La tesi di Atta
11-09-2012, 02:5511/9, Islam, terrorismoPermalink
Come la prima fidanzata, spesso la tesi di laurea è un mondo a parte in cui hai vissuto per uno o due anni, sforzandoti in tutti i modi di trovarti bene, affezionandoti a particolari irriferibili, amandola con tutto il cuore mentre da qualche parte nella tua mente covavi il progetto di farla in piccoli pezzi per non intasare il sifone del WC. Tutto questo è ormai al di là della nostalgia e del rimpianto, in un passato blindato in una scatola in cantina che prima o poi marcirà o prenderà fuoco, mentre tu pensi ad altre cose che non hanno più niente a che fare. Oppure è in giro per il mondo, come la tua prima fidanzata, che incontra gente, capisce cose, si diverte e non pensa a te, per fortuna. Così vanno le cose, così è giusto che vadano. Sennò diventi Mohammed Atta. Ci hai mai pensato?
Non pensa mai nessuno a Mohammed Atta, mi pare. È il più grande villain degli ultimi 25 anni, ma i bambini neanche lo conoscono per nome. Hitler, per dire, lo conoscono: Atta no. È scivolato quasi subito in un incomprensibile cono d'ombra. Se hanno fatto un film su di lui, non ha avuto successo. Il che è inspiegabile, la sua vita è un film. D'azione. Viaggi intorno al mondo, spie, pedinamenti. E un lungo preambolo in cui si discute di architettura.
Mohammed Atta, basta andare su wikipedia, è nato nel 1968, da qualche parte nel delta del Nilo. Nel 1990 si è laureato in architettura all'università del Cairo. Nel 1993 si è trasferito in Germania, e ha cominciato a frequentare un politecnico ad Amburgo. Si paga gli studi lavorando in una concessionaria, il che forse lo ritarda un po', visto che si laurea solo nel 1999 (in urbanistica?) con una tesi su Aleppo, in cui depreca il degrado architettonico-urbanistico dell'antico centro, causato dalla modernità e in particolare dai... grattacieli.
L'anno prima - quello in cui mi sono laureato io - Atta aveva creato con alcuni suoi coinquilini la cosiddetta "cellula di Amburgo", un nucleo di fondamentalisti in cerca di jihad, che in un primo momento pensano di trovarla in Cecenia, ma poi finiranno in Afganistan ad allacciare contatti con Al Qaeda, e il resto della storia vagamente lo sapete (benché siano i dettagli a renderla intrigante).
Mohammed Atta, tutti quelli che ammettono di averlo conosciuto, lo ricordano come una persona dai modi gentili ma inequivocabilmente islamici, che sorrideva spesso e quasi si scusava di non poter stringere la mano ai membri della commissione di laurea che avevano la ventura di esser donne; diamo quindi per scontato che credesse in tutto quello a cui credono i jihadisti suicidi: il paradiso a base di vergini, eccetera. Il fatto che nell'estate del 2001 lo si trovasse spesso ubriaco negli stripbar di Las Vegas, lo prendiamo come un tentativo abbastanza riuscito di stornare i sospetti della CIA (che lo aveva schedato molto prima che lui entrasse negli USA, ma, curiosamente, smise di seguirlo non appena vi entrò). Però - è una suggestione che lascia il tempo che trova, prima o poi l'avrei scritta e ci ho messo 11 anni - forse la cosa in cui Atta credeva davvero, con tutta l'anima e tutta la mente, ancor più del Corano, era la sua tesi di laurea. I grattacieli erano il nemico. Bisognava cominciare a buttarne giù. Dare l'esempio, almeno.
Chissà cosa direbbe Atta delle macerie che oggi sono Aleppo. Chissà se gioirebbe per i brutti palazzoni che crollano, o per il centro millenario che le granate non risparmiano. Non potrebbe neanche arrogarsi qualche merito, o addossarsi qualche colpa: l'11 settembre è già lontano, quel che succede oggi in Siria ha altre origini, altri fini. Chissà che direbbe delle Abraj Al-Bait Towers della Mecca, inaugurate in questo 2012 e già dichiarate il più grande edificio sulla Terra: in cima c'è ovviamente l'orologio più alto del mondo, un BigBen sotto steroidi che promette di assestare un bel pugno nell'occhio di tutti i pellegrini che da ogni parte del globo vengono lì sotto a pregare intorno alla Ka'ba. Atta ci andò nel 1994: al posto delle Al-Bait Towers c'era ancora un forte ottomano, poi smantellato e ricostruito altrove.
Le foto delle Al-Bait Towers (via Mazzetta) hanno un che di spaventoso e disumano e bellissimo. Quel BigBen è così assurdo, così fuori contesto, così blasfemo, che alla fine ti ipnotizza, in un modo non troppo dissimile da come ci ipnotizzò 11 anni fa Mohammed Atta, buttando giù una torre ancora più alta. Più guardi le foto, più ti ripeti: Atta ha perso. Più lo ripeti, più ti sorprendi a pensare che nel 1998, all'inizio perlomeno, non è che avesse tuttissimi i torti.
Non pensa mai nessuno a Mohammed Atta, mi pare. È il più grande villain degli ultimi 25 anni, ma i bambini neanche lo conoscono per nome. Hitler, per dire, lo conoscono: Atta no. È scivolato quasi subito in un incomprensibile cono d'ombra. Se hanno fatto un film su di lui, non ha avuto successo. Il che è inspiegabile, la sua vita è un film. D'azione. Viaggi intorno al mondo, spie, pedinamenti. E un lungo preambolo in cui si discute di architettura.
Mohammed Atta, basta andare su wikipedia, è nato nel 1968, da qualche parte nel delta del Nilo. Nel 1990 si è laureato in architettura all'università del Cairo. Nel 1993 si è trasferito in Germania, e ha cominciato a frequentare un politecnico ad Amburgo. Si paga gli studi lavorando in una concessionaria, il che forse lo ritarda un po', visto che si laurea solo nel 1999 (in urbanistica?) con una tesi su Aleppo, in cui depreca il degrado architettonico-urbanistico dell'antico centro, causato dalla modernità e in particolare dai... grattacieli.
L'anno prima - quello in cui mi sono laureato io - Atta aveva creato con alcuni suoi coinquilini la cosiddetta "cellula di Amburgo", un nucleo di fondamentalisti in cerca di jihad, che in un primo momento pensano di trovarla in Cecenia, ma poi finiranno in Afganistan ad allacciare contatti con Al Qaeda, e il resto della storia vagamente lo sapete (benché siano i dettagli a renderla intrigante).
Mohammed Atta, tutti quelli che ammettono di averlo conosciuto, lo ricordano come una persona dai modi gentili ma inequivocabilmente islamici, che sorrideva spesso e quasi si scusava di non poter stringere la mano ai membri della commissione di laurea che avevano la ventura di esser donne; diamo quindi per scontato che credesse in tutto quello a cui credono i jihadisti suicidi: il paradiso a base di vergini, eccetera. Il fatto che nell'estate del 2001 lo si trovasse spesso ubriaco negli stripbar di Las Vegas, lo prendiamo come un tentativo abbastanza riuscito di stornare i sospetti della CIA (che lo aveva schedato molto prima che lui entrasse negli USA, ma, curiosamente, smise di seguirlo non appena vi entrò). Però - è una suggestione che lascia il tempo che trova, prima o poi l'avrei scritta e ci ho messo 11 anni - forse la cosa in cui Atta credeva davvero, con tutta l'anima e tutta la mente, ancor più del Corano, era la sua tesi di laurea. I grattacieli erano il nemico. Bisognava cominciare a buttarne giù. Dare l'esempio, almeno.
Chissà cosa direbbe Atta delle macerie che oggi sono Aleppo. Chissà se gioirebbe per i brutti palazzoni che crollano, o per il centro millenario che le granate non risparmiano. Non potrebbe neanche arrogarsi qualche merito, o addossarsi qualche colpa: l'11 settembre è già lontano, quel che succede oggi in Siria ha altre origini, altri fini. Chissà che direbbe delle Abraj Al-Bait Towers della Mecca, inaugurate in questo 2012 e già dichiarate il più grande edificio sulla Terra: in cima c'è ovviamente l'orologio più alto del mondo, un BigBen sotto steroidi che promette di assestare un bel pugno nell'occhio di tutti i pellegrini che da ogni parte del globo vengono lì sotto a pregare intorno alla Ka'ba. Atta ci andò nel 1994: al posto delle Al-Bait Towers c'era ancora un forte ottomano, poi smantellato e ricostruito altrove.
Le foto delle Al-Bait Towers (via Mazzetta) hanno un che di spaventoso e disumano e bellissimo. Quel BigBen è così assurdo, così fuori contesto, così blasfemo, che alla fine ti ipnotizza, in un modo non troppo dissimile da come ci ipnotizzò 11 anni fa Mohammed Atta, buttando giù una torre ancora più alta. Più guardi le foto, più ti ripeti: Atta ha perso. Più lo ripeti, più ti sorprendi a pensare che nel 1998, all'inizio perlomeno, non è che avesse tuttissimi i torti.
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