06-03-2001, 10:44delitti e cronaca, famiglie, giornalistiPermalink
Sangue in famiglia
Ora come avvoltoi giornalisti e altri esperti in sociologia spicciola accorrono sui luoghi dei delitti efferati, dando la colpa un po' a tutto e a tutti… ma è il caso di biasimarli?
Come i poveri preti, che anche nelle situazioni più disperate sono forzati a trovare parole di speranza, così il dovere d'ufficio impone agli editorialisti di trovare subito i colpevoli. Piuttosto che fra gli indiziati, sotto tutela degli avvocati, meglio cercare colpevole e movente fra "i mali della nostra società", sempre più disumana, priva di valori, ecc..
Ma non hanno tutti i torti. Quello che è successo a Novi Ligure sembra non essere un caso isolato. A parte i casi di emulazione degli ultimi giorni (un tempo c'erano epidemie di suicidi, oggi la rabbia è più estroversa), i delitti in famiglia sembrano essere aumentati del 100% negli ultimi anni. Una guerra tra generazioni.
Questo è interessante. I giovani assassini negli USA fanno stragi in classe, in Italia preferiscono la famiglia. È un'altra prova di quanto sia centrale la cellula famigliare nella nostra società. Che è una società dei consumi. Ma sempre più orientata al consumo giovanile. Quello dei ragazzini è il target più sotto tiro, nonostante i ragazzini siano sempre meno (questa è una cosa che non riesco a capire. Se davvero siamo il Paese più vecchio del mondo, dovremmo avere la tv piena di pubblicità di mutandoni di lana, e Nilla Pizzi trionfatrice a Sanremo, ma non è così. Perché?).
Forse in Italia soffriamo di una lieve schizofrenia. Diamo per scontato che il giovane debba vivere coi suoi per venti, trent'anni – finché non mette su famiglia a sua volta. Tuttavia è altrettanto scontato che sin da 14, 15 anni, lo stesso giovane debba consumare quanto e più di un adulto. Lasciamo per un attimo perdere la componente affettiva e chiediamoci: dove li trova i soldi? E se i genitori non ne guadagnano abbastanza?
Ora, se due coniugi vengono ai ferri corti possono divorziare. Ma un ragazzino che ritenga i suoi genitori inadatti al proprio stile di vita ha davanti a sé ancora cinque, dieci anni di convivenza.
Il professore di Padova ucciso dal proprio figlio per un voto falsificato avrebbe comprato l'auto al figlio soltanto dopo la laurea. Diciamo a 24, 25 anni. Questo non faceva di lui un padre-padrone, e tutto sommato i soldi erano suoi. Ma anch'io, la prima volta che ho saputo la notizia, ho pensato: che padre degenere. Negare al figlio il sacrosanto diritto all'automobile. Sul serio, per un attimo ho pensato a questo.
(D'altro canto è vero che costringere un figlio a prendere una laurea "per non deluderlo" può equivalere a tenerlo sequestrato in casa per cinque anni, con un doppio ricatto affettivo ed economico, e nessun genitore verrà mai accusato di plagio in questi casi).
Con questo, non voglio assolutamente giustificare gli assassinii in famiglia. Non voglio neanche dare la colpa alla società dei consumi. In effetti, cosa sto facendo? Forse anch'io, da sociologo spicciolo, in piena emulazione giornalistica, accorro sul luogo del delitto e reclamo la mia piccola stilla di sangue. Un avvoltoio no. Diciamo una fastidiosa zanzara.
Segnalo un articolo di Tahar Ben Jalloun – già collaboratore della prestigiosa rivista Energie Nuove – sulla demolizione dei Buddha afgani.
Ora come avvoltoi giornalisti e altri esperti in sociologia spicciola accorrono sui luoghi dei delitti efferati, dando la colpa un po' a tutto e a tutti… ma è il caso di biasimarli?
Come i poveri preti, che anche nelle situazioni più disperate sono forzati a trovare parole di speranza, così il dovere d'ufficio impone agli editorialisti di trovare subito i colpevoli. Piuttosto che fra gli indiziati, sotto tutela degli avvocati, meglio cercare colpevole e movente fra "i mali della nostra società", sempre più disumana, priva di valori, ecc..
Ma non hanno tutti i torti. Quello che è successo a Novi Ligure sembra non essere un caso isolato. A parte i casi di emulazione degli ultimi giorni (un tempo c'erano epidemie di suicidi, oggi la rabbia è più estroversa), i delitti in famiglia sembrano essere aumentati del 100% negli ultimi anni. Una guerra tra generazioni.
Questo è interessante. I giovani assassini negli USA fanno stragi in classe, in Italia preferiscono la famiglia. È un'altra prova di quanto sia centrale la cellula famigliare nella nostra società. Che è una società dei consumi. Ma sempre più orientata al consumo giovanile. Quello dei ragazzini è il target più sotto tiro, nonostante i ragazzini siano sempre meno (questa è una cosa che non riesco a capire. Se davvero siamo il Paese più vecchio del mondo, dovremmo avere la tv piena di pubblicità di mutandoni di lana, e Nilla Pizzi trionfatrice a Sanremo, ma non è così. Perché?).
Forse in Italia soffriamo di una lieve schizofrenia. Diamo per scontato che il giovane debba vivere coi suoi per venti, trent'anni – finché non mette su famiglia a sua volta. Tuttavia è altrettanto scontato che sin da 14, 15 anni, lo stesso giovane debba consumare quanto e più di un adulto. Lasciamo per un attimo perdere la componente affettiva e chiediamoci: dove li trova i soldi? E se i genitori non ne guadagnano abbastanza?
Ora, se due coniugi vengono ai ferri corti possono divorziare. Ma un ragazzino che ritenga i suoi genitori inadatti al proprio stile di vita ha davanti a sé ancora cinque, dieci anni di convivenza.
Il professore di Padova ucciso dal proprio figlio per un voto falsificato avrebbe comprato l'auto al figlio soltanto dopo la laurea. Diciamo a 24, 25 anni. Questo non faceva di lui un padre-padrone, e tutto sommato i soldi erano suoi. Ma anch'io, la prima volta che ho saputo la notizia, ho pensato: che padre degenere. Negare al figlio il sacrosanto diritto all'automobile. Sul serio, per un attimo ho pensato a questo.
(D'altro canto è vero che costringere un figlio a prendere una laurea "per non deluderlo" può equivalere a tenerlo sequestrato in casa per cinque anni, con un doppio ricatto affettivo ed economico, e nessun genitore verrà mai accusato di plagio in questi casi).
Con questo, non voglio assolutamente giustificare gli assassinii in famiglia. Non voglio neanche dare la colpa alla società dei consumi. In effetti, cosa sto facendo? Forse anch'io, da sociologo spicciolo, in piena emulazione giornalistica, accorro sul luogo del delitto e reclamo la mia piccola stilla di sangue. Un avvoltoio no. Diciamo una fastidiosa zanzara.
Segnalo un articolo di Tahar Ben Jalloun – già collaboratore della prestigiosa rivista Energie Nuove – sulla demolizione dei Buddha afgani.
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