- se solo imparassi a pronunciare "espresso"
20-07-2006, 07:54AmericanaPermalinkI'm sitting on the corner, feeling glad
Non lo avrei detto, ma per ora la cosa che mi piace di più in America è il caffè. Non dico la broda marrone.
Mi piace andare in un caffè, prendere qualcosa e sedermi. Coi muffin e coi cookie si va abbastanza sul sicuro. Non costano molto e c’è la rete wireless. C’è anche una climatizzazione bella gelida, ovviamente, che in altri giorni mi è sembrata pleonastica, ma ora no, ora è benedetta.
New Haven è una piccola città di contraddizioni, che dalla vetrina del caffè almeno si vedono. C’è la matricola di Yale che ciatta con la famiglia e l’operaio col casco dal cantiere qui di fianco. La mendicante che in teoria vende fiori. Un tavolo di colletti bianchi a riunione ed il barbone che è venuto a prendere il fresco. E una ciambella. C’è il PHdando in ingegneria che prepara un esame e ci sono io, con una cuffia da centralinista, che parlo italiano a qualcuno che non c’è.
Nessuno disturba nessuno, abbiamo tutti le nostre cuffie, il nostro monitor, la nostro daffare. Ma nemmeno ci ignoriamo.
(Sarà capitato a qualcuno, almeno una volta, di ciattare col dirimpettaio).
C’è il tizio tipo Hemingway, non è colpa sua se ha una barba simile (o forse sì?) che quando passa il cameriere portoricano con lo scopettone gli dice: sai da cosa si riconosce il Maestro in un tempio buddista? Il cameriere sorride, perché questa è la politica aziendale, e Hemingway riprende: è quello che ti viene incontro con lo scopettone, quindi vai avanti, fa il tuo lavoro! C’è un tizio con la kippah, del resto Dio è in ogni luogo e quindi anche al caffè.
Ma soprattutto ci sono i laptop. Un tavolino, un cliente, un laptop. Tutti a scriversi qualcosa. Tanti scrittori al caffè non li hai visti mai, neanche a Parigi (hai mai visto davvero uno scrittore in un caffè di Parigi?) Tanta scrittura mette soggezione.
C’è chi si porta il lavoro da casa. Ma c’è chi a casa ci potrebbe essere già, qui la giornata di lavoro è abbastanza corta. Si parte presto e si fanno sei ore filate, no pausa pranzo. E questo ci porta al grande problema di tutta la civiltà anglosassone: se alle due del pomeriggio non ti reggono le palpebre, dov’è che puoi schiacciare un sonnellino?
Non lo avrei detto, ma per ora la cosa che mi piace di più in America è il caffè. Non dico la broda marrone.
Mi piace andare in un caffè, prendere qualcosa e sedermi. Coi muffin e coi cookie si va abbastanza sul sicuro. Non costano molto e c’è la rete wireless. C’è anche una climatizzazione bella gelida, ovviamente, che in altri giorni mi è sembrata pleonastica, ma ora no, ora è benedetta.
New Haven è una piccola città di contraddizioni, che dalla vetrina del caffè almeno si vedono. C’è la matricola di Yale che ciatta con la famiglia e l’operaio col casco dal cantiere qui di fianco. La mendicante che in teoria vende fiori. Un tavolo di colletti bianchi a riunione ed il barbone che è venuto a prendere il fresco. E una ciambella. C’è il PHdando in ingegneria che prepara un esame e ci sono io, con una cuffia da centralinista, che parlo italiano a qualcuno che non c’è.
Nessuno disturba nessuno, abbiamo tutti le nostre cuffie, il nostro monitor, la nostro daffare. Ma nemmeno ci ignoriamo.
(Sarà capitato a qualcuno, almeno una volta, di ciattare col dirimpettaio).
C’è il tizio tipo Hemingway, non è colpa sua se ha una barba simile (o forse sì?) che quando passa il cameriere portoricano con lo scopettone gli dice: sai da cosa si riconosce il Maestro in un tempio buddista? Il cameriere sorride, perché questa è la politica aziendale, e Hemingway riprende: è quello che ti viene incontro con lo scopettone, quindi vai avanti, fa il tuo lavoro! C’è un tizio con la kippah, del resto Dio è in ogni luogo e quindi anche al caffè.
Ma soprattutto ci sono i laptop. Un tavolino, un cliente, un laptop. Tutti a scriversi qualcosa. Tanti scrittori al caffè non li hai visti mai, neanche a Parigi (hai mai visto davvero uno scrittore in un caffè di Parigi?) Tanta scrittura mette soggezione.
C’è chi si porta il lavoro da casa. Ma c’è chi a casa ci potrebbe essere già, qui la giornata di lavoro è abbastanza corta. Si parte presto e si fanno sei ore filate, no pausa pranzo. E questo ci porta al grande problema di tutta la civiltà anglosassone: se alle due del pomeriggio non ti reggono le palpebre, dov’è che puoi schiacciare un sonnellino?
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