Forse dovremmo intervenire in Libia

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Datti una mossa, Grande Proletaria

- Può darsi che la mia Patria non sia proprio il mondo intero, può darsi che in un mondo di risorse limitate la mia sopravvivenza implichi la non sopravvivenza di qualcun altro che quindi è un mio nemico. Può darsi che io non mi possa sobbarcare di tutto il dolore e di tutta l'ingiustizia del mondo, perché non sono onnipotente, anzi. Può darsi.

Ma non sono neanche del tutto impotente: per esempio, potrei essere l'Italia: la Libia allora sarebbe uno spiazzo poco lontano da casa mia, dove ai tempi del nonno avevo pure piantato qualche bandierina. Io che da dieci anni mi segno sul calendario di ricordarmi di piangere per l'undici settembre, cosa scriverò sulla mia agendina il ventuno, sul ventidue, sul ventitré febbraio? “Nulla”, come Luigi XVI il 14/7/1789?

Allora, accantoniamo per favore la svenevole polemica su chi abbia più baciato e abbracciato Gheddafi. Lo hanno fatto tutti, da Andreotti a Berlusconi; se quest'ultimo in particolare ci diede la sensazione di aver calato le braghe, non è questo il momento per rimproverargli una mancanza di stile che è cronica. Questo è il momento del disastro, il momento in cui si accantonano le nostre beghe familiari perché là fuori ci sono i nostri vicini, che gridano, e bruciano vivi.

Se fossi l'Italia, sarei una nazione in crisi, che sta stagliuzzando a sangue servizi essenziali (sanità, istruzione, pubblica sicurezza, giustizia), ma continua a non tagliare un settore strategico. La Difesa. Ci spendo tutti gli anni il 2% del PIL, qualcosa come 24mila milioni di euro: sono un sacco di soldi. Ecco, appunto. Dove li sto mettendo? Ora c'è un folle incendiario, uno stragista assassino che sta bombardando un popolo amico alle porte di casa: non dovrei intervenire? Non sono intervenuto per molto meno, in passato? Dove sono le mie navi, i miei jet, i miei uomini? In Asia centrale, a insegnare la democrazia ai sassi. Ma siamo sicuri che sia ancora la priorità?

E l'Unione Europea dov'è? Perché se fossi l'Italia avrei la fastidiosa sensazione di essere trattata un po' come io trattavo la Libia, da parente povero e scemo a cui appaltare un bel campo profughi in riva al mare. Non è il caso di chiamare dal deserto: guardate che qui o si fa il Mediterraneo o si affonda tutti? A chi spetta, se non a noi? Tra dieci anni potremmo avere un Nordafrica civile, democratico, che scambia le sue enormi risorse energetiche in cambio di cibo (e l'Europa dovrebbe averne in sovrappiù); che per costruire infrastrutture assorbe manodopera da Europa e Africa Nera. Oppure potremmo avere la costa settentrionale del Sahel, il porto della disperazione, un'enorme Somalia piagata da lotte tribali o religiose e appaltata a bande di pirati. Democratici di sinistra, cinici di destra, o viceversa; leghisti, nazionalisti, cattolici, lo chiedo a tutti: cosa ci conviene avere, in quello spiazzo poco lontano da casa nostra? Può darsi che le sorti dell'Antartide e di Haiti non dipendano da noi, ma possiamo davvero lasciare che un pazzo massacri i nostri vicini di casa? Scusate, io d'impostazione sarei un pacifista, ma non posso evitare di pormi la questione: se le forze armate non mi servono a intervenire in situazioni di questo genere, per cosa mi servono? E quindi, insomma, per cosa le pago?

Se invece siete di quelli che avevano buoni motivi per la guerra in Afganistan o in Iraq, allora vi prego, moltiplicate quei buoni motivi per cento, per mille. Gheddafi possiede armi di distruzione: Gheddafi le sta usando, ora.

Se poi i libici si libereranno da soli, tanto meglio per loro: ma con che faccia tratteremo coi loro nuovi capi? E se l'assassino invece dovesse vincere, se dovesse trionfare su un deserto di fosse comuni, andremo a stringergli le mani al prossimo summit? Sul serio è ancora realpolitik, ma cosa c'è di realistico nell'idea che un incendio nello spiazzo dietro casa si spenga facendo finta di niente?
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