Ora e sempre contro l'Apocalisse (e chi la vende)
21-02-2016, 14:05apocalittici e integrati, coccodrilli, EcoPermalinkL'uomo che non sapeva tutto (anzi) - So quanto possa essere fastidioso passare sui social network ed essere investiti dall'espressione collettiva di un cordoglio troppo automatico per sembrare sincero - e però, oltre a rassegnarci (le persone famose continueranno a morire e noi continueremo a parlarne su facebook) magari potremmo anche riflettere su quanto sia affascinante, questa cosa dell'elaborazione mediatica del lutto. Non merita di essere studiata?
Eco senz'altro ci direbbe di sì: tutto merita di essere studiato. Anche se forse ce lo direbbe con quel mezzo sorriso d'ordinanza, come dire: andate pure avanti voi. Perché il fatto che tutto fosse degno d'interesse non significa che Eco si interessasse proprio di tutto (come è stato notato, era abbastanza indifferente alle discipline scientifiche). Per questo è abbastanza ingiusto il fatto che stia prendendo piede il mito di Umberto Eco come "l'uomo che sapeva tutto", ratificato anche da Fazio in tv. È un epitaffio che dice molto più sulla nostra superficialità, sul nostro disperato bisogno di eroi, vecchi saggi e uomini-enciclopedia, che non su Umberto Eco: il quale di certo non sapeva tutto, e non è che facesse poi molto per suggerire questa impressione. A parte farsi fotografare sullo sfondo di scaffali affollatissimi di volumi - ma anche in quel caso, la sua famosa risposta-tipo alla domanda stupida: "li ha letti tutti?" è molto significativa: "no, sono quelli che debbo leggere entro il mese prossimo". La biblioteca ideale è quella dei libri che devi ancora leggere (la risposta originale era molto più cruda: "Non ne ho letto nessuno, altrimenti perché li terrei qui?")
Se vi è capitato di frequentare un tipico erudito, e di notare come passi il tempo a (1) parlare delle cose che sa; (2) spiegare come le cose che non sa non siano importanti, e senz'altro indegne del suo prezioso tempo, ecco, ci terrei a ricordare che Umberto Eco era l'esatto contrario. Era curioso: non di tutto, ma di tantissime cose; ed era sempre disposto a impararne di nuove, persino dal primo studente che incontrava sul suo cammino. Troverete nei suoi scritti e discorsi confessioni disarmanti: per esempio ieri sera mi sono imbattuto nella sbobinatura di una conferenza sull'Esperanto in cui spiegava di averne studiato la grammatica soltanto pochi mesi prima, mentre lavorava alla Ricerca di una lingua perfetta nella cultura europea. È solo un dettaglio, ma pensateci un attimo: erano i primi anni '90. Eco era ai vertici della sua popolarità come scrittore e del suo prestigio intellettuale. Avrebbe potuto ricucinare le stesse cose che scriveva dieci o vent'anni prima, e invece si metteva a studiare la grammatica di una lingua nuova, come un ginnasiale - e pochi mesi dopo ci faceva un corso monografico e ci pubblicava un libro. Potremmo scambiarlo per dilettantismo d'altri tempi, quando è semplicemente quel tipo di spericolata apertura che ti chiede il mestiere di semiologo: se il mondo è una crittografia, ci saranno pure cose che sono più interessanti di altre - così ad esempio Rita Pavone a occhio non vale Gérard de Nerval - ma non puoi saperlo prima di averle decifrate (continua sul Post).
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Se vi è capitato di frequentare un tipico erudito, e di notare come passi il tempo a (1) parlare delle cose che sa; (2) spiegare come le cose che non sa non siano importanti, e senz'altro indegne del suo prezioso tempo, ecco, ci terrei a ricordare che Umberto Eco era l'esatto contrario. Era curioso: non di tutto, ma di tantissime cose; ed era sempre disposto a impararne di nuove, persino dal primo studente che incontrava sul suo cammino. Troverete nei suoi scritti e discorsi confessioni disarmanti: per esempio ieri sera mi sono imbattuto nella sbobinatura di una conferenza sull'Esperanto in cui spiegava di averne studiato la grammatica soltanto pochi mesi prima, mentre lavorava alla Ricerca di una lingua perfetta nella cultura europea. È solo un dettaglio, ma pensateci un attimo: erano i primi anni '90. Eco era ai vertici della sua popolarità come scrittore e del suo prestigio intellettuale. Avrebbe potuto ricucinare le stesse cose che scriveva dieci o vent'anni prima, e invece si metteva a studiare la grammatica di una lingua nuova, come un ginnasiale - e pochi mesi dopo ci faceva un corso monografico e ci pubblicava un libro. Potremmo scambiarlo per dilettantismo d'altri tempi, quando è semplicemente quel tipo di spericolata apertura che ti chiede il mestiere di semiologo: se il mondo è una crittografia, ci saranno pure cose che sono più interessanti di altre - così ad esempio Rita Pavone a occhio non vale Gérard de Nerval - ma non puoi saperlo prima di averle decifrate (continua sul Post).
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