L'Aspesi inesplosa
14-11-2012, 02:22cinema, ebraismo, essere donna oggi, giornalisti, IslamPermalink
Questa è la storia di un putiferio che non è scoppiato. Credevo che sarebbe successo, e mi sbagliavo. È una buona notizia dopotutto.
Domenica mi ero convinto che il pezzo di Natalia Aspesi avrebbe scatenato un'orda di polemiche. Nell'articolo, che dopo un breve richiamo in prima proseguiva a pagina 23, l'Aspesi raccontava col garbo che tutti le riconosciamo l'emozione che "le libere donne laiche italiane" potrebbero provare di fronte a un film medio-orientale che racconta la vita di donne tutt'altro che laiche, tutt'altro che libere. Donne la cui vita consiste in "casa e lavoro domestico, sudditanza al barbuto uomo di casa il cui lavoro è pregare [...]"
No. Anzi. L'unico riferimento all'Aspesi sul Giornale è proprio in un pezzo sul caso Petraeus. Dice che l'Aspesi ha sollevato un fondamentale dubbio. Giuro, dice proprio così:
Ieri Natalia Aspesi, dalle pagine di Repubblica e parlando di tutt'altro (del film La sposa promessa), sollevava un fondamentale dubbio in una piccola parentesi: «La sposa senza libertà che (forse) un po' invidiamo». Perché è vero che una certa dose di sottomissione ci mette al riparo da un sacco di cose: dall'apprendere di essere cornute, dal decidere di andarsene e di fare da sole, dall'allevare i figli col nostro stipendio, dal ricominciare quando avevamo pensato di aver finito, o quasi. Holly in realtà è la donna che ha il «privilegio» dell'orizzonte fisso, del mondo focolare che ti tiene alla larga dal mondo libero dei bilanci, quello che prevede il rischio delle vittorie e delle sconfitte.
Dove si capisce tra l'altro che la giornalista non ha la minima idea di chi sia "Holly", una che ha seguito il marito in 23 traslochi. Ma a parte questo. Dov'è finita tutta la retorica anti-burqa, anti-segregazione femminile, che ha contraddistinto il nostro centrodestra nei suoi anni ruggenti? Ora io una sbandata della Aspesi per la segregazione posso capirla; però se anche al Giornale ammettono di invidiare le spose senza libertà, mi viene quasi un po' paura.
Ma forse non c'è da aver paura. Forse è soltanto la fine della guerra al Terrore. Forse da qui in poi, anche quando leggeremo pezzi critici sulla condizione femminile nei paesi islamici (e nelle famiglie islamiche che vivono tra noi), riusciremo a cogliervi sempre una traccia di tolleranza, almeno il dubbio che si possa anche essere felici in un modo diverso dal nostro. Forse è così, forse Bin Laden è morto e ci stiamo tutti addolcendo, Giornale incluso. Forse.
O forse, semplicemente, La sposa promessa è un film medio-orientale, sì, ma israeliano. I protagonisti sono ebrei ultra-ortodossi. E allora va tutto bene, la Santanché manco se ne accorge, e sia alla Repubblica che al Giornale tutti e tutte possono lasciarsi sedurre impunemente. Ché chi l'ha detto poi che la segregazione femminile non possa anche risultare affascinante. L'importante è che non sia in nome di Allah.
Domenica mi ero convinto che il pezzo di Natalia Aspesi avrebbe scatenato un'orda di polemiche. Nell'articolo, che dopo un breve richiamo in prima proseguiva a pagina 23, l'Aspesi raccontava col garbo che tutti le riconosciamo l'emozione che "le libere donne laiche italiane" potrebbero provare di fronte a un film medio-orientale che racconta la vita di donne tutt'altro che laiche, tutt'altro che libere. Donne la cui vita consiste in "casa e lavoro domestico, sudditanza al barbuto uomo di casa il cui lavoro è pregare [...]"
da ragazze, una vita totalmente separata dai ragazzi, il matrimonio combinato possibilmente tra due coetanei vergini, e poi figli su figli: sottomissione, ubbidienza e preghiera.Ecco, andando a vedere questo film, le libere donne laiche italiane (secondo la Aspesi) resteranno sedotte e turbate, di fronte a "un'oasi di grazia, in cui il destino di ognuno è già stabilito dalla fede, isolata dalla contemporaneità e dalle sue angosce".
Dovunque il film venga proiettato, conquista soprattutto le donne, per lo meno quelle che cominciano a sentirsi affaticate dalla loro indipendenza: capiterà anche in Italia [...]Io il film ovviamente non l'ho visto, ma dell'Aspesi mi fido. Posso immaginare che un film del genere abbia il pregio di descrivere dall'interno situazioni che non solo non capiamo, ma più spesso ci vantiamo di non capire. Non trovo così scandaloso che una donna occidentale, libera, laica, possa trovare il tempo per andare al cinema a lasciarsi sedurre da un'oasi di reclusione; dopotutto qualche anno fa uscì un film sul monachesimo maschile che, almeno dalle recensioni, risultava altrettanto seducente, e allora in fondo perché una donna non potrebbe lasciarsi affascinante da qualcosa del genere? al limite ci si potrebbe chiedere se lo stesso diritto di andare al cinema e lasciarsi sedurre da modelli diversi lo abbiano anche le donne segregate di cui parla il film; domanda retorica da cui partirebbe la solita polemica a base di santanché e corani e le magliette antimaomettane. Ecco, appunto. Dove sono le santanché coi corani e le magliette? Io me li aspettavo già in edicola al lunedì. Niente. È anche vero che c'era il dibattito sulle primarie, il maltempo, il caso Petraeus. Però, accidenti, almeno il Giornale se la poteva un po' prendere, con questa Aspesi affascinata dalle donne segregate, no?
No. Anzi. L'unico riferimento all'Aspesi sul Giornale è proprio in un pezzo sul caso Petraeus. Dice che l'Aspesi ha sollevato un fondamentale dubbio. Giuro, dice proprio così:
Ieri Natalia Aspesi, dalle pagine di Repubblica e parlando di tutt'altro (del film La sposa promessa), sollevava un fondamentale dubbio in una piccola parentesi: «La sposa senza libertà che (forse) un po' invidiamo». Perché è vero che una certa dose di sottomissione ci mette al riparo da un sacco di cose: dall'apprendere di essere cornute, dal decidere di andarsene e di fare da sole, dall'allevare i figli col nostro stipendio, dal ricominciare quando avevamo pensato di aver finito, o quasi. Holly in realtà è la donna che ha il «privilegio» dell'orizzonte fisso, del mondo focolare che ti tiene alla larga dal mondo libero dei bilanci, quello che prevede il rischio delle vittorie e delle sconfitte.
Dove si capisce tra l'altro che la giornalista non ha la minima idea di chi sia "Holly", una che ha seguito il marito in 23 traslochi. Ma a parte questo. Dov'è finita tutta la retorica anti-burqa, anti-segregazione femminile, che ha contraddistinto il nostro centrodestra nei suoi anni ruggenti? Ora io una sbandata della Aspesi per la segregazione posso capirla; però se anche al Giornale ammettono di invidiare le spose senza libertà, mi viene quasi un po' paura.
Ma forse non c'è da aver paura. Forse è soltanto la fine della guerra al Terrore. Forse da qui in poi, anche quando leggeremo pezzi critici sulla condizione femminile nei paesi islamici (e nelle famiglie islamiche che vivono tra noi), riusciremo a cogliervi sempre una traccia di tolleranza, almeno il dubbio che si possa anche essere felici in un modo diverso dal nostro. Forse è così, forse Bin Laden è morto e ci stiamo tutti addolcendo, Giornale incluso. Forse.
O forse, semplicemente, La sposa promessa è un film medio-orientale, sì, ma israeliano. I protagonisti sono ebrei ultra-ortodossi. E allora va tutto bene, la Santanché manco se ne accorge, e sia alla Repubblica che al Giornale tutti e tutte possono lasciarsi sedurre impunemente. Ché chi l'ha detto poi che la segregazione femminile non possa anche risultare affascinante. L'importante è che non sia in nome di Allah.
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