Più di mille parole

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La guerra delle cartoline

C'è una foto incredibile di Rina Castelnuovo che è sepolta da mesi tra i miei bookmark. Ogni tanto ci passo sopra col mouse e sovrappensiero la riapro. Allora accade ogni volta la stessa cosa: mi dico “ma questa è straordinaria! Perché non l'ho mai pubblicata?” e decido di farlo seduta stante. Invece non faccio in tempo ad aprire la pagina che i dubbi hanno già preso il sopravvento. Tranne forse stavolta. (In ogni caso vale la pena di avvertire: questo pezzo non ha molto a che fare con la strage al largo di Gaza. È tutto un pezzo su quella fotografia, e soprattutto sull'opportunità di pubblicarla o no. Una questione piuttosto astratta e privata, mentre fuori si scannano, certo).

+ La foto è già un po' famosa, o meriterebbe di esserlo. Pubblicata su Internazionale, è arrivata al mio portatile al termine di una tortuosa catena di link. Il ragazzo è di origine europea o americana, la donna è una palestinese. Da come curva le spalle dà l'impressione di avere una certa età. Siamo a Hebron, la città dei patriarchi, la più sacra agli ebrei dopo Gerusalemme. Ma non è in Israele; è in Cisgiordania, territorio occupato. Il ragazzino che lancia il vino non è, propriamente, un israeliano: è un colono ebreo. Per parte dell'opinione pubblica israeliana (e persino italiana), è un eroe assediato dai terroristi, che difende con la sua sola presenza le radici ebraiche di Hebron. Questa foto mostra una realtà diversa, una quotidianità di provocazione e arroganza che combacia con altre testimonianze (le reti tese sopra il mercato palestinese per proteggere le bancarelle dai rifiuti lanciati dai coloni). Pubblicarla sul mio sito avrebbe semplicemente un valore di testimonianza: meglio di qualsiasi mio lenzuolo di parole, questa foto mostra a chi non vuol vedere da che parte stiano la prepotenza e la sopportazione.

- D'altro canto, è solo una foto. Qualche filoisraeliano la vedrà e ne posterà una di segno contrario, magari un palestinese che brucia la bandiera azzurra (oooodio!) o la sagoma di Hitler su una baracca di Gaza (iiiiiislamoonazismo!) E andremo avanti così, rinfacciandoci cartoline dalle due sponde dell'inferno. Ma ho sempre pensato che non abbia senso. Forse perché non so fotografare, ma ho sempre rifiutato il giochino: in particolare mi hanno sempre fatto ribrezzo gli avvoltoi che postano i bambini morti dalla loro parte, per convincere sé stessi e gli altri di stare dalla parte giusta. Come se non fossero morti bambini da entrambe le parti. Le foto sono disoneste perché ritagliano un fatto e ti costringono a provare emozioni per quel singolo bambino morto, per quella signora che probabilmente prova per l'odore del vino la stessa repulsione viscerale che io provo per alimenti alieni alla mia cultura: non abbiamo bisogno, io e lei, di consultare il nostro libro sacro per sapere che ci fanno schifo: ci viene da vomitare e basta, siamo fatti così, voi la chiamate Cultura ma noi non l'abbiamo scelta, se ci innaffiano con quella roba ci sentiamo pieni di vergogna e temiamo che nemmeno annegandoci la puzza ne verrebbe via... Ecco, vedete, mi sono immedesimato. Ma da qualche parte c'è un palestinese che tira una pietra a un soldato di leva israeliano, non dovrebbe farmi male la testa anche per lui? A questo modo emotivo di appassionarsi a una guerra ho sempre preferito un approccio pragmatico e crudo: volete parlarmi di bimbi morti? Contiamoli. Vediamo se ne ha fatti più Piombo Fuso o più i razzi Qassam. Poi decideremo per chi emozionarci. Ma se pubblico questa foto, io mi arrendo alle emozioni, all'empatia, alla propaganda che si nutre di cartoline...

+ D'altro canto, questa foto è una bomba. Non teme il confronto. Nessun palestinese odiatore calpestante vessilli in fiamme reggerà mai una foto del genere. Qui non c'è nessun pietismo, la signora è di spalle, e sono le spalle più dignitose che ho mai visto nella mia vita, probabilmente perché dietro di loro sono libero di immaginare il volto che voglio, e ovviamente non farò che prendere mia madre o mia nonna con tutta la loro dignità, e abbronzarle appena un po'. Quant'è bianca, invece, la faccia del colono. Giù la maschera: questa è la faccia dell'imperialismo bianco. Lo stupid white boy, il turista anglosassone tronfio e cretino da generazioni, che segna il territorio col suo bricco di tavernello. Fa la cosa più bianca e imperialista che si possa immaginare: sporca, riempie il mondo di rifiuti. Un mondo povero, ma dignitoso, deve diventare la sua discarica. A Hebron i coloni fanno la guerra coi rifiuti: quello che l'Uomo Bianco riconosce ormai come una vergogna nella sua madrepatria (l'attitudine a lordare) nelle colonie d'oltremare è rivendicato come un preciso diritto politico: hai dei fondi di bicchiere? Li puoi usare per rendere un po' più difficile la vita dei palestinesi. Che foto incredibile.

- E mentre me lo dico capisco che c'è qualcosa che non va. Il mio buonumore. Là fuori si scannano, amici o nemici, ma io ho trovato una foto che darà forza ai miei amici, e farà stridere i denti ai miei nemici. Ma è questo che voglio? Nel mio blog io parlo di scuola, tv, qualche film un po' di musica, e di Palestina: ma saltuariamente: solo quando un massacro la riporta in prima pagina. Perché lo faccio? Perché un giorno promisi qualcosa a qualcuno? Credo davvero che ci sia qualcuno là fuori ancora da convincere, qualcuno disponibile a cambiare idea? O voglio semplicemente far bella figura col mio blog, attirare l'attenzione del migliaio di persone non particolarmente influenti che bazzicano? E se fossi davvero tutto qui, una persona superficiale che tra fare qualcosa di concreto e chiacchierare a vanvera ha scelto una volta per sempre la seconda?

- Ma se chiacchiere devono essere, almeno siano farina del mio sacco. Questa foto non è mia. Se la usassi, la ruberei. Certo, si è già fatta un bel giro su internet. Ma il mio non è un sito di segnalazioni; è un sito di contenuti. In gran parte, testuali. Le immagini sono quasi tutte rubate, e servono solo ad alleggerire o a fornire qualche pezza d'appoggio – ma una foto così non sarà mai un corredo di niente. È uno scoop, è un editoriale fatto e finito. Potrei versarci sopra la mia solita colata di parole, ma sento che sarebbe disonesto: qualsiasi parola mia accanto brillerebbe di luce riflessa. Non potrei neanche sporcarla, distorcerla, sfuocarla, come faccio spesso con le immagini che rubo, per sentirmi meno ladro.

- Per di più adesso c'è la questione della pubblicità. Non se n'è accorto praticamente nessuno, ma da qualche settimana a questa parte il mio sito ha uno spazio pubblicitario. Non è una rivoluzione, in dieci anni su Blogger è successo di tutto: nei primissimi tempi ho vaghi ricordi di enormi banner con loghi e suonerie, e una scimmietta a cui dovevi sparare per vincere gettoni d'oro. La novità è che ora qualche centesimo mi arriva in tasca. Quanti? Pochi. Non abbastanza per mettermi a inventarmi espedienti per attirare lettori... ma pubblicare una foto del genere, così potenzialmente controversa, non sarebbe esattamente un espediente? Voglio rubare il lavoro di una fotografa professionista? Voglio usare la tragedia palestinese per attirare clic sul mio sito e centesimi nelle mie tasche? Non mi sembra di essere così gretto, ma di fatto lo diventerò.

+ Insomma, come vedete alla fine ho scelto. Ho messo tutti i pro e i contro sulla bilancia, e poi ho rotto i piattini. La foto è una bomba, pubblicarla è sleale, e probabilmente io sono una patetica persona che ruba cartoline e specula un piattino di lenticchie su enormi tragedie, e pensa di coprirsi dietro lenzuoli di metadiscorsi. Tutto questo è vero, ma è anche poco rilevante di fronte all'immensità dell'universo, alla profondità dell'odio, e alla rabbia muta di quelle spalle, che credono di dover sopportare all'infinito, e invece (grazie a una fotografa israeliana) faranno il giro del mondo. E il giro del mondo oggi passa per di qui, semplicemente. Non me lo merito: chi se ne frega. Guardate la foto, le mille parole che ci ho messo intorno valgono ancora meno del solito.
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