Quando Hollywood riscrive la Storia (Oscar 2013)
19-02-2015, 23:17cinemaPermalink"Biopic" è una parola che abbiamo preso in prestito dall'inglese non molto tempo fa. In realtà i film biografici e/o storici esistono da sempre, e con loro tutto il repertorio di errori, inesattezze, licenze drammatiche. Non abbiamo mai chiesto a un film di raccontarci tutta la verità e nient'altro che la verità, ma negli ultimi tempi la messa in scena delle frottole comincia a risultare un po' inquietante. I film probabilmente non hanno aumentato la loro dose di bugie, ma sono diventati più verosimili - e quindi anche un po' più ambigui. Questo per dire che se avete visto un biopic negli ultimi due anni, probabilmente vi siete convinti di cose non vere. Vediamo qualche esempio, tra i film candidati nelle ultime edizioni degli Oscar.
Argo, di Ben Affleck
Oscar per il miglior film, per la migliore sceneggiatura non originale, per il miglior montaggio.
Per esempio, vi ricordate Argo? Quel bel film "tratto da una storia vera" in cui per riportare a casa dall'Iran di Khomeini un gruppo di cittadini americani, l'agente CIA Ben Affleck si improvvisa produttore di un film di fantascienza? Ecco, le cose non andarono esattamente così. L'invenzione più macroscopica è il ruolo della CIA, che si prende i meriti che nella realtà dovrebbero andare all'intelligence canadese. Più comprensibile l'invenzione di un inseguimento all'aeroporto, che aggiunge un po' di azione al film, laddove nella realtà l'operazione filò molto più liscia. Sotto la pesante patina anni '80, il film contrabbanda un'ossessione per la simultaneità del tutto contemporanea: televisori dappertutto, in cucina, in bagno. Sono scatoloni ingombranti, ma stanno dove oggi starebbero tablet e notebook. Affleck e compagnia fanno il possibile per recuperare il sapore analogico dei file cartacei, delle telefonate criptate, ecc.; ma a un certo punto vogliono farci credere che bastassero pochi secondi da Washington per prenotare un aereo a Teheran: faccia refresh, dice la spia all'addetta all'imbarco, vedrà che la prenotazione c’è. Un refresh nel 1980.
Zero Dark Thirty, di Kathryn Bigelow
Oscar per il miglior montaggio sonoro. Nomination alla protagonista (Jessica Chastain), al miglior film, alla sceneggiatura originale e al montaggio.
Ancora un agente segreto contro tutti. A un certo punto di Zero Dark Thirty, l'agente Maya sembra l'unica al mondo a cui interessa ancora trovare Bin Laden. Il suo capo è esasperato: lo vuoi capire che ormai Al Qaeda è una rete di individui che si coordina su internet? Perché perdi ancora tempo con la leggenda del vecchio della montagna? Riuscire a raccontare l'operazione di intelligence che portò alla localizzazione ed eliminazione di Bin Laden come il risultato della testardaggine di un'unica donna contro il 'sistema' sembra un piccolo capolavoro di propaganda. Del resto non sapremo mai come andarono davvero le cose. Oggi conosciamo forse il nome di Maya (Alfreda Frances Bikowski), ma non ci è dato sapere quanto le servirono davvero le confessioni strappate sotto tortura dalla Cia prima dell'amministrazione Obama. La Bigelow non prende davvero posizione: non nega le torture ma ci suggerisce che se ne sarebbe potuto fare a meno; in compenso ci mostra un torturatore che sfoga il suo stress abbracciando teneramente una scimmietta. Secondo un consulente del dipartimento di Stato il film esagera l'importanza della tortura e minimizza il ruolo di Obama. Che altro dovrebbe dire un uomo di Obama? Forse tra cinquant'anni qualche faldone verrà desecretato e si potrà fare un film più obiettivo. Nel 2012 era troppo presto, decisamente. Alla fine del film mi rimane soprattutto la sublime metafora involontaria di quell'Hummer pieno di agenti Cia che gira in tondo per le stradine polverose di un quartiere pakistano senza che nessuno sembri farci caso.
The Master, di Paul Thomas Anderson.
Nomination al migliore attore protagonista (Joaquin Phoenix), e ai migliori attore e attrice non protagonisti (P.S.Hoffman e Amy Adams).
Non è un film su Ron Hubbard. Così ha spiegato per mesi il regista, prima ai finanziatori titubanti e poi ai critici. Il personaggio di Hoffman, che come Ron Hubbard aveva iniziato scrivendo romanzi pulp, in effetti si chiama in un modo diverso - Amy Adams no, si chiama proprio Mary Sue, come la terza moglie di Hubbard. La strana famiglia passa molto tempo in mare, probabilmente per sfuggire a certe indagini federali - proprio come Hubbard, che si autonominò commodoro di una piccola flotta al largo del Portogallo. Il marito ha un figlio scettico che considera il padre un imbroglione. Un figlio di Hubbard cambiò il cognome. Le tecniche di auditing assomigliano a quelle di Scientology. I contratti con termine a un miliardo di anni furono a un certo punto somministrati agli adepti di Scientology. Però P.T.Anderson ha ragione: non è un film su Scientology, non solo per questioni legali. La storia si concentra sulle esperienze del marinaio Freddy, che dopo la guerra entra nell'orbita di una setta pseudoscientifica, sviluppando un rapporto complesso col suo fondatore. Freddy è un personaggio di finzione: il suo punto di vista è interessante, ma inventato di sana pianta. La sensazione di assistere dal di dentro alla nascita di una religione contemporanea è forte, ma completamente illusoria.
No, di Pablo Larraín.
Nomination al miglior film straniero.
No non è propriamente cosa di Hollywood, ma è piaciuto anche là, e soprattutto è un caso limite. Girato nel formato 4:3 e nelle tinte pacchiane dei tv color degli anni '80, il film racconta la storia del referendum che pose fine al regime di Pinochet dalla parte di un giovane pubblicitario che crede di poter sloggiare un dittatore con gli stessi mezzi con cui si vendono bibite frizzanti e forni a micro-onde, e forse ha ragione. Ovviamente dal Cile molti ci hanno fatto sapere che le cose non andarono esattamente così, che il quarto d'ora di pubblicità anti-Pinochet concesso dal regime fu importante ma non determinante, e che a sconfiggere il dittatore fu il coraggio dei volontari che convinsero i cittadini a registrarsi per votare eccetera. Larraín ha risposto che non era sua intenzione mostrare la realtà: ma il suo film si amalgama così bene con gli spot d'annata che è letteralmente impossibile capire quali spezzoni siano falsi e quali veri. A un certo punto compare lo stesso Pinochet, e il regista racconta divertito di aver ricevuto dei complimenti per la somiglianza dell'attore. Probabilmente Larraín non voleva falsificare la memoria storica, ma ci ha dimostrato che i mezzi tecnici per farlo sono già a nostra disposizione.
Lincoln, di Steven Spielberg.
Oscar per il migliore attore protagonista (Daniel Day-Lewis) e per le scenografie.
È "il tradimento dell'opera dello storico", "un sogno", ha dichiarato a un certo punto Spielberg. Un modo elegante per ammettere che lo sceneggiatore Tony Kushner non era riuscito a rendere abbastanza avvincente o simbolica la battaglia parlamentare sul tredicesimo emendamento senza inventarsi dettagli di sana pianta. La moglie di Lincoln che assiste a una seduta del congresso (accompagnata dalla serva afroamericana)? Soldati che recitano a memoria i discorsi del presidente - come se fossero in grado di leggerli su qualche quotidiano che nemmeno li riportava integralmente? E a proposito dell'ossessione per la simultaneità: il generale Grant sul fronte non ha niente di meglio da fare che seguire una noiosa votazione del Congresso in diretta telegrafica? Il film sposa del tutto una tesi discutibile: c'era un solo momento per abolire la schiavitù su tutto il territorio dell'Unione, e Lincoln doveva coglierla a ogni costo, prolungando la guerra e corrompendo il corrompibile. Gli storici sono un po’ più scettici: all’abolizione si sarebbe anche arrivati in altri modi, non è detto che il decisionismo di Lincoln (in altri casi molto più prudente) sia stato il metodo migliore. Anzi, la politica radicale perseguita dai Repubblicani di Thaddeus Stevens (il memorabile Tommy Lee Jones) fallì, platealmente, nel tentativo di trasformare di punto in bianco gli schiavi delle piantagioni in cittadini elettori. Un secolo dopo in molti stati del Sud vigeva ancora la segregazione. Ma questo è un altro film...
Argo, di Ben Affleck
Oscar per il miglior film, per la migliore sceneggiatura non originale, per il miglior montaggio.
Per esempio, vi ricordate Argo? Quel bel film "tratto da una storia vera" in cui per riportare a casa dall'Iran di Khomeini un gruppo di cittadini americani, l'agente CIA Ben Affleck si improvvisa produttore di un film di fantascienza? Ecco, le cose non andarono esattamente così. L'invenzione più macroscopica è il ruolo della CIA, che si prende i meriti che nella realtà dovrebbero andare all'intelligence canadese. Più comprensibile l'invenzione di un inseguimento all'aeroporto, che aggiunge un po' di azione al film, laddove nella realtà l'operazione filò molto più liscia. Sotto la pesante patina anni '80, il film contrabbanda un'ossessione per la simultaneità del tutto contemporanea: televisori dappertutto, in cucina, in bagno. Sono scatoloni ingombranti, ma stanno dove oggi starebbero tablet e notebook. Affleck e compagnia fanno il possibile per recuperare il sapore analogico dei file cartacei, delle telefonate criptate, ecc.; ma a un certo punto vogliono farci credere che bastassero pochi secondi da Washington per prenotare un aereo a Teheran: faccia refresh, dice la spia all'addetta all'imbarco, vedrà che la prenotazione c’è. Un refresh nel 1980.
Zero Dark Thirty, di Kathryn Bigelow
Oscar per il miglior montaggio sonoro. Nomination alla protagonista (Jessica Chastain), al miglior film, alla sceneggiatura originale e al montaggio.
Ancora un agente segreto contro tutti. A un certo punto di Zero Dark Thirty, l'agente Maya sembra l'unica al mondo a cui interessa ancora trovare Bin Laden. Il suo capo è esasperato: lo vuoi capire che ormai Al Qaeda è una rete di individui che si coordina su internet? Perché perdi ancora tempo con la leggenda del vecchio della montagna? Riuscire a raccontare l'operazione di intelligence che portò alla localizzazione ed eliminazione di Bin Laden come il risultato della testardaggine di un'unica donna contro il 'sistema' sembra un piccolo capolavoro di propaganda. Del resto non sapremo mai come andarono davvero le cose. Oggi conosciamo forse il nome di Maya (Alfreda Frances Bikowski), ma non ci è dato sapere quanto le servirono davvero le confessioni strappate sotto tortura dalla Cia prima dell'amministrazione Obama. La Bigelow non prende davvero posizione: non nega le torture ma ci suggerisce che se ne sarebbe potuto fare a meno; in compenso ci mostra un torturatore che sfoga il suo stress abbracciando teneramente una scimmietta. Secondo un consulente del dipartimento di Stato il film esagera l'importanza della tortura e minimizza il ruolo di Obama. Che altro dovrebbe dire un uomo di Obama? Forse tra cinquant'anni qualche faldone verrà desecretato e si potrà fare un film più obiettivo. Nel 2012 era troppo presto, decisamente. Alla fine del film mi rimane soprattutto la sublime metafora involontaria di quell'Hummer pieno di agenti Cia che gira in tondo per le stradine polverose di un quartiere pakistano senza che nessuno sembri farci caso.
The Master, di Paul Thomas Anderson.
Nomination al migliore attore protagonista (Joaquin Phoenix), e ai migliori attore e attrice non protagonisti (P.S.Hoffman e Amy Adams).
Non è un film su Ron Hubbard. Così ha spiegato per mesi il regista, prima ai finanziatori titubanti e poi ai critici. Il personaggio di Hoffman, che come Ron Hubbard aveva iniziato scrivendo romanzi pulp, in effetti si chiama in un modo diverso - Amy Adams no, si chiama proprio Mary Sue, come la terza moglie di Hubbard. La strana famiglia passa molto tempo in mare, probabilmente per sfuggire a certe indagini federali - proprio come Hubbard, che si autonominò commodoro di una piccola flotta al largo del Portogallo. Il marito ha un figlio scettico che considera il padre un imbroglione. Un figlio di Hubbard cambiò il cognome. Le tecniche di auditing assomigliano a quelle di Scientology. I contratti con termine a un miliardo di anni furono a un certo punto somministrati agli adepti di Scientology. Però P.T.Anderson ha ragione: non è un film su Scientology, non solo per questioni legali. La storia si concentra sulle esperienze del marinaio Freddy, che dopo la guerra entra nell'orbita di una setta pseudoscientifica, sviluppando un rapporto complesso col suo fondatore. Freddy è un personaggio di finzione: il suo punto di vista è interessante, ma inventato di sana pianta. La sensazione di assistere dal di dentro alla nascita di una religione contemporanea è forte, ma completamente illusoria.
No, di Pablo Larraín.
Nomination al miglior film straniero.
No non è propriamente cosa di Hollywood, ma è piaciuto anche là, e soprattutto è un caso limite. Girato nel formato 4:3 e nelle tinte pacchiane dei tv color degli anni '80, il film racconta la storia del referendum che pose fine al regime di Pinochet dalla parte di un giovane pubblicitario che crede di poter sloggiare un dittatore con gli stessi mezzi con cui si vendono bibite frizzanti e forni a micro-onde, e forse ha ragione. Ovviamente dal Cile molti ci hanno fatto sapere che le cose non andarono esattamente così, che il quarto d'ora di pubblicità anti-Pinochet concesso dal regime fu importante ma non determinante, e che a sconfiggere il dittatore fu il coraggio dei volontari che convinsero i cittadini a registrarsi per votare eccetera. Larraín ha risposto che non era sua intenzione mostrare la realtà: ma il suo film si amalgama così bene con gli spot d'annata che è letteralmente impossibile capire quali spezzoni siano falsi e quali veri. A un certo punto compare lo stesso Pinochet, e il regista racconta divertito di aver ricevuto dei complimenti per la somiglianza dell'attore. Probabilmente Larraín non voleva falsificare la memoria storica, ma ci ha dimostrato che i mezzi tecnici per farlo sono già a nostra disposizione.
Lincoln, di Steven Spielberg.
Ultimamente la somiglianza dei protagonisti è inversamente proporzionale alla qualità del prodotto. |
È "il tradimento dell'opera dello storico", "un sogno", ha dichiarato a un certo punto Spielberg. Un modo elegante per ammettere che lo sceneggiatore Tony Kushner non era riuscito a rendere abbastanza avvincente o simbolica la battaglia parlamentare sul tredicesimo emendamento senza inventarsi dettagli di sana pianta. La moglie di Lincoln che assiste a una seduta del congresso (accompagnata dalla serva afroamericana)? Soldati che recitano a memoria i discorsi del presidente - come se fossero in grado di leggerli su qualche quotidiano che nemmeno li riportava integralmente? E a proposito dell'ossessione per la simultaneità: il generale Grant sul fronte non ha niente di meglio da fare che seguire una noiosa votazione del Congresso in diretta telegrafica? Il film sposa del tutto una tesi discutibile: c'era un solo momento per abolire la schiavitù su tutto il territorio dell'Unione, e Lincoln doveva coglierla a ogni costo, prolungando la guerra e corrompendo il corrompibile. Gli storici sono un po’ più scettici: all’abolizione si sarebbe anche arrivati in altri modi, non è detto che il decisionismo di Lincoln (in altri casi molto più prudente) sia stato il metodo migliore. Anzi, la politica radicale perseguita dai Repubblicani di Thaddeus Stevens (il memorabile Tommy Lee Jones) fallì, platealmente, nel tentativo di trasformare di punto in bianco gli schiavi delle piantagioni in cittadini elettori. Un secolo dopo in molti stati del Sud vigeva ancora la segregazione. Ma questo è un altro film...
Comments (4)