...and Justice for all
20-02-2007, 02:18giustizia, mafie o camorre, Previti, raccontiPermalinkStoria di uno Scalzacane
Ho fatto un sogno. Ho sognato che la legge era uguale per tutti...
Scalzacane Augusto non era nessuno. Feccia di feccia, gramigna che si rampica dai tombini a non spurgarli. Com’è possibile che premeditasse qualcosa Scalzacane, lui che nemmeno sua madre aveva premeditato? Sedeva su una cassetta di frutta quando gli dissero, ti piace questa moto? Ci porti un pacchetto ad amici nostri a Roma, ed è tua.
Nel pacchetto c’era tanta roba bianca da comprarsi la fabbrica delle moto; ugualmente a Scalzacane parve un affare. Lo pizzicarono in un autogrill nel Casertano, da tanto che sbandava. L’esame delle urine confermò la prima impressione della pattuglia: Scalzacane aveva testato parte del carico per saggiarne la qualità, o per farsi coraggio. A questo punto avrebbero anche potuto sbatterlo a Rebibbia o Poggioreale e gettare via le chiavi, ma la Fortuna a volte è ciecata proprio. O l’avvocato d’ufficio era in giornata. O il giudice s’era distratto. Fatto sta che Scalzacane, ritenuto un galoppino inconsapevole, in quanto consumatore abituale
Lì non si stava male. Ci incontrò un altro avvocato, un po' ruvido ma bravo. Tu in realtà non hai fatto nulla, gli disse. La moto non era tua, la roba nemmeno. Perché non ricorri in appello?
Scalzacane odiava la parola Appello: la associava a quel momento mattutino scolastico in cui la maestra lo chiamava per cognome e i compagni ridevano. Forse era stata l’ansia dell’Appello a determinare il suo abbandono scolastico, all’età di nove anni e mezzo. "Non hai capito niente", gli disse l’avvocato. "L’Appello è come il secondo turno in Coppa Italia, hai presente? Il primo lo hai giocato in trasferta, adesso ti tocca giocare in casa".
Scalzacane era scettico, ma non aveva nulla da perdere.
In sede di dibattimento tutto sembrava effettivamente contro di lui: colto in flagrante con un chilo di stupefacenti sotto la sella. "Ma", si chiese il nuovo avvocato, "se la moto fosse stata rubata? Non dico che il mio cliente l’abbia rubata, ma putacaso? Com’è che uno Scalzacane qualsiasi va in giro in Honda? Qualcuno ha si è dato la pena di cercare i documenti, il numero di telaio? Cos’è questa novità, che appena rubi un mezzo in Italia diventi penalmente responsabile per quello che trasporta? E se sull’Honda rubata dal mio assistito c’era una barra di uranio cosa facciamo, lo deferiamo alla CIA per traffico di Armi di Distruzione di Massa?"
"Si avvii alla conclusione", disse il Giudice.
"Certo. Dicevo che tanta approssimazione nelle indagini desta qualche sospetto. Qui si è voluto fare dello Scalzacane un capro espiatorio. Il processo di primo grado durò quarantadue minuti: 42? In Italia? In tanta rapidità, in tanta sbrigatività, Vostro Onore, non posso che ravvedere un Fumus Persecutionis".
Il Giudice borbottò qualcosa. Il processo fu spostato a Frosinone.
Nella nuova arringa, l’avvocato si profuse in una lode alle qualità umane di Scalzacane, questo umile ma non domo figlio del sud. Ammesso e non concesso che si fosse impossessato di una moto, lo aveva fatto sotto la pressione di un gruppo di loschi figuri. Spacciatori? Camorristi? E perché non un pool di magistrati camuffati, decisi a punire l’ignaro Scalzacane per educarne cento?
"Dunque", disse il giudice, "se ho capito bene la sua tattica è screditare l’intera magistratura. Ma funziona?"
"Dipende", rispose l’avvocato. "È una lotta di nervi. Io li ho ben saldi, e lei?"
Scalzacane fu assolto dall’accusa di spaccio per mancanza di prove. Restava il furto. "Ma quale furto, disse l’avvocato. Si ruba qualcosa a qualcuno. Qualcuno ha mai reclamato la Honda? Ha denunciato il furto? Il numero di telaio è limato: e allora? Mi dovete dimostrare che la moto era di qualcuno, prima che se ne impadronisse il mio assistito".
"Mi scusi – ebbe a dire il pubblico ministero – ma delle due, l’una: o la moto appartiene a qualcun altro, e quindi Scalzacane l’ha rubata…"
“Questo è un teorema!”
“...oppure appartiene allo Scalzacane, che quindi la usava per trasportare ingenti quantità di stup…”
“Obiezione! Non stiamo discutendo di questo! C’è una sentenza in Appello che dice che il mio assistito non è uno spacciatore”.
La moto intanto arrugginiva nel deposito dei CC: se prendi Otto in matematica ti ci faccio fare un giro, diceva il custode a suo nipote. Il nipote vegliò notti insonni sull’algebra ed alzò effettivamente la media dal tre-e-mezzo al quattro-meno, ma non cavalcò mai il bolide blu. Scalzacane fu assolto nel giro di due settimane.
“E mo’ che faccio”, si chiese. Il ricovero non gli dispiaceva, in fondo. Era entusiasta soprattutto di questa cosa dei tre pasti al giorno. Sono abitudini che se le prendi, poi non te ne liberi.
“Ma la giustizia è più importante”, gli disse l’avvocato. “Oggi hai avuto la tua rivincita, e se vuoi puoi giocarti la bella: terzo grado, assoluzione con formula piena. Ti servirà un nuovo avvocato, però: io lavoro gratis solo con i pazienti della comunità, lo sai”.
“E se ti pagassi come ti pagano quelli fuori?”
“Costo troppo, mi dispiace”.
“Ah vabbuò, peccato però, tu eri bravo. E dire che la prima volta che t’aggio visto non mi fidavo affatto, sai?”
“Lo so. Faccio questa impressione”.
“Non offenderti, eh? Ma è la faccia. Con quei segni che ci tieni, marò…”
“Si dice rughe. Profonde rughe mediterranee”.
“Come vuole lei. Allora arrivederci, avvocato Previti, e buona fortuna”.
“Addio, Scalzacane, buona fortuna a lei”.
Ho fatto un sogno. Ho sognato che la legge era uguale per tutti.
Che incubo.
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