La prof, il copy e la bufala

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Drin Drin

"Pronto".
"Pronto, parlo con la professoressa Firmata?"
"Sì, ma lei chi è, scusi?"
"Sono il padre di Andrea, ha presente?"
"Andrea?"
"Andrea Dignitoso, il suo studente, quello che lavora in pizzeria..."
"Ma chi le ha dato il mio numero?"
"Mi scusi, pensavo che fosse normale in questo periodo per lei ricevere telefonate da parte dei genitori".
"No, guardi, non è normale per niente".
"Ah".
"Tanto più che suo figlio è sotto esame e io sono commissario interno, capisce".
"Ma è proprio per questo..."
"Preferirei che non insistesse".
"Ma è una cosa importante, ne va del suo futuro".
"È meglio che la chiudiamo qui, mi spiace".
"Aspetti. Aspetti un attimo. Non è come crede lei. Mi ascolti solo per dieci secondi".
"Va bene, sentiamo".
"Io vorrei che lei bocciasse mio figlio".
"Prego?"
"Non so se ha sentito il nuovo decreto del governo..."
"Vagamente, ho fatto tardi a scuola".
"I proprietari del ristorante dove Andrea lavora gli hanno assicurato che potevano finalmente assumerlo in maniera stabile grazie alla nuova legge sul lavoro in cui le agevolazioni sono però riservate unicamente a ragazzi senza diploma..."
"Senta, non credo proprio che le cose stiano come dice lei, non ha nessun senso".
"Ma anche sul sito di Beppegrillo è scritto così".
"Ah beh, allora..." (continua sull'Unita.it, H1t#186)

“Ah beh, allora. Comunque non ha nessuna importanza il perché e il percome, lei non può chiedermi questa cosa per telefono”.
“Ma è l’unica possibilità per Andrea di…”
“Di fare il pizzaiolo? Andiamo. Comunque quello che lei sta facendo non ha senso. Non sono mica io che boccio o promuovo i candidati, non è così che funziona“.
“Ah no?”
“Certo che no. C’è una commissione di sette-otto persone, e io sono una sola. Non si ricorda quando l’ha fatta lei la maturità?”
“È… è passato del tempo”.
“Anche se avessi dei numeri, delle pezze d’appoggio per chiedere la sua bocciatura – e non li ho – dovrei convincere queste persone a commettere un falso in atti d’ufficio”.
“Ma se glielo spiega per bene…”
“È uno scherzo, vero?”
“No, non è uno scherzo, è l’unica possibilità per Andrea di…”
“Di fare il pizzaiolo non in nero. Per consentire ad Andrea di realizzare il suo sogno di pizzaiolo regolare io e otto miei colleghi dovremmo commettere un reato. Sta registrando la telefonata, per caso?”
“Io pensavo che a lei stesse a cuore il futuro di Andrea”.
“Auguro ad Andrea un luminoso futuro nel reame della pummarola, però non andrò nel penale per lui. Tanto più che è assolutamente inutile. Se vuole essere bocciato, c’è un sistema molto più semplice”.
“Sì?”
“Non presentarsi all’orale”.
“Ah già, vero”.
“Non mi dica che non ci aveva pensato”.
“No”.
“Lei non è il padre di Andrea”.
“Certo che sono il padre di Andrea”.
“Dev’essere un padre molto distante, che non ha un’idea di come funzioni un esame di maturità. Ci ha parlato negli ultimi due o tre mesi?”
“È sempre molto impegnato… col suo lavoro a nero”.
“Si dice in nero. Da chi ha avuto il mio numero di telefono? Preferirei saperlo da lei piuttosto che mettermi a fare ricerche”.
“Non sto facendo niente di male”.
“Mi sta chiedendo di commettere un reato. Probabilmente sta registrando la telefonata per screditarmi e invalidare l’esame di qualcun altro. Fosse la prima volta che ci provano”.
“Senta, mi deve credere, non sto facendo nulla di tutto questo”.
“D’accordo, facciamo così. Il suo numero ce l’ho in memoria, una controllatina in questura appena ho tempo la farò, se non le spiace…”
“Va bene, va bene, le dirò la verità. Non sono il papà di Andrea. Sono un copywriter”.
“Ah, ecco!”
“Ecco cosa?”
“Ecco perché non si ricorda come è fatta una maturità!”
“Ma no, l’ho data”.
“Sì, sì”.
“Un paio di volte… da privatista… Senta, non volevo istigarla a commettere un reato. Stavo soltanto facendo uno storytelling“.
“Storytelling non è un sostantivo”.
“Eh? Guardi, è una cosa importante… ci abbiamo messo un’ora di lavoro”.
“Accidenti! Facciamo gli straordinari. E il suo “storytelling” prevede insegnanti fessi che si fanno convincere a bocciare i figli da telefonate qualsiasi?”
“Senta, ma lo ha visto il decreto legge? È così surreale che nessuno può essere certo che quanto raccontato non stia capitando o possa capitare da qualche parte in Italia”.
“Io”.
“Io cosa?”
“Io posso essere certa che nessun padre di figlio pizzaiolo, sulla base di un lancio di agenzia che riassume un decreto in poche righe, stia telefonando ai commissari interni per esortarli a commettere un reato bocciando i loro figli. Quando poi domani si scoprirà probabilmente che il decreto dice un’altra cosa, come sempre. Avete buttato via un’ora di lavoro”.
“Io non credo”.
“A chi pensate di darla una storia così? Al Vernacoliere?”
“A tutti i quotidiani, Repubblica, Stampa, Corriere, tutti”.
“Non abboccherà nessuno”.
“Stavolta l’ingenua è lei. Abboccano. È una bella storia, c’è pure la pizza, a chi non piace la pizza. Anche ai bambini”.
“Ma lo sa persino un bambino che per non essere promossi basta non presentarsi”.
“Non dico che ci cascheranno. Ma faranno finta di cascarci. E dopo due giorni ci presenteremo: siamo stati noi, volevamo far presente il problema, ecc ecc.”
“Senta, è vero che il giornalismo italiano è un po’ in disarmo. Ma a questo livello no, non cadranno”.
“Facciamo una scommessa? Hanno la loro ingenuità da coltivare“.
“Va bene, giochiamoci una pizza”.
“Alla bufala”.
“Ovviamente”.
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