On the top (of the Cloud)
05-10-2012, 12:59anniversari, beatles, internet, musicaPermalink
Il cinquantenario di Love me do - un pezzo che, se l'avessi sentito quando uscì nel 1962, lo avrei considerato il Grado Zero della Musica, e i suoi autori ed esecutori meritevoli di immediato oblio - mi ha rimesso in testa una nozione: se il disco ebbe qualche riscontro, fu perché entrò nella top20 dei 45 giri: e ci entrò anche perché il manager dei Beatles, Brian Epstein, ne acquistò dalla Parlophone diecimila o più copie. "Gli era stato detto, infatti, che quello era il numero minimo di dischi da vendere per entrare nella classifica dei Top20" (Norman, 1981).
Epstein tra l'altro faceva ancora il manager nel tempo libero, di mestiere era un rivenditore di dischi. Probabilmente già ai suoi tempi la pratica di gonfiare le classifiche acquistando ingenti partite dei propri dischi era prassi comune, e non c'è motivo di pensare che in seguito sia stata debellata: non c'è nemmeno un modo per renderla illegale. Vi dispiace? Non ve ne frega niente da anni, lo so, ma io quando me ne resi conto ci rimasi un po' male, ero piccolo e alle classifiche ci credevo: se Madonna eclissava Cindy Lauper, per me non era il risultato di una strategia commerciale, ma un profondo errore in cui stava cadendo il genere umano nella sua rappresentativa maggioranza di acquirenti di dischi monitorati da istituti demoscopici super partes. Poi ho studiato i classici (Shout!, ad esempio) e ho preso atto della mia ingenuità. Sarà per questo che ora non credo più in niente. Per questo, e per il semaforo di Sozzigalli. Comunque.
Siamo adulti da un pezzo e lo sappiamo: le classifiche non ci mostrano i dischi realmente più acquistati o apprezzati, ma anche i dischi più pompati dalle case discografiche, che li incidono, li vendono e li ricomprano (e poi magari li rivendono a metà prezzo e te li ritrovi in una bancarella e pensi: ma in quante copie lo hanno stampato il tal disco dell'Alan Parson Project? Dovevano crederci proprio). Questo fenomeno, sempre esistito, probabilmente negli ultimi anni ha inciso molto di più nella composizione delle classifiche, visto che i dischi non li compra più nessuno, ma qualcuno che di mestiere prova a venderli continua ad esserci, e il suo mestiere lo deve pur fare. È molto probabile che tanti *successi* degli ultimi anni siano stati pompati così, anche se le classifiche non sono più da un pezzo così importanti nell'immaginario degli adolescenti, mi pare (mi pare).
Quello che secondo me rende la cosa oggi più assurda è il passaggio al supporto immateriale, voglio dire: Epstein quelle diecimila copie dovette pure conservarle in una stanza sul retro ("Aveva persino composto una canzoncina su tutte le copie che non era riuscito a vendere. «Qui in maggio coglieremo polvere, cantava»"). Ma quando sentiamo dire che il tale pazzo "è già primo in classifica su Itunes", concettualmente, cosa significa? Il pezzo è nella nuvola, e ci resta. La major lo ha messo in vendita su Itunes, e poi se lo è ricomprato, diciamo diecimila volte. Ogni volta ovviamente una percentuale va agli autori, un'altra a Itunes, e il resto alla major, che quindi recupera già una parte di investimento. In sostanza, pompare un singolo sulla classifica Itunes significa pagare un po' Itunes (e un po' anche gli autori). Non è illegale. Ma io ho vissuto buona parte della mia esistenza nel mondo materiale, e una cosa del genere mi sembra troppo simile a una tangente. La major mette in vendita, la major paga tot, il prodotto sale in classifica. Niente pacco di invenduti da nessuna parte, niente.
Questo è uno di quei pezzi che tra qualche anno risulterà incomprensibile: qualcuno passerà e si domanderà cosa accidenti stavo cercando di spiegare. Forse le classifiche non esisteranno più, già ora è difficile ricordarsi del motivo per cui le facevamo. Forse le canzoni si classificheranno in base ad altri criteri: la canzone più ascoltata dall'insieme di utenti che accettano che si sappia cosa ascoltano in cuffietta. Saranno senz'altro criteri più onesti.
E ci saranno altre Love me do, e io le troverò molto stupide. Per dire, il pulcino Pio, ehm, piano coi giudizi affrettati.
Epstein tra l'altro faceva ancora il manager nel tempo libero, di mestiere era un rivenditore di dischi. Probabilmente già ai suoi tempi la pratica di gonfiare le classifiche acquistando ingenti partite dei propri dischi era prassi comune, e non c'è motivo di pensare che in seguito sia stata debellata: non c'è nemmeno un modo per renderla illegale. Vi dispiace? Non ve ne frega niente da anni, lo so, ma io quando me ne resi conto ci rimasi un po' male, ero piccolo e alle classifiche ci credevo: se Madonna eclissava Cindy Lauper, per me non era il risultato di una strategia commerciale, ma un profondo errore in cui stava cadendo il genere umano nella sua rappresentativa maggioranza di acquirenti di dischi monitorati da istituti demoscopici super partes. Poi ho studiato i classici (Shout!, ad esempio) e ho preso atto della mia ingenuità. Sarà per questo che ora non credo più in niente. Per questo, e per il semaforo di Sozzigalli. Comunque.
Siamo adulti da un pezzo e lo sappiamo: le classifiche non ci mostrano i dischi realmente più acquistati o apprezzati, ma anche i dischi più pompati dalle case discografiche, che li incidono, li vendono e li ricomprano (e poi magari li rivendono a metà prezzo e te li ritrovi in una bancarella e pensi: ma in quante copie lo hanno stampato il tal disco dell'Alan Parson Project? Dovevano crederci proprio). Questo fenomeno, sempre esistito, probabilmente negli ultimi anni ha inciso molto di più nella composizione delle classifiche, visto che i dischi non li compra più nessuno, ma qualcuno che di mestiere prova a venderli continua ad esserci, e il suo mestiere lo deve pur fare. È molto probabile che tanti *successi* degli ultimi anni siano stati pompati così, anche se le classifiche non sono più da un pezzo così importanti nell'immaginario degli adolescenti, mi pare (mi pare).
Quello che secondo me rende la cosa oggi più assurda è il passaggio al supporto immateriale, voglio dire: Epstein quelle diecimila copie dovette pure conservarle in una stanza sul retro ("Aveva persino composto una canzoncina su tutte le copie che non era riuscito a vendere. «Qui in maggio coglieremo polvere, cantava»"). Ma quando sentiamo dire che il tale pazzo "è già primo in classifica su Itunes", concettualmente, cosa significa? Il pezzo è nella nuvola, e ci resta. La major lo ha messo in vendita su Itunes, e poi se lo è ricomprato, diciamo diecimila volte. Ogni volta ovviamente una percentuale va agli autori, un'altra a Itunes, e il resto alla major, che quindi recupera già una parte di investimento. In sostanza, pompare un singolo sulla classifica Itunes significa pagare un po' Itunes (e un po' anche gli autori). Non è illegale. Ma io ho vissuto buona parte della mia esistenza nel mondo materiale, e una cosa del genere mi sembra troppo simile a una tangente. La major mette in vendita, la major paga tot, il prodotto sale in classifica. Niente pacco di invenduti da nessuna parte, niente.
Questo è uno di quei pezzi che tra qualche anno risulterà incomprensibile: qualcuno passerà e si domanderà cosa accidenti stavo cercando di spiegare. Forse le classifiche non esisteranno più, già ora è difficile ricordarsi del motivo per cui le facevamo. Forse le canzoni si classificheranno in base ad altri criteri: la canzone più ascoltata dall'insieme di utenti che accettano che si sappia cosa ascoltano in cuffietta. Saranno senz'altro criteri più onesti.
E ci saranno altre Love me do, e io le troverò molto stupide. Per dire, il pulcino Pio, ehm, piano coi giudizi affrettati.
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