Il vero motivo per cui odio i referendum
20-04-2016, 15:32referendum, scuolaPermalink
Sono concepiti come una specie di piano B della democrazia rappresentativa, e quindi sempre più spesso maneggiati da chi vorrebbe che tale democrazia s'inceppasse; sono la droga dei movimenti, che quando non sanno che obiettivo darsi si mettono a raccogliere firme e se alla fine non succede niente sarà colpa degli elettori distratti; sono una colossale perdita di tempo per chi li promuove, per chi raccoglie le firme, per la corte costituzionale, per chi li va a votare e per chi non ci va e deve anche mettersi a spiegare le proprie ragioni; non ci hanno dato il divorzio (c'era già) né l'aborto (c'era già) ma ci hanno regalato perle straordinarie, come l'abolizione del ministero dell'agricoltura e del turismo, e hanno spianato la strada a eroi della politica e dell'antipolitica che meritavano probabilmente di trovarsela ben sbarrata (Pannella, Segni). Tutti motivi per cui io li odio, i referendum abrogativi.
E poi c'è quello vero.
Ci sono tanti modi per valutare una classe di scuola: il più sommario e sbrigativo, quello che si può usare anche quando la classe non c'è, sono i cartelloni. Un'aula con tanti cartelloni dimostra che la classe sta lavorando. A casa o in gruppo. In realtà non è sempre vero; ho conosciuto colleghi validissimi che non facevano mai cartelloni, e senz'altro certi cartelloni a guardarli bene sono uno spreco di tempo, di spazio e di pennarelli; e però vuoi mettere l'effetto che fa entrare tra quattro pareti nude, e invece penetrare in una selva di disegni e schemi e titoli e concetti. Così io cerco di far produrre tanti cartelloni. Mi faccio violenza, perché in realtà non vado matto per i cartelloni, quando ero uno studente non sapevo farli e non ho imparato in seguito. Soprattutto non sono mai stato molto bravo ad attaccarli. E invece adesso mi tocca - a chi altri se non me? Non è mica nel mansionario dei bidelli, e quanto agli alunni, non credo che abbiano il permesso nemmeno di salire su una scala.
Neanch'io uso la scala perché ce n'è una sola nel plesso e non la trovo mai, e comunque spostarla in un'aula con una trentina di banchi addossati alle pareti sarebbe troppo complicato. Quindi per salire in alto uso altri accorgimenti che non credo di poter divulgare adesso qui. Salgo con le puntine da disegno dei cinesi, coi rotoli di scotch dei cinesi (i cinesi hanno aperto uno spaccio di fronte alla scuola), a volte coi chiodi e il martello, mettendo a repentaglio la mia incolumità. Respiro cristalli di pura polvere scolastica, che rimane impregnata nei soffitti fonoassorbenti. Torno a casa che vorrei lavarmi via tutta la prima pelle. Non è una cosa che posso fare quando voglio, anzi è abbastanza difficile trovare il pomeriggio in cui quell'aula non serve a qualche altra riunione. Però quando finalmente ci riesco, la mattina dopo i ragazzi entrano nell'aula e vedono il loro lavoro, e sono contenti. "Avete visto", gli dico, "finalmente ce l'ho fatta, ho attaccato i cartelloni".
"Grazie prof, anche se".
"Lo so, la Finlandia è già caduta, questo maledetto scotch dei cinesi..."
"No prof, è che tra due settimane ci ha detto il bidello che bisogna togliere tutto".
"Come tutto?"
"Dice che fanno un referendum".
"Mapporc... siamo sede di seggio".
"A proposito, che cos'è un referendum?"
"È un momento di grande democrazia e partecipazione... aspetta, ci dev'essere da qualche parte un cartellone che ne parla".
"È qua sotto la Finlandia".
"Ma infatti".
"Lo riattacco?"
"Lascia perdere".
E poi c'è quello vero.
Ci sono tanti modi per valutare una classe di scuola: il più sommario e sbrigativo, quello che si può usare anche quando la classe non c'è, sono i cartelloni. Un'aula con tanti cartelloni dimostra che la classe sta lavorando. A casa o in gruppo. In realtà non è sempre vero; ho conosciuto colleghi validissimi che non facevano mai cartelloni, e senz'altro certi cartelloni a guardarli bene sono uno spreco di tempo, di spazio e di pennarelli; e però vuoi mettere l'effetto che fa entrare tra quattro pareti nude, e invece penetrare in una selva di disegni e schemi e titoli e concetti. Così io cerco di far produrre tanti cartelloni. Mi faccio violenza, perché in realtà non vado matto per i cartelloni, quando ero uno studente non sapevo farli e non ho imparato in seguito. Soprattutto non sono mai stato molto bravo ad attaccarli. E invece adesso mi tocca - a chi altri se non me? Non è mica nel mansionario dei bidelli, e quanto agli alunni, non credo che abbiano il permesso nemmeno di salire su una scala.
Neanch'io uso la scala perché ce n'è una sola nel plesso e non la trovo mai, e comunque spostarla in un'aula con una trentina di banchi addossati alle pareti sarebbe troppo complicato. Quindi per salire in alto uso altri accorgimenti che non credo di poter divulgare adesso qui. Salgo con le puntine da disegno dei cinesi, coi rotoli di scotch dei cinesi (i cinesi hanno aperto uno spaccio di fronte alla scuola), a volte coi chiodi e il martello, mettendo a repentaglio la mia incolumità. Respiro cristalli di pura polvere scolastica, che rimane impregnata nei soffitti fonoassorbenti. Torno a casa che vorrei lavarmi via tutta la prima pelle. Non è una cosa che posso fare quando voglio, anzi è abbastanza difficile trovare il pomeriggio in cui quell'aula non serve a qualche altra riunione. Però quando finalmente ci riesco, la mattina dopo i ragazzi entrano nell'aula e vedono il loro lavoro, e sono contenti. "Avete visto", gli dico, "finalmente ce l'ho fatta, ho attaccato i cartelloni".
"Grazie prof, anche se".
"Lo so, la Finlandia è già caduta, questo maledetto scotch dei cinesi..."
"No prof, è che tra due settimane ci ha detto il bidello che bisogna togliere tutto".
"Come tutto?"
"Dice che fanno un referendum".
"Mapporc... siamo sede di seggio".
"A proposito, che cos'è un referendum?"
"È un momento di grande democrazia e partecipazione... aspetta, ci dev'essere da qualche parte un cartellone che ne parla".
"È qua sotto la Finlandia".
"Ma infatti".
"Lo riattacco?"
"Lascia perdere".
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