- fuga da Capannonia (noi puffi siam così)

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Cara Piccola Impresa mia,

non credere che questo non mi costi fatica.
Tu non sei qualcuno che io possa liquidare con leggerezza. Sei stato mio padre, mio amico, mia zia. Mi hai pagato gli studi, hai pagato la macchina. Ma fosse solo questo.
È che mi sei sempre stata simpatica, Piccola Impresa. Io sono cresciuto giocando in un terrazzo sul capannone di una ZI*, e se ho mai pensato di essere organico a qualcosa, quel qualcosa eri tu. Sul serio. Io ho portato l’odor di nafta al liceo, l’ho portato all’università, e ne andavo fiero. Guardateci, dicevo, siamo l’Ultima Borghesia. Dopo di noi non ci sarà più nulla da imborghesire, pensavo (mi sbagliavo: ci sono ancora gli albanesi e i marocchini). Perciò guardateci, siamo grezzi e democratici. Niente da invidiare ai figli dei professionisti, perché i nostri papà creavano più ricchezza di loro e noi imparavamo le lingue anche meglio di loro. Niente da rimproverare ai figli degli operai: sapevano il nostro stesso odore. Piccola Impresa mia, ti ho amato tanto.
Adesso caccia il grano, però.

Lo so che non sei brutta come ti dipingono.
Non necessariamente leghista e tremontiana. Magari stavi per votare Prodi, lo scorso aprile. Ma lui continuava a pestare su quel tasto. Sempre e solo su quel tasto. L’evasione, l’evasione. Piccola impresa io ti capisco: ti sei cagata addosso. E chi non l’avrebbe fatto al posto tuo? Io stesso, se il 50% di quel che guadagno fosse in nero, non avrei votato Prodi. Invece l’ho votato, e ho fatto bene.
Perché io non sono te. Non sono organico.
Io sono la persona a cui tu stai rubando. E quindi caccia il grano.

Lo so, lo so, è assurdo, è perfino imbarazzante – perché in fin dei conti tu rubi per dare a me. Perciò, di che mi lamento? Cos’è, idealismo il mio? Ma come mi permetto di fare l’idealista nel piatto in cui ho mangiato?
Ma no, cara Piccola Impresa, niente idealismo tra noi. Solo franchezza. Io ti ho osservato per anni, e ho capito che hai qualcosa che non va. Seriamente.
Tu sei malata, Piccola Impresa mia. Tu non rubi per dare a me – questo chiamalo se vuoi effetto collaterale – tu rubi perché non sai fare altro. Tu non hai un progetto, un modello di sviluppo. Tu hai solo un’ossessione. Sei cresciuta lavorando e accumulando, e di fronte alle nuove sfide reagisci sempre nel medesimo modo: lavori e accumuli. Ma non vai da nessuna parte.

Lascia stare i dottoroni che ti dicono che va tutto bene, che sei forte, sei la spina dorsale del Paese. Cazzate. Li paghi perché ti dicano cazzate. Non è mai esistito un Paese con una spina dorsale fatta di piccole imprese. C’è solo l’Italia e – curiosa coincidenza – non funziona più. Ci sarà un motivo, scusa, se dovunque le imprese crescono, e qui da noi restano Piccole.
Perciò, piantala di vantarti per i tuoi difetti. Tu non hai deciso di restare piccola impresa, semplicemente non ce la fai a crescere. Tu non sei più il miracolo italiano. Tu sei la malattia dell’economia italiana, e questa malattia si chiama nanismo. Piantala di tesser lodi dei tuoi piccoli capannoni, dei tuoi piccoli macchinari, dei tuoi piccoli affari. La grande Valpadana, ma va là. Il bosco dei puffi è diventata, la Valpadana. Ti sei scavato una tana e l’hai chiamato modello di sviluppo. Sbagliato. Non era un modello di sviluppo. Era una tana.

Ogni tanto veniva qualche straniero a guardare, e tu li trattavi come selvaggi con le pezze al culo, Piccola Impresa. Se solo avessi studiato un po’ di più – ma non hai mai avuto molto tempo per studiare, lo so anch’io. Passava il turco e comprava un vecchio macchinario: ma sì, pensavi tu, che male c’è, avranno il diritto anche loro a farsi qualcosa nelle loro tane turche.

Ora, Piccola Impresa, posso capire i cinesi. Un miliardo e duecentomila cinesi che piombano improvvisamente nel Commercio Mondiale non sono colpa di nessuno (neanche dell’euro o di Prodi). Ma tu sei riuscita a farti fottere persino dai turchi, come hai fatto? Gli hai svenduto i macchinari ed il know how!
Tempo una generazione e loro avranno Grandi imprese. Mentre tu resterai Piccola Impresa, perché sei fatta così. Il tuo capannone, la tua piccola produzione, la tua tana. Tuo padre aveva le pezze al culo, tu hai una mercedes, tuo nipote avrà le pezze al culo. A proposito, tuo nipote è mio figlio. Caccia il grano.

Lavorare, lavorare, sempre solo lavorare. Credevi fosse un’etica, invece era un’ossessione. Non sei mai riuscito a immaginare nient’altro. Neanche un sistema migliore di lavorare. Neanche un futuro per i figli i tuoi – almeno gli operai li mandavano all’università. E tante volte se li vedevano tornare indietro fuoricorso e fricchettoni, lo so. Ma per quanto ingenuo, quello era un modello di sviluppo. L’operaio voleva evolversi in qualcosa di più colto. Ma tu, Piccola Impresa, volevi solo evolverti in Piccola Impresa. Appena l’erede manifestava chiari sintomi asinini, lo spedivi al diplomificio: poco tempo da perdere, che tanto in fabbrichetta si guadagna meglio che in banca o a scuola. Che bel risparmio di tempo, eh? Risultato: una generazione di Piccoli Imprenditori Deficienti. Tamarri e snob in una botta sola, quel tipo di gente che resta in coda per ore fuori dal Billionnaire. E poi piangi, piangi, Piccola Impresa. Potevi pensarci prima. Ma chi aveva tempo per pensare? A lavurèr.

Io lo so che per te la scuola non è mai stata importante, Piccola Impresa. Ne hai frequentata poca, e tutto quello che ti è servito l’hai imparato altrove. Ma tu eri in una fase eroica, lo capisci? Come faccio a spiegarti? Hai presente Mosè, l’attraversamento del Mar Rosso? l’Esodo! Almeno una messa alla domenica, Piccola Impresa!
Insomma, ci sono possibilità che capitano una volta sola: metter su una piccola impresa con tanta voglia di lavorare e una cultura relativamente approssimativa. Gli anni Cinquanta e Sessanta. Quella meravigliosa inflazione che ti estingueva i mutui praticamente da sola. Ti sei sentito un eroe, Piccola Impresa, e un po’ lo eri. Ma restavi un ignorante. In Mercedes, ma ignorante. Avresti dovuto calcolarlo, mica sei scemo (sei solo ignorante). Avresti dovuto investire in cultura. Mandare il tuo figlio nelle scuole giuste, proiettarlo su obiettivi importanti. E invece no.
L’operaio ci pensa. L’albanese e il marocchino stanno già iniziando a pensarci. Ma tu no. Tu – caso unico del mondo – sei convinto che si possa aver successo per più di una generazione, senza studiare. Per grazia divina, probabilmente. Tra tutte le plaghe del mondo, Dio dovrebbe aver scelto proprio la Val Padana per elargire al suo popolo preferito il suo gentile dono: la Piccolezza. Seh. Ma caccia il grano, pirla. Soffrirai? Te lo meriti. Chiuderai? Non facciamone un dramma. Se campi di nero, stai già campando a spese mie. Saldiamo il conto subito.

Tu non hai bisogno di una Tremonti-Tris. Non hai bisogno di un altro piccolo capannone, di un altro piccolo appalto in nero. Tu hai bisogno di scuole serie, scuole buone, per i tuoi nipoti (i figli te li sei bruciati).
Ma le scuole italiane fanno schifo, dici. Esatto! Perché mancano i soldi! I soldi che hai rubato in questi anni, Piccola Impresa.
La tua mercedes, la tua barchetta – e adesso piangi che non è colpa tua, che la colpa è dei ricchi veri, quelli da yacht. E invece no, Piccola Impresa. La colpa è proprio tua, che in trent’anni di furto alle casse dello Stato non sei riuscito nemmeno a mettere insieme un tre-alberi. Perché evidentemente hai un limite strutturale, una carenza, un gap. Chiamalo come vuoi. Io lo chiamo ignoranza.

Come hai detto? Sì, si può curare. Tuo nipote andrà in una scuola migliore.
Se cacci il grano.
Oppure lascia perdere. Fottitene, continua a evadere. Visco taglierà i fondi alle scuole: avremo classi di trenta monelli e professori esauriti. E tu avrai qualche soldo in più per il tuo nuovo capannone, il tuo ristorante preferito, le tue care vecchie Maldive. Cara Piccola Impresa.
Saluti alla Puffetta, mi racomando.

* Zona Industriale, o ignoranti. Non leggete mai i cartelli gialli?
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