L'imbarazzo dello spettatore occidentale

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Davanti alle immagini dell'Egitto, il nostro disagio di spettatori occidentali è un po' più imbarazzato del solito - anche se magari non siamo quelli così imprudenti da aver prenotato a Sharm. C'è che stavolta sentiamo che non sarà facile recitare la parte che ci piace di più, quella delle anime belle e solidali che piangono con le vittime e gridano vergogna, e poi magari per qualche mese indossano un nastro - per la Birmania era rosso, per l'Iran verde, per l'Egitto non ci sarà, perché c'è un limite persino all'ipocrisia. C'è che stavolta non ammazzano i nostri, mettiamola così. I 'nostri' hanno manifestato il mese scorso: vogliono un Egitto meno islamico e lo vogliamo sicuramente anche noi, siamo laici. Quelli che si prendono le mitragliate dagli elicotteri invece sono islamici, integralisti, magari anche terroristi, e soprattutto poveri. Se fossimo costretti a scegliere probabilmente sceglieremmo di stare dall'altra parte della mitragliatrice. Fortuna che invece ci basta cambiare canale.

Più di ogni altra cosa noi vorremmo sentirci buoni, e le immagini dal Cairo non ce lo consentono. Vorremmo stare dalla parte dei giusti, e non riusciamo bene a ritrovarla, è seccante. Qualche settimana fa avevamo deciso che stavamo con l'esercito, ma quelli (chi se lo sarebbe aspettato) hanno le armi e le usano. Di solito a questo punto parteggiamo per le vittime, ma sono un po' troppo velati e fanatici, irregimentati da un'organizzazione oscurantista che venerdì li ha adunati in piazza ben sapendo cosa poteva succedere, forse col proposito deliberato di stabilire un nuovo record di martirio di massa da esibire poi in mondovisione.

Forse adesso capiamo come devono essersi sentiti i nostri zii o padri liberali o democristiani quando Pinochet si mise a massacrare comunisti e sindacalisti in Cile: noi abbiamo delle idee, a volte le tiriamo fuori al bar, o sui blog, e per una coincidenza fastidiosa sono le stesse idee con cui si sta coprendo un generale mentre stermina i suoi compatrioti, da qualche altra parte del mondo fortunatamente abbastanza lontana per non sentire gli spari in diretta. Così va la Storia... (continua sull'Unita.it, H1t#194).

 Così va la Storia: noi occidentali la preferiremmo un po’ più pacifica – è veramente scandaloso che ci si scanni ancora per questioni del genere, eppure succede già a ridosso del nostro cortiletto europeo. Noi vorremmo che le elezioni democratiche premiassero sempre i partiti laici e progressisti, ma nei Paesi musulmani succede troppo spesso il contrario; vorremmo che la laicità fosse una bandiera del proletariato, e invece se ne appropriano gli eserciti (un secolo fa in Turchia, negli anni Novanta in Algeria, ieri e oggi in Egitto), mentre la povera gente preferisce farsi guidare dagli imam. Vorremmo che “sinistra” e “destra” avessero il senso che gli diamo in Europa da qualche decennio in qua, perché alla fine è l’unico che comprendiamo, e soprattutto è l’unico in cui riusciamo a trovare un senso morale: da una parte stanno i violenti, i cattivi, i prevaricatori, dall’altra noi. E invece anche stavolta ci ritroviamo i fanatici da una parte e gli stragisti di Stato dall’altra, non è giusto.
Gratta gratta, oltre a tutte le sovrastrutture e i paraventi, quello che ci spingeva ad autoconvocarci a piazza Tahrir (beninteso senza smuovere il sedere dalla postazione internet casalinga) era la cara vecchia solidarietà di classe. Quelli che due anni fa chiedevano più democrazia e meno Mubarak erano esponenti di un ceto medio urbano. Quelli li capivamo, indossavano le nostre stesse magliette e scarpe; gli slogan sui loro cartelloni, opportunamente tradotti, erano gli stessi che avremmo scritto noi. Questi invece che si fanno ammazzare in nome di Morsi e di Allah non li capiamo proprio, e il fatto che possano aver vinto libere elezioni democratiche è incidentale. Forse nel nedio oriente la Storia gira al contrario, o forse è un po’ in ritardo, impantanata tra Vandea e Termidoro: in quei momenti imbarazzanti in cui la borghesia tira giù la maschera, punta l’artiglieria su sanculotti e contadini, e rinnega certe idee estreme come il suffragio universale.
Nel 1976 in Argentina il generale Videla stimò che per “porre fine alla sovversione e all’opposizione politica” e “applicare il piano economico liberista” occorreva disfarsi rapidamente di almeno ottomila oppositori; non c’è che da augurarsi che i generali egiziani abbiano fatto calcoli meno drastici. Forse tra qualche anno l’Egitto sarà un Paese moderno, laico, un faro di progresso per il medio oriente: non vediamo l’ora. Fino a quel momento tocca voltare le spalle e turarsi le orecchie: tanto non è a noi che si chiede aiuto.http://leonardo.blogspot.com
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