Come può uno scoglio
22-03-2010, 16:22Berlusconi, elezioni 2010, ho una teoriaPermalinkArginare il mare?
A occhio non mi sembra che sia andata così bene (Ho una teoria #15, sull'Unità.it. Si commenta di là).
Al Popolo della Libertà stavolta la ciambella non è riuscita col buco. Certo, nessuno si aspettava davvero un milione di persone in uno spazio che può contenerne un decimo. Ma per reggere il confronto con le altre manifestazioni di questi giorni, la sua piazza San Giovanni avrebbe almeno dovuto riempirsi, e così non è stato. Le foto dall'alto non lasciano molti dubbi: perfino i tg e la stampa filo-berlusconiana rischiano di commettere un autogol, se insisteranno in questi giorni su una rappresentazione dei fatti troppo distante dal reale. Il monopolio televisivo non significa più controllo totale sulle immagini: le foto viaggiano via Facebook e via mail, e anche il più accanito fan di Berlusconi non può accettare che gli si venda per un milione una piazza di cinquantamila.
Questo non significa naturalmente che S. B. non possa contare ancora sulla più efficace macchina di produzione del consenso mai messa insieme nella storia d'Italia (di fronte a cui veline e cinegiornali del Ventennio impallidiscono ulteriormente). Però anche questa macchina ha i suoi limiti, e li conosciamo. È imbattibile quando si tratta di aggregare il consenso dei telespettatori e portarli alle urne, ma ha sempre fatto una gran fatica a riempire le piazze. Oggi persino i gruppetti spontanei nati su Facebook riescono a organizzare cortei più riusciti di quelli del Popolo della Libertà. La cosa non sarebbe poi così importante; non è in piazza che si vincono le elezioni, e Berlusconi lo sa. Ma allora perché insiste a voler sforzare la sua macchina proprio nel terreno che gli è meno favorevole?
Due settimane fa mi chiedevo, piuttosto incautamente, se Berlusconi ci tenesse davvero a vincere queste amministrative. Mi sembrava svogliato, sulla difensiva. Addirittura rifiutava il ruolo di onnipresente capolista, a cui ci aveva abituato negli ultimi anni, che si votasse per Bruxelles o per Bisceglie. Non ci voleva molto a immaginare che il giocatore esperto fiutasse la sconfitta, e preferisse non firmarla. I fatti delle ultime due settimane hanno smentito la mia teoria in modo spettacolare. Addirittura la prima pagina di “Libero” di sabato presentava un trionfante Berlusconi a pugno chiuso, e come unico titolo un cubitale, nostalgico VINCERE. Insomma, non avevo capito niente, e il minimo che possa fare è ammetterlo.
A mia discolpa posso dire che gli avvenimenti di questi quindici giorni devono aver sorpreso anche Berlusconi e i suoi più intimi collaboratori. Ci si aspettava che il PdL arrivasse alle elezioni come un partito compatto – magari non ancora del tutto amalgamato, ma efficiente: non l'armata brancaleone che litiga fino all'ultimo sui posti in lista e inciampa nelle beghe procedurali. È a questo danno d'immagine che Berlusconi ha cercato di rimediare con una prova di forza organizzativa: una grande piazza da riempire in quindici giorni. Una mossa imprudente, da imprenditore più che da politico. Risucchiato suo malgrado nei gorghi della campagna elettorale per rimediare a un deficit organizzativo, S.B. ha reagito impulsivamente da venditore consumato, tirando fuori l'unico oggetto che negli ultimi vent'anni si è rassegnato a piazzarci: sé stesso. Richiamando a Roma tutti i notabili di partito ha accettato di personalizzare anche queste elezioni (che, per le loro dimensioni locali, sono le meno adatte al suo protagonismo). Ma spingere sul pedale dell'organizzazione, proprio mentre questa mostrava i suoi limiti, è un grosso azzardo, anche per un giocatore come lui. Una sfida a sé stesso e ai suoi uomini. Lui è senz'altro all'altezza della sfida; i suoi uomini, lo si è visto, no. Il flop di piazza San Giovanni mostra in controluce tutti i limiti di un partito mai nato che fatica a tesserare i suoi elettori, e non riesce a uscire dall'ingombrante ombra del Capo.
Poco male, in fondo Berlusconi vince anche da solo. O no? Bisogna riconoscere che fin qui la riduzione della dialettica politica alla polemica tra berlusconiani e antiberlusconiani ha pagato. Ogni volta che è riuscito ad attirare i riflettori su di sé, aizzando i suoi oppositori, Berlusconi ci ha fatto arrabbiare, ma ha portato a casa un risultato. Forse andrà così anche stavolta: forse gli spot generosamente elargiti dai telegiornali gli basteranno per riportare alle urne una percentuale decisiva in qualche regione, quanto basta per poter gridare alla vittoria. Insomma, forse c'è della logica, dietro questo sussulto di protagonismo.
E magari invece no: forse è solo il riflesso condizionato dell'Uomo del Fare, che nemmeno quando il luogo e il tempo non gli sono favorevoli è capace di restare sugli spalti a guardare i pasticci combinati dai suoi uomini. Dirigenti come lui sono spesso programmati inconsciamente per circondarsi di collaboratori mediocri (i più capaci rischiano di oscurare l'astro del capo: fuori Capello, dentro Tabarez). Sarà proprio la loro incapacità a sollecitare l'intervento diretto del Capo. Forse ha indovinato tutto il misterioso dj che tra mille canzoni da far intonare al capocomico La Russa ha scelto proprio Battisti: Io vorrei... non vorrei... ma se vuoi... Berlusconi vorrebbe, non vorrebbe, sa che forse stavolta non gli conviene, ma alla fine lo chiamano e non può sottrarsi. Come può uno scoglio arginare il mare? Anche se non vuole, torna già a volare. Le discese ardite, e le risalite... Vedremo come andrà l'atterraggio.
A occhio non mi sembra che sia andata così bene (Ho una teoria #15, sull'Unità.it. Si commenta di là).
Al Popolo della Libertà stavolta la ciambella non è riuscita col buco. Certo, nessuno si aspettava davvero un milione di persone in uno spazio che può contenerne un decimo. Ma per reggere il confronto con le altre manifestazioni di questi giorni, la sua piazza San Giovanni avrebbe almeno dovuto riempirsi, e così non è stato. Le foto dall'alto non lasciano molti dubbi: perfino i tg e la stampa filo-berlusconiana rischiano di commettere un autogol, se insisteranno in questi giorni su una rappresentazione dei fatti troppo distante dal reale. Il monopolio televisivo non significa più controllo totale sulle immagini: le foto viaggiano via Facebook e via mail, e anche il più accanito fan di Berlusconi non può accettare che gli si venda per un milione una piazza di cinquantamila.
Questo non significa naturalmente che S. B. non possa contare ancora sulla più efficace macchina di produzione del consenso mai messa insieme nella storia d'Italia (di fronte a cui veline e cinegiornali del Ventennio impallidiscono ulteriormente). Però anche questa macchina ha i suoi limiti, e li conosciamo. È imbattibile quando si tratta di aggregare il consenso dei telespettatori e portarli alle urne, ma ha sempre fatto una gran fatica a riempire le piazze. Oggi persino i gruppetti spontanei nati su Facebook riescono a organizzare cortei più riusciti di quelli del Popolo della Libertà. La cosa non sarebbe poi così importante; non è in piazza che si vincono le elezioni, e Berlusconi lo sa. Ma allora perché insiste a voler sforzare la sua macchina proprio nel terreno che gli è meno favorevole?
Due settimane fa mi chiedevo, piuttosto incautamente, se Berlusconi ci tenesse davvero a vincere queste amministrative. Mi sembrava svogliato, sulla difensiva. Addirittura rifiutava il ruolo di onnipresente capolista, a cui ci aveva abituato negli ultimi anni, che si votasse per Bruxelles o per Bisceglie. Non ci voleva molto a immaginare che il giocatore esperto fiutasse la sconfitta, e preferisse non firmarla. I fatti delle ultime due settimane hanno smentito la mia teoria in modo spettacolare. Addirittura la prima pagina di “Libero” di sabato presentava un trionfante Berlusconi a pugno chiuso, e come unico titolo un cubitale, nostalgico VINCERE. Insomma, non avevo capito niente, e il minimo che possa fare è ammetterlo.
A mia discolpa posso dire che gli avvenimenti di questi quindici giorni devono aver sorpreso anche Berlusconi e i suoi più intimi collaboratori. Ci si aspettava che il PdL arrivasse alle elezioni come un partito compatto – magari non ancora del tutto amalgamato, ma efficiente: non l'armata brancaleone che litiga fino all'ultimo sui posti in lista e inciampa nelle beghe procedurali. È a questo danno d'immagine che Berlusconi ha cercato di rimediare con una prova di forza organizzativa: una grande piazza da riempire in quindici giorni. Una mossa imprudente, da imprenditore più che da politico. Risucchiato suo malgrado nei gorghi della campagna elettorale per rimediare a un deficit organizzativo, S.B. ha reagito impulsivamente da venditore consumato, tirando fuori l'unico oggetto che negli ultimi vent'anni si è rassegnato a piazzarci: sé stesso. Richiamando a Roma tutti i notabili di partito ha accettato di personalizzare anche queste elezioni (che, per le loro dimensioni locali, sono le meno adatte al suo protagonismo). Ma spingere sul pedale dell'organizzazione, proprio mentre questa mostrava i suoi limiti, è un grosso azzardo, anche per un giocatore come lui. Una sfida a sé stesso e ai suoi uomini. Lui è senz'altro all'altezza della sfida; i suoi uomini, lo si è visto, no. Il flop di piazza San Giovanni mostra in controluce tutti i limiti di un partito mai nato che fatica a tesserare i suoi elettori, e non riesce a uscire dall'ingombrante ombra del Capo.
Poco male, in fondo Berlusconi vince anche da solo. O no? Bisogna riconoscere che fin qui la riduzione della dialettica politica alla polemica tra berlusconiani e antiberlusconiani ha pagato. Ogni volta che è riuscito ad attirare i riflettori su di sé, aizzando i suoi oppositori, Berlusconi ci ha fatto arrabbiare, ma ha portato a casa un risultato. Forse andrà così anche stavolta: forse gli spot generosamente elargiti dai telegiornali gli basteranno per riportare alle urne una percentuale decisiva in qualche regione, quanto basta per poter gridare alla vittoria. Insomma, forse c'è della logica, dietro questo sussulto di protagonismo.
E magari invece no: forse è solo il riflesso condizionato dell'Uomo del Fare, che nemmeno quando il luogo e il tempo non gli sono favorevoli è capace di restare sugli spalti a guardare i pasticci combinati dai suoi uomini. Dirigenti come lui sono spesso programmati inconsciamente per circondarsi di collaboratori mediocri (i più capaci rischiano di oscurare l'astro del capo: fuori Capello, dentro Tabarez). Sarà proprio la loro incapacità a sollecitare l'intervento diretto del Capo. Forse ha indovinato tutto il misterioso dj che tra mille canzoni da far intonare al capocomico La Russa ha scelto proprio Battisti: Io vorrei... non vorrei... ma se vuoi... Berlusconi vorrebbe, non vorrebbe, sa che forse stavolta non gli conviene, ma alla fine lo chiamano e non può sottrarsi. Come può uno scoglio arginare il mare? Anche se non vuole, torna già a volare. Le discese ardite, e le risalite... Vedremo come andrà l'atterraggio.
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