- la città delle crepe

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Da venerdì è riaperta la Tenda, il locale all'incrocio di viale Molza e Monte Kosica che scuoterà dalle fondamenta la vita notturna modenese e non solo. La redazione di Leonardo ci andrà spesso, e consiglia a tutti di consultare il programma (non appena sarà disponibile) e farci un salto. Oggi e domani, per esempio, c'è un incontro su Pier Vittorio Tondelli nel cinquantenario della nascita, con testimonianze, interviste inedite e racconti a cura di Enos Rota ed Ennio Trinelli.

Il pezzo che segue non c'entra niente, è una serie di frasi senza senso.


4 domande

Uno passa una mezza vita a combattere contro il concetto astratto e stucchevole di "generazione" –
– finché non si arrende: è proprio così. Siamo nati tutti nello stesso momento (più o meno una trentina di anni fa) e continuiamo più o meno a trovarci negli stessi luoghi. Se esiste altra gente (dovrà pur esistere) si muove in posti e in orari che non frequentiamo. Non frequentandoli, difficilmente riusciremo a riprodurci con loro. Continueremo a stare tra noi, e quando faremo dei figli, li faremo nello stesso momento (il che sta accadendo).
Certo, in trent'anni sono cambiati un poco i luoghi, l'abbigliamento, e (grazie al cielo) gli argomenti.

Dieci anni fa le domande erano: "cosa studi" e "che musica ascolti".

Si trattava di quesiti identitari: volevamo sapere chi eravamo. Chi ci preparavamo a diventare ("cosa studi?") e, nel frattempo, che stile di vita stavamo abbracciando (apprezzate l'economia del quesito: "che musica ascolti". Non hai bisogno di dirmi in che tipo di locale vai, come ti vesti, se ti piace o no ballare e cosa: se ti piacciono gli U2 ho già capito tutto questo e anche di più. La condivisione dei gusti musicali è l'equivalente umano dell'annusarsi canino).

Lentamente, ci siamo spostati al "ti stai laureando? / ti sei già laureato?"

Una domanda già un po' minacciosa. Dopo aver capito più o meno chi eravamo, e che musica ascoltavamo, abbiamo iniziato a sospettare che ci fosse gara tra noi. Per cui: come stai andando? Sei davanti a me o dietro? Non è necessariamente competitività o invidia. Si trattava anche di capire dove sono io: la mia posizione. Perché i sorpassi esistono, è inutile far finta di niente. Gente che fino a qualche tempo fa ti stava dietro, improvvisamente te li trovi che ti danno le spalle. Il minimo è fargli i complimenti. E si passano degli anni così, a fare complimenti e a incassarne. È un quadretto stucchevole, perché di solito chi fa i complimenti è sinceramente ammirato, sinceramente invidioso, sinceramente angosciato: e tutta questa invidia e ammirazione e angoscia va a sbattere contro un neolaureato (magari pure neoimpiegato) che fa spallucce. Come se laurearsi fosse la cosa più semplice del mondo.
Il problema è che è vero: laurearsi è la cosa più semplice del mondo. Quello che per il suo inseguitore sembra il traguardo della vita (cui seguiranno mesi di bisbocce e viaggi per il mondo) era solo una mediocre tappa di trasferimento, e il neolaureato lo sa. Lui sta già chiedendo a qualcun altro:

"Che lavoro fai / Dove abiti adesso?"

In realtà non siamo quella generazione di mammoni sfigati che qualcuno pensa: non è che fino alla laurea siamo tutti restati a casa dei genitori senza fare altro che studiare. Ma per molto tempo il domicilio e il lavoretto non sono stati veri argomenti di discussione. Non dicevano davvero nulla sulla nostra identità, e nemmeno sulla nostra posizione. Erano simpatici diversivi. Poi ti laurei e ti accorgi che la vita è tutta lì: un ufficio e un bilocale. A chi va bene. E a nessuno frega più di quel che ascolti in cuffia.
A quel punto – che per molti è coinciso con l'inizio di una fase critica della storia dell'umanità (l'11 settembre, il Berlusconi-bis, l'Euro, la Cina nel WTO, la crisi strutturale della piccola economia italiana, l'islamofobia dilagante ecc. ecc.) – a questo punto in città hanno iniziato ad aprirsi dei solchi.
In un primo tempo sembravano solo corrugamenti dell'asfalto, quel tipo di cose che fanno le radici degli alberi. Ma nessuno veniva a riasfaltare. E i solchi sono diventati crepe, e le crepe sono diventate profonde, e chi più chi meno ci siamo tutti cascati dentro; e siccome non siamo persone molto tragiche, siccome siamo cresciuti in anni di operetta, e la commedia ce l'abbiamo nel sangue, cosa si pretendeva che facessimo? Ci siamo semplicemente adoperati a rendere questa crepe più confortevoli. Ci abbiamo portato la nostra musica, la pergamena della nostra laurea, il nostro CV con tutti i lavoretti, e il contratto di affitto, e abbiamo fatto il possibile per non trovarci male, nella crepa.
Addirittura ogni tanto ancora usciamo – specie quando torna la bella stagione, e apre un posto nuovo. Nominalmente, si tratta ancora di uno spazio aggregativo "giovanile". Ma la domanda che gira non è più molto giovanile, infatti è:

"Che fine hai fatto?"
Che domanda è. Sono andato a stare in una crepa di fianco alla tua. Non si sta male, non mi lamento. Ovvero sì, potrei lamentarmi all'infinito, ma che senso ha. Era una bella giornata e siamo usciti, adesso non tiriamoci giù da soli con le nostre domande stupide. Piuttosto: che musica ascolti, adesso? Che mestiere fai? Abiti sempre lì? Ti sposi? Ma certo che vengo, ci mancherebbe altro. Aspettate un bambino? Che bello.
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