il noioso Paese che è il mio
03-06-2007, 00:38cinema, film italiani bruttini, fratelli d'I.PermalinkIo non mi sento italiano
(ma per fortuna, o purtroppo, lo sono)
A me Tarantino, quando dice che il cinema italiano non gli piace più, ricorda una comparsa di un vecchio film di Scola, una vecchietta inglese in un ristorante che dice: "quando eravate poveri eravate più allegri". O dice simpatici? Non mi ricordo nemmeno il nome del film.
Quando eravamo poveri in effetti avevamo una delle cinematografie migliori al mondo. Poi siamo diventati un po' meno poveri, ma eravamo ancora abbastanza pitorèschi, e facevamo buoni film di genere. Quelli che piacciono a Tarantino spesso sono stati girati da registi psicopatici, o comunque sensibili alle psicopatie degli spettatori, che pagando il biglietto volevano donne nude appese ai lampadari, donne in pasto ai cannibali, donne straziate dai coltelli, donne colate nella soda caustica, insomma donne nude e pronte da ammazzare. È vero che questi film non li facciamo più. Avremmo anche pudore ad andare alla cassa a pagare il biglietto. Per cui a Tarantino non interessiamo. Ma fosse solo Tarantino. È allo spettatore moderno, è al mangiatore di popcorn globale che interessiamo sempre meno. Anche se continuassimo a sfornare capolavori – che, bisogna dire, non sforniamo.
Poi c'è un altro problema, che non riguarda Tarantino, ma lo spettatore del circuito d'essai globale. Noi italiano che non sappiamo più fare B-film (non siamo più abbastanza poveri, o psicopatici), in teoria dovremmo essere ancora in grado d'interessare almeno lui. Abbiamo in effetti ottimi registi, anche giovani. Questa stagione, pure molto scarsa, come minimo ci ha dato un buon Crialese e buon Amelio, e scusate se è poco. E invece no. Lo spettatore d'essai preferisce i filmoni cinesi cappa-e-spada o quelli statici cielo-mi-s'è-allagata-la-vallata. O i picchiaduro coreani. O quei film immobili iraniani. O i musical indiani. Insomma, qualunque cosa che sappia un po' d'oriente, al limite un po' di meridione, in una parola: esotico. E noi non siamo esotici. Nemmeno un po'.
A un certo punto – decidete voi quale – ci siamo bloccati. Abbiamo smesso di essere un Terzo Mondo allegro e pittoresco, senza diventare quel famoso Paese Normale.
Non siamo abbastanza normali per fare da location neutra ai film moderni, che parlano delle cose che succedono oggi agli spettatori moderni e globalizzati. Quei film vengono bene negli USA, che sono il Grande Dovunque. Con qualche aggiustamento si possono ambientare anche in Francia, o in Inghilterra. Al limite in Germania. La Spagna, fateci caso, è ancora una location vagamente esotica. L'Italia no.
Si possono raccontare in Italia storie "esportabili", che parlino al mangiatore di popcorn tedesco, o francese, o USA, dei suoi precisi problemi? Si può fare, per esempio Muccino lo faceva (ed è anche riuscito ad esportarsi). Ma è difficile farlo bene, e probabilmente il mangiatore preferirà il prodotto di un altro Paese.
Quanto all'esotismo, capirai. L'ultima cosa che c'è rimasta è la criminalità, e tutti i dibattiti sul cinema o la letteratura "di genere" che si fanno ormai da 15 anni a questa parte sottointendono questo: i cineasti e gli scrittori italiani, se vogliono sopravvivere alla globalizzazione, devono riconvertirsi alle storie di malavita, l'unico prodotto ancora esportabile. Con ovvi rischi d'inflazionare il prodotto.
La nostra bella Repubblica ha tanti problemi. Uno di questi, evidenziato da Tarantino, è che è poco interessante. Non è abbastanza normale e non è più esotica. È una nazione con un grande passato. Gli americani, quando vengono a farci i film, vorrebbero ancora mettere la scena in cui un macchinone viene bloccato dalle pecore su una stradina appena asfaltata (c'è in un film del '94!). Probabilmente lo sanno, che l'Italia non è più così. Ma dal loro punto di vista è un peccato: quella scena è un classico, funziona, forse valeva la pena mantenerci nel sottosviluppo per continuare a girare scene così.
Io a volte scrivo dialoghi, e ho sempre paura che mi escano americani. Sin da bambino m'è parso di parlare un po' troppo come nelle sitcom americane, e di aspettarmi risate in sottofondo. Le situazioni delle sitcom sono universali. Tutto il mondo ci si specchia. Ma lo specchio è americano: le versioni italiane suonano sempre false, stanche, distorte, prevedibili.
Allora provo a metterci un po' di vernacolo. E plof! Cado nell'eterno bozzettismo italiano, buono per gli spot alimentari: l'emiliano bonaccione, il romano sarcastico, il napoletano pigro, il toscanaccio eccetera. Non se ne può più di queste cose, ma altre all'orizzonte non ce ne sono.
Io in effetti ieri avevo in mente di scrivere il mio temino sul fatto che non mi sento italiano, non perché disprezzi il mio Paese, ma perché lo trovo un'entità astratta, che mette insieme cose che non conosco e vorrei non conoscere, e tiene fuori cose che invece sento appartenermi: che senza aver nulla contro nessuno, mi sento molto più a mio agio a Lione che Caserta.
Poi mi sono sentito falso, perché non è vero che non ce l'ho con nessuno, io, io, io in realtà ce l'ho con tutti. Ce l'ho coi meridionali, coi settentrionali e col centro. Con la plebe, con gli operai, con gli artigiani. Ce l'ho con gli industriali. Con gli sportivi e gli intellettuali. Coi giornalisti. Con la Scuola, l'Università e la Ricerca. Con l'arredo urbano. Mi danno anche un po' sui nervi gli appennini.
Tutto questo per ovvi motivi: il malgoverno, la corruzione, l'emergenza rifiuti, eccetera eccetera. Ma forse c'è una ragione più privata. Vorrei scrivere storie, e qui non ci riesco. È l'unico Paese che conosco veramente. Ma è un Paese poco interessante.
Poi mi riscuoto e cambio idea: non è vero. L'Italia è un'avanguardia di tutti i guai che verranno. Quando nacque il totalitarismo moderno, nacque proprio qui, dalle mie parti. Se c'è stato il rischio di una telecrazia in Europa, è partito dalla Brianza. La frontiera tra il Sud e il Nord del mondo passa da qui, è la frontiera mobile di tutte le facce scure che vedo in giro. Persino l'eventuale diluvio comincerà da qui. E io sono in prima fila.
Forse è vero che non mi sento italiano; pure l'Italia m'interessa. Come problema. È complicato, e io amo i problemi complicati. Viva l'Italia.
(ma per fortuna, o purtroppo, lo sono)
A me Tarantino, quando dice che il cinema italiano non gli piace più, ricorda una comparsa di un vecchio film di Scola, una vecchietta inglese in un ristorante che dice: "quando eravate poveri eravate più allegri". O dice simpatici? Non mi ricordo nemmeno il nome del film.
Quando eravamo poveri in effetti avevamo una delle cinematografie migliori al mondo. Poi siamo diventati un po' meno poveri, ma eravamo ancora abbastanza pitorèschi, e facevamo buoni film di genere. Quelli che piacciono a Tarantino spesso sono stati girati da registi psicopatici, o comunque sensibili alle psicopatie degli spettatori, che pagando il biglietto volevano donne nude appese ai lampadari, donne in pasto ai cannibali, donne straziate dai coltelli, donne colate nella soda caustica, insomma donne nude e pronte da ammazzare. È vero che questi film non li facciamo più. Avremmo anche pudore ad andare alla cassa a pagare il biglietto. Per cui a Tarantino non interessiamo. Ma fosse solo Tarantino. È allo spettatore moderno, è al mangiatore di popcorn globale che interessiamo sempre meno. Anche se continuassimo a sfornare capolavori – che, bisogna dire, non sforniamo.
Poi c'è un altro problema, che non riguarda Tarantino, ma lo spettatore del circuito d'essai globale. Noi italiano che non sappiamo più fare B-film (non siamo più abbastanza poveri, o psicopatici), in teoria dovremmo essere ancora in grado d'interessare almeno lui. Abbiamo in effetti ottimi registi, anche giovani. Questa stagione, pure molto scarsa, come minimo ci ha dato un buon Crialese e buon Amelio, e scusate se è poco. E invece no. Lo spettatore d'essai preferisce i filmoni cinesi cappa-e-spada o quelli statici cielo-mi-s'è-allagata-la-vallata. O i picchiaduro coreani. O quei film immobili iraniani. O i musical indiani. Insomma, qualunque cosa che sappia un po' d'oriente, al limite un po' di meridione, in una parola: esotico. E noi non siamo esotici. Nemmeno un po'.
A un certo punto – decidete voi quale – ci siamo bloccati. Abbiamo smesso di essere un Terzo Mondo allegro e pittoresco, senza diventare quel famoso Paese Normale.
Non siamo abbastanza normali per fare da location neutra ai film moderni, che parlano delle cose che succedono oggi agli spettatori moderni e globalizzati. Quei film vengono bene negli USA, che sono il Grande Dovunque. Con qualche aggiustamento si possono ambientare anche in Francia, o in Inghilterra. Al limite in Germania. La Spagna, fateci caso, è ancora una location vagamente esotica. L'Italia no.
Si possono raccontare in Italia storie "esportabili", che parlino al mangiatore di popcorn tedesco, o francese, o USA, dei suoi precisi problemi? Si può fare, per esempio Muccino lo faceva (ed è anche riuscito ad esportarsi). Ma è difficile farlo bene, e probabilmente il mangiatore preferirà il prodotto di un altro Paese.
Quanto all'esotismo, capirai. L'ultima cosa che c'è rimasta è la criminalità, e tutti i dibattiti sul cinema o la letteratura "di genere" che si fanno ormai da 15 anni a questa parte sottointendono questo: i cineasti e gli scrittori italiani, se vogliono sopravvivere alla globalizzazione, devono riconvertirsi alle storie di malavita, l'unico prodotto ancora esportabile. Con ovvi rischi d'inflazionare il prodotto.
La nostra bella Repubblica ha tanti problemi. Uno di questi, evidenziato da Tarantino, è che è poco interessante. Non è abbastanza normale e non è più esotica. È una nazione con un grande passato. Gli americani, quando vengono a farci i film, vorrebbero ancora mettere la scena in cui un macchinone viene bloccato dalle pecore su una stradina appena asfaltata (c'è in un film del '94!). Probabilmente lo sanno, che l'Italia non è più così. Ma dal loro punto di vista è un peccato: quella scena è un classico, funziona, forse valeva la pena mantenerci nel sottosviluppo per continuare a girare scene così.
Io a volte scrivo dialoghi, e ho sempre paura che mi escano americani. Sin da bambino m'è parso di parlare un po' troppo come nelle sitcom americane, e di aspettarmi risate in sottofondo. Le situazioni delle sitcom sono universali. Tutto il mondo ci si specchia. Ma lo specchio è americano: le versioni italiane suonano sempre false, stanche, distorte, prevedibili.
Allora provo a metterci un po' di vernacolo. E plof! Cado nell'eterno bozzettismo italiano, buono per gli spot alimentari: l'emiliano bonaccione, il romano sarcastico, il napoletano pigro, il toscanaccio eccetera. Non se ne può più di queste cose, ma altre all'orizzonte non ce ne sono.
Io in effetti ieri avevo in mente di scrivere il mio temino sul fatto che non mi sento italiano, non perché disprezzi il mio Paese, ma perché lo trovo un'entità astratta, che mette insieme cose che non conosco e vorrei non conoscere, e tiene fuori cose che invece sento appartenermi: che senza aver nulla contro nessuno, mi sento molto più a mio agio a Lione che Caserta.
Poi mi sono sentito falso, perché non è vero che non ce l'ho con nessuno, io, io, io in realtà ce l'ho con tutti. Ce l'ho coi meridionali, coi settentrionali e col centro. Con la plebe, con gli operai, con gli artigiani. Ce l'ho con gli industriali. Con gli sportivi e gli intellettuali. Coi giornalisti. Con la Scuola, l'Università e la Ricerca. Con l'arredo urbano. Mi danno anche un po' sui nervi gli appennini.
Tutto questo per ovvi motivi: il malgoverno, la corruzione, l'emergenza rifiuti, eccetera eccetera. Ma forse c'è una ragione più privata. Vorrei scrivere storie, e qui non ci riesco. È l'unico Paese che conosco veramente. Ma è un Paese poco interessante.
Poi mi riscuoto e cambio idea: non è vero. L'Italia è un'avanguardia di tutti i guai che verranno. Quando nacque il totalitarismo moderno, nacque proprio qui, dalle mie parti. Se c'è stato il rischio di una telecrazia in Europa, è partito dalla Brianza. La frontiera tra il Sud e il Nord del mondo passa da qui, è la frontiera mobile di tutte le facce scure che vedo in giro. Persino l'eventuale diluvio comincerà da qui. E io sono in prima fila.
Forse è vero che non mi sento italiano; pure l'Italia m'interessa. Come problema. È complicato, e io amo i problemi complicati. Viva l'Italia.
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