Le dimissioni prevedibili di B16

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Ieri un pontefice ha annunciato le sue dimissioni. È la prima volta che succede in sei secoli, senz'altro è una notizia. E tuttavia l'ondata di stupore che si è trascinata per tutto il giorno sugli organi di stampa e in tv può apparire esagerata, un tipico esempio di quella drammatizzazione a cui ricorrono i media per mantenere l'attenzione di un pubblico sempre più distratto: ogni elezione è decisiva, ogni alluvione è una catastrofe ambientale, ogni gang di maneggioni è la nuova p2, eccetera. Le dimissioni di Benedetto XVI hanno senz'altro un valore storico, e costituiranno un precedente importantissimo, ma sono tutto meno un fulmine a ciel sereno: si tratta forse dell'azione più prevedibile del suo pontificato.

Joseph Ratzinger ha sempre ritenuto che un Papa possa dimettersi per motivi di salute o di età (continua sull'Unita.it H1t#166).

Nel 2002, in una situazione piuttosto delicata (Wojtyla entrava e usciva dal Gemelli) ammise la possibilità che Giovanni Paolo II potesse dare le dimissioni “se vedesse di non poter assolutamente farcela più”. Opinione ribadita da Benedetto XVI per esempio nel libro intervista del 2010, Luce del mondo, dove addirittura sosteneva l’”obbligo” di dimettersi per un pontefice che si fosse reso conto di non poter più sostenere fisicamente e psicologicamente i doveri del suo ufficio. Ratzinger la pensava così prima di diventare papa, e una volta eletto non ha cambiato idea. E siccome la stanchezza degli ultimi mesi non era un mistero per nessuno, una dichiarazione come quella di ieri poteva tutto sommato essere prevista in tempi brevi. Un finale del genere in un certo senso era già intuibile quando nel 2005 il conclave scelse un prelato quasi ottantenne, per quello che fu subito chiamato un “pontificato breve”, di transizione. Qualsiasi speculazione sugli intrighi di palazzo, qualsiasi giudizio sulle sue difficoltà in questi anni, lasciano il tempo che trovano di fronte all’evidenza più banale: fare il papa è un mestiere sfibrante, Ratzinger ha cominciato molto tardi e ha comunque tenuto duro per otto anni, non può sorprendere veramente nessuno il fatto che non ne possa più.
Ricopio qui sotto quel che scrissi altrove più di un anno fa. A mo’ di testimonianza: non ci voleva un nostradamus – e nemmeno un vaticanista – a prevedere le dimissioni di un Papa stanco che non le aveva mai escluse. Giusto per ribadire che molte smorfie di sorpresa che vedete in tv in questi giorni fanno parte della fiction, dell’arco narrativo per cui vedi il fondamentale intervento dello story editor Padre Pizzarro.
Pio XII aveva una lettera di dimissioni pronta nel cassetto nell’eventualità che i nazisti lo arrestassero. Anche Wojtyla aveva preparato una lettera del genere, da divulgare soltanto in caso di infermità inguaribile. Il problema è che per un cattolico fervente nessuna infermità può essere ritenuta veramente inguaribile: equivarrebbe a dubitare della provvidenza, e con tutto il suo coraggio Wojtyla non avrebbe mai realmente osato farlo. Prevalse su tutto una considerazione che non era dettata dalla legge o dalla tradizione (del resto Giovanni Paolo II cambiava leggi e tradizioni ogni volta che lo riteneva utile): nessuno avrebbe potuto essere un Papa credibile mentre Wojtyla era ancora in circolazione. Come aveva detto a un chirurgo già ai tempi delle frattura al femore: “Dottore, sia lei che io abbiamo una sola scelta. Lei mi deve curare. E io devo guarire. Perché non c’è posto nella chiesa per un Papa emerito”. Una questione più mediatica che dottrinale.
Oggi che Ratzinger è stanco, e non si fa scrupolo di mostrarlo al mondo, la situazione è piuttosto diversa. Anche qui, non si tratta di dottrina – tutto sommato Benedetto XVI non si è discostato molto dal solco wojtyliano – ma di carisma mediatico: il predecessore ne aveva a pacchi, lui giusto qualche briciola. Il mattino in cui si dimetterà, decine di accorati vaticanisti si stracceranno le vesti, per poi passare immediatamente al toto-conclave senza concedere al rimpianto una mezza giornata in più. Nessuno gli chiederà nemmeno di andarsene. Una camera nei palazzi vaticani non gliela dovrebbero negare, magari proprio quella in cui dormiva quando sognava di subentrare al suo capo. Il bello è che quando Wojtyla volle un parere serio sulla questione delle dimissioni, lo chiese proprio a lui. E lui, ovviamente dopo un accurato studio delle fonti e della patristica e del diritto eccetera, rispose sì, tranquillo, si può fare. Poi è rimasto paziente ad aspettare per altri anni. Troppi anni. I giardini Vaticani un po’ come la Fortezza sul deserto dei Tartari. Quando alla fine i Tartari sono arrivati, Ratzinger era già stanco. Il parere che aveva fornito a Wojtyla alla fine sarà servito almeno a lui (è difficile non immaginare a questo punto W. da qualche parte che sorride, sempre tremando un po’). http://leonardo.blogspot.com
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