Il miglior Nessuno

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Come presenti Omero agli undicenni? Le ore a disposizione sono una manciata, i pochi rudimenti di Storia antica un ricordo lontano. Molti hanno difficoltà a leggere una frase in italiano corrente: per loro il traduttese della Calzecchi Onesti è un'altra lingua straniera. Il rischio è quello di buttar tutto in favoletta; con la scusa dei contenuti universali trasformare l'ira di Achille nella foga di un tronista tamarro (quello che fece Brad Pitt). Mentre invece Omero non ci somiglia per niente: anche quando sembra parlarci di cose che conosciamo, basta voltarsi un attimo e ci sorprende lo straniero, l'arcaico: un dio incestuoso, un gigante cannibale innamorato dei suoi armenti, una madre che è uno spettro assetato di sangue.

Come presento Omero agli undicenni? Sembra impossibile, in realtà c'è una soluzione a portata di vhs: l'Odissea di Franco Rossi. Sì, proprio quell'obsoleto sceneggiato girato a colori per una tv di Stato che era ancora in bianco e nero, con un Polifemo di cartapesta a cura della famiglia Bava e Irene Papas a casa a tesser tele. Datato, datatissimo. Fino a qualche anno fa non avrei scommesso un euro sulla possibilità che qualcosa di tanto statico potesse essere propinato con successo a classi di preadolescenti iperattivi.

E invece, incredibilmente, funziona. È talmente fuori dal tempo che li ipnotizza. Sono così abituati a movimenti di camera frenetici, che di fronte a un paesaggio fermo e a una voce fuori campo vanno in estasi metafisica. In un certo senso è il primo vero film che riescono a capire. Tutto quello che hanno visto fino a quel momento andava troppo velocemente per salire al cervello. Ora finalmente possono trovare sullo schermo un po' di silenzio, di quiete, ed è qualcosa che nemmeno immaginavano di poter apprezzare.

Per chi è nato a fine Novanta uno sceneggiato del '68 è arcaico quasi quanto Omero. Un film senza effetti digitali è un oggetto misterioso in sé. Le sirene restano fuori campo e non si scacciano dal cervello; gli dei che appaiono all'improvviso senza flash luminosi ricominciano quasi a far paura. Non è una questione di budget, bisogna essere onesti. Rossi e la sua troupe italo-franco-tedesco-jugoslava si stavano liberando consapevolmente di tutta la sintassi dei peplum. Volevano essere arcaici e, per tutti gli Dei, ce l'hanno fatta. L'unico paragone che mi viene in mente sono le tragedie di Pasolini (ma la Medea con la Callas è dell'anno successivo; fino a quel momento si era visto soltanto l'Edipo Re). Magari mi sfuggono dei riferimenti, non è che me intenda. Quel che posso dire, da operatore sul capo, è che funziona. L'Ulisse a cui si affezionano i ragazzini non è un supermario che passa di mostro in mostro e alla fine raggiunge la regina nel castello. È un uomo in un mondo alieno e ostile, che ha commesso crimini e imperdonabili imprudenze. Ostinato a voler tornare; rassegnato a perdere tutti quelli che incontra, secondo il capriccio degli Dei.

È anche merito dell'attore, quell'umanissimo e misterioso Bekim Fehmiu. Ai ragazzi racconto che è albanese: in fondo Itaca non è molto lontano, e non è poca gloria essere connazionali del re di tempeste. In realtà era jugoslavo della minoranza albanese (cossovara?), ma la Jugoslavia non esiste più, e studenti cossovari non mi sono ancora capitati. È l'uomo che ammette in lacrime di essere stato esecutore del genocidio dei troiani; l'uomo che abbraccia l'ombra della madre; che perde la ragione ascoltando le Sirene. Ed è l'uomo che riconquisterà la sua casa massacrando i proci, perché così vogliono gli dei. Così vorrebbero anche i ragazzini, in teoria. Lo sceneggiato li ha caricati come molle: sin dall'inizio Antinoo e soci sono stati presentati come prepotenti da western, accampati nella reggia come in un saloon. Nei panni del mendicante, Fehmiu si è fatto schernire per più di mezz'ora prima di prendere l'arco in mano. Deve scorrere il sangue, e scorrerà. Ma non sarà divertente. 

È una mattanza senza gloria, lontana millenni da qualsiasi scena madre di action movie: i condannati smettono all'istante di sembrare antipatici. Sono chiusi in trappola, presi alle spalle e scannati come animali; le donne urlano, Penelope si tappa le orecchie. Lo stesso Ulisse a un certo punto non ne può più, intuisce che la storia non ha senso. E allora da un angolo appare un dio, travestito da amico di famiglia, a ribadire le ragioni della mattanza. Le ragioni di dei capricciosi e assetati di sangue: la morale è una favoletta stantia, ha le sembianze di tre vecchie bigotte.

Bekim Fehmiu è morto martedì. Il suo Ulisse, ipnotico e dubbioso, resta con noi. Non sarà un capolavoro, ma è il migliore Ulisse che si possa mostrare a un ragazzino. Credo che lo resterà ancora per tantissimi anni.
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