foto e i riferimenti alla Boiron sono spariti. In compenso si è verificato il solito tam-tam che è l'unico vero strumento di autodifesa del www, per cui a dieci giorni dalla diffida già una ventina di siti hanno ripreso la notizia, tra cui blogger affermati come Mantellini eMalvino che hanno coraggiosamente violato la Prima Direttiva. Risultato: un sito sconosciuto ai più come Blogzero ha avuto un record di accessi; Google se n'è accorto, e ora digitando “Boiron” i pezzi critici nei confronti dell'azienda compaiono nella prima pagina dei risultati. Anche sui social network si parla di omeopatia, e non in termini positivi.
Insomma, con le sue minacce la Boiron sembra essersi impigliata nella Rete, come è già successo a tante altre aziende prima di lei. Tutto questo costituisce una notizia? Pare di no. Perlomeno, non mi risulta che in questi giorni i quotidiani se ne siano accorti. Ok, non è un agosto come gli altri, c'è una crisi mondiale e tutto il resto. Però il piccolo blogger che sfida e (per ora) fa tremare un'azienda farmaceutica poteva pur valere un trafiletto nelle pagine di costume o cultura o quel che è. Ma forse anche i giornali hanno la loro Prima Direttiva... http://leonardo.blogspot.com
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- perbenisti di tutto il mondo, unitevi
12-01-2006, 19:37avercela con D'Alema, DS, fumo, indymedia, multinazionali maledettePermalinkIl Partito Perbene (e chi lo paga)
Ma avete fatto bene a dirlo, che siete un Partito di Gente Perbene. Perché è giusto che la gente lo sappia.
Che non si giudica un partito da un'OPA irregolare dettata al telefono. Un partito lo giudichi dal carisma, dall'altruismo, dalla fantasia.
Prendi D'Alema, per esempio. Lui, i suoi finanziamenti li raccoglie fuori dal partito. I politici perbene le cose le fanno così. Può contare sulla Fondazione Italianieuropei, da lui presieduta, credo, sin dalla sua creazione (nel 1998; Giuliano Amato è il Presidente del Comitato Scientifico).
La Fondazione Italianieuropei è "un luogo di incontro tra le diverse tradizioni culturali del riformismo italiano, per contribuire alla vita politica con soluzioni di governo adeguate al nuovo scenario mondiale attraversato da potenti correnti di innovazione di cui l’Italia è stabilmente partecipe". Non vi sembra un progetto Perbene?
Ma, naturalmente, per fornire un luogo d'incontro alle diverse tradizioni culturali del riformismo italiano, servono delle strutture. Sale riunioni capienti da noleggiare – e il catering, non scordiamoci del catering! perché forse nulla accomuna le diverse tradizioni culturali del riformismo italiano come quel certo languorino allo stomaco che ti assale dopo un paio d'ore di convegno sulle privatizzazioni.
In breve, servono danari. Come dappertutto.
Ma non c'è problema, gli Italianieuropei sono gente Perbene, che si fa finanziare alla luce del sole. La lista dei Soci benemeriti è pubblicata sul sito. Un po' in piccolo, è vero, in grigio su sfondo bianco, ma c'è.
Vi chiederete: come mai di questa storia non se ne parla? Ma perché tutto questo è assolutamente legale, trasparente e alla luce del sole. In un mondo di torbidi contatti tra Economia e Potere, possiamo dire che D'Alema ci mostra la via per entrare nel Terzo Millennio: fundraising puro, all'americana. In confronto Berlusconi ci fa una figura anni '60: il tycoon prestato alla finanza… roba da Kennedy, da Rockfeller. Pussa via.
Gli unici che si siano mai preoccupati di questa storia sono quegli svitati di Indymedia. Tre anni fa. A quei tempi scoppiò uno scandalo su un colosso farmaceutico che corruppe 3000 medici solo in Italia. Ve ne ricordate? No. Nessuno se ne ricorda. Strano. Beh, lo stesso colosso farmaceutico finanziava già da allora gli ItalianiEuropei. Qualcuno lo scrisse su Indymedia. Io andai a vedere e ci scrissi un pezzo. Poi, più nulla. Lo ammetto, ogni tanto andavo a controllare. Mi aspettavo che D'Alema o chi per lui togliesse dalla pagina dei Soci Benemeriti il nome del Colosso farmaceutico in questione. E mi sbagliavo. Perché D'Alema è una persona perbene, che non abbandona i suoi Soci Benemeriti nelle difficoltà.
Come quel colosso del tabacco, anche lui con tante grane legali in tutto il mondo… È curioso, ma ora che ci penso, il governo che ha inasprito sensibilmente la legislazione antifumo in Italia non è stato quello presieduto da D'Alema. È stato un altro. Per avere una legislazione antifumo che l'Europa ci ammira, abbiamo dovuto aspettare che D'Alema (e Amato) si schiodassero da Palazzo Chigi. Magari è solo una coincidenza – figurati se un colosso del tabacco non finanzia in parti uguali tutti i contendenti, in America si fa così – e poi, andiamo: D'Alema è una persona Perbene. E le persone Perbene, queste cose, non le fanno. Non le pensano. Già pensarle, significa non essere più tanto Perbene.
E poi se la prendono perché c'ha la barca – è una cosa che mi fa incazzare. Che provinciali, Dio. Finalmente abbiamo un politico che sa fare fundraising, che prende soldi puliti da Glaxo, Philip Morris, Pharmacia & UpJohn, Legacoop, Ericcson… ma voi ve la prendete perché c'ha la barca. Giurassici, siete. E per niente Perbene.
Ma avete fatto bene a dirlo, che siete un Partito di Gente Perbene. Perché è giusto che la gente lo sappia.
Che non si giudica un partito da un'OPA irregolare dettata al telefono. Un partito lo giudichi dal carisma, dall'altruismo, dalla fantasia.
Prendi D'Alema, per esempio. Lui, i suoi finanziamenti li raccoglie fuori dal partito. I politici perbene le cose le fanno così. Può contare sulla Fondazione Italianieuropei, da lui presieduta, credo, sin dalla sua creazione (nel 1998; Giuliano Amato è il Presidente del Comitato Scientifico).
La Fondazione Italianieuropei è "un luogo di incontro tra le diverse tradizioni culturali del riformismo italiano, per contribuire alla vita politica con soluzioni di governo adeguate al nuovo scenario mondiale attraversato da potenti correnti di innovazione di cui l’Italia è stabilmente partecipe". Non vi sembra un progetto Perbene?
Ma, naturalmente, per fornire un luogo d'incontro alle diverse tradizioni culturali del riformismo italiano, servono delle strutture. Sale riunioni capienti da noleggiare – e il catering, non scordiamoci del catering! perché forse nulla accomuna le diverse tradizioni culturali del riformismo italiano come quel certo languorino allo stomaco che ti assale dopo un paio d'ore di convegno sulle privatizzazioni.
In breve, servono danari. Come dappertutto.
Ma non c'è problema, gli Italianieuropei sono gente Perbene, che si fa finanziare alla luce del sole. La lista dei Soci benemeriti è pubblicata sul sito. Un po' in piccolo, è vero, in grigio su sfondo bianco, ma c'è.
Tra i Soci benemeriti della Fondazione figurano esponenti del mondo imprenditoriale come, tra gli altri, Guidalberto Guidi, Gianni Agnelli, Francesco Micheli, Vittorio Merloni, Claudio Cavazza, Carlo De Benedetti, Gianfranco Dioguardi e Paolo Marzotto insieme ad aziende quali Pirelli, Gruppo Marchini, Philip Morris, Glaxo Wellcome, Pharmacia & UpJohn, Lega delle Cooperative, ABB ed Ericcson.La pagina spiega anche cosa significa essere Soci benemeriti. Significa scucire per gli ItalianiEuropei, almeno cinquanta milioni di vecchie lire. Che per la Lega delle Coop o per Philip Morris sono ben poca cosa, intendiamoci. Ma anche con queste poche cose si può fare tanto, per il riformismo italiano.
Vi chiederete: come mai di questa storia non se ne parla? Ma perché tutto questo è assolutamente legale, trasparente e alla luce del sole. In un mondo di torbidi contatti tra Economia e Potere, possiamo dire che D'Alema ci mostra la via per entrare nel Terzo Millennio: fundraising puro, all'americana. In confronto Berlusconi ci fa una figura anni '60: il tycoon prestato alla finanza… roba da Kennedy, da Rockfeller. Pussa via.
Gli unici che si siano mai preoccupati di questa storia sono quegli svitati di Indymedia. Tre anni fa. A quei tempi scoppiò uno scandalo su un colosso farmaceutico che corruppe 3000 medici solo in Italia. Ve ne ricordate? No. Nessuno se ne ricorda. Strano. Beh, lo stesso colosso farmaceutico finanziava già da allora gli ItalianiEuropei. Qualcuno lo scrisse su Indymedia. Io andai a vedere e ci scrissi un pezzo. Poi, più nulla. Lo ammetto, ogni tanto andavo a controllare. Mi aspettavo che D'Alema o chi per lui togliesse dalla pagina dei Soci Benemeriti il nome del Colosso farmaceutico in questione. E mi sbagliavo. Perché D'Alema è una persona perbene, che non abbandona i suoi Soci Benemeriti nelle difficoltà.
Come quel colosso del tabacco, anche lui con tante grane legali in tutto il mondo… È curioso, ma ora che ci penso, il governo che ha inasprito sensibilmente la legislazione antifumo in Italia non è stato quello presieduto da D'Alema. È stato un altro. Per avere una legislazione antifumo che l'Europa ci ammira, abbiamo dovuto aspettare che D'Alema (e Amato) si schiodassero da Palazzo Chigi. Magari è solo una coincidenza – figurati se un colosso del tabacco non finanzia in parti uguali tutti i contendenti, in America si fa così – e poi, andiamo: D'Alema è una persona Perbene. E le persone Perbene, queste cose, non le fanno. Non le pensano. Già pensarle, significa non essere più tanto Perbene.
E poi se la prendono perché c'ha la barca – è una cosa che mi fa incazzare. Che provinciali, Dio. Finalmente abbiamo un politico che sa fare fundraising, che prende soldi puliti da Glaxo, Philip Morris, Pharmacia & UpJohn, Legacoop, Ericcson… ma voi ve la prendete perché c'ha la barca. Giurassici, siete. E per niente Perbene.
Comments (12)
27-02-2003, 03:17avercela con D'Alema, DS, fumo, indymedia, multinazionali maledettePermalink
Chi vi paga per darci lezioni?
Un pezzo fazioso
Ricopio da un vecchio pezzo di Rolli:
Conviene demonizzare Berlusconi?
Uno studio pubblicato sulla rivista Italianieuropei, guidata da Massimo D'Alema e Giuliano Amato, rileva come se da una parte la demonizzazione ha contenuto la sconfitta dell'Ulivo, dall'altra ha avuto l'effetto di far calare la fiducia non solo in Berlusconi ma anche nei leader della sinistra, determinando un allontanamento dal voto o il rifugio in partiti minori...
Ma chi ha i soldi per fare politica, in Italia? A parte Berlusconi, naturalmente.
Diamo per scontato che il sistema italiano stia scivolando verso il modello americano: campagne elettorali sempre più costose, candidati sempre più ricattabili dai loro finanziatori. In Italia però ci sono vistose anomalie: se da una parte c’è l’uomo più ricco d’Italia, dall’altra c’è un partito (i DS) che è in bancarotta cronica da più di dieci anni. In teoria i giochi dovrebbero essere fatti in partenza…
…ma in pratica non è così, perché la stessa ambizione di Berlusconi a diventare padrone di mezza Italia (la mezza che non possiede già) è destinata a generare una spinta uguale in senso contrario. In Italia c’è fior di finanziatori interessati a investire sull’opposizione; ma la novità è che i soldi non passano più attraverso il Partito, per vari motivi (anche perché la legislazione post – Mani Pulite ha reso più difficile certi giochini).
Così, mentre noi continuiamo a lamentare la crisi d’identità del Partito, la crisi di leadership del Partito, ecc., non ci accorgiamo che al Partito manca qualcosa di ben più concreto: i soldi. Non ci sono soldi per fare le campagne (proprio nel momento in cui Berlusconi alza la posta e si mette a girare l’Italia in nave), non ci sono soldi per fare informazione (e così l’Unità chiude, per risorgere come quotidiano indipendente e tutt’altro che in linea con la dirigenza del partito). Negli ultimi anni i DS si sono ridotti a cedere le loro proprietà (uffici, terreni per i festival, ecc.) per trasferirsi in locali presi in affitto: cosa che io o voi faremmo soltanto se fossimo con l’acqua alla gola.
Eppure ci sono esponenti DS che fanno politica, anzi, che si sentono già in campagna elettorale, e che stanno già affrontando le spese del caso: i sondaggi, i comizi (che adesso si chiamano “incontri”), eccetera. Ma non li finanzia il Partito, il Partito è una struttura pesante, superata. E allora chi?
Un ruolo importante lo hanno quelle misteriose strutture che si chiamano Fondazioni, e che da che mondo è mondo svolgono un ruolo di cuscinetto tra la politica, la finanza e… qualsiasi altra cosa. Spesso sono pensioni di lusso per ex dirigenti di successo. La tensione che nell’ultimo anno ha lacerato i DS, potremmo anche descriverla come la lotta sotterranea tra la Fondazione Di Vittorio e la Fondazione Italianieuropei. La prima è il dopolavoro del chimico Sergio Cofferati; la seconda è l’invenzione di D’Alema e Amato.
Prendiamo l’esempio citato all’inizio (ne ha parlato anche il Foglio): una ricerca statistica di buon livello e, presumo, di un certo costo, che fornisce un fondamento scientifico alla linea politica di D’Alema. Chi l’ha pagata? Certo non il Partito, che già fatica a sbarcare il mese (e di cui D’Alema dovrebbe essere il Presidente super partes, ma lasciamo perdere). Evidentemente l’ha pagata la Fondazione Italianieuropei, che problemi d’affitto non ne ha. E chi finanzia la Fondazione Italianieuropei?
Ecco qui:
I donatori che indirizzano il proprio contributo al patrimonio costitutivo per una somma una tantum pari o superiore a cinquanta milioni di lire divengono Soci benemeriti e partecipano in queste veste alle attività pubbliche e sociali della Fondazione. L’assemblea dei Soci benemeriti nomina tra i propri membri tre Consiglieri di Amministrazione della Fondazione.
Tra i Soci benemeriti della Fondazione figurano esponenti del mondo imprenditoriale come, tra gli altri, Guidalberto Guidi, Gianni Agnelli, Francesco Micheli, Vittorio Merloni, Claudio Cavazza, Carlo De Benedetti, Gianfranco Dioguardi e Paolo Marzotto insieme ad aziende quali Pirelli, Gruppo Marchini, Philip Morris, Glaxo Wellcome, Pharmacia & UpJohn, Lega delle Cooperative, ABB ed Ericcson.
Se ne potrebbe dire tanto, veramente tanto, su questi soci benemeriti. Prendiamone uno a caso, che so, la Glaxo Wellcome. Dove ho già sentito parlare di Glaxo Wellcome? Ah, ecco, la Glaxo Wellcome. Beh, non credo che aggiungerò altro sulla Glaxo Wellcome, solo a pronunciarne il nome (Glaxo Wellcome) sento odore di querela. Lasciamo perdere.
Prendiamo allora… la Philip Morris. Beh, non credo che ci sia bisogno di spiegare cos’è la Philip Morris. Direi anzi che tutti conoscano bene la Philip Morris, le sue battaglie, i suoi valori, le sue idee. E questo è tutto anche sulla Philip Morris.
Sì, mi rendo conto, il mio moralismo è d'accatto e d'annata. In realtà per fare politica servono i sondaggi, e per ordinare i sondaggi ci vogliono soldi. Se D’Alema ritiene di poterli chiedere alle multinazionali, è libero di farlo. E tra prendere soldi dalle multinazionali ed essere al soldo delle multinazionali c’è una certa differenza, che io non saprei misurare in centimetri, ma c’è.
Quello che veramente mi stupisce è la franchezza. I casi sono due: o gli Italianieuropei sottovalutano internet e pensano che tanto su questa pagina non ci vada nessuno (e neanch’io ci sarei andato, senza Indymedia), oppure trovano che non ci sia nulla di male, per i rappresentanti di un partito europeo di centrosinistra, nel dichiarare quanti soldi prendono dalle multinazionali, anche quando le multinazionali vengono coinvolte in illeciti eclatanti. In entrambi i casi, io resto di stucco. E voi? Perché magari è un problema solo mio.
Comunque, in attesa che uno studio scientifico mi dimostri che sbaglio, io smetterò di demonizzare Berlusconi e comincerò a demonizzare direttamente D’Alema.
E ora mi aspetto che qualcuno dell’opposta fazione mi porti le prove che la fondazione Di Vittorio è finanziata dalla Corea del Nord, da Al Qaeda, dai Sette Savi di Sion, dalla Spectre. Per stasera il mio fazioso dovere l’ho fatto, alla prossima
Un pezzo fazioso
Ricopio da un vecchio pezzo di Rolli:
Conviene demonizzare Berlusconi?
Uno studio pubblicato sulla rivista Italianieuropei, guidata da Massimo D'Alema e Giuliano Amato, rileva come se da una parte la demonizzazione ha contenuto la sconfitta dell'Ulivo, dall'altra ha avuto l'effetto di far calare la fiducia non solo in Berlusconi ma anche nei leader della sinistra, determinando un allontanamento dal voto o il rifugio in partiti minori...
Ma chi ha i soldi per fare politica, in Italia? A parte Berlusconi, naturalmente.
Diamo per scontato che il sistema italiano stia scivolando verso il modello americano: campagne elettorali sempre più costose, candidati sempre più ricattabili dai loro finanziatori. In Italia però ci sono vistose anomalie: se da una parte c’è l’uomo più ricco d’Italia, dall’altra c’è un partito (i DS) che è in bancarotta cronica da più di dieci anni. In teoria i giochi dovrebbero essere fatti in partenza…
…ma in pratica non è così, perché la stessa ambizione di Berlusconi a diventare padrone di mezza Italia (la mezza che non possiede già) è destinata a generare una spinta uguale in senso contrario. In Italia c’è fior di finanziatori interessati a investire sull’opposizione; ma la novità è che i soldi non passano più attraverso il Partito, per vari motivi (anche perché la legislazione post – Mani Pulite ha reso più difficile certi giochini).
Così, mentre noi continuiamo a lamentare la crisi d’identità del Partito, la crisi di leadership del Partito, ecc., non ci accorgiamo che al Partito manca qualcosa di ben più concreto: i soldi. Non ci sono soldi per fare le campagne (proprio nel momento in cui Berlusconi alza la posta e si mette a girare l’Italia in nave), non ci sono soldi per fare informazione (e così l’Unità chiude, per risorgere come quotidiano indipendente e tutt’altro che in linea con la dirigenza del partito). Negli ultimi anni i DS si sono ridotti a cedere le loro proprietà (uffici, terreni per i festival, ecc.) per trasferirsi in locali presi in affitto: cosa che io o voi faremmo soltanto se fossimo con l’acqua alla gola.
Eppure ci sono esponenti DS che fanno politica, anzi, che si sentono già in campagna elettorale, e che stanno già affrontando le spese del caso: i sondaggi, i comizi (che adesso si chiamano “incontri”), eccetera. Ma non li finanzia il Partito, il Partito è una struttura pesante, superata. E allora chi?
Un ruolo importante lo hanno quelle misteriose strutture che si chiamano Fondazioni, e che da che mondo è mondo svolgono un ruolo di cuscinetto tra la politica, la finanza e… qualsiasi altra cosa. Spesso sono pensioni di lusso per ex dirigenti di successo. La tensione che nell’ultimo anno ha lacerato i DS, potremmo anche descriverla come la lotta sotterranea tra la Fondazione Di Vittorio e la Fondazione Italianieuropei. La prima è il dopolavoro del chimico Sergio Cofferati; la seconda è l’invenzione di D’Alema e Amato.
Prendiamo l’esempio citato all’inizio (ne ha parlato anche il Foglio): una ricerca statistica di buon livello e, presumo, di un certo costo, che fornisce un fondamento scientifico alla linea politica di D’Alema. Chi l’ha pagata? Certo non il Partito, che già fatica a sbarcare il mese (e di cui D’Alema dovrebbe essere il Presidente super partes, ma lasciamo perdere). Evidentemente l’ha pagata la Fondazione Italianieuropei, che problemi d’affitto non ne ha. E chi finanzia la Fondazione Italianieuropei?
Ecco qui:
I donatori che indirizzano il proprio contributo al patrimonio costitutivo per una somma una tantum pari o superiore a cinquanta milioni di lire divengono Soci benemeriti e partecipano in queste veste alle attività pubbliche e sociali della Fondazione. L’assemblea dei Soci benemeriti nomina tra i propri membri tre Consiglieri di Amministrazione della Fondazione.
Tra i Soci benemeriti della Fondazione figurano esponenti del mondo imprenditoriale come, tra gli altri, Guidalberto Guidi, Gianni Agnelli, Francesco Micheli, Vittorio Merloni, Claudio Cavazza, Carlo De Benedetti, Gianfranco Dioguardi e Paolo Marzotto insieme ad aziende quali Pirelli, Gruppo Marchini, Philip Morris, Glaxo Wellcome, Pharmacia & UpJohn, Lega delle Cooperative, ABB ed Ericcson.
Se ne potrebbe dire tanto, veramente tanto, su questi soci benemeriti. Prendiamone uno a caso, che so, la Glaxo Wellcome. Dove ho già sentito parlare di Glaxo Wellcome? Ah, ecco, la Glaxo Wellcome. Beh, non credo che aggiungerò altro sulla Glaxo Wellcome, solo a pronunciarne il nome (Glaxo Wellcome) sento odore di querela. Lasciamo perdere.
Prendiamo allora… la Philip Morris. Beh, non credo che ci sia bisogno di spiegare cos’è la Philip Morris. Direi anzi che tutti conoscano bene la Philip Morris, le sue battaglie, i suoi valori, le sue idee. E questo è tutto anche sulla Philip Morris.
Sì, mi rendo conto, il mio moralismo è d'accatto e d'annata. In realtà per fare politica servono i sondaggi, e per ordinare i sondaggi ci vogliono soldi. Se D’Alema ritiene di poterli chiedere alle multinazionali, è libero di farlo. E tra prendere soldi dalle multinazionali ed essere al soldo delle multinazionali c’è una certa differenza, che io non saprei misurare in centimetri, ma c’è.
Quello che veramente mi stupisce è la franchezza. I casi sono due: o gli Italianieuropei sottovalutano internet e pensano che tanto su questa pagina non ci vada nessuno (e neanch’io ci sarei andato, senza Indymedia), oppure trovano che non ci sia nulla di male, per i rappresentanti di un partito europeo di centrosinistra, nel dichiarare quanti soldi prendono dalle multinazionali, anche quando le multinazionali vengono coinvolte in illeciti eclatanti. In entrambi i casi, io resto di stucco. E voi? Perché magari è un problema solo mio.
Comunque, in attesa che uno studio scientifico mi dimostri che sbaglio, io smetterò di demonizzare Berlusconi e comincerò a demonizzare direttamente D’Alema.
E ora mi aspetto che qualcuno dell’opposta fazione mi porti le prove che la fondazione Di Vittorio è finanziata dalla Corea del Nord, da Al Qaeda, dai Sette Savi di Sion, dalla Spectre. Per stasera il mio fazioso dovere l’ho fatto, alla prossima
05-02-2001, 17:37copywrong, il cliccatore, l'era dell'ottimismo, multinazionali maledette, prodotto internoPermalink
Piccola proprietà intellettuale (inc.)
Oggi è passato Andrea e volevo passargli questa proposta per un business, era lui che me ne chiedeva sempre. Anche se ha l’aria di essere l’idea giusta nel momento sbagliato…
Sappiamo che nei prossimi mesi il gratuito su internet andrà ridimensionandosi: da luglio napster inizierà a chiedere soldi agli utenti – intanto stanno studiando il modo di inibire il comando “copy” sui siti, ecc.. Chissà, forse qualcuno comincia a pensare che l’utente medio sia pronto al grande passo: diventare un acquirente di file. Sarà vero?
Su wordtheque la maggior parte degli acquirenti erano gli stessi autori. Siccome gli spettavano il cento per cento dei diritti, si creavano situazioni paradossali (gente che telefona protestando: “mi hanno addebitato l’acquisto ma non mi hanno ancora accreditato la vendita”, ecc.). Il servizio è sospeso (non serve a niente e costa burocrazia), ma almeno ha dimostrato che persone anche a digiuno di computer, pur non avendo alcuna intenzione di acquistare on line, possono essere interessati a vendere. Dopotutto, perché no? Oggi il medio utente può mettere qualsiasi cosa on line, ma gratis. Perché non offrirgli una vetrina?
Attenzione: non si tratta di diventare ‘editori’. Non bisognerebbe prendere nessuna percentuale sulle vendite: non è bello, e, soprattutto, non conviene. Invece ci si fa pagare il servizio. Che cosa significa? Che si guadagna qualcosa anche coi file che nessuno venderà mai (e forse sono la maggioranza).
Può sembrare una semplice riedizione delle case editrici-bidone, quelle che da sempre stampano ‘on demand’, o per meglio dire, a spese dell’autore. Ma, oltre che la spesa sarebbe molto inferiore, oltre che sarebbe comunque opportuno mantenere una soglia (bassina) di qualità, potrebbe trattarsi del luogo ideale per l’utente medio che non è necessariamente uno scrittore, artista o programmatore maledetto, ma che ha del materiale a disposizione e vuole non tanto farci soldi, quanto vedere riconosciuta la propria proprietà intellettuale. Dandogli il 100% dei diritti noi gliela riconosciamo: nulla gli vieta di cedere a un editore vero, se ne incontra uno interessato, grazie al nostro sito-vetrina.
Alla fine quel che conta veramente non è ‘vendere’. Quel che conta è mettere le proprie cose in vetrina, proteggendosi però dal copia-incolla selvaggio.
A vedere bene si tratta di un nuovo modo per vedere internet. Non più la zona franca del tutto è gratis (ma non lo è mai stato), ma nemmeno l’ennesimo centro commerciale in mano alla grande distribuzione. Un più umano bazar dove chiunque esibisce la propria mercanzia. Chiunque di noi potrebbe almeno sperare di mettere da parte qualche soldo extra con qualcosa realizzato nel proprio tempo libero: un libro, una canzone in mp3, un programmino per dare da mangiare ai pesci rossi sullo screen-saver, ecc..
L’obiezione è sempre: “Ma chi comprerà questa roba?”
La risposta è: “Chi se ne frega, noi non ci facciamo pagare per i file che vendiamo, noi ci facciamo pagare la vetrina”.
Comunque per i primi due anni almeno bisognerebbe fare tutto gratis, per lanciare la cosa come si deve.
Il maggior pregio del progetto, mi pare, è l’esiguità delle spese: occorre soltanto attivare un contratto con una banca per l’e-commerce, e mantenere un portale efficiente. Nessun magazzino: si venderebbero soltanto file.
La cosa che principalmente mi sfugge è il ruolo della SIAE in tutto questo. Soprattutto per quanto riguarda gli mp3, che sarebbero il mercato più promettente (gli esordienti interessati a commerciare il proprio demo), ecc..
Beh, che ne dite?
Forse non ci si farebbero i miliardi, ma secondo me è un buon inizio. C’è l’aspetto proditorio che deve avere ogni buona iniziativa imprenditoriale (fare soldi sulle velleità creative della gente); e allo stesso tempo c’è anche un’idea globale, politica, contro la distribuzione massificata, per la piccola proprietà intellettuale, geee…
Oggi è passato Andrea
Sappiamo che nei prossimi mesi il gratuito su internet andrà ridimensionandosi: da luglio napster inizierà a chiedere soldi agli utenti – intanto stanno studiando il modo di inibire il comando “copy” sui siti, ecc.. Chissà, forse qualcuno comincia a pensare che l’utente medio sia pronto al grande passo: diventare un acquirente di file. Sarà vero?
Su wordtheque la maggior parte degli acquirenti erano gli stessi autori. Siccome gli spettavano il cento per cento dei diritti, si creavano situazioni paradossali (gente che telefona protestando: “mi hanno addebitato l’acquisto ma non mi hanno ancora accreditato la vendita”, ecc.). Il servizio è sospeso (non serve a niente e costa burocrazia), ma almeno ha dimostrato che persone anche a digiuno di computer, pur non avendo alcuna intenzione di acquistare on line, possono essere interessati a vendere. Dopotutto, perché no? Oggi il medio utente può mettere qualsiasi cosa on line, ma gratis. Perché non offrirgli una vetrina?
Attenzione: non si tratta di diventare ‘editori’. Non bisognerebbe prendere nessuna percentuale sulle vendite: non è bello, e, soprattutto, non conviene. Invece ci si fa pagare il servizio. Che cosa significa? Che si guadagna qualcosa anche coi file che nessuno venderà mai (e forse sono la maggioranza).
Può sembrare una semplice riedizione delle case editrici-bidone, quelle che da sempre stampano ‘on demand’, o per meglio dire, a spese dell’autore. Ma, oltre che la spesa sarebbe molto inferiore, oltre che sarebbe comunque opportuno mantenere una soglia (bassina) di qualità, potrebbe trattarsi del luogo ideale per l’utente medio che non è necessariamente uno scrittore, artista o programmatore maledetto, ma che ha del materiale a disposizione e vuole non tanto farci soldi, quanto vedere riconosciuta la propria proprietà intellettuale. Dandogli il 100% dei diritti noi gliela riconosciamo: nulla gli vieta di cedere a un editore vero, se ne incontra uno interessato, grazie al nostro sito-vetrina.
Alla fine quel che conta veramente non è ‘vendere’. Quel che conta è mettere le proprie cose in vetrina, proteggendosi però dal copia-incolla selvaggio.
A vedere bene si tratta di un nuovo modo per vedere internet. Non più la zona franca del tutto è gratis (ma non lo è mai stato), ma nemmeno l’ennesimo centro commerciale in mano alla grande distribuzione. Un più umano bazar dove chiunque esibisce la propria mercanzia. Chiunque di noi potrebbe almeno sperare di mettere da parte qualche soldo extra con qualcosa realizzato nel proprio tempo libero: un libro, una canzone in mp3, un programmino per dare da mangiare ai pesci rossi sullo screen-saver, ecc..
L’obiezione è sempre: “Ma chi comprerà questa roba?”
La risposta è: “Chi se ne frega, noi non ci facciamo pagare per i file che vendiamo, noi ci facciamo pagare la vetrina”.
Comunque per i primi due anni almeno bisognerebbe fare tutto gratis, per lanciare la cosa come si deve.
Il maggior pregio del progetto, mi pare, è l’esiguità delle spese: occorre soltanto attivare un contratto con una banca per l’e-commerce, e mantenere un portale efficiente. Nessun magazzino: si venderebbero soltanto file.
La cosa che principalmente mi sfugge è il ruolo della SIAE in tutto questo. Soprattutto per quanto riguarda gli mp3, che sarebbero il mercato più promettente (gli esordienti interessati a commerciare il proprio demo), ecc..
Beh, che ne dite?
Forse non ci si farebbero i miliardi, ma secondo me è un buon inizio. C’è l’aspetto proditorio che deve avere ogni buona iniziativa imprenditoriale (fare soldi sulle velleità creative della gente); e allo stesso tempo c’è anche un’idea globale, politica, contro la distribuzione massificata, per la piccola proprietà intellettuale, geee…
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