Chi denuncia Ki
02-07-2009, 18:53dialoghi, migranti, replichePermalink(Riveduto e appena appena corretto).
L'anno della Tigre di Carta
“Buongiorno, desidera?”
“Buongiorno, volevo fare una denuncia”.
“Sì, un attimo che accendo il terminale… è un furto?”
“No, veramente no”.
“Atto vandalico?”
“Io veramente ero venuto a denunciare… come si dice… scusi, sono poco pratico, sa? Un’in…”
“Un’intimidazione mafiosa!”
“No, no, un’immigrazione”.
“Ah”.
“Clandestina”.
“Sì, sì, ho capito”.
“Insomma, c’è questa persona qui che è un immigrato clandestino”.
“Sì”.
“E sono venuto a denunciarlo. Perché adesso è reato, no?”
“Certo. Ma questa persona, sa come si chiama?”
“Altroché”.
“Conosce il luogo dove abita, o dove lavora?”
“So tutto”.
“E ha ragionevoli argomenti per sostenere che si tratta di un immigrato clandestino?”
“Ne ho le prove”.
“Bene, lei ora mi dirà tutto, io verbalizzerò…”
“E andrete ad arrestarlo!”
“Se lo riterremo necessario”.
“Come necessario! Dovete farlo e basta! In Italia c’è… come si chiama… l’obbligatoria azione”.
“L’obbligatorietà dell’azione penale. Certo che lei è un esperto”.
“Grazie. Ho studiato un po' legge, al mio Paese”.
“Anche a me sarebbe piaciuto, ma sa… famiglia numerosa”.
“Non me lo dica”.
“Veniamo al dunque. Lei si chiama?”
“Ki Demei. K, I, spazio, Demei scritto come si pronuncia”.
“Ah, perfetto. E di cognome?”
“Ki”.
“Ki Ki Demei?”
“No, solo Ki-spazio-Demei”.
“Aaaaaah, ho capito. Scusi, eh, ma certi cognomi stranieri veramente sono una cosa...”
“Ha tutta la mia comprensione”.
“Bene. Allora, Ki Demei, nato il”
“Tredici luglio 1974”.
“Anno della tigre!”
“Complimenti. Non mi dica che...”
“Beh, sì, sono anch’io del 1974. Dunque, Ki Demei, nato il 13/7/1974 e residente a…”
“Ahem… scriva così: residente a Canton, Cina”.
“Quindi lei non risiede in Italia”.
“No”.
“Strano, il suo italiano è molto buono. Ha un documento della Repubblica Popolare Cinese? Passaporto, carta d'identità...”
“No. Però una denuncia la posso fare lo stesso, no? Voglio dire… Mettiamo che io sia un turista e mi abbiano rubato il portafogli…”
“Giusto. Allora: Ki Demei, nato il 13/7/74 e residente a Canton, Cina, in data 23/9 presente anno si recava nella caserma dei carabinieri di Campogalletti (MU) e segnalava alle autorità competenti, ivi rappresentate dall’appuntato Panunzio Gabriele, la presenza su suolo italiano di un immigrato clandestino, rispondente al nome di...”
“Sì?”
“Lo chiedo a lei: rispondente al nome di?”
“Eh?”
“Questo immigrato clandestino, insomma, come si chiama?”
“Ah, lui! Si chiama Ki Demei”.
“Cognome?”
“Ki”.
“Kikidemei?”
“No, Ki-spazio-Demei”.
“Aaaaah. Tra l’altro è un nome che ho già sentito… sta a vedere che ha dei precedenti”.
“Ma veramente…”
“Aspetti. Anche lei si chiama Ki Demei”.
“Non posso negarlo”.
“Un caso di omonimia, capisco”.
“No, forse non ha capito. Sono sempre io. Sono venuto a denunciare me stesso. Sono un immigrato clandestino. Arrestatemi”.
“Beh… beh… non corriamo”
“C’è la cosa, l’obbligatorietà dell’azione penale”.
“Ma scusi, perché ci tiene così tanto a farsi arrestare?”
“Si metta nei miei panni. Io lavoro ai mercati, faccio il giro della provincia. Tutte le mattine la sveglia alle cinque. Con la pioggia e con la neve. Cinque anni così. Non sono abituato, in Cina studiavo legge. Sono stanco”.
“Poteva anche denunciarsi prima”.
“Prima mi avreste rimpatriato come clandestino. Ma adesso non potete”.
“Come sarebbe a dire che non possiamo?”
“Non potete, perché l’immigrazione clandestina è diventato un reato, e quindi mi dovrete processare”.
“E che sarà mai un processo”.
“Ma io ricorrerò in appello”.
“Non mi faccia ridere … voglio dire, se tutti gli immigrati clandestini ricorressero all’appello…”
“Sì? Vada avanti”.
“Si bloccherebbero tutti i tribunali!”
“Questo non è un problema mio. Io sono un indiziato di reato, e come tale ho diritto a un giusto processo”.
“Guardi che rischia una bella multa”.
“Non posso pagarla, sono nullatenente e nullafacente”.
“Ma se mi ha appena detto che fa il giro dei merc... ah. Comincio a capire”.
“L'unica è mettermi in una prigione, o centro di detenzione come li chiamate adesso. Confrontate al sottoscala dove dormo non mi sembrano male”.
“Ma scoppiano”.
“Già. Probabilmente sarete costretti a mettermi fuori, magari a trovarmi un lavoro in attesa del giudizio. Ora, si dà il caso che io abbia studiato i tempi della giustizia italiana. Direi che tre quattro anni non me li toglie nessuno”.
“Ma poi la manderanno a casa”.
“Chi lo sa? Nel frattempo sarà cambiato il governo, e faranno una sanatoria. A dire il vero tutto lascia pensare che la sanatoria arriverà molto prima. È un peccato, perché poi mi toccherà tornare ai mercati. Io li odio, i mercati”.
“Doveva fare l’avvocato”.
“è vero. Andiamo avanti, le va?”
“Dunque: Ki Demei... segnalava alle autorità competenti, ivi rappresentate dall’appuntato Panunzio Gabriele, la presenza su suolo italiano di un immigrato clandestino, rispondente al nome di...”
“Ki Demei. Faccia copia incolla”.
“…nato il 13/7 eccetera… residente a?”
“Via Garibaldi tre, è il campanello con gli ideogrammi nel citofono. Se vuole lascio anche il cellulare”.
“Lei comunque la fa troppo facile”.
“Le cose stanno così! Adesso che sapete dove trovarmi siete costretti ad arrestarmi”.
“Ma lei potrebbe anche non essere un vero clandestino”.
“Certo che sono un vero clandestino”.
“Eh, facile a dirsi. Ma può provarlo?”
“Altroché. Non ho nemmeno un documento”.
“Questa non è una prova, al massimo è una mancanza di prove”.
“Sta scherzando?”
“Chi mi assicura, per esempio, che lei non abbia distrutto il suo permesso di soggiorno? Cioè, si metta nei nostri panni. Dobbiamo metterci ad arrestare il primo venuto soltanto perché dice di non avere documenti?”
“Prima lo facevate”.
“Ma prima era facile, con un foglio di via, al limite un bel charter e via al paese natale. Ma se adesso dobbiamo arrestarvi e giudicarvi tutti, eh, hai voglia”.
“Quindi non verrete ad arrestarmi”.
“No, credo di no”.
“La solita Italia. Fatta una legge, trovato l’inganno”.
“Piano con le parole, eh? Altrimenti...”
“Altrimenti?”
“Ti arresto per vilipendio”.
“Perfetto! Cos’è il vilipendio?”
“Sono le offese”.
“Ah, bene. L’Italia è una distesa di giunchi appassiti che oscilla al vento osceno della stupidità”.
“Eh?”
“Era un’offesa alla tua nazione. Arrestami”.
“Era solo una licenza poetica. Al massimo una libera espressione di giudizio. Non ti arresto”.
“Italia merda. Arrestami”.
“Ti piacerebbe, eh? Non ti arresto”.
“Mi devi arrestare! È vilipendio! C’è l’obbligatorietà!”
“No, invece, non ti arresto, è solo satira”.
“Il presidente è un invertito nazista”.
“Satira, satira politica”.
“Ma va’!”
“Come no? Guarda, rido anche, ah ah ah”.
“Donne italiane tutte puttane”.
“Ih Ih Ih, che spasso”.
...
L'anno della Tigre di Carta
“Buongiorno, desidera?”
“Buongiorno, volevo fare una denuncia”.
“Sì, un attimo che accendo il terminale… è un furto?”
“No, veramente no”.
“Atto vandalico?”
“Io veramente ero venuto a denunciare… come si dice… scusi, sono poco pratico, sa? Un’in…”
“Un’intimidazione mafiosa!”
“No, no, un’immigrazione”.
“Ah”.
“Clandestina”.
“Sì, sì, ho capito”.
“Insomma, c’è questa persona qui che è un immigrato clandestino”.
“Sì”.
“E sono venuto a denunciarlo. Perché adesso è reato, no?”
“Certo. Ma questa persona, sa come si chiama?”
“Altroché”.
“Conosce il luogo dove abita, o dove lavora?”
“So tutto”.
“E ha ragionevoli argomenti per sostenere che si tratta di un immigrato clandestino?”
“Ne ho le prove”.
“Bene, lei ora mi dirà tutto, io verbalizzerò…”
“E andrete ad arrestarlo!”
“Se lo riterremo necessario”.
“Come necessario! Dovete farlo e basta! In Italia c’è… come si chiama… l’obbligatoria azione”.
“L’obbligatorietà dell’azione penale. Certo che lei è un esperto”.
“Grazie. Ho studiato un po' legge, al mio Paese”.
“Anche a me sarebbe piaciuto, ma sa… famiglia numerosa”.
“Non me lo dica”.
“Veniamo al dunque. Lei si chiama?”
“Ki Demei. K, I, spazio, Demei scritto come si pronuncia”.
“Ah, perfetto. E di cognome?”
“Ki”.
“Ki Ki Demei?”
“No, solo Ki-spazio-Demei”.
“Aaaaaah, ho capito. Scusi, eh, ma certi cognomi stranieri veramente sono una cosa...”
“Ha tutta la mia comprensione”.
“Bene. Allora, Ki Demei, nato il”
“Tredici luglio 1974”.
“Anno della tigre!”
“Complimenti. Non mi dica che...”
“Beh, sì, sono anch’io del 1974. Dunque, Ki Demei, nato il 13/7/1974 e residente a…”
“Ahem… scriva così: residente a Canton, Cina”.
“Quindi lei non risiede in Italia”.
“No”.
“Strano, il suo italiano è molto buono. Ha un documento della Repubblica Popolare Cinese? Passaporto, carta d'identità...”
“No. Però una denuncia la posso fare lo stesso, no? Voglio dire… Mettiamo che io sia un turista e mi abbiano rubato il portafogli…”
“Giusto. Allora: Ki Demei, nato il 13/7/74 e residente a Canton, Cina, in data 23/9 presente anno si recava nella caserma dei carabinieri di Campogalletti (MU) e segnalava alle autorità competenti, ivi rappresentate dall’appuntato Panunzio Gabriele, la presenza su suolo italiano di un immigrato clandestino, rispondente al nome di...”
“Sì?”
“Lo chiedo a lei: rispondente al nome di?”
“Eh?”
“Questo immigrato clandestino, insomma, come si chiama?”
“Ah, lui! Si chiama Ki Demei”.
“Cognome?”
“Ki”.
“Kikidemei?”
“No, Ki-spazio-Demei”.
“Aaaaah. Tra l’altro è un nome che ho già sentito… sta a vedere che ha dei precedenti”.
“Ma veramente…”
“Aspetti. Anche lei si chiama Ki Demei”.
“Non posso negarlo”.
“Un caso di omonimia, capisco”.
“No, forse non ha capito. Sono sempre io. Sono venuto a denunciare me stesso. Sono un immigrato clandestino. Arrestatemi”.
“Beh… beh… non corriamo”
“C’è la cosa, l’obbligatorietà dell’azione penale”.
“Ma scusi, perché ci tiene così tanto a farsi arrestare?”
“Si metta nei miei panni. Io lavoro ai mercati, faccio il giro della provincia. Tutte le mattine la sveglia alle cinque. Con la pioggia e con la neve. Cinque anni così. Non sono abituato, in Cina studiavo legge. Sono stanco”.
“Poteva anche denunciarsi prima”.
“Prima mi avreste rimpatriato come clandestino. Ma adesso non potete”.
“Come sarebbe a dire che non possiamo?”
“Non potete, perché l’immigrazione clandestina è diventato un reato, e quindi mi dovrete processare”.
“E che sarà mai un processo”.
“Ma io ricorrerò in appello”.
“Non mi faccia ridere … voglio dire, se tutti gli immigrati clandestini ricorressero all’appello…”
“Sì? Vada avanti”.
“Si bloccherebbero tutti i tribunali!”
“Questo non è un problema mio. Io sono un indiziato di reato, e come tale ho diritto a un giusto processo”.
“Guardi che rischia una bella multa”.
“Non posso pagarla, sono nullatenente e nullafacente”.
“Ma se mi ha appena detto che fa il giro dei merc... ah. Comincio a capire”.
“L'unica è mettermi in una prigione, o centro di detenzione come li chiamate adesso. Confrontate al sottoscala dove dormo non mi sembrano male”.
“Ma scoppiano”.
“Già. Probabilmente sarete costretti a mettermi fuori, magari a trovarmi un lavoro in attesa del giudizio. Ora, si dà il caso che io abbia studiato i tempi della giustizia italiana. Direi che tre quattro anni non me li toglie nessuno”.
“Ma poi la manderanno a casa”.
“Chi lo sa? Nel frattempo sarà cambiato il governo, e faranno una sanatoria. A dire il vero tutto lascia pensare che la sanatoria arriverà molto prima. È un peccato, perché poi mi toccherà tornare ai mercati. Io li odio, i mercati”.
“Doveva fare l’avvocato”.
“è vero. Andiamo avanti, le va?”
“Dunque: Ki Demei... segnalava alle autorità competenti, ivi rappresentate dall’appuntato Panunzio Gabriele, la presenza su suolo italiano di un immigrato clandestino, rispondente al nome di...”
“Ki Demei. Faccia copia incolla”.
“…nato il 13/7 eccetera… residente a?”
“Via Garibaldi tre, è il campanello con gli ideogrammi nel citofono. Se vuole lascio anche il cellulare”.
“Lei comunque la fa troppo facile”.
“Le cose stanno così! Adesso che sapete dove trovarmi siete costretti ad arrestarmi”.
“Ma lei potrebbe anche non essere un vero clandestino”.
“Certo che sono un vero clandestino”.
“Eh, facile a dirsi. Ma può provarlo?”
“Altroché. Non ho nemmeno un documento”.
“Questa non è una prova, al massimo è una mancanza di prove”.
“Sta scherzando?”
“Chi mi assicura, per esempio, che lei non abbia distrutto il suo permesso di soggiorno? Cioè, si metta nei nostri panni. Dobbiamo metterci ad arrestare il primo venuto soltanto perché dice di non avere documenti?”
“Prima lo facevate”.
“Ma prima era facile, con un foglio di via, al limite un bel charter e via al paese natale. Ma se adesso dobbiamo arrestarvi e giudicarvi tutti, eh, hai voglia”.
“Quindi non verrete ad arrestarmi”.
“No, credo di no”.
“La solita Italia. Fatta una legge, trovato l’inganno”.
“Piano con le parole, eh? Altrimenti...”
“Altrimenti?”
“Ti arresto per vilipendio”.
“Perfetto! Cos’è il vilipendio?”
“Sono le offese”.
“Ah, bene. L’Italia è una distesa di giunchi appassiti che oscilla al vento osceno della stupidità”.
“Eh?”
“Era un’offesa alla tua nazione. Arrestami”.
“Era solo una licenza poetica. Al massimo una libera espressione di giudizio. Non ti arresto”.
“Italia merda. Arrestami”.
“Ti piacerebbe, eh? Non ti arresto”.
“Mi devi arrestare! È vilipendio! C’è l’obbligatorietà!”
“No, invece, non ti arresto, è solo satira”.
“Il presidente è un invertito nazista”.
“Satira, satira politica”.
“Ma va’!”
“Come no? Guarda, rido anche, ah ah ah”.
“Donne italiane tutte puttane”.
“Ih Ih Ih, che spasso”.
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