Assedio in pausa caffè
05-01-2011, 12:20deliri, dialoghi, giornalisti, lavoro, raccontiPermalinkLa visita d'istruzione
“Ehm, professore...”
Eh? Cosa? Come? Che c'è? Sono in pausa caffè.
“Professore, la pausa caffè era due ore fa”.
E allora? Mi serve concentrazione. Avevo anche messo fuori il cartellino do not disturb.
“Professore, mi scusi eh, ma ultimamente quando si concentra russa così forte che tremano i vetri di mezza redazione. E poi... sarebbe arrivata la classe”.
La che?
“Non si ricorda? La classe di quinta elementare, in gita d'istruzione, ci aveva detto che le mostrava il reparto”.
Aaah, già, la classe... che seccatura.
“Li faccio entrare?”
Un attimo, prendo un caffè.
“Professore, ma è sicuro che tutti questi caffè le facciano bene?”
E tu che ne sai, ragazzino.
“Professore, ho cinquantadue anni io ormai”.
Appunto, ne devi mangiare di crostini ancora... Aspetta cinque minuti e poi falli entrare, ok?
“Allora bambini, se adesso fate silenzio, siamo arrivati nella parte della redazione oserei dire più... più nobile. Si può dire 'più nobile', professore?”
Ma sì, dica pure.
“È il reparto editoriali! Chi è che sa cosa sono gli editoriali?”
“Ioìo”.
“Noioìo”
“Allora dillo tu, Kevin”.
“Sono quelle colonnine scritte fitte fitte che stanno sui lati della prima pagina, è come se tenessero su la testata”.
“Miopapà dice che solo colonnine di chiacchiere che fanno discutere la gente”.
“Ah, ah, ah, Jonathan, non devi sempre credere a quello che dice papà... li scusi, professore... sono piccoli... credono un po' a tutto quello che gli si dice...”
Ma non ha tutti i torti, Jonathan.
“Ora, bambini, fate molta attenzione perché questo signore è il caporeparto, ed è uno degli editorialisti più letti d'Italia, e proprio lui ha accettato di mostrarci il suo luogo di lavoro, e di spiegarci come si fanno gli editoriali, pensate”.
Dunque, se prima di venire qui siete passati negli altri reparti, avrete notato che dappertutto c'era una cosa che qui manca, chi mi sa dire cos'è?
“Ioìoìo!”
Va bene, dimmelo tu.
“In tutti gli altri reparti c'erano tubi e cavi che portavano informazioni, e qui non ce n'è neanche uno”.
Esatto. Perché, come ha detto il vostro compagno prima, gli editoriali servono a far discutere la gente, e per far discutere non c'è bisogno di dare informazioni di prima mano, anzi, si rischia di distrarre il lettore. Questa è la prima cosa da sapere, quando si lavora al reparto editoriali: mai mettere un'informazione di prima mano, al massimo solo cose già rimasticate dagli altri reparti. Cosa che il lettore già sa, insomma.
“Ma se la gente le sa già perché le vuole rileggere?”
Perche gliele riscrivo io, che sono una persona importante, vedi come mi vesto? Ho anche la cravatta, qualche volta vado in tv - ma non troppo. Così, se tuo papà legge le cose che pensa già nel mio articolo, si convince che se le penso anch'io devono essere cose intelligenti.
“Mio papà legge solo Tuttosport”.
Funziona anche con Tuttosport. In questo reparto quindi noi lavoriamo con delle idee semplici semplici, che possono venire in mente ai vostri papà e alle vostre mamme, vedete? Stanno in quel cestone, il cestone dei Luoghi Comuni, noi li chiamiamo così. Allora tutte le volte che serve un editoriale, io prendo uno o due luoghi comuni (ma è meglio prenderne uno solo per volta) e li assemblo su una scocca. Per esempio, adesso ne pesco uno...
“Professore, ci fa provare?”
“Ioìoìo!”
Guardate che è un lavoro difficile, di responsabilità... oh, va bene. Tu, con le treccine, afferra un Luogo Comune.
“Ma quale devo prendere?”
Il primo che ti viene in mano.
“Questo?”
Leggi cosa c'è scritto.
“I-metalmeccanici-devono-rimboccarsi-le-maniche-perché-c'è-la globalizzz...”
...la globalizzazione.
“Cosa vuol dire globalizzazione?”
Che nel mondo, che è un globo, c'è sempre più gente disposta a fare il lavoro di tuo papà per meno euro all'ora, e quindi tuo papà deve sforzarsi di lavorare di più, meno pause caffè e meno gabinetto, eccetera.
“Ma mio papà è in cassa integrazione a zero ore”.
Parlavo in generale. Dunque, ora che abbiamo preso questo bel Luogo Comune, lo montiamo su una scocca. Le scocche sono da questa parte... sono intelaiature, come vedete”.
“Quanta polvere! Eccì!”
Sì, sono modelli molto antichi, in effetti sono più o meno le stesse intelaiature che si usano dall'invenzione del giornalismo, nel Seicento... ma alcuni erano in giro già ai tempi della retorica antica, una materia che voi a scuola non studiate.
“Studiamo Harry Potter”.
Meglio così, certe cose non sono per tutti.
“Ma non ho capito, scusa professore, a cosa servono queste cocche?”
Scocche. Vedi, cara bambina, a tirar fuori un concetto dal cestone dei luoghi comuni sono buoni tutti, ma inserire un luogo comune in un'intelaiatura di processi logici è una cosa molto più complicata. La scocca è la base di tutto, perché rende i luoghi comuni resistenti al senso critico. E dev'essere aerodinamica, nel senso che deve offrire meno attrito possibile agli argomenti contrari. Deve dare l'immagine della coerenza, della logica, della rapidità, così che quando da lontano vedono passare il mio editoriale con tutti i luoghi comuni al posto giusto sulla scocca, tuo papà e tua mamma esclamano: “è tutto chiaro! Non c'è nulla da aggiungere, ha già detto tutto il Professore!”
“Mio papà guarda solo la tv”.
“Mia mamma legge solo internet”.
Parlavo di papà e di mamme in generale. Chi vuole montare il Luogo Comune su una scocca?
“Ioìo!”
Va bene. Stai attento, eh, che c'è gente che ci mette anche una settimana a...
“Fatto!”
Però, sei stato rapido.
“Da grande voglio fare l'editorialista!”
Allora devi imparare a lavorare più piano. Comunque l'editoriale non è ancora finito, adesso si procede alla zincatura, ovvero si immerge la scocca in una vasca di Lessico Corretto. Il lessico è molto importante: non deve essere troppo banale o sciatto.
“E perché?”
Perché deve essere chiaro che è un Professore che parla, uno che ha studiato a lungo. Altrimenti rischia di non esserci nessuna differenza tra questo editoriale e le chiacchiere dei vostri papà al bar.
“Mio papà non va al bar, è musulmano”.
...Quindi, per esempio, al posto di “scegliere”, si usa la parola “optare”.
“Cosa vuol dire optare?”
Scegliere.
“Ho capito, si prendono tutte le parole facili e si trasformano in difficili”.
Eh, no, attenzione, perché se l'editoriale diventa troppo difficile la gente poi non lo legge, e comincia a pensare che il Professore è uno snob. Invece il messaggio che deve passare è che il Professore ha studiato tanto ma si sta sforzando di farsi capire alla gente umile, che sarebbero poi i vostri genitori.
“I miei genitori fanno i precari all'università”.
Mollali appena puoi. Quindi, ricapitolando: non esageriamo con la zincatura. Due o tre minuti sono più che sufficienti per rivestire la scocca di un lessico forbito ma non troppo. Ecco, abbiamo finito.
“E adesso che si fa?”
Si manda l'editoriale al reparto correttori di bozza, dove elimineranno qualche errore ortografico, non troppi.
“Ma non passa dal reparto facts-checking, come tutti gli altri pezzi del giornale?”
Hai visto troppi film americani, quel reparto da noi non esiste – e poi se anche esistesse, non sarebbe il nostro caso, perché questo editoriale, come dicevamo prima, non contiene propriamente nessun “fact”, nessuna informazione di prima mano. Quindi il mio lavoro è finito. Domande?
“Professore, mio papà lavora in una fabbrica simile, però produce le macchine, anche dieci al giorno”.
Non male, tesoro, anche se dovrà abituarsi a produrne un po' di più. Ma qual è la domanda?
“Ecco, io volevo chiedere, tu quanti editoriali produci in un giorno?”
In un giorno? Per carità, al massimo ne faccio un paio alla settimana. Sono più che sufficienti.
“E tutto il resto del tempo cosa fai?”
Beh, mi concentro per scriverli meglio. E poi ho anche altri lavori, per esempio faccio lezioni all'università, utilizzando più o meno le stesse scocche che si adoperano qui, ma con una zincatura più pesante. Poi ogni tanto prendo tutti i miei editoriali, li monto in una scocca più pesante con copertina di cartone e rilegatura in brossura, e li rivendo di nuovo ai vostri genitori in libreria.
“Mio papà in libreria compra solo i divudì”.
E a volte mi invitano in tv a dire due parole sui miei libri. Insomma, sono molto impegnato.
“Ma professore, come si fa a diventare editorialisti?”
Eh, figliolo, bisogna studiare tanto tanto. E poi ancora tanto tanto. Fare tanti sacrifici. E poi, un giorno, chiedere a tuo papà se ti fa scrivere nel suo giornale, o in quello dell'amico del cognato, o se suo zio rettore ti assume all'università, cose così.
“Mio zio di mestiere guida il muletto dietro l'esselunga, mi ha promesso che me lo fa provare”.
Direi che tua strada è segnata. Altre domande?
“Professore, ma lei non ha paura della globa... come si chiama”.
Della globalizzazione? Tesoro, perché dovrei averne paura io?
“Ma lo ha detto prima, c'è sempre gente al mondo che è disposta a lavorare per meno euro all'ora. Questo non vale anche per lei?”
Ma no... vedi, la maggior parte di queste persone stanno in Cina e in India, e se si sforzano possono anche imparare a guidare il muletto dello zio del tuo compagno, ma prima che imparino a scrivere editoriali in italiano... eh, ci vorrà ancora molto tempo. Quindi il mio mestiere è al sicuro, vedete, perché è ancora un mestiere antico, come li chiamavano nel medioevo... un'Arte. Ci vogliono anni e anni di esperienza per riuscire a scrivere quello che...
“Professore, mio papà a volte ti legge...”
Oh, finalmente.
“...e dice che quello che scrivi tu lo potrebbe scrivere anche un bambino delle elementari, e in effetti adesso che ci hai mostrato come si fa, penso che mio papà ha ragione”.
Si dice “abbia ragione”. Vedi? Credi che sia facile, ma poi sbagli i congiuntivi.
“Professore, abbia pazienza, i congiuntivi esprimono: dubbio, incertezza, sospetto, mentre io sono assolutamente sicuro che mio papà HA ragione”.
“Io se scrivo temi con idee così banali la maestra mi dà al massimo sette meno meno”.
“Mia mamma ha smesso di leggerti da tre anni, dice che su internet ci sono persone che scrivono gratis cose molto più interessanti”.
“Mio papà quanto ti vede in tv la spegne, dice che piuttosto di starti ad ascoltare va al bar, dove almeno la gente che dice le tue banalità si può insultare dal vivo”.
“Adesso, professore, onestamente: quanto guadagna netto in quei cinque minuti in cui spiega con belle parole che i nostri genitori non devono più fare la pausa caffè?”
Fermi, state fermi... se mi venite tutti addosso non respiro...
“Professore, secondo me tu sei un parassita che non servi a nulla, nessun indiano o cinese ti verrà a sostituire perché fondamentalmente il tuo mestiere ormai è inutile”.
“Sei convinto di vivere in una torre d'avorio in mezzo alla pianura dell'ignoranza, quando ti basterebbe dare un'occhiata alla finestra per accorgerti che tutto intorno ormai è pieno di grattacieli”.
Maledette canagliette, dov'è la vostra maestrina?
“Sono qui dietro”.
Richiama queste piccole pesti, mi vengono addosso!
“Ehiehi, che maniere. Mi dia del lei, intanto, sono una professoressa anch'io. Ho appena conseguito un dottorato di ricerca in Letteratura per l'Infanzia, se ha dato un'occhiata al mio curriculum avrà notato che negli ultimi tre anni ho scritto più articoli scientifici di lei”.
Ma io mica leggo i curriculum...
“Già, che bisogno c'è. Dalla sua torretta siamo tutte maestrine. Allora bimbi, cosa vogliamo fare di questo babbano inutile?”
“Impicchiamolo!”
“Alla sua cravatta!”
“Dai!”
“Buttiamolo nel cesto dei Luoghi Comuni, in fondo è quello che è”.
“Anzi, probabilmente è lì che lo hanno trovato”.
“Lo hanno assemblato su una di queste scocche”.
“Poi a un certo punto si è convinto di essere un umano, ma è stato tanti anni fa, quando la gente ancora lo leggeva!”
“Meravigliosa intuizione, Kevin. Va bene, smontiamolo e vediamo se riusciamo ad assemblarlo in un modo più originale”.
Indietro! Indietro! Canaglia! Canaglia!
***
“Professore, dice a me?”
Eh? Oddio, era tutto un incubo. Devo essermi appisolato e... ma cosa sono queste urla di là? Ci sono dei bambini?
“Bambini? Ma no, è la vertenza. Sa che dobbiamo mandare a casa un'altra dozzina di redattori”.
Ancora?
“Che ci vuol fare, professore, continuiamo a perdere copie... Piuttosto, è pronto l'editoriale?”
No, mi dispiace, mi devo essere assopito e... Qual era l'argomento, scusami?
“Riforma Gelmini. Deve scrivere che gli studenti sono reazionari, non accettano le novità, difendono lo status quo”.
Ma l'ho già scritto la settimana scorsa.
“Va bene, allora prende il pezzo della settimana scorsa, lo smonta, lo riassembla in un ordine diverso, cambia un po' di sinonimi... se è stanco le mando uno stagista, ce n'è uno giovane che è molto bravo”.
No, no, faccio da solo.
“Guardi che non è un problema, tanto lo stagista è qua. E non lo paghiamo mica a prestazione. Anzi, non lo paghiamo proprio, ahah”.
Quanti anni ha?
“Un po' meno di trenta, direi... ventotto, ventisei...”
Alla sua età io ero già in facoltà... prendevo l'assegnino...
“Cosa ci vuol fare, professore, è una generazione di... di bamboccioni, no? Non l'ha detta lei questa cosa?”
No. Non ero io. L'ha detta uno che adesso è morto.
“Ah, mi scusi. Devo averla vista nel cestone dei Luoghi Comuni, e ho pensato che fosse roba sua”.
Eh? Cos'hai detto?
“Ehm, professore...”
Eh? Cosa? Come? Che c'è? Sono in pausa caffè.
“Professore, la pausa caffè era due ore fa”.
E allora? Mi serve concentrazione. Avevo anche messo fuori il cartellino do not disturb.
“Professore, mi scusi eh, ma ultimamente quando si concentra russa così forte che tremano i vetri di mezza redazione. E poi... sarebbe arrivata la classe”.
La che?
“Non si ricorda? La classe di quinta elementare, in gita d'istruzione, ci aveva detto che le mostrava il reparto”.
Aaah, già, la classe... che seccatura.
“Li faccio entrare?”
Un attimo, prendo un caffè.
“Professore, ma è sicuro che tutti questi caffè le facciano bene?”
E tu che ne sai, ragazzino.
“Professore, ho cinquantadue anni io ormai”.
Appunto, ne devi mangiare di crostini ancora... Aspetta cinque minuti e poi falli entrare, ok?
***
“Allora bambini, se adesso fate silenzio, siamo arrivati nella parte della redazione oserei dire più... più nobile. Si può dire 'più nobile', professore?”
Ma sì, dica pure.
“È il reparto editoriali! Chi è che sa cosa sono gli editoriali?”
“Ioìo”.
“Noioìo”
“Allora dillo tu, Kevin”.
“Sono quelle colonnine scritte fitte fitte che stanno sui lati della prima pagina, è come se tenessero su la testata”.
“Miopapà dice che solo colonnine di chiacchiere che fanno discutere la gente”.
“Ah, ah, ah, Jonathan, non devi sempre credere a quello che dice papà... li scusi, professore... sono piccoli... credono un po' a tutto quello che gli si dice...”
Ma non ha tutti i torti, Jonathan.
“Ora, bambini, fate molta attenzione perché questo signore è il caporeparto, ed è uno degli editorialisti più letti d'Italia, e proprio lui ha accettato di mostrarci il suo luogo di lavoro, e di spiegarci come si fanno gli editoriali, pensate”.
Dunque, se prima di venire qui siete passati negli altri reparti, avrete notato che dappertutto c'era una cosa che qui manca, chi mi sa dire cos'è?
“Ioìoìo!”
Va bene, dimmelo tu.
“In tutti gli altri reparti c'erano tubi e cavi che portavano informazioni, e qui non ce n'è neanche uno”.
Esatto. Perché, come ha detto il vostro compagno prima, gli editoriali servono a far discutere la gente, e per far discutere non c'è bisogno di dare informazioni di prima mano, anzi, si rischia di distrarre il lettore. Questa è la prima cosa da sapere, quando si lavora al reparto editoriali: mai mettere un'informazione di prima mano, al massimo solo cose già rimasticate dagli altri reparti. Cosa che il lettore già sa, insomma.
“Ma se la gente le sa già perché le vuole rileggere?”
Perche gliele riscrivo io, che sono una persona importante, vedi come mi vesto? Ho anche la cravatta, qualche volta vado in tv - ma non troppo. Così, se tuo papà legge le cose che pensa già nel mio articolo, si convince che se le penso anch'io devono essere cose intelligenti.
“Mio papà legge solo Tuttosport”.
Funziona anche con Tuttosport. In questo reparto quindi noi lavoriamo con delle idee semplici semplici, che possono venire in mente ai vostri papà e alle vostre mamme, vedete? Stanno in quel cestone, il cestone dei Luoghi Comuni, noi li chiamiamo così. Allora tutte le volte che serve un editoriale, io prendo uno o due luoghi comuni (ma è meglio prenderne uno solo per volta) e li assemblo su una scocca. Per esempio, adesso ne pesco uno...
“Professore, ci fa provare?”
“Ioìoìo!”
Guardate che è un lavoro difficile, di responsabilità... oh, va bene. Tu, con le treccine, afferra un Luogo Comune.
“Ma quale devo prendere?”
Il primo che ti viene in mano.
“Questo?”
Leggi cosa c'è scritto.
“I-metalmeccanici-devono-rimboccarsi-le-maniche-perché-c'è-la globalizzz...”
...la globalizzazione.
“Cosa vuol dire globalizzazione?”
Che nel mondo, che è un globo, c'è sempre più gente disposta a fare il lavoro di tuo papà per meno euro all'ora, e quindi tuo papà deve sforzarsi di lavorare di più, meno pause caffè e meno gabinetto, eccetera.
“Ma mio papà è in cassa integrazione a zero ore”.
Parlavo in generale. Dunque, ora che abbiamo preso questo bel Luogo Comune, lo montiamo su una scocca. Le scocche sono da questa parte... sono intelaiature, come vedete”.
“Quanta polvere! Eccì!”
Sì, sono modelli molto antichi, in effetti sono più o meno le stesse intelaiature che si usano dall'invenzione del giornalismo, nel Seicento... ma alcuni erano in giro già ai tempi della retorica antica, una materia che voi a scuola non studiate.
“Studiamo Harry Potter”.
Meglio così, certe cose non sono per tutti.
“Ma non ho capito, scusa professore, a cosa servono queste cocche?”
Scocche. Vedi, cara bambina, a tirar fuori un concetto dal cestone dei luoghi comuni sono buoni tutti, ma inserire un luogo comune in un'intelaiatura di processi logici è una cosa molto più complicata. La scocca è la base di tutto, perché rende i luoghi comuni resistenti al senso critico. E dev'essere aerodinamica, nel senso che deve offrire meno attrito possibile agli argomenti contrari. Deve dare l'immagine della coerenza, della logica, della rapidità, così che quando da lontano vedono passare il mio editoriale con tutti i luoghi comuni al posto giusto sulla scocca, tuo papà e tua mamma esclamano: “è tutto chiaro! Non c'è nulla da aggiungere, ha già detto tutto il Professore!”
“Mio papà guarda solo la tv”.
“Mia mamma legge solo internet”.
Parlavo di papà e di mamme in generale. Chi vuole montare il Luogo Comune su una scocca?
“Ioìo!”
Va bene. Stai attento, eh, che c'è gente che ci mette anche una settimana a...
“Fatto!”
Però, sei stato rapido.
“Da grande voglio fare l'editorialista!”
Allora devi imparare a lavorare più piano. Comunque l'editoriale non è ancora finito, adesso si procede alla zincatura, ovvero si immerge la scocca in una vasca di Lessico Corretto. Il lessico è molto importante: non deve essere troppo banale o sciatto.
“E perché?”
Perché deve essere chiaro che è un Professore che parla, uno che ha studiato a lungo. Altrimenti rischia di non esserci nessuna differenza tra questo editoriale e le chiacchiere dei vostri papà al bar.
“Mio papà non va al bar, è musulmano”.
...Quindi, per esempio, al posto di “scegliere”, si usa la parola “optare”.
“Cosa vuol dire optare?”
Scegliere.
“Ho capito, si prendono tutte le parole facili e si trasformano in difficili”.
Eh, no, attenzione, perché se l'editoriale diventa troppo difficile la gente poi non lo legge, e comincia a pensare che il Professore è uno snob. Invece il messaggio che deve passare è che il Professore ha studiato tanto ma si sta sforzando di farsi capire alla gente umile, che sarebbero poi i vostri genitori.
“I miei genitori fanno i precari all'università”.
Mollali appena puoi. Quindi, ricapitolando: non esageriamo con la zincatura. Due o tre minuti sono più che sufficienti per rivestire la scocca di un lessico forbito ma non troppo. Ecco, abbiamo finito.
“E adesso che si fa?”
Si manda l'editoriale al reparto correttori di bozza, dove elimineranno qualche errore ortografico, non troppi.
“Ma non passa dal reparto facts-checking, come tutti gli altri pezzi del giornale?”
Hai visto troppi film americani, quel reparto da noi non esiste – e poi se anche esistesse, non sarebbe il nostro caso, perché questo editoriale, come dicevamo prima, non contiene propriamente nessun “fact”, nessuna informazione di prima mano. Quindi il mio lavoro è finito. Domande?
“Professore, mio papà lavora in una fabbrica simile, però produce le macchine, anche dieci al giorno”.
Non male, tesoro, anche se dovrà abituarsi a produrne un po' di più. Ma qual è la domanda?
“Ecco, io volevo chiedere, tu quanti editoriali produci in un giorno?”
In un giorno? Per carità, al massimo ne faccio un paio alla settimana. Sono più che sufficienti.
“E tutto il resto del tempo cosa fai?”
Beh, mi concentro per scriverli meglio. E poi ho anche altri lavori, per esempio faccio lezioni all'università, utilizzando più o meno le stesse scocche che si adoperano qui, ma con una zincatura più pesante. Poi ogni tanto prendo tutti i miei editoriali, li monto in una scocca più pesante con copertina di cartone e rilegatura in brossura, e li rivendo di nuovo ai vostri genitori in libreria.
“Mio papà in libreria compra solo i divudì”.
E a volte mi invitano in tv a dire due parole sui miei libri. Insomma, sono molto impegnato.
“Ma professore, come si fa a diventare editorialisti?”
Eh, figliolo, bisogna studiare tanto tanto. E poi ancora tanto tanto. Fare tanti sacrifici. E poi, un giorno, chiedere a tuo papà se ti fa scrivere nel suo giornale, o in quello dell'amico del cognato, o se suo zio rettore ti assume all'università, cose così.
“Mio zio di mestiere guida il muletto dietro l'esselunga, mi ha promesso che me lo fa provare”.
Direi che tua strada è segnata. Altre domande?
“Professore, ma lei non ha paura della globa... come si chiama”.
Della globalizzazione? Tesoro, perché dovrei averne paura io?
“Ma lo ha detto prima, c'è sempre gente al mondo che è disposta a lavorare per meno euro all'ora. Questo non vale anche per lei?”
Ma no... vedi, la maggior parte di queste persone stanno in Cina e in India, e se si sforzano possono anche imparare a guidare il muletto dello zio del tuo compagno, ma prima che imparino a scrivere editoriali in italiano... eh, ci vorrà ancora molto tempo. Quindi il mio mestiere è al sicuro, vedete, perché è ancora un mestiere antico, come li chiamavano nel medioevo... un'Arte. Ci vogliono anni e anni di esperienza per riuscire a scrivere quello che...
“Professore, mio papà a volte ti legge...”
Oh, finalmente.
“...e dice che quello che scrivi tu lo potrebbe scrivere anche un bambino delle elementari, e in effetti adesso che ci hai mostrato come si fa, penso che mio papà ha ragione”.
Si dice “abbia ragione”. Vedi? Credi che sia facile, ma poi sbagli i congiuntivi.
“Professore, abbia pazienza, i congiuntivi esprimono: dubbio, incertezza, sospetto, mentre io sono assolutamente sicuro che mio papà HA ragione”.
“Io se scrivo temi con idee così banali la maestra mi dà al massimo sette meno meno”.
“Mia mamma ha smesso di leggerti da tre anni, dice che su internet ci sono persone che scrivono gratis cose molto più interessanti”.
“Mio papà quanto ti vede in tv la spegne, dice che piuttosto di starti ad ascoltare va al bar, dove almeno la gente che dice le tue banalità si può insultare dal vivo”.
“Adesso, professore, onestamente: quanto guadagna netto in quei cinque minuti in cui spiega con belle parole che i nostri genitori non devono più fare la pausa caffè?”
Fermi, state fermi... se mi venite tutti addosso non respiro...
“Professore, secondo me tu sei un parassita che non servi a nulla, nessun indiano o cinese ti verrà a sostituire perché fondamentalmente il tuo mestiere ormai è inutile”.
“Sei convinto di vivere in una torre d'avorio in mezzo alla pianura dell'ignoranza, quando ti basterebbe dare un'occhiata alla finestra per accorgerti che tutto intorno ormai è pieno di grattacieli”.
Maledette canagliette, dov'è la vostra maestrina?
“Sono qui dietro”.
Richiama queste piccole pesti, mi vengono addosso!
“Ehiehi, che maniere. Mi dia del lei, intanto, sono una professoressa anch'io. Ho appena conseguito un dottorato di ricerca in Letteratura per l'Infanzia, se ha dato un'occhiata al mio curriculum avrà notato che negli ultimi tre anni ho scritto più articoli scientifici di lei”.
Ma io mica leggo i curriculum...
“Già, che bisogno c'è. Dalla sua torretta siamo tutte maestrine. Allora bimbi, cosa vogliamo fare di questo babbano inutile?”
“Impicchiamolo!”
“Alla sua cravatta!”
“Dai!”
“Buttiamolo nel cesto dei Luoghi Comuni, in fondo è quello che è”.
“Anzi, probabilmente è lì che lo hanno trovato”.
“Lo hanno assemblato su una di queste scocche”.
“Poi a un certo punto si è convinto di essere un umano, ma è stato tanti anni fa, quando la gente ancora lo leggeva!”
“Meravigliosa intuizione, Kevin. Va bene, smontiamolo e vediamo se riusciamo ad assemblarlo in un modo più originale”.
Indietro! Indietro! Canaglia! Canaglia!
***
“Professore, dice a me?”
Eh? Oddio, era tutto un incubo. Devo essermi appisolato e... ma cosa sono queste urla di là? Ci sono dei bambini?
“Bambini? Ma no, è la vertenza. Sa che dobbiamo mandare a casa un'altra dozzina di redattori”.
Ancora?
“Che ci vuol fare, professore, continuiamo a perdere copie... Piuttosto, è pronto l'editoriale?”
No, mi dispiace, mi devo essere assopito e... Qual era l'argomento, scusami?
“Riforma Gelmini. Deve scrivere che gli studenti sono reazionari, non accettano le novità, difendono lo status quo”.
Ma l'ho già scritto la settimana scorsa.
“Va bene, allora prende il pezzo della settimana scorsa, lo smonta, lo riassembla in un ordine diverso, cambia un po' di sinonimi... se è stanco le mando uno stagista, ce n'è uno giovane che è molto bravo”.
No, no, faccio da solo.
“Guardi che non è un problema, tanto lo stagista è qua. E non lo paghiamo mica a prestazione. Anzi, non lo paghiamo proprio, ahah”.
Quanti anni ha?
“Un po' meno di trenta, direi... ventotto, ventisei...”
Alla sua età io ero già in facoltà... prendevo l'assegnino...
“Cosa ci vuol fare, professore, è una generazione di... di bamboccioni, no? Non l'ha detta lei questa cosa?”
No. Non ero io. L'ha detta uno che adesso è morto.
“Ah, mi scusi. Devo averla vista nel cestone dei Luoghi Comuni, e ho pensato che fosse roba sua”.
Eh? Cos'hai detto?
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