Taormina chi lo paga? e altre domande
17-07-2007, 17:45delitti e cronaca, pedofilie, Rignano FlaminioPermalinkFa più danni un indignato
Le persone che usano più spesso e più intensamente internet sono più socievoli, hanno più amici, hanno rapporti familiari più intensi, più iniziativa professionale, meno tendenza alla depressione e all’isolamento, mostrano più autonomia, più ricchezza comunicativa e una maggiore partecipazione alla vita civile e politica rispetto agli altri. Non ve lo dico io, ma una ricerca dell’Università della Catalogna (in sette volumi), illustrata sull’ultimo Internazionale da Manuel Castells. Ecco, questo è esempio di come si parla di internet all’estero, sui giornali seri.
Sui giornali italiani invece l’idea che passa è che internet sia, sostanzialmente, un covo di maniaci che passano il tempo a stuprare i bambini su second life o a scambiarsi ecografie per fini pedo-porno (e dire che c'è un sacco di genitori che le ecografie le mette sui blog senza lucrarci neanche un po'): vedi l’ultima inchiesta a tinte fosche di Repubblica. In due pagine “degne di cronaca vera” (Wittgenstein) Paolo Berizzi si finge per noi pedofilo on line, chatta un po’ con qualche orco, ma appena le cose si fanno serie viene sopraffatto dallo schifo e lascia perdere. Sul serio, il reportage è tutto qui. Nel pezzo non c’è davvero nulla che non si sappia già: le cifre sono le solite dell’associazione Meter (Don Fortunato di Noto) e della polizia postale. I pedofili esistono, e usano internet per scambiarsi immagini pedoporno: se usano server italiani, e se scaricano su dischi rigidi nel territorio italiano, sono perseguibili ai termini di una delle leggi più aspre del continente. Quindi? A che serve questo “sollevamento della nostra indignazione a suon di aggettivi senza nulla intorno” (Mantellini)? A supporre che l’obiettivo del cronista sia creare un alone di terrore intorno a internet si pensa male – ma forse ci si azzecca.
Nella seconda parte del servizio Berizza si fa sfuggire qualcosa di più – la profonda indignazione per i siti di “pedofilia culturale”. Oddio, e cosa sarebbero? I siti, i forum e i blog in cui si difende la pedofilia come manifestazione d’amore nei confronti dei bambini eccetera eccetera. Per Berizzi questi siti sarebbero solo un paravento dietro al quale gli orchi proseguono il loro traffico immondo. Qui basterebbe usare il buon senso, e dare per scontato che a nessuno piaccia andare in galera: se è possibile che questi siti attirino i pedofili alle prime armi, è molto difficile che dei trafficanti inveterati siano così poco astuti da farsi pizzicare proprio lì, nel primo posto dove la polizia li andrà a cercare. Però Berizzi ci insiste molto, sull’ipocrisia dei pedofili culturali. Ha l’aria di pensare che quei siti andrebbero chiusi d’ufficio, anche se non commettono alcun reato. È la nota logica dei benpensanti: se chiudiamo il bar losco, la gente smetterà di spacciare lì intorno.
Il pensiero vola alla campagna anti-giorno-del-pedofilo-orgoglione, un episodio da cui Berizza non ha evidentemente imparato. Riassumo? C’è un sito internet, un piccolo sito di tre pagine striminzite senza quasi link all’esterno, che propone di festeggiare un certo giorno come “giorno dell’orgoglio pedofilo”. È da anni che la cosa va avanti, nell’indifferenza generale. Quest’anno però l’indignazione ha avuto un soprassalto, non si capisce perché. È stata fatta una campagna di firme via internet. C’è stata anche una marcia su Roma di associazioni anti-pedofilia. Risultato: il ministro delle comunicazioni ha reso il sito internet inaccessibile per i navigatori italiani. Perlomeno ci ha provato, con risultati scarsissimi. Le associazioni anti-pedofilia hanno cantato vittoria, malgrado il sito fosse ancora on line e visitabile. Non solo, ma grazie a tutto questo battage pubblicitario in quei giorni ha fatto un prevedibile record di accessi. Ecco il risultato dell’ultima di queste periodiche onde di indignazione. Fin qui la sensazione è quella di trovarsi di fronte a un'orda di indignati un po' pasticcioni, ma mossi dalle migliori intenzioni. La storia però è un po' più complicata di così.
Il contenuto di quel sito era noto da anni. Ogni tanto un giornalista italiano lo metteva in un pezzo di colore, e la cosa finiva lì. Quello che è successo quest’anno è un po’ diverso, e vede protagonisti i blog. L’indirizzo del sito appare una prima volta in un commento al blog di Massimiliano Frassi, fondatore della onlus Prometeo che combatte la pedofilia con metodi un po’ particolari, scrivendo libri allarmisti e discutibili e raccontando qualche panzana (anche ai radicali, a quanto pare). È lo stesso blog che pubblica liberamente foto di bambini sanguinanti o pieni di lividi, senza che nessuno ci trovi nulla di morboso (lui lo fa per creare indignazione, quindi è ok).
Frassi a dire il vero non è molto contento che quel link appaia sul suo sito, così scrive questa severa reprimenda: “Oggi che il blog è diventato il più letto in Italia cercate di non generare inutili problemi da chi non sa più dovre attaccarsi.....”. Nel frattempo però il meme è stato seminato.
In quegli stessi giorni, Frassi ha qualche ragione per essere di pessimo umore, per via di due inchieste in cui la sua associazione è coinvolta: Brescia e Rignano Flaminio. In entrambi i casi i genitori dei bambini si sono avvalsi della sua consulenza. I racconti fatti dai bambini sono molto simili. A Brescia, però, come a Rignano, gli inquirenti hanno un bel problema: non riescono a trovare prove. Per gli indagati di Brescia proprio in quei giorni è arrivata la sentenza: tutti innocenti (tranne uno). E allora? Il blog tira avanti, con notizie di cronaca nera e foto di bimbi abusati da tutto il mondo. Nei giorni successivi Frassi si fa patrocinatore di una vera e propria campagna-anti-giorno-dell’orgoglio-pedofilo, che arriva ai quotidiani più importanti e viene poi lanciata sulla carta stampata dai quotidiani Epolis.
E il ventitré giugno marcia su Roma, con la Prometeo e le altre associazioni dei genitori: ricevuto da Bertinotti, dal sottosegretario all’economia Paolo Cento e dai presidenti di regione e provincia, Marrazzo e Gasbarra. L’idea è quella di fronteggiare i pedofili nel loro giorno dell’orgoglio. La richiesta formale è quella di formare una super-procura anti-pedofilia. E poi ce n’è un’altra, di cui sui giornali si parla meno: l’assistenza legale. Secondo il giustiziere, quel giorno Marrazzo e Gasbarra si sarebbero fatti sfuggire una promessa importante: finanziare le spese processuali dell’Agerif, l’associazione dei genitori di Rignano Flaminio. Ogni promessa è un debito, e questa lo è un po’ di più, visto che l’Agerif, a corto di prove, aveva appena assunto l’Avvocato Taormina. Uno che a occhio non costa poco.
C’è da dire che l’irruzione di Taormina in questo caso non ha portato gli sviluppi attesi. Ai primi avvistamenti da Vespa e Mentana c’eravamo aspettati il carrozzone mediatico in stile Cogne. Poi però è scomparso. Se ha deciso per una strategia diversa, tanto meglio (anche perché il metodo Cogne non è stata così produttivo, dopotutto).
Rimane l’interrogativo: Taormina chi lo paga? Non è per caso una voce del bilancio dei contribuenti della regione Lazio, vero? Ed è possibile che queste ondate di indignazione vengano orchestrate da persone che tentano di specularci su? Sì, è possibile. E sarebbe uno scandalo: non mostruoso come quello della pedofilia, ma comunque uno scandalo.
Le persone che usano più spesso e più intensamente internet sono più socievoli, hanno più amici, hanno rapporti familiari più intensi, più iniziativa professionale, meno tendenza alla depressione e all’isolamento, mostrano più autonomia, più ricchezza comunicativa e una maggiore partecipazione alla vita civile e politica rispetto agli altri. Non ve lo dico io, ma una ricerca dell’Università della Catalogna (in sette volumi), illustrata sull’ultimo Internazionale da Manuel Castells. Ecco, questo è esempio di come si parla di internet all’estero, sui giornali seri.
Sui giornali italiani invece l’idea che passa è che internet sia, sostanzialmente, un covo di maniaci che passano il tempo a stuprare i bambini su second life o a scambiarsi ecografie per fini pedo-porno (e dire che c'è un sacco di genitori che le ecografie le mette sui blog senza lucrarci neanche un po'): vedi l’ultima inchiesta a tinte fosche di Repubblica. In due pagine “degne di cronaca vera” (Wittgenstein) Paolo Berizzi si finge per noi pedofilo on line, chatta un po’ con qualche orco, ma appena le cose si fanno serie viene sopraffatto dallo schifo e lascia perdere. Sul serio, il reportage è tutto qui. Nel pezzo non c’è davvero nulla che non si sappia già: le cifre sono le solite dell’associazione Meter (Don Fortunato di Noto) e della polizia postale. I pedofili esistono, e usano internet per scambiarsi immagini pedoporno: se usano server italiani, e se scaricano su dischi rigidi nel territorio italiano, sono perseguibili ai termini di una delle leggi più aspre del continente. Quindi? A che serve questo “sollevamento della nostra indignazione a suon di aggettivi senza nulla intorno” (Mantellini)? A supporre che l’obiettivo del cronista sia creare un alone di terrore intorno a internet si pensa male – ma forse ci si azzecca.
Nella seconda parte del servizio Berizza si fa sfuggire qualcosa di più – la profonda indignazione per i siti di “pedofilia culturale”. Oddio, e cosa sarebbero? I siti, i forum e i blog in cui si difende la pedofilia come manifestazione d’amore nei confronti dei bambini eccetera eccetera. Per Berizzi questi siti sarebbero solo un paravento dietro al quale gli orchi proseguono il loro traffico immondo. Qui basterebbe usare il buon senso, e dare per scontato che a nessuno piaccia andare in galera: se è possibile che questi siti attirino i pedofili alle prime armi, è molto difficile che dei trafficanti inveterati siano così poco astuti da farsi pizzicare proprio lì, nel primo posto dove la polizia li andrà a cercare. Però Berizzi ci insiste molto, sull’ipocrisia dei pedofili culturali. Ha l’aria di pensare che quei siti andrebbero chiusi d’ufficio, anche se non commettono alcun reato. È la nota logica dei benpensanti: se chiudiamo il bar losco, la gente smetterà di spacciare lì intorno.
Il pensiero vola alla campagna anti-giorno-del-pedofilo-orgoglione, un episodio da cui Berizza non ha evidentemente imparato. Riassumo? C’è un sito internet, un piccolo sito di tre pagine striminzite senza quasi link all’esterno, che propone di festeggiare un certo giorno come “giorno dell’orgoglio pedofilo”. È da anni che la cosa va avanti, nell’indifferenza generale. Quest’anno però l’indignazione ha avuto un soprassalto, non si capisce perché. È stata fatta una campagna di firme via internet. C’è stata anche una marcia su Roma di associazioni anti-pedofilia. Risultato: il ministro delle comunicazioni ha reso il sito internet inaccessibile per i navigatori italiani. Perlomeno ci ha provato, con risultati scarsissimi. Le associazioni anti-pedofilia hanno cantato vittoria, malgrado il sito fosse ancora on line e visitabile. Non solo, ma grazie a tutto questo battage pubblicitario in quei giorni ha fatto un prevedibile record di accessi. Ecco il risultato dell’ultima di queste periodiche onde di indignazione. Fin qui la sensazione è quella di trovarsi di fronte a un'orda di indignati un po' pasticcioni, ma mossi dalle migliori intenzioni. La storia però è un po' più complicata di così.
Il contenuto di quel sito era noto da anni. Ogni tanto un giornalista italiano lo metteva in un pezzo di colore, e la cosa finiva lì. Quello che è successo quest’anno è un po’ diverso, e vede protagonisti i blog. L’indirizzo del sito appare una prima volta in un commento al blog di Massimiliano Frassi, fondatore della onlus Prometeo che combatte la pedofilia con metodi un po’ particolari, scrivendo libri allarmisti e discutibili e raccontando qualche panzana (anche ai radicali, a quanto pare). È lo stesso blog che pubblica liberamente foto di bambini sanguinanti o pieni di lividi, senza che nessuno ci trovi nulla di morboso (lui lo fa per creare indignazione, quindi è ok).
Frassi a dire il vero non è molto contento che quel link appaia sul suo sito, così scrive questa severa reprimenda: “Oggi che il blog è diventato il più letto in Italia cercate di non generare inutili problemi da chi non sa più dovre attaccarsi.....”. Nel frattempo però il meme è stato seminato.
In quegli stessi giorni, Frassi ha qualche ragione per essere di pessimo umore, per via di due inchieste in cui la sua associazione è coinvolta: Brescia e Rignano Flaminio. In entrambi i casi i genitori dei bambini si sono avvalsi della sua consulenza. I racconti fatti dai bambini sono molto simili. A Brescia, però, come a Rignano, gli inquirenti hanno un bel problema: non riescono a trovare prove. Per gli indagati di Brescia proprio in quei giorni è arrivata la sentenza: tutti innocenti (tranne uno). E allora? Il blog tira avanti, con notizie di cronaca nera e foto di bimbi abusati da tutto il mondo. Nei giorni successivi Frassi si fa patrocinatore di una vera e propria campagna-anti-giorno-dell’orgoglio-pedofilo, che arriva ai quotidiani più importanti e viene poi lanciata sulla carta stampata dai quotidiani Epolis.
E il ventitré giugno marcia su Roma, con la Prometeo e le altre associazioni dei genitori: ricevuto da Bertinotti, dal sottosegretario all’economia Paolo Cento e dai presidenti di regione e provincia, Marrazzo e Gasbarra. L’idea è quella di fronteggiare i pedofili nel loro giorno dell’orgoglio. La richiesta formale è quella di formare una super-procura anti-pedofilia. E poi ce n’è un’altra, di cui sui giornali si parla meno: l’assistenza legale. Secondo il giustiziere, quel giorno Marrazzo e Gasbarra si sarebbero fatti sfuggire una promessa importante: finanziare le spese processuali dell’Agerif, l’associazione dei genitori di Rignano Flaminio. Ogni promessa è un debito, e questa lo è un po’ di più, visto che l’Agerif, a corto di prove, aveva appena assunto l’Avvocato Taormina. Uno che a occhio non costa poco.
C’è da dire che l’irruzione di Taormina in questo caso non ha portato gli sviluppi attesi. Ai primi avvistamenti da Vespa e Mentana c’eravamo aspettati il carrozzone mediatico in stile Cogne. Poi però è scomparso. Se ha deciso per una strategia diversa, tanto meglio (anche perché il metodo Cogne non è stata così produttivo, dopotutto).
Rimane l’interrogativo: Taormina chi lo paga? Non è per caso una voce del bilancio dei contribuenti della regione Lazio, vero? Ed è possibile che queste ondate di indignazione vengano orchestrate da persone che tentano di specularci su? Sì, è possibile. E sarebbe uno scandalo: non mostruoso come quello della pedofilia, ma comunque uno scandalo.
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