Un', nessun', centomil'

Permalink
Forse siete distratti dalla manovra Monti o dalla bozza Ichino o dal solstizio invernale, che ne so: comunque nel mondo vero in questa settimana è successo che Saviano ha sbagliato un apostrofo su Twitter, e da lì è partito un dibattito con Severgnini Riotta e pure lui.


E alla fine insomma anch'io ho scritto cinquemila battute su un apostrofo. Che faccio, mi vergogno? Sull'Unita.it (H1t#105), e si commenta là.

Il 2011 è stato davvero l’anno in cui l’Italia è arrivata su Internet. Sì, d’accordo, alcuni c’erano da vent’anni. Io da dieci, e già mi sento un nonno. Il grosso delle truppe è sbarcato verso il 2009, con Facebook. Ma il 2011 è stato una boa importante. Nel 2011 i vip italiani hanno scoperto Twitter. E da qui in poi non si torna indietro. Nel 2010 Internet lo usavamo ancora per condividere pensieri e foto di gatti con amici e sconosciuti. Nel 2011 ci sediamo comodi e guardiamo Fiorello che litiga con Sabina Guzzanti. È internet, la cosa di cui tutti parlano in tv. Fino all’anno scorso succedeva l’esatto contrario.
Il 2011 è stato l’anno in cui abbiamo visto certe dinamiche tipicamente internettiane trasferirsi sui quotidiani. Per esempio: un dibattito sull’apostrofo. Ecco, chi bazzica soprattutto Facebook e si è fatta l’idea di Internet come di un club di bimbominkia forse non lo immagina, ma ci sono luoghi su internet dove se sbagli un apostrofo ti massacrano; i grammar nazis (“nazisti della grammatica”) hanno molta meno pietà di chi la grammatica la studia e la insegna. In molti casi sono semplicemente dei troll, disturbatori che attaccano l’errore per distogliere l’attenzione sui contenuti di una discussione. Alcuni sono molesti, altri perfino benigni: ci aiutano a conservare la concentrazione, a non sottovalutare la grammatica.
Da qualche giorno i Grammar Nazis sono approdati su un quotidiano nazionale. Sul GiornaleAlessandro Gnocchi ha attirato l’attenzione su Roberto Saviano che, udite udite, osa scrivere “qual” con l’apostrofo. È sbagliato, no? Se ne è discusso su Twitter, con ospiti di eccezione come Beppe Severgnini e Gianni Riotta. Questo può anche servire a darci un’idea di cosa ci attende nel nostro futuro deberlusconizzato: di cosa parleremo quando non potremo più parlare di Lui? Di infinite cose, per esempio di dove mette gli apostrofi Roberto Saviano.
Quest’ultimo, dopo una consultazione popolare, forte dei nobili precedenti di Pirandello e Landolfi, ha concluso che non è un errore, e che continuerà a scrivere “qual” con l’apostrofo. E questo, Gnocchi, non lo può assolutamente consentire. Bisogna dire che qualche ragione ce l’ha: penso di poterlo dire con cognizione di causa, visto che la grammatica la insegno, e di manuali ne ho sfogliati parecchi. Non concordano sempre su tutto, ma l’apostrofo su “qual” è unanimemente rigettato, di solito in una delle prime pagine, che i ragazzini studiano e si dimenticano immediatamente. L’apostrofo su “qual” rimane infatti uno degli errori più gettonati fino all’esame di licenza media: oltre non vado, ma ho il sospetto che molti continuino ad apostrofare anche al ginnasio e al liceo. Secondo Gnocchi un giornalista che avesse fatto lo stesso errore sarebbe stato licenziato in tronco. E a me viene un po’ da ridere, mentre penso a quante volte ho trovato apostrofi del genere in tutti i quotidiani che mi è capitato di leggere: magari non nel “Giornale”, ma solo perché lo leggo davvero molto poco. Fa sorridere pure Severgnini, che da un apostrofo deduce che Saviano i tweet se li scrive da solo, senza ufficio stampa: come se li sapessero maneggiare davvero così bene, gli apostrofi, gli uffici stampa.
Insomma l’argomento di Gnocchi si può tranquillamente rovesciare: non è che un errore del genere si perdona soltanto a Saviano. L’apostrofo su “qual” è qual tipo di errore che commettono tutti nell’indifferenza generale, fin quando non ci casca, appunto, Roberto Saviano, con tutto il fardello di polemiche letterarie ed extraletterarie che si trascina con sé. Per gli altri scrittori i cecchini nazi grammar non perdono neanche tempo ad appostarsi: se qualche altro autore sbaglia un apostrofo, la colpa è sempre del correttore di bozze.
Quanto a me, devo confessare una certa stanchezza. Se penso agli errori dei miei compagni di internet, l’apostrofo di “qual” mi sembra uno dei meno importanti: non influenza in nessun modo la ricezione del contenuto, al massimo distrae chi ha la deformazione professionale del correttore. Se dipendesse da me, preferirei che internauti e giornalisti curassero più la punteggiatura, senza la quale persino un breve tweet a volte diventa ambiguo o incomprensibile.
Come insegnante naturalmente continuo a correggerlo, quell’apostrofo: a cancellarlo e a farlo notare con vigorosi segni di penna rossa, anche se ho la sensazione di sprecare tempo che dovrei dedicare a correggere errori più interessanti. Come appassionato di fatti linguistici invece mi sento di poterlo dire: quella regola è spacciata, non sopravviverà a un’altra generazione di utenti di internet. Se davvero continueremo a scrivere così tanto (il che per quanto mi riguarda è una buona notizia), ci sono fatiche mentali che presto o tardi rimuoveremo, come quella di dover distinguere ogni volta tra “quell’” con l’apostrofo e “qual” senza. E presto o tardi anche l’orribile “pò” senza apostrofo e con l’accento entrerà sui dizionari – dopo essere passato attraverso i quotidiani, che non ce ne hanno mai veramente fatti mancare. La lingua cambia un po’ ogni giorno; i grammatici lo sanno e presto o tardi si adeguano. Può sorprendere il fatto che alcuni dei più accaniti conservatori resistano proprio su internet. Ma chi ci bazzica già da qualche tempo lo sa: è la jungla ideale per qualsiasi giapponese ancora in attesa di ordini dall’imperatore Hirohito. Anzi, in certi contesti la regola più apprezzata è proprio la più inutile e astrusa: nel momento in cui i network sono diventati “sociali”, è diventato fondamentale dimostrare di saper stare in società. Più che filologia, si tratta di galateo: disporre gli accenti come le posate in tavola. Inutile chiedersi perché qui no e lì sì: sarebbe come chiedersi il motivo della forchetta dell’insalata (e comunque alle elementari tutti questi perché non ce li fornivano)… http://leonardo.blogspot.com
Comments (1)