Il vuoto incolmabile
01-10-2011, 00:35generazione di fenomeni, ho una teoria, PdPermalinkCome forse qualcuno avrà notato, da alcuni giorni a questa parte il Partito Democratico, il suo vertice, i suoi militanti, stanno in qualche modo cercando di sopravvivere alla notizia della defezione di Mario Adinolfi.
Lui nel frattempo gioca a carte. Sull'Unità.it comunque c'è un tentativo di prendere Adinolfi un po' sul serio (H1t#93), giusto per non lasciare nulla d'intentato. Si commenta laggiù.
(Ci si vede forse a Riva stasera).
Ma insomma perché nessuno vuole prendere sul serio Mario Adinolfi che abbandona il PD? Forse ha ragione il direttore di Europa Menichini, che dietro alle ironie e alle battutine sulla stazza e sul peso del personaggio intravede una certaarroganza togliattiana. Oggi stavo quindi cercando di rispondere alle critiche di Adinolfi nel modo meno togliattiano possibile, entrando nel merito delle importanti questioni sollevate eccetera, quando su twitter è arrivato un messaggio del Mario:
Allora, mettetevi anche un po' nei panni di noi togliattiani. Non siamo mai veramente riusciti a digerire la barca a vela di D'Alema (né l'appartamento newyorkese di Veltroni): cosa potevamo pensare di un giornalista che conciliava la militanza attiva in un partito di sinistra con l'esercizio professionale del gioco d'azzardo? Saremo provinciali, saremo vecchi, ma quando Adinolfi nel suo blog alternava i consigli al segretario sulla linea del PD con quelli ai lettori sulle squadre su cui scommettere, a noi cedevano un po' le ginocchia.
Lui nel frattempo gioca a carte. Sull'Unità.it comunque c'è un tentativo di prendere Adinolfi un po' sul serio (H1t#93), giusto per non lasciare nulla d'intentato. Si commenta laggiù.
(Ci si vede forse a Riva stasera).
Ma insomma perché nessuno vuole prendere sul serio Mario Adinolfi che abbandona il PD? Forse ha ragione il direttore di Europa Menichini, che dietro alle ironie e alle battutine sulla stazza e sul peso del personaggio intravede una certaarroganza togliattiana. Oggi stavo quindi cercando di rispondere alle critiche di Adinolfi nel modo meno togliattiano possibile, entrando nel merito delle importanti questioni sollevate eccetera, quando su twitter è arrivato un messaggio del Mario:
giornate di novità: ho firmato per i miei nuovi colori pokeristici, esordio all'Ept di Londra con il TeamPro1128
Allora, mettetevi anche un po' nei panni di noi togliattiani. Non siamo mai veramente riusciti a digerire la barca a vela di D'Alema (né l'appartamento newyorkese di Veltroni): cosa potevamo pensare di un giornalista che conciliava la militanza attiva in un partito di sinistra con l'esercizio professionale del gioco d'azzardo? Saremo provinciali, saremo vecchi, ma quando Adinolfi nel suo blog alternava i consigli al segretario sulla linea del PD con quelli ai lettori sulle squadre su cui scommettere, a noi cedevano un po' le ginocchia.
È sempre stato oggettivamente difficile prendere sul serio Adinolfi. Per prima cosa è una persona obesa, e noi a sinistra, sempre pronti a schizzare in piedi di indignazione alla prima barzelletta omofoba e sessista, non abbiamo nessuna difficoltà a ridere degli obesi (“ciccioni”) e dei bassi di statura (“nanetti”): Berlusconi e Ferrara ci hanno allenato bene, in questo senso. Poi è stato militante democristiano e non se ne è mai vergognato, e questo è parecchio destabilizzante. Aggiungi questa cosa del poker e delle scommesse che avrebbe destabilizzato anche i democristiani. Infine, nel momento in cui tutti i politici di sinistra cercavano di presentarsi all'elettorato nel modo più rassicurante e grigio possibile, Adinolfi non ha mai pensato di nascondere una personalità eccentrica e debordante. Nonché una mania di protagonismo che, se in parte era giustificata dalla necessità di restare a galla nel mondo difficile e competitivo dell'infotainment radiotelevisivo, dall'altra spiega il perché le non-dimissioni di Adinolfi (non ricopriva nessun incarico) siano quasi una non-notizia, che in linea teorica non avrebbe meritato più spazio di quella di un volontario della festa dell'unità di Reggio Emilia che oggi decidesse di stracciare la tessera. Certo, è pur vero che nessun volontario reggiano della festa dell'Unità si è mai presentato alle primarie del PD, ma probabilmente se lo avesse fatto avrebbe raccolto più voti di Mario Adinolfi. Quindi, insomma, di che stiamo parlando?
Stiamo parlando di un quarantenne che, a furia di accreditarsi come rappresentante di una generazione, in qualche modo è riuscito a impersonarne almeno alcuni difetti: Adinolfi, che pure è uscito di casa abbastanza presto e ha sempre in qualche modo lavorato, sembra morso dallo stesso demone di tanti trenta-quarantenni italiani che il precariato lo hanno interiorizzato, fino ad elevarlo, in mancanza di meglio, a filosofia di vita: e dopo un decennio passato a corteggiare diverse carriere, senza sceglierne veramente nessuna, si ritrovano a quarant'anni bloccati a un bivio, consapevoli che scegliere una via, una carriera, un mestiere, una vita, significa rinunciare ad altre vie, ad altri mestieri, altre vite. Per carità, qui non si giudica nessuno, ma posso dire che nel continuo saltabeccare di Adinolfi tra editoria politica e gioco d'azzardo un po' mi riconosco (in sedicesimo, diciamo). E in fondo sono contento che lui abbia saputo finalmente scegliere: e anche che non abbia scelto la politica, per la quale, non me ne voglia, forse non era troppo tagliato.
Anche la sua difficoltà a integrarsi nel PD si può leggere in modo generazionale. Un altro problema di noi trenta-quarantenni è che ci siamo sposati tardi, dopo fidanzamenti esageratamente lunghi. Allo stesso modo, dopo aver inseguito per anni il miraggio del grande partito di centrosinistra, quando finalmente l'impossibile si è avverato, Adinolfi ha scoperto sulla sua pelle i dolori e i fastidi della convivenza. Il motivo per cui oggi decide di divorziare è in fondo molto semplice: dalle ultime primarie in poi, Adinolfi si è ritrovato in una corrente di minoranza, e questo gli è insopportabile. È il paradosso per cui proprio gli alfieri del Grande Partito sono quelli che appena un partito abbastanza grandino prende forma non riescono ad accettare gli oneri che esso comporta: l'inevitabile nascita delle correnti, la dialettica interna tra maggioranza e minoranze, il triste centralismo democratico: tutte cose che l'ex democristiano Adinolfi dovrebbe conoscere bene – non ci fossero stati quei vent'anni di caos tra popolari, asinelli, margherite, ulivi, unioni, con tutte quelle intercapedini e quei margini di azione per capitani coraggiosi e un po' spavaldi. Ora il tempo dei corsari è finito: bisognerebbe indossare la giacca e la cravatta dell'uomo d'ordine, ma in quella giacca Adinolfi proprio non ci sta (e questa è l'unica battuta sulla sua taglia che farò, già una di troppo).
A proposito di partitini è buffo che Adinolfi ricordi di aver cercato il “coinvolgimento organico” di radicali e socialisti, oltre a Grillo, che avrebbe voluto candidato alle primarie. Ora, se c'è qualcosa che radicali, socialisti e Grillo hanno in comune, è di non avere mai realmente creduto nel PD, anche quando hanno cercato di usarlo per ottenere un po' di visibilità (il tentativo di Grillo di candidarsi) o per arrivare in Parlamento eludendo gli sbarramenti (la “delegazione radicale”, quei nove posti blindati ottenuti dal PD di Veltroni, la cui lealtà è ben provata dall'assenza di ieri alla Camera, e dalle dichiarazioni di Pannella). Quanto ai socialisti, parliamo di quel partito inesistente che negli ultimi dieci anni ha sempre fatto perdere punti in percentuale a qualsiasi lista con cui si è aggregato (memorabili le batoste di Rosa nel Pugno e Girasole)? Eppure Adinolfi dovrebbe sapere che i socialisti a centrosinistra non hanno mai trovato la porta chiusa, da Occhetto a D'Alema (che fece entrare almeno Amato) fino a quando Boselli, segretario di un partito da prefisso telefonico, fu invitato da Prodi alla costituente del PD e rifiutò sdegnosamente quello che definì il “compromesso storico bonsai”. Poi andò alle urne da solo e riprese il suo zero virgola per cento. Certo, esistono tante cose nell'universo; esistono i neutrini che hanno così poca massa che possono arrivare dal Gran Sasso a Ginevra senza tunnel; così può darsi anche che esista ancora un partito in Italia che si chiama socialista. Ma anche un bonsai non è che debba preoccuparsi di coinvolgere tutti i batteri che transitano nei pressi: la maggior parte sono innocui.
C'è poi la questione "omosex", come la chiama lui, che negli ultimi mesi è diventata una sua piccola ossessione - proprio mentre la passione per la militanza nel PD rapidamente scemava. Non è una coincidenza. Sui diritti civili dei gay ho una teoria: c'è un motivo per cui qualcuno ne parla oggi, quando in Italia governa la destra più becera e omofoba e nessuna reale messa in discussione dello status quo è praticabile. Ed è un motivo che purtroppo ha ben poco a che fare coi gay, e molto a che fare con la storia del PD, e la sua doppia anima catto-diessina. In sostanza si riparla di gay, e soprattutto di matrimoni di gay e di adozioni di gay, semplicemente perché di tutti gli argomenti al mondo è quello più pericoloso per la coesione del PD: quello che davvero rischia di farne cedere le giunture, tanta è la distanza tra le posizioni di cattolici e progressisti. Ora io sarò anche un togliattiano dentro: me lo hanno detto anche i miei quattro lettori, quindi c'è del vero. Però per me proporre un “referendum sul matrimonio omosex”, come Adinolfi dice di aver fatto, equivale a dichiarare di aver tentato di sventrare il PD, proprio nel punto dove la cucitura è più fragile. Solo così si spiega poi l'ossessione per questo argomento in un'estate in cui anche molti gay, più che al matrimonio, probabilmente pensavano ai loro risparmi, all'IVA e alle pensioni.
Già, le pensioni. Ad Adinolfi non è piaciuta l'adesione allo sciopero della CGIL, il sindacato dei pensionati eccetera. Non è una sorpresa che l'eterno precario della politica si trovi più vicino alle posizioni di Ichino: quanto agli ammortizzatori sociali, lui ha sempre rivendicato di trovare meno rischiose le ricevitorie delle banche, e a questo punto la cosa terribile è che non sembra avere tutti i torti. Ma insomma la posizione di Adinolfi la conosciamo da anni: i nostri padri pensionati ci rubano il futuro. Nel frattempo però (dovrebbe essersene accorto) cominciamo ad andare anche noi per la quarantina, e alla pensione iniziamo a pensarci, se non altro perché l'idea di ottenerla a ottant'anni un po' ci spaventa. Forse per Adinolfi il problema non si pone, forse sarà ancora un brillante bluffatore, o forse avrà già raggranellato abbastanza col suo personalissimo sistema integrativo. Noi però non siamo altrettanto capaci, né al tavolo verde né alla vita in generale. Così ci attacchiamo a quel che possiamo: un mestiere piuttosto che un altro, un sindacato piuttosto che un altro, un partito con tanti difetti ma che è meno peggio di tanti altri, eccetera. Nel frattempo Marione se n'è andato verso altre partite, altre sfide, altre avventure. Ci perdonerà se non siamo abbastanza togliattiani da non invidiarlo un po'. http://leonardo.blogspot.com
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