ci vorrebbe un Nemico
20-03-2007, 11:08Afganistan, democrazia d'esportazione, giornalisti, guerra, Iraq, medio orientePermalink(Avvertenza: questo pezzo contiene molte informazioni imprecise, perché questo è un pezzo sulle informazioni imprecise. Non ci tiene a dire "la verità" su Iraq o Afganistan: tiene solo a far notare quanto poco sappiamo su Iraq o Afganistan).
Adesso tutti, sull’Afganistan, dovranno farsi un’opinione. Facciamo la guerra? Dialoghiamo coi talebani? Ce ne torniamo a casa e facciam finta di nulla? Ecc ecc.
Il problema è che dell’Afganistan nessuno sa niente.
Qui non è questione di informazione superficiale: l’informazione, semplicemente, non c’è. Non ci sono giornalisti, né da una parte né dall’altra. Possiamo avere mille, centomila opinioni, possiamo aggiornare i nostri blog o guardarci un bel programma di approfondimento: il problema è che non c’è nulla da approfondire, perché al mulino manca l’acqua, e l’acqua la portano soltanto i reporter. Nel giorno in cui siamo tutti felici perché Mastrogiacomo è tornato, vale la pena di notare questa cosa: ora laggiù non c’è nemmeno lui, ed è difficile pensare che qualcuno segua le sue tracce per parecchio tempo.
È un discorso che va esteso anche all’Iraq. Ogni giornalista, ogni cooperatore che è tornato felicemente a casa, è un giornalista o un cooperatore in meno sul territorio. Da quattro anni a questa parte le informazioni che abbiamo su questi due Paesi sono diventate sempre più confuse e frammentarie – il problema è che siamo troppo indaffarati, distratti o partisan per accorgercene. Del resto diamo per scontato di vivere in una piccola sfera dove le informazioni sono ovunque immediatamente accessibili. Sbagliato: Iraq e Afganistan sono due buchi nel medioevo. Non passano più notizie. Nemmeno ai tempi del Vietnam era successo qualcosa del genere: due grandi nazioni scomparse dalla rete mondiale dell’informazione.
Pensate a questa semplice evidenza: non sappiamo contro chi stiamo combattendo. Per dire, gli americani in Vietnam lo sapevano. I russi in Afganistan lo sapevano. Oggi non lo sappiamo. Perché non vogliono dircelo? Oppure non lo sanno proprio?
Proviamo a ragionare da agit-prop: dobbiamo convincere il crasso Occidente a picchiare duro in Iraq e in Afganistan. Ci serve per prima cosa un Nemico. Osama Bin Laden andava benissimo, salvo che da qualche anno in qua comincia un po’ a puzzare, il cinquantenne ex-dializzato nascosto in una caverna. Continuare a insistere sul fatto che sia vivo, a 2-3 anni dall’ultimo filmato, è quasi un boomerang. E infatti sulla carta stampata si comincia timidamente a darlo per morto. Ma se muore, bisognerà trovare un altro Nemico, ugualmente cattivo ed emblematico, e non è semplice.
Qualche anno fa ci fu l’ondata dei Numeri Due. Il Numero Due era un modo abbastanza elegante per scalare dal concetto di “Bin Laden è il Male” a quello di “Il Capo di Al Quaeda in carica è il male”. Io ho onestamente perso il conto di quanti Numeri Due di Al Quaeda gli americani abbiano catturato e processato. Verso il 2004 la carica di Numero Due si è cristallizzata su Al Zarqawi, un tale che ai tempi non lavorava nemmeno nella stessa organizzazione di Bin Laden, ma era comunque il personaggio più sporco e cattivo in circolazione. Tagliava le teste occidentali, metteva gli snuff in rete, aveva ormai le dimensioni del mito.
Intorno ad Al Zarqawi si è detto di tutto. Proprio come Bin Laden, che fino a un certo punto si dava per dializzato, e poi miracolosamente è guarito, anche Al Zarkawi all’inizio sembrava uscisse e rientrasse dall’Iraq con una gamba finta (generoso regalo di Saddam Hussein) – finché a un certo punto non gli è ricresciuta. Viene in mente il personaggio di Gambadilegno: lo sapete perché si chiamava così? Nelle prime strisce americane aveva una gamba di legno, ma i disegnatori perdevano troppo tempo a disegnarla, e soprattutto non si erano mai messi d'accordo su quale gamba fosse. Finché Walt Disney o chi per lui decise di montargli un “modello nuovissimo” di gamba in tutto e per tutto uguale a quella vera: problema risolto. I Nemici degli americani hanno un po’ la consistenza dei cattivi da fumetti, o delle action figures smontabili.
A dicembre del 2004 Al Zarqawi a furia di decapitare occidentali si era fatto una fama talmente cattiva che Bin Laden in persona è resuscitato da qualche grotta di Tora Bora per nominarlo suo luogotenente in Iraq. Bene. Anzi no, perché a differenza di Bin Laden, Al aveva un difetto: era vivo e operante in Iraq. E se sei vivo e operante, prima o poi qualcuno ti cattura (lo stesso Zarqawi pare non fosse molto popolare nemmeno tra gli iracheni, che del resto ha massacrato a centinaia). E quando ti cattura, poi tocca inventarsi un nuovo Numero Due. Ma a questo punto i lettori occidentali cominciano a spazientirsi: sono abituati a trame di telefilm più verosimili (maledetto intrattenimento di qualità).
Dalla cattura in poi di Al Zarqawi non s’è più capito niente – non che prima si capisse molto. A un certo punto nell’autunno del 2005 Falluja è diventata la roccaforte dei sunniti. C’è stata una battaglia terribile, con armi al fosforo, Falluja è stata espugnata, e poi? E poi evidentemente non era la roccaforte, visto che la guerra coi sunniti è proseguita. O no? Giuro, ho provato a informarmi, ma non ci si capisce nulla. I giornalisti a Bagdad e Kabul e tirano i pastoni con quel che possono. Un’espressione ricorrente, nell’identificare il Nemico, è “un mosaico di formazioni”. Quando non è un mosaico è una mescolanza o un caleidoscopio o un ammasso o una pletora o qualunque cosa. Mai un nome. Mai un progetto politico o nazionale. Mai la faccia di un vero Nemico.
Ci servirebbe. Abbiamo bisogno di una faccia. E abbiamo bisogno di sapere se è una faccia nemica o no. Prendiamo quegli altri simpaticoni degli sciiti. Sono nostri alleati o no? Non si sa. Quante volte s’è visto il faccione di Muqtada-al-Sadr. È un nemico? O un amico? L’impressione è che l’ufficio propaganda se lo tenga come jolly, a seconda del momento. Ci sono fasi filo-sciite e fasi in cui gli sciiti ci stressano, evidentemente, e a seconda del momento il gattone sciita diventa un nemico o un alleato di riguardo.
Gli effetti sono paradossali: in gennaio in Occidente abbiamo assistito all’esecuzione di Saddam Hussein per mano di un tribunale legittimo, giusto? Ma in Medio Oriente hanno assistito all’esecuzione di Saddam Hussein per mano di un boia sciita, e circola voce che l’abbiano appeso davanti a Muqtada-al-Sadr. Ognuno ha la sua verità. Persino Camillo, che tra tanti difetti non aveva l’incoerenza, a fine anno si è messo a parlar bene dell’ayatollah Al Sistani. Per carità, ognuno dosi come vuole le sue idealità col realismo: ma partire dall’esportazione della democrazia per arrivare, in capo a tre anni, agli ayatollah, mi sembra abbastanza triste.
Quanto a me: io qualche anno fa avevo una certa idea, su Iraq e Afganistan. Da lì in poi non l’ho cambiata; non per coerenza, ma perché non ci ho più capito nulla. Se mi dimostrassero con dati alla mano che a questo punto è meglio restare là, sarei disponibile a cambiare idea. Penso che le idee abbiano una loro durata, come la biancheria; ogni tanto cambiarle è doveroso.
Il problema è che le informazioni, semplicemente, non arrivano: nessuno si attenta più ad andarle a prendere. Onore a Mastrogiacomo. Tutto il poco che sarà riuscito a portare indietro da questa esperienza, è oro puro per noi.
Il resto è fuffa, teatrino delle ideologie. “Stiamo combattendo contro i talebani”. “Dobbiamo dialogare coi talebani”. Entrambe sono opinioni rispettabili, il problema è che non hanno senso. La parola “talebano” non ha senso. I talebani del 2000 erano diversi da quelli del 2007. Quelli, per dire, pare avessero vietato la coltivazione del papavero da oppio per motivi religiosi - con conseguente crisi mondiale dell'offerta di eroina. Questi invece con l’oppio ci comprano le armi. Ne producono talmente tanto che la quotazione dell’eroina è ai minimi storici. Tra un po’ ai nostri ragazzi cominceranno a offrire schizzi gratis che nemmeno nel ’78. Un buon motivo per restare laggiù? O per andarsene? E chi lo sa? Non ne sappiamo nulla.
Verrebbe voglia di dire “Sì, restiamo”, giusto per ricordarci che l’Afganistan esiste. Bisognava che sequestrassero Mastrogiacomo perché in tv e sulla carta stampata tornassero notizie di attentati, stragi, combattimenti. Se ce ne andiamo, c’è il rischio oggettivo di dimenticarcene. Ma è solo un’opinione come un’altra. Ci scambiamo opinioni, in mancanza di informazioni.
Adesso tutti, sull’Afganistan, dovranno farsi un’opinione. Facciamo la guerra? Dialoghiamo coi talebani? Ce ne torniamo a casa e facciam finta di nulla? Ecc ecc.
Il problema è che dell’Afganistan nessuno sa niente.
Qui non è questione di informazione superficiale: l’informazione, semplicemente, non c’è. Non ci sono giornalisti, né da una parte né dall’altra. Possiamo avere mille, centomila opinioni, possiamo aggiornare i nostri blog o guardarci un bel programma di approfondimento: il problema è che non c’è nulla da approfondire, perché al mulino manca l’acqua, e l’acqua la portano soltanto i reporter. Nel giorno in cui siamo tutti felici perché Mastrogiacomo è tornato, vale la pena di notare questa cosa: ora laggiù non c’è nemmeno lui, ed è difficile pensare che qualcuno segua le sue tracce per parecchio tempo.
È un discorso che va esteso anche all’Iraq. Ogni giornalista, ogni cooperatore che è tornato felicemente a casa, è un giornalista o un cooperatore in meno sul territorio. Da quattro anni a questa parte le informazioni che abbiamo su questi due Paesi sono diventate sempre più confuse e frammentarie – il problema è che siamo troppo indaffarati, distratti o partisan per accorgercene. Del resto diamo per scontato di vivere in una piccola sfera dove le informazioni sono ovunque immediatamente accessibili. Sbagliato: Iraq e Afganistan sono due buchi nel medioevo. Non passano più notizie. Nemmeno ai tempi del Vietnam era successo qualcosa del genere: due grandi nazioni scomparse dalla rete mondiale dell’informazione.
Pensate a questa semplice evidenza: non sappiamo contro chi stiamo combattendo. Per dire, gli americani in Vietnam lo sapevano. I russi in Afganistan lo sapevano. Oggi non lo sappiamo. Perché non vogliono dircelo? Oppure non lo sanno proprio?
Proviamo a ragionare da agit-prop: dobbiamo convincere il crasso Occidente a picchiare duro in Iraq e in Afganistan. Ci serve per prima cosa un Nemico. Osama Bin Laden andava benissimo, salvo che da qualche anno in qua comincia un po’ a puzzare, il cinquantenne ex-dializzato nascosto in una caverna. Continuare a insistere sul fatto che sia vivo, a 2-3 anni dall’ultimo filmato, è quasi un boomerang. E infatti sulla carta stampata si comincia timidamente a darlo per morto. Ma se muore, bisognerà trovare un altro Nemico, ugualmente cattivo ed emblematico, e non è semplice.
Qualche anno fa ci fu l’ondata dei Numeri Due. Il Numero Due era un modo abbastanza elegante per scalare dal concetto di “Bin Laden è il Male” a quello di “Il Capo di Al Quaeda in carica è il male”. Io ho onestamente perso il conto di quanti Numeri Due di Al Quaeda gli americani abbiano catturato e processato. Verso il 2004 la carica di Numero Due si è cristallizzata su Al Zarqawi, un tale che ai tempi non lavorava nemmeno nella stessa organizzazione di Bin Laden, ma era comunque il personaggio più sporco e cattivo in circolazione. Tagliava le teste occidentali, metteva gli snuff in rete, aveva ormai le dimensioni del mito.
Intorno ad Al Zarqawi si è detto di tutto. Proprio come Bin Laden, che fino a un certo punto si dava per dializzato, e poi miracolosamente è guarito, anche Al Zarkawi all’inizio sembrava uscisse e rientrasse dall’Iraq con una gamba finta (generoso regalo di Saddam Hussein) – finché a un certo punto non gli è ricresciuta. Viene in mente il personaggio di Gambadilegno: lo sapete perché si chiamava così? Nelle prime strisce americane aveva una gamba di legno, ma i disegnatori perdevano troppo tempo a disegnarla, e soprattutto non si erano mai messi d'accordo su quale gamba fosse. Finché Walt Disney o chi per lui decise di montargli un “modello nuovissimo” di gamba in tutto e per tutto uguale a quella vera: problema risolto. I Nemici degli americani hanno un po’ la consistenza dei cattivi da fumetti, o delle action figures smontabili.
A dicembre del 2004 Al Zarqawi a furia di decapitare occidentali si era fatto una fama talmente cattiva che Bin Laden in persona è resuscitato da qualche grotta di Tora Bora per nominarlo suo luogotenente in Iraq. Bene. Anzi no, perché a differenza di Bin Laden, Al aveva un difetto: era vivo e operante in Iraq. E se sei vivo e operante, prima o poi qualcuno ti cattura (lo stesso Zarqawi pare non fosse molto popolare nemmeno tra gli iracheni, che del resto ha massacrato a centinaia). E quando ti cattura, poi tocca inventarsi un nuovo Numero Due. Ma a questo punto i lettori occidentali cominciano a spazientirsi: sono abituati a trame di telefilm più verosimili (maledetto intrattenimento di qualità).
Dalla cattura in poi di Al Zarqawi non s’è più capito niente – non che prima si capisse molto. A un certo punto nell’autunno del 2005 Falluja è diventata la roccaforte dei sunniti. C’è stata una battaglia terribile, con armi al fosforo, Falluja è stata espugnata, e poi? E poi evidentemente non era la roccaforte, visto che la guerra coi sunniti è proseguita. O no? Giuro, ho provato a informarmi, ma non ci si capisce nulla. I giornalisti a Bagdad e Kabul e tirano i pastoni con quel che possono. Un’espressione ricorrente, nell’identificare il Nemico, è “un mosaico di formazioni”. Quando non è un mosaico è una mescolanza o un caleidoscopio o un ammasso o una pletora o qualunque cosa. Mai un nome. Mai un progetto politico o nazionale. Mai la faccia di un vero Nemico.
Ci servirebbe. Abbiamo bisogno di una faccia. E abbiamo bisogno di sapere se è una faccia nemica o no. Prendiamo quegli altri simpaticoni degli sciiti. Sono nostri alleati o no? Non si sa. Quante volte s’è visto il faccione di Muqtada-al-Sadr. È un nemico? O un amico? L’impressione è che l’ufficio propaganda se lo tenga come jolly, a seconda del momento. Ci sono fasi filo-sciite e fasi in cui gli sciiti ci stressano, evidentemente, e a seconda del momento il gattone sciita diventa un nemico o un alleato di riguardo.
Gli effetti sono paradossali: in gennaio in Occidente abbiamo assistito all’esecuzione di Saddam Hussein per mano di un tribunale legittimo, giusto? Ma in Medio Oriente hanno assistito all’esecuzione di Saddam Hussein per mano di un boia sciita, e circola voce che l’abbiano appeso davanti a Muqtada-al-Sadr. Ognuno ha la sua verità. Persino Camillo, che tra tanti difetti non aveva l’incoerenza, a fine anno si è messo a parlar bene dell’ayatollah Al Sistani. Per carità, ognuno dosi come vuole le sue idealità col realismo: ma partire dall’esportazione della democrazia per arrivare, in capo a tre anni, agli ayatollah, mi sembra abbastanza triste.
Quanto a me: io qualche anno fa avevo una certa idea, su Iraq e Afganistan. Da lì in poi non l’ho cambiata; non per coerenza, ma perché non ci ho più capito nulla. Se mi dimostrassero con dati alla mano che a questo punto è meglio restare là, sarei disponibile a cambiare idea. Penso che le idee abbiano una loro durata, come la biancheria; ogni tanto cambiarle è doveroso.
Il problema è che le informazioni, semplicemente, non arrivano: nessuno si attenta più ad andarle a prendere. Onore a Mastrogiacomo. Tutto il poco che sarà riuscito a portare indietro da questa esperienza, è oro puro per noi.
Il resto è fuffa, teatrino delle ideologie. “Stiamo combattendo contro i talebani”. “Dobbiamo dialogare coi talebani”. Entrambe sono opinioni rispettabili, il problema è che non hanno senso. La parola “talebano” non ha senso. I talebani del 2000 erano diversi da quelli del 2007. Quelli, per dire, pare avessero vietato la coltivazione del papavero da oppio per motivi religiosi - con conseguente crisi mondiale dell'offerta di eroina. Questi invece con l’oppio ci comprano le armi. Ne producono talmente tanto che la quotazione dell’eroina è ai minimi storici. Tra un po’ ai nostri ragazzi cominceranno a offrire schizzi gratis che nemmeno nel ’78. Un buon motivo per restare laggiù? O per andarsene? E chi lo sa? Non ne sappiamo nulla.
Verrebbe voglia di dire “Sì, restiamo”, giusto per ricordarci che l’Afganistan esiste. Bisognava che sequestrassero Mastrogiacomo perché in tv e sulla carta stampata tornassero notizie di attentati, stragi, combattimenti. Se ce ne andiamo, c’è il rischio oggettivo di dimenticarcene. Ma è solo un’opinione come un’altra. Ci scambiamo opinioni, in mancanza di informazioni.
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