Il Tempo e la Fanciulla
22-02-2011, 14:12dialoghi, racconti, ragazzini, Sanremo, scuolaPermalinkProfessore, lei lo sa
“Ah, Emma...”
“Sì, prof.”.
“Volevo dirti che non ho mai avuto la tua versione”.
“Massì prof glielavevodata”.
“No, Emma. Mi hai dato la tua versione della versione di Martinelli, con gli stessi errori precisi che ha fatto lui”.
“Uffa prof...”
“E i cuoricini al posto dei puntini sulle i, che come tentativo di personalizzare quella schifezza di versione di Martinelli, capisci, non è abbastanza”.
“Prof, deve capire che è un brutto periodo per me”.
“No, no, l'anno scorso era un brutto periodo. Poi verso marzo avevamo deciso che era finito il brutto periodo, ti ricordi?”
“Vagamente”.
“Il preside aveva convocato i tuoi genitori, la tua povera madre si era messa a piangere, aveva detto che non sapeva più cosa fare con te, allora ti eri messa a piangere tu, il preside si era messo a consolarti, poi si era messo a piangere anche lui...”
“Fu una cosa molto emozionante, prof”.
“Fu la più grossa pagliacciata a cui ho assistito in vita mia, Emma, detta da uno che da bambino al circo ci andava volentieri. E allora adesso ti chiedo: quest'anno prevedi le repliche?”
“Prof, insomma, cosa pretende da me? Il latino? Una cosa che tra cinque mesi comunque non c'entrerà più con la mia vita? Devo davvero perdere il mio tempo con quella roba? Si metta un po' nei tuoi panni”.
“Nei tuoi panni, Emma, ed è un argomento che avrei preferito non toccare, nei tuoi panni tu stessa fatichi un po' a starci, ultimamente”.
“Epprof...”
“Tanto più che la mini non va neanche più di moda”.
“Che c'entra, io non seguo la moda”.
“Come no”.
“Io sono classica”.
“Emma, ma ci credi se ti dico che sono preoccupato per te? Seriamente preoccupato”
“E non dovrebbe, prof”.
“E invece mi preoccupo”.
“Ma se le dico che non dovrebbe”.
“Che il discorso del latino io lo potrei anche capire, se me lo venisse a fare una ragazza seria, responsabile, una che arrivasse qui e mi dicesse: professore, ho capito qual è la mia strada, e il latino proprio non c'è, per cui ho deciso di concentrarmi su altre cose, eccetera, ecco, un discorso così io lo capirei”.
“Bene, prof, allora facciamo che quella ragazza lì sono io”.
“Mi stai dicendo che hai deciso cosa farai l'anno prossimo?”
“Ci sto pensando”.
“È da sei mesi che ci stai pensando”.
“È che ci devo pensare bene”.
“Ma ci sarà qualcosa nella vita che ti piace fare”.
“Eccerto che c'è”.
“Ed è...”
“Ma se glielo dico lei poi si arrabbia”.
“Emma io non mi sto arrabbiando. Mi sto preoccupando, che in un certo senso è peggio”.
“Uff, e va bene. Vorrei cantare”.
“Cantare”.
“Perché sono brava, si ricorda in gita? E me lo dicono tutti. Anche mio padre, pensi”.
“Va bene, cantare, ma in che senso, scusa, cantare”.
“Nel senso che mi piacerebbe farlo nella vita”.
“Di mestiere, intendi?”
“Ma sì, anche”.
“E hai pensato di prendere lezioni? Perché per il conservatorio è tardi, direi”.
“Il conservatorio? Ho fatto qualcosa di male? No, io per adesso ho questi amici miei, con un complesso, ma non è proprio la musica che fa per me, io appena trovo qualcuno che capisce mi metto da sola...”
“Perché la musica che piace a te, sarebbe...”
“La musica italiana”.
“Un classico”.
“Gliel'ho detto che sono classica, io”.
“Mi sembra tutto ancora molto vago. Sarò franco, Emma, mi sembrano davvero i classici sogni di una ragazzina”.
“Ma a volte i sogni si avverano”.
“Sì, però non è che si avverano a furia di sognarli, ci vuole applicazione, studio... e anche fortuna, naturalmente. Insomma, se ci pensi bene, mettersi a cantare dopo il liceo... significa cominciare una strada senza sapere dove ti porterà... per quanto ti potranno sostenere ancora i tuoi, ci hai pensato?”
“Beh, magari per i miei all'inizio è un sacrificio, ma poi se le cose vanno bene...”
“E se non andranno bene?”
“E vabbe', prof, se uno ragiona così, non si lancia mai”.
“Che verbo curioso che hai usato, lanciarsi”.
“Lei non ci crede proprio in me, eh? Pensa che cascherò male”.
“Sono preoccupato, Emma, tutto qui. Mi sei sempre sembrata una ragazza sveglia, originale, eppure... a quattro mesi dalla maturità me ne esci con la cosa più banale di tutte: che vuoi cantare, che hai un sogno, che poi magari cosa c'è in questo sogno, dimmi: pensi che inciderai dei dischi? avrai successo? Vincerai Sanremo?”
“Sanremo è da vecchi”.
“Ma sei sicura che anche questo famoso sogno, Emma, non sia in qualche modo un rifugio, un posto dove nascondersi quando vedi che i nodi si avvicinano al pettine... non ti chiedo di smettere di sognare, ma almeno sogna un po' più a breve termine, prova a sognare quello che ti succederà tra sei mesi, un anno, due: dove ti vedi?”
“Beh pensavo che potrei prendere una laurea breve in psicologia, come si chiama...”
“Psicologia?”
“Quella per insegnare ai bambini...”
“Pedagogia”.
“Perché mi piacciono i bambini”.
“Vuoi lavorare coi bambini? Maestra d'infanzia?”
“Massì, comunque se non riesco a cantare da professionista, al massimo farò quello”.
“Suona un po' come un ripiego, no?”
“In che senso?”
“Insomma, in concreto cosa farai? Di giorno studierai per diventare maestra e di sera canterai? Pensi che potrà funzionare?”
“E perché no”.
“Perché sono due vite in una sola, Emma, e per ora non mi sembri capace di mandarne avanti nemmeno una. Ma prima o poi dovrai scegliere, capisci?”
“E in quel momento sceglierò”.
“Forse mi sono spiegato male. Non sarà “un momento”. Saranno infiniti momenti, in cui tu dovrai scegliere se insistere in un sogno che diventa sempre più difficile, più rischioso, oppure prendere la strada più semplice, magari diventare maestra d'asilo, per scoprire che però anche la strada più semplice è faticosa, che lavorare coi bambini è sfibrante, si torna a casa con la voce roca e la schiena a pezzi, e a quel punto scoprirai che il lavoro si mette di traverso al tuo sogno...”
“E allora mi licenzierò”.
“Ma forse non ci riuscirai più, perché nel frattempo magari avrai conosciuto un ragazzo e avrai messo su casa, e avrai bisogno di soldi, o anche semplicemente di un lavoro che dimostri al mondo che tu non sei una persona inutile, un'acchiappanuvole che continua a inseguire i sogni fuori tempo massimo...”
“Un'acchiappache?”
“Quel che ti sto cercando di dire è che... se tu davvero tu ci credessi, nel tuo 'sogno', se davvero pensassi che cantare fosse la tua vita, non ti lasceresti nessun ponte alle spalle. Invece tu hai già pronto un piano B, lavorerai coi bambini e nei ritagli di tempo sfonderai come cantante. Ma non va mai a finire così. Nessuno è mai diventato un divo nel dopolavoro. È una cosa che non succede, semplicemente”.
“E quindi cosa dovrei fare?”
“Guardare davvero in fondo alle tue motivazioni. Ci credi sul serio, al tuo futuro di cantante? o è solo un trucco con cui inganni te stessa mentre il tempo passa? Se ci credi sul serio sono il primo a dirti: buttati, fottiti del latino, della maturità, di quel che pensano genitori e professori, torna qui con un disco d'oro o non tornare. Ma ci credi davvero?”
“Non lo so”.
“E forse questa è già una risposta”.
“Si è fatto tardi, professore, devo andare”.
“Anch'io. Arrivederci, Emma”.
“Arrivederci, professor Vecchioni”.
“Ah, Emma...”
“Sì, prof.”.
“Volevo dirti che non ho mai avuto la tua versione”.
“Massì prof glielavevodata”.
“No, Emma. Mi hai dato la tua versione della versione di Martinelli, con gli stessi errori precisi che ha fatto lui”.
“Uffa prof...”
“E i cuoricini al posto dei puntini sulle i, che come tentativo di personalizzare quella schifezza di versione di Martinelli, capisci, non è abbastanza”.
“Prof, deve capire che è un brutto periodo per me”.
“No, no, l'anno scorso era un brutto periodo. Poi verso marzo avevamo deciso che era finito il brutto periodo, ti ricordi?”
“Vagamente”.
“Il preside aveva convocato i tuoi genitori, la tua povera madre si era messa a piangere, aveva detto che non sapeva più cosa fare con te, allora ti eri messa a piangere tu, il preside si era messo a consolarti, poi si era messo a piangere anche lui...”
“Fu una cosa molto emozionante, prof”.
“Fu la più grossa pagliacciata a cui ho assistito in vita mia, Emma, detta da uno che da bambino al circo ci andava volentieri. E allora adesso ti chiedo: quest'anno prevedi le repliche?”
“Prof, insomma, cosa pretende da me? Il latino? Una cosa che tra cinque mesi comunque non c'entrerà più con la mia vita? Devo davvero perdere il mio tempo con quella roba? Si metta un po' nei tuoi panni”.
“Nei tuoi panni, Emma, ed è un argomento che avrei preferito non toccare, nei tuoi panni tu stessa fatichi un po' a starci, ultimamente”.
“Epprof...”
“Tanto più che la mini non va neanche più di moda”.
“Che c'entra, io non seguo la moda”.
“Come no”.
“Io sono classica”.
“Emma, ma ci credi se ti dico che sono preoccupato per te? Seriamente preoccupato”
“E non dovrebbe, prof”.
“E invece mi preoccupo”.
“Ma se le dico che non dovrebbe”.
“Che il discorso del latino io lo potrei anche capire, se me lo venisse a fare una ragazza seria, responsabile, una che arrivasse qui e mi dicesse: professore, ho capito qual è la mia strada, e il latino proprio non c'è, per cui ho deciso di concentrarmi su altre cose, eccetera, ecco, un discorso così io lo capirei”.
“Bene, prof, allora facciamo che quella ragazza lì sono io”.
“Mi stai dicendo che hai deciso cosa farai l'anno prossimo?”
“Ci sto pensando”.
“È da sei mesi che ci stai pensando”.
“È che ci devo pensare bene”.
“Ma ci sarà qualcosa nella vita che ti piace fare”.
“Eccerto che c'è”.
“Ed è...”
“Ma se glielo dico lei poi si arrabbia”.
“Emma io non mi sto arrabbiando. Mi sto preoccupando, che in un certo senso è peggio”.
“Uff, e va bene. Vorrei cantare”.
“Cantare”.
“Perché sono brava, si ricorda in gita? E me lo dicono tutti. Anche mio padre, pensi”.
“Va bene, cantare, ma in che senso, scusa, cantare”.
“Nel senso che mi piacerebbe farlo nella vita”.
“Di mestiere, intendi?”
“Ma sì, anche”.
“E hai pensato di prendere lezioni? Perché per il conservatorio è tardi, direi”.
“Il conservatorio? Ho fatto qualcosa di male? No, io per adesso ho questi amici miei, con un complesso, ma non è proprio la musica che fa per me, io appena trovo qualcuno che capisce mi metto da sola...”
“Perché la musica che piace a te, sarebbe...”
“La musica italiana”.
“Un classico”.
“Gliel'ho detto che sono classica, io”.
“Mi sembra tutto ancora molto vago. Sarò franco, Emma, mi sembrano davvero i classici sogni di una ragazzina”.
“Ma a volte i sogni si avverano”.
“Sì, però non è che si avverano a furia di sognarli, ci vuole applicazione, studio... e anche fortuna, naturalmente. Insomma, se ci pensi bene, mettersi a cantare dopo il liceo... significa cominciare una strada senza sapere dove ti porterà... per quanto ti potranno sostenere ancora i tuoi, ci hai pensato?”
“Beh, magari per i miei all'inizio è un sacrificio, ma poi se le cose vanno bene...”
“E se non andranno bene?”
“E vabbe', prof, se uno ragiona così, non si lancia mai”.
“Che verbo curioso che hai usato, lanciarsi”.
“Lei non ci crede proprio in me, eh? Pensa che cascherò male”.
“Sono preoccupato, Emma, tutto qui. Mi sei sempre sembrata una ragazza sveglia, originale, eppure... a quattro mesi dalla maturità me ne esci con la cosa più banale di tutte: che vuoi cantare, che hai un sogno, che poi magari cosa c'è in questo sogno, dimmi: pensi che inciderai dei dischi? avrai successo? Vincerai Sanremo?”
“Sanremo è da vecchi”.
“Ma sei sicura che anche questo famoso sogno, Emma, non sia in qualche modo un rifugio, un posto dove nascondersi quando vedi che i nodi si avvicinano al pettine... non ti chiedo di smettere di sognare, ma almeno sogna un po' più a breve termine, prova a sognare quello che ti succederà tra sei mesi, un anno, due: dove ti vedi?”
“Beh pensavo che potrei prendere una laurea breve in psicologia, come si chiama...”
“Psicologia?”
“Quella per insegnare ai bambini...”
“Pedagogia”.
“Perché mi piacciono i bambini”.
“Vuoi lavorare coi bambini? Maestra d'infanzia?”
“Massì, comunque se non riesco a cantare da professionista, al massimo farò quello”.
“Suona un po' come un ripiego, no?”
“In che senso?”
“Insomma, in concreto cosa farai? Di giorno studierai per diventare maestra e di sera canterai? Pensi che potrà funzionare?”
“E perché no”.
“Perché sono due vite in una sola, Emma, e per ora non mi sembri capace di mandarne avanti nemmeno una. Ma prima o poi dovrai scegliere, capisci?”
“E in quel momento sceglierò”.
“Forse mi sono spiegato male. Non sarà “un momento”. Saranno infiniti momenti, in cui tu dovrai scegliere se insistere in un sogno che diventa sempre più difficile, più rischioso, oppure prendere la strada più semplice, magari diventare maestra d'asilo, per scoprire che però anche la strada più semplice è faticosa, che lavorare coi bambini è sfibrante, si torna a casa con la voce roca e la schiena a pezzi, e a quel punto scoprirai che il lavoro si mette di traverso al tuo sogno...”
“E allora mi licenzierò”.
“Ma forse non ci riuscirai più, perché nel frattempo magari avrai conosciuto un ragazzo e avrai messo su casa, e avrai bisogno di soldi, o anche semplicemente di un lavoro che dimostri al mondo che tu non sei una persona inutile, un'acchiappanuvole che continua a inseguire i sogni fuori tempo massimo...”
“Un'acchiappache?”
“Quel che ti sto cercando di dire è che... se tu davvero tu ci credessi, nel tuo 'sogno', se davvero pensassi che cantare fosse la tua vita, non ti lasceresti nessun ponte alle spalle. Invece tu hai già pronto un piano B, lavorerai coi bambini e nei ritagli di tempo sfonderai come cantante. Ma non va mai a finire così. Nessuno è mai diventato un divo nel dopolavoro. È una cosa che non succede, semplicemente”.
“E quindi cosa dovrei fare?”
“Guardare davvero in fondo alle tue motivazioni. Ci credi sul serio, al tuo futuro di cantante? o è solo un trucco con cui inganni te stessa mentre il tempo passa? Se ci credi sul serio sono il primo a dirti: buttati, fottiti del latino, della maturità, di quel che pensano genitori e professori, torna qui con un disco d'oro o non tornare. Ma ci credi davvero?”
“Non lo so”.
“E forse questa è già una risposta”.
“Si è fatto tardi, professore, devo andare”.
“Anch'io. Arrivederci, Emma”.
“Arrivederci, professor Vecchioni”.
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