Proprio come un blues del vecchio Dylan bloccato sulle rive del Colorado River mentre lo aspettano a Stoccolma

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I'm a poet, I know it, hope I don't blow it.

Oltre a un autoritratto di Bob Dylan, è anche un disco di
straordinaria, enigmatica bruttezza.
Su Dylan si può dire qualsiasi cosa (lui smentirà comunque). Non canta mai la stessa canzone, non racconta mai la stessa versione dei fatti. Se i giurati del Nobel non riescono a trovarlo al telefono, la prima cosa che viene in mente è che non li ritenga degni di una sua risposta. Ma siccome su di lui si può dire qualsiasi cosa, io preferisco immaginarmelo in una camera d'albergo in penombra mentre si rigira pensoso e si domanda: ma che ci vado a fare a Stoccolma? Perché premiano me? Non lo sanno, non lo hanno ancora capito che non sono più io? Se la sindrome dell'impostore è una delle più diffuse tra i professionisti, perché non potrebbe soffrirne anche l'uomo chiamato Bob Dylan, che mezzo secolo fa incise sei dischi memorabili e poi ha passato il resto della vita a convivere con una fama che lui per primo riteneva eccessiva, innecessaria?

You got a lotta nerve to say you are my friend

Dopo 25 anni che l'ascolto, non sono ancora sicuro se mi piace o no. L'unica certezza, è che nessuno mi ha fatto ascoltare così tanti dischi brutti. Probabilmente nessuno ha fatto più dischi brutti di Bob Dylan: nessun altro poteva permettersi tanti passi falsi, e tanto pesanti. La storia è nota: nel '62 è uno dei tanti ragazzi che cerca di farsi notare cantando testi politici su vecchi giri di chitarra folk, una sottocultura che sarebbe stata probabilmente dimenticata di lì a poco se proprio lui non avesse impresso al genere un'accelerazione improvvisa. Reminiscenze bibliche, intonazioni sardoniche e picaresche, sketch satirici, una zuppa di tante cose che rendono i suoi quattro dischi folk un ascolto godibile ancora a cinquant'anni di distanza. Poi, quando tutti sapevano ormai cosa aspettarsi dal buon vecchio Bob Dylan, la svolta elettrica: il cantautore liquida improvvisamente l'attivismo politico, mette insieme una band come quelle che vanno in Inghilterra, tratta da poveri fanatici i suoi vecchi sostenitori, e realizza altri tre dischi, altri tre capolavori di un genere che non esisteva, che si inventa lui traccia dopo traccia. Dylan appartiene alla storia della musica, alla storia della lirica inglese e, fino al 1966, alla storia del costume: la sua prima apparizione elettrica al festival di Newport sancisce la nascita della rockstar del Novecento, quella che non si lascia etichettare dal genere musicale di appartenenza, ma cambia continuamente le carte in tavola. Se Dylan non avesse abbandonato il folk per il rock, se Dylan non avesse dimostrato che il pubblico seguiva il personaggio e non il genere musicale, i Beatles sarebbero rimasti una boy band? Il successo è immenso e insostenibile. Alla vigilia di un tour con sessanta date fa un incidente in moto e muore a 25 anni prima di poter invecchiare e vincere un Nobel: molto prima che a qualcuno possa venire in mente di consegnarglielo.

The gypsy's door was open wide, but the gypsy was gone.

Rock Dreams
Oppure sopravvive a sé stesso: prende moglie, mette su casa, tre bambini, e un po' di musica con gli amici nel pomeriggio per tenersi impegnato. Gli anni Sessanta sono appena entrati nella metà più complicata, e lui si è già tirato fuori dai giochi. Non è più lui, non è quello che cercano, persino la voce gli è cambiata. È ancora un musicista - un musicologo addirittura, più che scrivere musica cerca di scoprire quella che c'è già, sepolta in vecchi dischi a volte persino suoi. La gente glieli compra, la gente crede ancora nel grande Bob Dylan che prima o poi tornerà in forma: il country e gli altri esperimenti sono solo una fase, una maschera, si sa che i divi del rock hanno questi momenti. Dylan in effetti tornerà in forma, ma dovrà reimparare a scrivere da capo. Qualcosa si perderà per sempre nel processo. Ci saranno altri dischi godibili e altri dimenticabili - pubblicati con l'impudenza di un artista che sa che qualsiasi cosa gli sarà perdonata. Chi poi si lamenta del fatto che i giurati del Nobel siano rimasti all'estetica di 40 anni fa, sembra non notare che forse Dylan era più in forma negli anni Novanta che per buona parte degli anni Settanta; forse ha scritto cose più interessanti negli ultimi vent'anni che nei venti precedenti.

I'm just average, common too, I'm just like him, the same as you. I'm everybody's brother and son, I ain't different than anyone. It ain't no use a-talking to me: it's just the same as talking to you.

Anche Dylan a metà anni Settanta soffriva di quella peculiare alienazione dei divi dell'epoca, sempre più distanti dal loro pubblico; anche Dylan a un certo punto cominciò a mettersi in maschera sul palco, ma alla fine di It Ain't Me Babe doveva pur suonare l'armonica e quindi se la levava. Tutti gli schermi che ha provato, tutte le conversioni, non hanno veramente funzionato. Qualche travestimento gli è comunque rimasto sottopelle ed è finito per far parte della persona di cui ogni tanto sentiamo parlare. In fondo non è quello che succede a tutti? Salvo che a tutti non capita di fare la storia della musica a vent'anni. Però davvero: da ragazzini campiamo di intuizioni. Crescendo facciamo qualche incidente, mettiamo famiglia, ci arrabattiamo come possiamo, da qualche parte in noi c'è ancora un po' dell'antico genio ma lo ritroviamo sempre meno spesso. Nel frattempo cerchiamo almeno di imparare un mestiere, Dylan ad esempio ha provato a diventare un buon musicista. Con esiti alterni. E poi diciamo bugie, quante ne diciamo.

I was so much older then...

Dal '66 in poi, Dylan e la Storia cominciano a divergere. Anche lui come Bowie cambierà più volte genere e travestimenti, ma mentre Bowie sarà sempre impegnato ad anticipare le mode o a cavalcarle, Dylan sembra periodicamente assorto in un tentativo di segno opposto. Country nel periodo psichedelico, fervente cristiano nei grassi anni Ottanta, di nuovo folk negli anni dell'hip-hop, e ultimamente canta Sinatra e altri successi natalizi. Non è mai dove lo vogliamo, sarebbe strano vederlo a Stoccolma.
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