Il trapassato non trapasserà

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La scorsa settimana uno scrittore italiano su un giornale italiano ha scritto un pezzo sui bei tempi andati, perlopiù analogici - e fin qua, mi rendo conto, siamo al cane-morde-uomo. I dischi di vinile che s'impolveravano e gracchiavano, le fotografie stampate che ingiallivano, i vecchi album che facevano la muffa in cantina: tutti questi oggetti scomodi pare che fossero i supporti migliori per fissare i ricordi, perché... perché poi andarli a cercare è faticoso, mentre ora è tutto a portata di clic, il passato non è più difficile come una volta, la nostalgia non è più quella di una volta. Per tacere delle merendine (la Girella indubbiamente non contiene più il cacao che ci colava dalle mani nel 1985, ma credo che in quel caso si trattasse di salvare una generazione dal diabete).

Immagino che un pezzo del genere esca almeno una volta alla settimana, su almeno un quotidiano. Giornalisti e scrittori si danno il turno. Gli odori che non torneranno, le mezze stagioni che scompaiono, ne parlava già Leopardi nello Zibaldone (non scherzo, ne parlava davvero citando a sua volta un autore del Seicento, per dire quanto sia topico il problema delle mezze stagioni nell'elaborazione degli intellettuali italiani).

Mi metto a parlarne perché, oltre alle solite foto ingiallite e ai soliti dischi che, siamo onesti, se non eri un maniaco della pulizia dopo un po' li avevi tutti segnati e impolverati e suonavano di merda, lo scrittore ha inserito tra le belle cianfrusaglie del tempo che fu anche un tempo verbale. Oddio, neanche questa sarebbe una novità. Il presente congiuntivo era dato moribondo dalla Stampa già nel maggio del 1968 - e come altre cose dichiarate morte in quel periodo, gode ancora di buona salute. Anche il passato remoto, con tutte quelle radici irregolari che lo rendono tanto ostico, più in Valpadana che altrove, in un qualche modo l'ha scampata. No: forse la notizia è qui. La scorsa settimana Roberto Cotroneo, sentendosi probabilmente obbligato in quanto scrittore italiano a lamentarsi del tempo che passa, ha deciso di piangere le sorti del trapassato remoto.

Lui invece sta benissimo e vi saluta.

Pare infatti che non usiamo più il trapassato remoto, e che ciò sia un male, perché... perché ci aiutava a depositare i ricordi in cantina, dove prendevano quel necessario odore di muffa che oggi la civiltà digitale non consente più, non capisce più. "Il trapassato remoto si usa per azioni concluse che non hanno alcuna rilevanza con il presente e con l’attualità. Oggi invece tutto ha rilevanza con l’attualità, e nulla si conclude". Sarà. Dando per scontata l'apocalisse digitale, mi resta la curiosità di sapere se è vero. C'è sul serio una flessione nell'uso del trapassato remoto? Esistono studi al riguardo? Se qualcuno ne sa qualcosa, lo prego, mi contatti. Nel frattempo non posso evitare di chiedermelo: se anche sparisse del tutto, il trapassato remoto, sarebbe un male? Preso di per sé, è un tempo verbale molto brutto. Diciamo che mette insieme le cose meno gradevoli degli altri tempi passati: il remoto è asciutto ("fu!") ma irregolarissimo, la croce di ogni corso di italiano per stranieri. I passati composti, per contro, sono belli regolari, ma lunghi, noiosi ("aveva fatto"). Ecco, il trap remoto, essendo un composto del passato remoto, è irregolare come quest'ultimo, e noioso come ogni verbo composto ("ebbe fatto"). Forse se scompare c'è un motivo. Ma sul serio scompare?

Non è inverosimile. Non perché sia brutto. Magari si potesse fare senza le cose brutte. Metti il trapassato prossimo. Non è che sia molto più bello del trap remoto: ebbene, va alla grande. Nei temi dei miei ragazzi noto sempre più questa cosa. Quando scrivono al passato si imbrogliano sempre. Vorrebbero usare il passato remoto, che è così svelto ed espressivo, ma hanno sempre paura di sbagliarlo. Allora saltano al presente, con un effetto cinematografico che nove volte su dieci provoca l'apparizione di vigorosi segni rossi sul foglio "Il pirata mi chiamò e mi dice di far presto"), oppure... al trap prossimo "Il pirata mi chiamò e mi aveva detto di far presto"). Che è persino più orribile. Ma l'idea è più o meno quella: mi serve un passato veramente passato, un passato che mi faccia sentire che il tempo è davvero... passato. La muffa, la polvere, quel tipo di cose. Anche i ragazzini sentono di averne bisogno.

Il trap remoto però è accessibile solo a chi sa già coniugare il passato remoto. Non solo, ma di tutti i passati dell'indicativo è quello che può essere impiegato in meno situazioni: solo in una proposizione subordinata temporale. Come tutti i trapassati, il trap remoto è qualcosa di più di un passato: serve a creare un minuscolo flashback in una frase che è già al passato. Se per esempio sto scrivendo "andai al supermercato", per aggiungere a questa frase un'altra frase (subordinata) situata in un momento anteriore, posso usare il trap remoto: "dopo che ebbi ricevuto la tua lista della spesa". In questo senso si dice che il trap remoto, come il trap prossimo, esprime l'anteriorità, ovvero il concetto di passato nel passato. Ma nella frase ci dev'essere già una frase al passato, perché io possa andare ancora più indietro con una subordinata al trapassato.


Ecco: uno dei motivi per cui il trap remoto potrebbe scomparire è che tendiamo a subordinare sempre meno. Questa sì, è una tendenza generale che si può riscontrare nei quotidiani e soprattutto nei libri. Come tutte le lingue, l'italiano scritto è diventato più cinematografico: frasi brevi e incalzanti, separate tra loro. I nessi temporali, o di causa-effetto, vengono lasciati all'interpretazione del lettore. Là dove un autore di primo Novecento avrebbe scritto, ad esempio, "la marchesa uscì solo alle cinque, dopo che ebbe ricevuto il biglietto", il suo collega dei primi Duemila preferirà: "la marchesa ricevette il biglietto verso le cinque. Subito dopo uscì". Nel primo caso abbiamo un'organizzazione sintattica, ricalcata sulle forme del latino; nel secondo abbiamo il montaggio cinematografico di due scene. Addirittura abbiamo sempre più esempi di narrazione al presente ("La marchesa riceve il biglietto ed esce"). È chiaro che un'evoluzione di questo tipo condanna il trap remoto, ma anche tante altre cose più interessanti.

È curioso invece che Cotroneo accusi velatamente la rivoluzione digitale di averci tolto il (dubbio) piacere del trap remoto: la tendenza a semplificare e abolire la sintassi è molto più antica. È già impugnata da scrittori e artisti nel Manifesto tecnico della letteratura futurista (1912), l'anno di massima espansione della nascente industria cinematografica in Italia. Una coincidenza? Forse se tendiamo ad abolire i trapassati, e la sintassi in genere, è perché anche i nostri ricordi sono diventati sempre più cinematografici. Non li organizziamo più in un discorso orale o scritto, ma li riviviamo davanti ai nostri occhi come un film (È questa tra l'altro la speranza che porta Zeno Cosini a frequentare il suo analista: strappare al passato non un senso ma delle "immagini": "Vedere la mia infanzia!").

Un altra peculiarità del trap remoto è il suo aspetto (lo so, è così interessante che ne volete ancora, ebbene, prosegue sul Post!)
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