Gelateria bipolare
08-06-2009, 21:22campagna elettorale (permanente), migrantiPermalinkL'eurosagra del Partitino
(In tv, tripudi di analisi sulle elezioni. Scendo in strada: una famiglia di cinesi, due pachi, un magrebino. Qual è il Paese reale, quello in cui vivo io? Gran parte di chi passeggia qua fuori non ha votato. Buona parte non risulta nemmeno nelle statistiche sull'astensione. Ma vi sembra normale che essere italiani sia una caratteristica innata, come essere anemici, o Scorpione? A me no, e forse questo dovrebbe chiudere il discorso. Voto agli immigrati, subito. E non m'interessa se voteranno a destra. A questo punto forse preferirei una Lega Nord con candidati nordafricani a un Pd ariano).
C'è una gelateria di provincia che ha un problema di gestione: non riesce letteralmente a fornire un servizio (=gelato) decente ai suoi clienti. La nocciola è troppo dura, non si spalma sul cono. La fragola per contro si squaglia immediatamente sulle scarpette delle bambine che piangono. Chi chiede il pistacchio rischia l'intossicazione. I guadagni al netto delle spese sono scarsi.
Il gelataio si pone interrogativi seri sulla sua vocazione, finché una sera, durante una vacanza all'estero, ha un'intuizione: bisogna ridurre i gusti, come in Inghilterra. “Ma certo, come ho fatto a non pensarciprima. Il problema non ero io, ma il mio retaggio culturale che mi obbligava a tenere dieci vaschette per soddisfare i variegati gusti di un pubblico che poi, se vai bene a vedere, alla fine non sa cosa vuole e sceglie sempre cioccolato o limone. Col risultato che, appunto, la temperatura di congelamento della nocciola non andava bene per la fragola, e il pistacchio andava a male perché era un gusto di nicchia e restava nella vaschetta per mesi”.
Una volta tornato a casa, si affretta a lanciare la sua nuova gelateria bipolare: al posto di tutte le vaschette colorate, due vasche enormi: limone e cacao. Sulle prime la gente mugugna: non siamo mica in Inghilterra qui, se vogliamo nocciola non ci puoi dire che tanto il cacao è la stessa cosa. Alla fine però quasi tutti si adeguano, anche perché alternativa non ce n'è.
A dire il vero una c'è: la grande fiera europea, un carrozzone che passa ogni cinque anni, e comprende una gelateria itinerante a 12 gusti. Ora, nel paesino è vero che sono di poche pretese, ma quella volta che passa il carrozzone è normale che si sbizzariscano: come puoi biasimarli? Anche i patiti del cioccolato, li vedi passeggiare con certi mostri, mango+stracciatella con spruzzatina di curry. Poi la fiera se ne riparte, e riapre la gelateria bipolare, col suo limone e il suo cacao.
V'è piaciuta la parabola? Altre da servirvi oggi non ne ho, mi dispiace. Mi sto specializzando in storielle cretine? È possibile; voi da parte vostra non cedete all'ovvio di chi scopre in queste ore che gli italiani non sono bipolari, pensate un po', perché alle europee votano per i partitini. Non è niente di nuovo, davvero: le europee servono a questo. Sono la nostra riserva di proporzionalità, la sagra del partitino che ogni cinque anni per un pomeriggio ci fa sentire speciali. Ma passa subito, e il giorno dopo torniamo bipolari: berlusconiani o anti, comunisti o anti, antianti o anti.
Il punto è che gli italiani non sono necessariamente bipolari o frazionati: sono un insieme enorme di persone che reagiscono a domande. Se le domande pongono un'alternativa secca (“Amate il Berlusconi Way of Life o no?” “Più Stato o più individuo?” “Ragione o religione?”) si polarizzeranno; se la domanda è vaga “Chi sei tu?”; “Che futuro vorresti per i tuoi figli?” si disperderanno in una pletora di risposte vaghe. Le Elezioni Europee sono una domanda vaga. Ecco forse spiegato il paradosso delle elezioni supernazionali che in assoluto diventano le più locali: quelle dove possiamo toglierci lo sfizio di votare chi ci assomiglia di più. E questo magari potrebbe anche servire da risposta a chi si lamenta, puntualmente “che non si parla mai dell'Europa”: di che Europa dovremmo parlare? A dire il vero un'idea di Europa ce l'abbiamo tutti, ed è meno nebulosa di quanto si creda: per i leghisti è quella cosa in cui i turchi non devono entrare; per Di Pietro è una serie di leggi a cui anche gli intrallazzoni italiani devono sottostare. Tutto qui, ma c'è veramente molto da aggiungere?
Aspettate, mi è venuta un'altra metafora, magari è quella buona: se le elezioni legislative sono il momento di massima polarizzazione, quello in cui tutto il nostro coefficiente di sovranità si concentra in due schieramenti, le europee sono al punto opposto del ciclo: nel momento in cui sentiamo meno la necessità di compattezza e ci liberiamo alle nostre esigenze identitarie, estetiche, culturali, ecceccecc. Da questo punto di vista non ha nemmeno tantissima importanza dove rifluisce il nostro voto tra una legislativa all'altra: ai leghisti di lotta e di governo o a Casini, o a nessuno; non importa: tra quattro anni tornerà da Papi – se Papi tiene. Variabile indipendente.
Stesso discorso a sinistra: se persino i più onesti tra gli uomini del Pd non stanno stracciandosi le vesti per quel vergognoso 26% è perché sanno che il risultato è più che sufficiente a tenere la posizione di maggior partito di centrosinistra intorno al quale, nel momento di massima contrazione (tra quattro anni, o anche prima) si coalizzeranno volenti e nolenti i radicali, i dipietristi, i vendoliani, i non votanti, tutti quelli che non si rassegnano a mandar già l'amaro cacao governativo. Andrà così? Andrà così.
Sarà necessariamente una nuova battaglia pro o contro Berlusconi? Non è detto: B potrebbe anche non esserci più. Oppure da qualche parte potrebbe saltare fuori un leader, un obama capace di sintetizzare la linea di un centrosinistra italiano che a ben vedere non ha più contraddizioni di quello inglese o tedesco (ha semplicemente una storia più complessa di faide interne). Anzi, in linea teorica non sarebbe nemmeno necessario un grande leader: potrebbe esserci una svolta generazionale, una presa di coscienza collettiva... sì, sarebbe fenomenale, ma si fa molta meno fatica a puntare tutto su un leader. La Serracchiani? Perché no. Io non vado matto per il concetto di leadership, e il culto della personalità non mi è mai riuscito bene, ma l'esempio americano mi sembra l'unico che abbia funzionato negli ultimi anni, mi piaccia o no. Farò il possibile per farmelo piacere – ma ogni cinque anni fatemi prendere un cono meringa-papaya. Uno solo. Poi dicono che non serve, l'Europa.
(In tv, tripudi di analisi sulle elezioni. Scendo in strada: una famiglia di cinesi, due pachi, un magrebino. Qual è il Paese reale, quello in cui vivo io? Gran parte di chi passeggia qua fuori non ha votato. Buona parte non risulta nemmeno nelle statistiche sull'astensione. Ma vi sembra normale che essere italiani sia una caratteristica innata, come essere anemici, o Scorpione? A me no, e forse questo dovrebbe chiudere il discorso. Voto agli immigrati, subito. E non m'interessa se voteranno a destra. A questo punto forse preferirei una Lega Nord con candidati nordafricani a un Pd ariano).
C'è una gelateria di provincia che ha un problema di gestione: non riesce letteralmente a fornire un servizio (=gelato) decente ai suoi clienti. La nocciola è troppo dura, non si spalma sul cono. La fragola per contro si squaglia immediatamente sulle scarpette delle bambine che piangono. Chi chiede il pistacchio rischia l'intossicazione. I guadagni al netto delle spese sono scarsi.
Il gelataio si pone interrogativi seri sulla sua vocazione, finché una sera, durante una vacanza all'estero, ha un'intuizione: bisogna ridurre i gusti, come in Inghilterra. “Ma certo, come ho fatto a non pensarciprima. Il problema non ero io, ma il mio retaggio culturale che mi obbligava a tenere dieci vaschette per soddisfare i variegati gusti di un pubblico che poi, se vai bene a vedere, alla fine non sa cosa vuole e sceglie sempre cioccolato o limone. Col risultato che, appunto, la temperatura di congelamento della nocciola non andava bene per la fragola, e il pistacchio andava a male perché era un gusto di nicchia e restava nella vaschetta per mesi”.
Una volta tornato a casa, si affretta a lanciare la sua nuova gelateria bipolare: al posto di tutte le vaschette colorate, due vasche enormi: limone e cacao. Sulle prime la gente mugugna: non siamo mica in Inghilterra qui, se vogliamo nocciola non ci puoi dire che tanto il cacao è la stessa cosa. Alla fine però quasi tutti si adeguano, anche perché alternativa non ce n'è.
A dire il vero una c'è: la grande fiera europea, un carrozzone che passa ogni cinque anni, e comprende una gelateria itinerante a 12 gusti. Ora, nel paesino è vero che sono di poche pretese, ma quella volta che passa il carrozzone è normale che si sbizzariscano: come puoi biasimarli? Anche i patiti del cioccolato, li vedi passeggiare con certi mostri, mango+stracciatella con spruzzatina di curry. Poi la fiera se ne riparte, e riapre la gelateria bipolare, col suo limone e il suo cacao.
V'è piaciuta la parabola? Altre da servirvi oggi non ne ho, mi dispiace. Mi sto specializzando in storielle cretine? È possibile; voi da parte vostra non cedete all'ovvio di chi scopre in queste ore che gli italiani non sono bipolari, pensate un po', perché alle europee votano per i partitini. Non è niente di nuovo, davvero: le europee servono a questo. Sono la nostra riserva di proporzionalità, la sagra del partitino che ogni cinque anni per un pomeriggio ci fa sentire speciali. Ma passa subito, e il giorno dopo torniamo bipolari: berlusconiani o anti, comunisti o anti, antianti o anti.
Il punto è che gli italiani non sono necessariamente bipolari o frazionati: sono un insieme enorme di persone che reagiscono a domande. Se le domande pongono un'alternativa secca (“Amate il Berlusconi Way of Life o no?” “Più Stato o più individuo?” “Ragione o religione?”) si polarizzeranno; se la domanda è vaga “Chi sei tu?”; “Che futuro vorresti per i tuoi figli?” si disperderanno in una pletora di risposte vaghe. Le Elezioni Europee sono una domanda vaga. Ecco forse spiegato il paradosso delle elezioni supernazionali che in assoluto diventano le più locali: quelle dove possiamo toglierci lo sfizio di votare chi ci assomiglia di più. E questo magari potrebbe anche servire da risposta a chi si lamenta, puntualmente “che non si parla mai dell'Europa”: di che Europa dovremmo parlare? A dire il vero un'idea di Europa ce l'abbiamo tutti, ed è meno nebulosa di quanto si creda: per i leghisti è quella cosa in cui i turchi non devono entrare; per Di Pietro è una serie di leggi a cui anche gli intrallazzoni italiani devono sottostare. Tutto qui, ma c'è veramente molto da aggiungere?
Aspettate, mi è venuta un'altra metafora, magari è quella buona: se le elezioni legislative sono il momento di massima polarizzazione, quello in cui tutto il nostro coefficiente di sovranità si concentra in due schieramenti, le europee sono al punto opposto del ciclo: nel momento in cui sentiamo meno la necessità di compattezza e ci liberiamo alle nostre esigenze identitarie, estetiche, culturali, ecceccecc. Da questo punto di vista non ha nemmeno tantissima importanza dove rifluisce il nostro voto tra una legislativa all'altra: ai leghisti di lotta e di governo o a Casini, o a nessuno; non importa: tra quattro anni tornerà da Papi – se Papi tiene. Variabile indipendente.
Stesso discorso a sinistra: se persino i più onesti tra gli uomini del Pd non stanno stracciandosi le vesti per quel vergognoso 26% è perché sanno che il risultato è più che sufficiente a tenere la posizione di maggior partito di centrosinistra intorno al quale, nel momento di massima contrazione (tra quattro anni, o anche prima) si coalizzeranno volenti e nolenti i radicali, i dipietristi, i vendoliani, i non votanti, tutti quelli che non si rassegnano a mandar già l'amaro cacao governativo. Andrà così? Andrà così.
Sarà necessariamente una nuova battaglia pro o contro Berlusconi? Non è detto: B potrebbe anche non esserci più. Oppure da qualche parte potrebbe saltare fuori un leader, un obama capace di sintetizzare la linea di un centrosinistra italiano che a ben vedere non ha più contraddizioni di quello inglese o tedesco (ha semplicemente una storia più complessa di faide interne). Anzi, in linea teorica non sarebbe nemmeno necessario un grande leader: potrebbe esserci una svolta generazionale, una presa di coscienza collettiva... sì, sarebbe fenomenale, ma si fa molta meno fatica a puntare tutto su un leader. La Serracchiani? Perché no. Io non vado matto per il concetto di leadership, e il culto della personalità non mi è mai riuscito bene, ma l'esempio americano mi sembra l'unico che abbia funzionato negli ultimi anni, mi piaccia o no. Farò il possibile per farmelo piacere – ma ogni cinque anni fatemi prendere un cono meringa-papaya. Uno solo. Poi dicono che non serve, l'Europa.
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