- se solo imparassi a pronunciare "espresso"

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I'm sitting on the corner, feeling glad

Non lo avrei detto, ma per ora la cosa che mi piace di più in America è il caffè. Non dico la broda marrone.
Mi piace andare in un caffè, prendere qualcosa e sedermi. Coi muffin e coi cookie si va abbastanza sul sicuro. Non costano molto e c’è la rete wireless. C’è anche una climatizzazione bella gelida, ovviamente, che in altri giorni mi è sembrata pleonastica, ma ora no, ora è benedetta.

New Haven è una piccola città di contraddizioni, che dalla vetrina del caffè almeno si vedono. C’è la matricola di Yale che ciatta con la famiglia e l’operaio col casco dal cantiere qui di fianco. La mendicante che in teoria vende fiori. Un tavolo di colletti bianchi a riunione ed il barbone che è venuto a prendere il fresco. E una ciambella. C’è il PHdando in ingegneria che prepara un esame e ci sono io, con una cuffia da centralinista, che parlo italiano a qualcuno che non c’è.

Nessuno disturba nessuno, abbiamo tutti le nostre cuffie, il nostro monitor, la nostro daffare. Ma nemmeno ci ignoriamo.
(Sarà capitato a qualcuno, almeno una volta, di ciattare col dirimpettaio).

C’è il tizio tipo Hemingway, non è colpa sua se ha una barba simile (o forse sì?) che quando passa il cameriere portoricano con lo scopettone gli dice: sai da cosa si riconosce il Maestro in un tempio buddista? Il cameriere sorride, perché questa è la politica aziendale, e Hemingway riprende: è quello che ti viene incontro con lo scopettone, quindi vai avanti, fa il tuo lavoro! C’è un tizio con la kippah, del resto Dio è in ogni luogo e quindi anche al caffè.

Ma soprattutto ci sono i laptop. Un tavolino, un cliente, un laptop. Tutti a scriversi qualcosa. Tanti scrittori al caffè non li hai visti mai, neanche a Parigi (hai mai visto davvero uno scrittore in un caffè di Parigi?) Tanta scrittura mette soggezione.
C’è chi si porta il lavoro da casa. Ma c’è chi a casa ci potrebbe essere già, qui la giornata di lavoro è abbastanza corta. Si parte presto e si fanno sei ore filate, no pausa pranzo. E questo ci porta al grande problema di tutta la civiltà anglosassone: se alle due del pomeriggio non ti reggono le palpebre, dov’è che puoi schiacciare un sonnellino?

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