Gerusalemme è in ciascuno di noi (e a Matera)

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20 giugno: San Giovanni da Matera (1080-1139), che trovò Gerusalemme in Puglia 

Non è Gerusalemme ma ci si arrangia

Allo stesso modo in cui ciò che ti è più caro lo capisci soltanto quando te lo portano via, i cristiani d'Occidente sembrano aver cominciato a sviluppare una passione per Gerusalemme solo quando i turchi la chiusero per un po' ai pellegrini. In precedenza sì, qualcuno ci andava, ma Roma o San Giacomo di Compostela sembravano mete più ambite. Verso la fine del secolo XI però papa Urbano II lancia la prima Crociata: non è semplicemente una chiamata alle armi, Gerusalemme comincia a diventare un'ossessione anche per chi non aveva nessuna intenzione di impugnarle. Avventurieri, spiantati, predicatori improvvisati, tutta gente che chiameremmo fraticelli salvo che Francesco ancora non li aveva fondati; del resto anche Francesco, un secolo più tardi, risentiva dello stesso clima. Da Vercelli per esempio si mette in strada un Guglielmo che poi diventerà santo, diretto verso Gerusalemme e forse ci sarebbe arrivato se presso Ginosa (MT) non si fosse imbattuto in un altro eremita coetaneo, Giovanni da Matera, che lo esortò a restare in zona, dove avrebbe potuto fare del bene; del resto nel frattempo Gerusalemme era stata presa dai Crociati, ma il massacro che ne era seguito non sembrava aver migliorato un granché il morale della cristianità. Può darsi che le traiettorie irregolari di personaggi come Giovanni e Guglielmo, cresciuti negli anni in cui la Crociata era ancora un progetto, un sogno, risentano di questa grande delusione.

Giovanni da Matera e Guglielmo di Vercelli sono una strana coppia di eremiti. Leggendo la loro leggenda mi sono fatto un'idea che trae linfa più dalla mia misera esperienza di vita che dai dati in nostro possesso, ovvero: secondo me Giovanni stava bene con Guglielmo, e avrebbe voluto passare più tempo con lui, mentre Guglielmo probabilmente preferiva la solitudine, o comunque una compagnia diversa. Però comunicare questo tipo di cose è difficile; lo è anche oggi che parliamo tutti la stessa lingua e abbiamo tutti gli stessi riferimenti culturali. Guglielmo non poteva semplicemente dire, senti, ci ho riflettuto un po' e ho capito che dobbiamo dividerci. I santi eremiti nel medioevo non comunicavano così. Al limite poteva dire così: ho avuto una visione, Gesù Cristo mi ha detto che dobbiamo dividerci. Al che Giovanni risponde una cosa del tipo: mm sì, ecco cos'era prima quella cosa nella siepe, era Gesù Cristo che parlava con te. Ok. 

"Quindi ci dividiamo?"

"Va bene".

"Allora io vado di qua e tu vai..."

"Un attimo, un attimo, devo..."

"Devi cosa?"

"Devo prendere le mie cose".

"Ma cosa devi prendere, non hai niente, sei un eremita".

"Ah già. No, devo... devo pregare e meditare".

"Ok. Io intanto vado".

"No, dai, resta a pregare un po' con me..."

"Ma Gesù mi ha detto..."

"Ma figurati se Gesù ha fretta, dai".

Così alla fine Guglielmo diede fuoco alle capanne. Cioè, nella leggenda non c'è scritto così: c'è scritto che le capanne presero fuoco per miracolo, e questo fece capire ai due sant'uomini che Gesù un po' di fretta l'aveva. Sono io che sovrainterpreto, sono io che ovunque vado porto la mia sociopatia. Invece di portarmi Gerusalemme, come fanno i santi uomini.

Quanto a Giovanni, quest'ultimo proveniva, secondo la tradizione, da una famiglia benestante di Matera, i De Scalcionibus (per cui a volte lo sentirete chiamare San Giovanni Scalcione, o Scalzoni). Che non si trattasse di poveracci lo si può dedurre anche dal fatto che avessero residenza dove ora si trova la chiesa del Purgatorio, una specie di terrazzo su quello spettacolo di miseria che dovevano essere i Sassi nel 1100. Possiamo insomma immaginare che Giovanni sia cresciuto in un osservatorio privilegiato sulla povertà e la sofferenza, e se anch'egli da giovane potrebbe aver sentito il richiamo di Gerusalemme (del resto sappiamo che Urbano II nel suo tour propagandistico passò anche da Matera), da un certo momento in poi deve aver concluso che Gerusalemme è ovunque vi sia fede e povertà, Gerusalemme è dentro di noi. Un bel pensiero che se fosse stato universalmente condiviso ci avrebbero risparmiato grattacapi che tuttora perdurano, ma qualcuno a questo punto potrebbe offendersi, quindi ora metto punto.

Anche se Guglielmo fu suo ospite in una grotta poco distante da Matera, non è che Giovanni fino a quel momento non avesse viaggiato, anzi: aveva trottato per l'Italia meridionale così instancabilmente che facciamo fatica a ricostruire il suo itinerario (le agiografie dei due santi non coincidono). Era stato a Taranto, nel monastero dell'Isola di San Pietro, a litigare coi monaci locali che non apprezzavano la sua abitudine a meditare immerso nell'acqua fino al collo, giorno e notte; era stato in Calabria; non ancora in Puglia dove più tardi si sarebbe fermato. Nessun monastero gli sembrava abbastanza ascetico; talvolta era una visione a proporgli di cambiare destinazione. Anche a Ginosa non sarebbe rimasto a lungo, benché vi avesse già trovato i primi discepoli; secondo una leggenda fu incarcerato dal conte Roberto di Chiaromonte, con l'accusa di aver finanziato la comunità con i fondi di un tesoro da lui trovato in una delle grotte, e bisogna dire che tutto questo accadeva al termine di un periodo plurisecolare in cui chi si trovava dell'oro in casa tendeva davvero a nasconderlo in qualche luogo sicuro, insomma ritrovamenti del genere non dovevano essere rarissimi e può darsi che capitassero più spesso a chi aveva l'inclinazione a rifugiarsi nelle grotte più desolate; ma è difficile immaginare che un asceta come Giovanni ne avesse approfittato. Magari li aveva distribuiti ai poveri – cioè un po' a chiunque – senza immaginare cosa sarebbe successo quando un po' di poveri si sarebbero ritrovati a dover giustificare il possesso di oggetti d'oro. Ma può darsi che si tratti di una leggenda nata per giustificare il fatto che neppure a Ginosa, tra i suoi discepoli, Giovanni era riuscito a trovare la pace.

Lo ritroviamo in seguito a Bari (Giovanni non disdegnava, tra un eremo e un altro, i centri urbani più popolosi) dove finisce di nuovo nei guai; il principe Grimoaldo Alfaranite lo fa processare, a quanto pare perché predicava la povertà senza permesso. Assolto, Giovanni si rimette in viaggio, forse passando da Capua e incontrando di nuovo Guglielmo da Vercelli, in Irpinia. È qui che avviene l'episodio sopra riportato (Guglielmo vede Gesù e anche Giovanni fa in tempo a vedere la visione svanire). La volontà di Dio sembra abbastanza chiara, eppure i due santi fanno un po' fatica ad accettarla; l'incendio delle capannine che si erano costruiti sembra un segno più esplicito. Eppure i due fanno ancora un po' di strada assieme, fino al monte Cognato; qui Guglielmo riesce finalmente a liberarsi del collega; Giovanni prosegue fino a Monte Sant'Angelo, che ai tempi era il centro urbano più importante del Gargano, nonché il santuario più visitato di tutte le Puglie (anche se cominciava a sentirsi la concorrenza con quello di San Nicola a Bari). Qui risolve un caso di siccità, attribuendola pubblicamente ai peccati di un religioso; costui piuttosto di smettere di peccare abbandona il Monte, e la siccità cessa immediatamente. Anche Giovanni lascia di lì a poco il Monte per recarsi a Pulsano, nei pressi del golfo di Manfredonia, dove finalmente troverà il luogo ideale per fondare un monastero. Benché in teoria aderisse alla regola benedettina, l'insistenza di Giovanni sul lavoro manuale (e il disinteresse per quello intellettuale) è un chiaro segno anticipatore dei movimenti pauperisti che dilagheranno anche in Meridione nel secolo successivo. Alla sua morte (verso il 1140) esistevano decine di monasteri cosiddetti pulsanesi, da Pisa a Dubrovnik; l'ordine però si dissolverà altrettanto rapidamente, forse a causa della concorrenza degli ordini mendicanti dal Duecento in poi. Settecento anni più tardi, un regista visionario deciso a mostrare la Passione di Cristo "as it was", deciderà di girare il suo film tra i Sassi di Matera, ormai più Gerusalemme dell'originale. 

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