Intermezzo
01-04-2010, 09:29Bologna, musica, sessoPermalinkIl calcinculo dell'85
Ma chi l'ha poi detto che questo è un sito politico, che io debba scrivere le cose politiche, chi l'ha deciso. Musica. Adesso scrivo di musica.
Ho sentito l'ultimo pezzo dei Baustelle, l'album non ancora. Il pezzo mi entrerà in testa come tutti gli altri, persino Irene Grandi c'è riuscita, ma quella sensazione claustrofobica che mi fanno provare da qualche anno in qua le canzoni di Bianconi merita un'analisi. Mi sembra che stia giocando con la mia educazione musicale. Mi sveglio nella mia cameretta del 1996, con qualche oggetto fuori posto. C'è sempre qualche elemento diverso, questa volta il trombone, che è appena arrivato e sembra che sia sempre stato lì, con un po' di sforzo posso anche risalire alla fonte originale, ma il punto è, perché debbo fare questo sforzo? Sono prigioniero nella testa del compositore Bianconi? Bianconi è prigioniero nella mia? Non potremmo entrambi aprire le finestre, farci un giro, ascoltare musica diversa, i dervisci, la dodecafonia... quando ascolti Bianconi ti tornano in mente gli incubi degli ingegneri, quelli che dicono che essendo le note solo sette (una più una meno) tutte le canzoni saranno prima o poi scritte, e questo infallibilmente succederà, anzi è già successo, probabilmente nel 1966 (per questo le avanguardie erano ochei). Poi sarebbe ingiusto non notare come lo stesso Bianconi provi ogni volta a metterci qualcosa di diverso; però la sensazione, è quella degli stilisti che sfogliano vecchie riviste alla ricerca affannosa di qualcosa di 'nuovo', nel senso di qualcosa che nessuno si è ricordato di copiare da almeno dieci anni. Il video ribadisce l'idea: stavolta ci mette barattoli Campbell e telefoni rossi, l'altra volta erano poltrone di plastica, la prossima (tiro a indovinare) avremo fiat Centoventisette e tinelli marron. Il catalogo però ha i fogli sempre più sgualciti.
Detto questo non voglio cimentarmi nel tiro al Bianconi, sport fin troppo popolare. In fondo è uno dei pochi a cui il mestiere sta andando bene. Tira un disco ogni due anni, media notevole per i tempi, e alla gente piace; piace senza bisogno di andare in tv a fare la rivoluzione culturale o vantare le proprietà antidepressive di qualche droga pesante; è anche riuscito a trovare un'interprete popolare, ha già scritto un paio di canzoni degne entrambe di figurare a Sanremo senza essere brutte canzoni. Si deve chiedere qualcosa di più a un compositore di musica leggera? Perché Bianconi questo è, anche se forse a noi piace ricordarcelo giovane virgulto indie, ma è stato una vita fa. La musica, almeno questo tipo di musica, è una disciplina intuitiva, in cui le tue cartucce migliori le spari da giovane. In seguito, la fine va da sé (è inevitabilè). Se hai fatto abbastanza soldi campi di rendita; sennò amen, ti trovi un altro mestiere. Questo pone un grosso problema agli artisti italiani, che per arrivare al mainstream devono farsi gavette decennali. Come i Baustelle: sono in giro già da sedici anni. Tanto per il gusto del paragone assurdo: i Beatles sono durati la metà. I Rolling Stones il doppio, ma dopo sedici anni erano già all'autoparodia. Persino Bacharach ha scritto tutto quel che doveva scrivere in dieci anni. È un fuoco accecante ed effimero, la musica leggera. D'altro canto, con un po' d'impegno e molta fortuna, si può rimanere aggrappati a quei due o tre bei dischi che hai fatto quando non ti conoscevano in molti, e trasformare le tue intuizioni giovanili in mestiere. Si tratta di ricombinare le idee che hai già avuto, magari rendendole più dirette, più appetibili, ora che hai capito più i gusti del grande pubblico e hai bisogno di soldi per il mutuo. Io non ce l'ho coi mestieranti. Mi fanno una grandissima malinconia gli artisti che dopo dieci, quindici anni di tentativi (spesso ottimi) appendono gli strumenti al chiodo e si rassegnano alla vita. Per esempio, ho sentito che si sarebbero sciolti i Settlefish: mi dispiace. Me li ricordo mentre salgono sulla torre degli asinelli cantando, e quando arrivano in cima i turisti non applaudono: ecco, l'arte è questa qui, regalar canzoni senza avere in cambio nemmeno un grazie. Ma quanto si può vivere così? Dieci anni, quindici probabilmente sono il massimo. Poi, se decidi di restare in circolazione, la tua arte devi trasformarla in mestiere. E non c'è niente di male, sul serio, è inevitabile rifriggere la stessa canzone ogni due anni; le note sono sette, fuori c'è un pubblico che paga esattamente per quel tipo di cose, aggiungi il mutuo, la famiglia... sentite come sto invecchiando mentre faccio queste considerazioni? Mi cadono i capelli, tutti, tra le fessure della tastiera.
Perché in tutto questo rischio di dimenticarmi che comunque stiamo parlando di musica leggera, roba da ragazzini, e quindi al massimo il problema sono io, che tutte le melodie di Bianconi le ho già sentite ricombinate in un modo lievemente diverso per il semplice motivo che ho passato troppa vita a orecchiare melodie; per il solito motivo che alla mia età ormai dovrei dedicarmi a cose più serie, la dodecafonia appunto, o risolvere l'enigma finale dell'Arte della Fuga; ma là fuori ci sono i ragazzini, che il trombone suonato in quel certo modo non l'hanno mai sentito e d'ora in poi lo considereranno una cosa da Baustelle, mentre invece le parole tristi al pianoforte sono cosa da Morgan. E ne hanno il diritto. Di trovare originale Lady Gaga, che, discorso immagine a parte, non tira fuori niente che non si potesse già sentire su un calcinculo nel 1985, ma vuoi negare a qualcuno il diritto di salire sul turbinante calcinculo del 1985? O di farsi stantuffare dallo stallone negro Jimi Hendrix? No, aspettate, spiego.
È successo la scorsa settimana che mi sono arrabbiato molto, probabilmente troppo, per una copertina di Rolling Stone che prendeva uno dei chitarristi più innovativi e geniali del secolo scorso, James Marshall Hendrix detto Jimi, e lo sbatteva in faccia al lettore così: altro che chitarra, la sua vera arma l'aveva tra le gambe. Un'immagine che, analizzata, rivela un 43% di sessismo, un 29% di razzismo, un 26% di trasgrescio cazzara, tracce sparse di necrofilia, passione per la musica non pervenuta. Qualche anno fa sarei divampato direttamente qui, fortuna che adesso ci sono i social network per sbollire. E allora i seguaci su friendfeed mi hanno detto tante cose, per esempio che non devo giudicare una rivista dalla copertina (la rivista no, ma la copertina da cosa dovrei giudicarla se non dalla copertina?) Oppure: cosa vuoi, in fondo è Rolling Stone, mica una rivista di musica... e parlando di lifestyle, in fondo Jimi Hendrix era anche quello: un pisello nero in libertà in un mondo ancora in mano ai bianchi. Può darsi, ma questa storia del lifestyle non mi convince.
Continuiamo a sfogliare il passato come una rivista da cui rubare idee, di solito immagini – in effetti ce ne sono di fantastiche, ma poi le mettiamo indosso ai nostri fantasmi. Il sesso interrazziale è un argomento attuale, adesso, qui, che giustamente fa vendere copie: (il numero contiene servizi sul turismo sessuale al femminile, esperienze interraziali ecc.), però bisogna per forza nobilitarle schiaffandoci sopra un nume tutelare del passato, un pisello della Storia del rock. Non facciamo che deformare la Storia, adeguandola alle nostre ansie 2010 (prestazioni, dimensioni, mercato, tutte cose che quarant'anni fa erano per forza diverse). A quel punto il passato ti si sgualcisce in mano, la famosa Storia del famoso Rock diventa una galleria di vip strafatti o sessuomani, più o meno il canone di metà anni Settanta che in teoria il punk avrebbe spazzato via. Ma probabilmente a RS sono convinti che il punk sia soltanto un'altra generazione di vip strafatti; che il “Rock” in genere consista in una genealogia di vip strafatti per l'invidia dei discepoli, e a quel punto, davvero, si arriva a Berlusconi rockstar: chi più vip strafatto e puttaniere di lui? Se ci alleniamo a invidiare Bowie o Jagger, come facciamo a non invidiare anche lui? Ma a pensarci bene anche Leonida Breznev, quando faceva chiudere al traffico la Prospettiva di Leningrado per cercare di ammazzarsi guidando auto occidentali ad altissima velocità, era molto rock'n'roll, fateci una copertina. Detto questo, insomma, perché prendersela tanto, hanno ragione, non è mica musica, è Rolling Stone. Ma infatti. Non sapevo neanch'io perché me la stavo prendendo tanto. Poi domenica c'era il sole, ho fatto un giro a Bologna, e ho capito.
Ecco, è molto semplice: in un pacco costipato nei jeans voi ci vedete la leggenda del rock, io ci vedo Beppe Maniglia. Questo chiude ogni discussione.
(Si paga a duro prezzo, l'educazione bolognese, è un mutuo a vita).
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