La morale stretta all'inguine

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Il mio molto trascurabile contributo al dibattito sugli shorts.

È probabile che in questi giorni saltellando per l'internet italiana abbiate sentito parlare di shorts, del fatto che tutte le ragazze abbiano il diritto di mettersi gli shorts e nessuno abbia il diritto di molestarle perché portano gli shorts. Questo fondamentale e rinfrescante dibattito, in cui mi tuffo buon ultimo e per il semplice motivo che è luglio e mi piacciono gli schizzi, è partito da un pezzo del Secolo XIX, perfettamente riassumibile nel titolo: Ragazze in shorts, vi siete viste?

Il suo autore, il giovane scrittore Marco Cubeddu, è stato accusato di rappresentare il punto di vista che molto maldestramente attribuisce a una sua "compagna": non possono lamentarsi se poi le stuprano. Ma tutto il pezzo è scritto con una goffaggine che mi porta a escludere la tesi della provocazione d'artista, roba da Foglio insomma: di solito quando si parte per queste imprese ci si munisce di armi retoriche un po' più affilate. Cubeddu invece oscilla sul tema con l'aria assonnata di uno che ha scambiato un articolo sul Secolo per il bar sottocasa, ma proprio quello in cui scende a fare colazione, e magari quel giorno ci è sceso in pigiama perché è già tardi e non aveva sentito la sveglia. "La violenza sulle donne", ci tiene a ricordarcelo, "è disgustosa". Lo scrive in grassetto, così ci rimane impresso. Ma poi sembra di vederlo davanti al cappuccino, ruminante brioches e riflessioni su tredicenni in shorts mentre ancora si stropiccia gli occhi, si scaccola; e partono virgole a casaccio, errori di sintassi ("Inoltre, anche se impopolare, bisogna dirlo"), e istanti di comicità involontaria che hanno fatto venir voglia di uscire in shorts persino a me. ("Nessuno dei miei amici si fidanzerebbe con una che si veste così", ah beh allora). Cubeddu, se passi di qui non prendertela, sono sicuro che nella tua breve vita hai già venduto più copie del misero autore di questo blog. Magari rileggiti alla fine, da' un'occhiata alla punteggiatura; è il minimo che ci si aspetti da un fan di Nabokov.

Il giorno dopo è uscito un altro pezzo, stavolta su Vice: un magazine on line, credo che si possa definire così, che è l'ultimo posto su internet in cui andrei a cercare del moralismo un tanto al chilo. Sul serio, prima che su Vice darei un occhio su youporn, hai visto mai. E invece. Sarà che ormai è un vizio pure il moralismo, in mancanza di meglio.

Anche qui la tesi di Chiara Galeazzi è già tutta nel titolo: NON È COLPA DEGLI SHORTS, MA DEGLI UOMINI CHE LA PENSANO COSÌ. Giusto per mettere subito in chiaro di cosa stiamo parlando: di "colpa". Più sotto verrà proposta anche il rimedio: il bromuro. No ironia. In realtà è un pezzo interessante - non meno involuto di quello di Cubeddu - in un certo senso lo riequilibra. Tanto è goffo e arruffato Cubeddu, così comodamente adagiato nello stereotipo di maschio italiano al bar (ti immagini le ciglia a mezz'asta mentre la pupilla corre dietro agli shorts della ragazzina), tanto è furiosa la Galeazzi: cosa stai guardando! porco! vergognati! Di quel tipico furore troppo sicuro delle proprie ragioni per riuscire a difenderle davvero. Parlo almeno nel mio caso: se Cubeddu sul Secolo mi aveva convinto a infilarmi gli shorts, Vice è riuscito a rimettermi in pantaloni. Sto persino valutando di uscire con un hijab stasera. Cos'ha combinato la Galeazzi? Nella foga di attribuire "colpe", è riuscita a rimuovere un fondamentale dettaglio di realtà: gli shorts mostrano le forme. Pensavo fosse pacifico, un dato acquisito (salvo il diritto di chiunque a mostrare le proprie forme) e invece no: per l'autrice gli shorts servono a "stare più fresche" e "muoversi agevolmente senza rischiare che si veda la vagina come succede con la gonna". Quindi, se uno scrittore osa anche solo suggerire che una tredicenne possa mettersi in shorts per mostrare le proprie forme, per esibirsi (e che ci sia a monte magari una questione culturale), ebbene, è un porco; la "colpa" è sua che "guarda". "E se basta indossare un capo per “provocare” qualcuno, è un problema di quelli che una volta si risolvevano con il bromuro di potassio". Gli shorts di una ragazzina ti eccitano? Hai un problema. Devi curarti. Con qualche bel rimedio di "una volta".

Mi tornano in mente le Femen: donne che si spogliano davanti all'obiettivo e mi gridano: vergognati maschio delle tue pulsioni. Forse è giusto vergognarsi ogni tanto. Ma nemmeno all'oratorio nessuno mi ha mai fatto un discorso tanto moralista. Alla fine le pulsioni fanno parte di me, esattamente come il seno fa parte di te che me lo mostri. Non è che ne vada fiero; il più delle volte preferisco non socializzarle perché non sono quasi mai particolarmente "sociali"; però le ho, e fin tanto che non faccio niente di male a nessuno, perché dovrei reprimerle? Bromuro ai maschi che si eccitano? Non è una proposta altrettanto totalitaria del velo alle donne? Adesso facciamo un esperimento. Citerò un brano della Galeazzi che cita un brano di Cubeddu, e voi mi direte chi dei due sembra più proteso verso il secolo XIX:

[Cubeddu]: Qualche settimana fa ero a Roma, per lavoro. Trascorrevo la pausa pranzo a Villa Borghese, sdraiato su una panchina. Quando, a un certo punto, sono stato travolto da una nube di “quartine” in shorts. Con “quartine”, a Roma, si intendono quelle di quarta ginnasio, cioè quattordicenni. Era appena finita la scuola. E le strade si sono riempite di ragazzine di 2a e 3a media. Non solo in shorts, ma anche in “minishorts” (il jeans arrivava molto più in alto della fine dei glutei). Alcune si toglievano le magliette e restavano in reggiseno. Altre, con le magliette bagnate per i gavettoni, il reggiseno non lo indossavano.
[Galeazzi]: Esercizi di stile di Queneau è un libro bellissimo: nella prima pagina c’è il brevissimo racconto di una situazione banale, che viene riscritta 99 volte, ogni volta con una variante stilistica diversa. In una ipotetica nuova versione di questo libro incentrata sui cambi di personalità dell’autore, il cui racconto breve iniziale è “È estate a Roma, un uomo si siede su una panchina a Villa Borghese, intanto gruppi di studentesse delle medie e delle superiori si recano al parco per giocare a gavettoni,” quella nel paragrafo qui sopra sarebbe la versione “humbertiana”.
Ieri sera avrei giurato che al posto di "humbertiana" ci fosse una parola assai più diretta, di quelle da letterina di avvocato. Vabbe', auguri. Il brano di Cubeddu ne contiene tutta la goffaggine (la definizione di "quartine" che però nella frase successiva diventano "ragazzine di 2a e 3a media"). Ma rileggetelo: vi sembra "humbertiano"? A me no, non sembra humbertiano, né nel bene né nel male. È una descrizione neutra, senza particolari compiacimenti. Avesse scritto di tenere forme di cerbiatto involte in molli panneggi fradici. Avesse menzionato pelli d'oca o festeggiato lo sbocciare di certi caratteri sessuali secondari raccattando il classico aggettivo all'uopo, "turgido" - no, Cubeddu vola assai più basso  "magliette bagnate per i gavettoni". Scrive "reggiseno". Scrive quel che vede. Probabilmente per la Galeazzi questo inclina già verso Humbert che, per chi si fosse messo in contatto da poco, era un insegnante morbosamente attratto dalle studentesse medie. Quindi? Come bisogna fare per scrivere la stessa scena senza sembrare Humbert? Togliamo "magliette bagnate"? Smettiamo di scrivere "reggiseni"? Non lo so, chiedo. Uno scrittore maschio può raccontare una scena del genere senza che gli sia rinfacciata una "colpa"? Le ragazze possono mostrare quello che vogliono; i ragazzi devono coprirsi gli occhi? Sarebbe un progresso?

Alla ricerca di figure archetipiche,
Cubeddu non trova che questa. It's a long way to Nabokov.
Alla fine credo che sia lo scrittore che l'editor di Vice, da direzioni diverse, siano andati a sbattere contro lo stesso problema: essere moralisti oggi. Non è possibile. Affermare che debbano esistere regole, indicazioni, limitazioni della libertà personale - certo che esistono. Ma parlarne, discuterne, è una pratica autolesionista che scivola subito verso l'autodafé. Suggerire che alcune cose vadano bene e altre no - e forse cavarsi il reggiseno per giocare a gavettoni in un parco pubblico, fammi controllare il codice penale, può anche darsi di no - non si può. Confessare una difficoltà, un dubbio - è giusto che le dodicenni siano già inserite in un dispositivo di seduzione? Cubeddu non ci riesce, non trova le parole, ed è lo scrittore: figùrati gli altri. La Galeazzi prova un'altra opzione: siccome non si può vietare niente, rovesciamo la questione e neghiamo tutto. Non esiste nessun dispositivo di seduzione, gli shorts inguinali sono un indumento pratico; è la gonna che rischia di svelare la vagina. Ma negando ogni moralismo si finisce per non riconoscere il nostro quando ce lo troviamo davanti: e allora ogni maschio che non chiuda gli occhi o assuma bromuro davanti a una battaglia di magliette bagnate diventa un mostro, un errore da correggere.

Poi ovviamente i mostri esistono. Naturalmente la violenza sulle donne è il vero problema. Ma in coscienza non credo che il pezzo di Cubeddu abbia incoraggiato un solo atto di violenza in Italia, o incoraggiato un solo molestatore a provarci con una ragazza in shorts. È vero, ogni giorno in Italia migliaia di maschi non riescono a gestire le proprie pulsioni e molestano donne, ragazze, bambine. E poi ci sono milioni di altri maschi che non lo fanno. Che hanno imparato - in famiglia, a scuola, all'oratorio, in palestra, o magari ci sono arrivati da soli - a controllarsi. Che sanno quand'è giusto distogliere lo sguardo da uno paio di shorts attillati. Di questa quotidiana fatica ogni tanto alcuni maschi si lamentano: non è grave. I cani abbaiano alla luna, da milioni di anni. Come potete notare è ancora lì.
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