Veronica che fotografò Gesù
12-07-2024, 00:34repliche, santiPermalink12 luglio – Santa Berenice/Veronica, paleo-fotografa.
Grazie Gesù (e chi ti smacchia più) (Mattia Preti). |
Una fotografia, diremmo noi.
La Veronica di Hans Memling (1475, notate le due punte della barba). |
Il Volto di Vienna. |
La Veronica di Roma |
Sul volto di Manoppello si sono lette cose incredibili, non nel medioevo, ma di recente: c’è chi ha sostenuto che non ci siano pigmenti sulla tela ma poi ha dovuto smentire; chi ci ha spiegato che è fatta con un tessuto raro di origine marina, il bisso, che veniva adoperato anche per i sudari dei faraoni, su cui sarebbe impossibile dipingere; ma il bisso nel Rinascimento non era poi così raro, oltre ai faraoni lo usavano anche i pescatori, Vasari ci racconta che almeno Albrecht Dürer non aveva difficoltà a dipingere su tele di bisso (il volto di Manoppello assomiglia anche agli autoritratti di Dürer) e inoltre – colpo di scena – finché la Chiesa non accetta a fornire un campione, non possiamo nemmeno essere sicuri che il tessuto sia bisso; potrebbe essere del comunissimo lino.
Autoritratto in forma di Gesù Cristo (o di rockstar), Albrecht Dürer, 1500 (ecco, questo se non lo conoscessi potrei davvero scambiarlo per una foto). |
Tutte le veroniche occidentali sembrano derivare da uno stesso modello perduto che ci piace immaginare sia il Mandylion di Edessa (oggi Şanlıurfa, Turchia sudorientale), una delle icone più antiche e venerate della cristianità. Se ne sono perse le tracce dopo i saccheggi della Quarta Crociata, quella imbarazzante che i veneziani dirottarono su Costantinopoli perché volevano essere pagati in anticipo per il trasporto. Ne abbiamo comunque tantissime riproduzioni, che ci danno un’idea su come fosse fatto: un volto barbuto disegnato senza sfondo e senza collo. Non è chiaro se l’aureola ci fosse o no (nelle versioni occidentali non c’è). La leggenda di Veronica forse aveva preso forma proprio per spiegarne l’esistenza; eppure il Mandylion è più antico. Sappiamo infatti che nei primi secoli non era affatto considerato acheropita. Proprio come la più famosa immagine miracolosa del Nuovo Mondo, la vergine della Guadalupe, venerata come icona dipinta per più di un secolo, prima che qualcuno cominciasse a raccontare la storia del miracoloso scatto fotografico.
Re Abgar riceve un souvenir dalla Palestina (miniatura). |
In effetti nel primo racconto che attesta l’esistenza del Mandylion, gli Atti apocrifi dell’apostolo Taddeo, la tela era stata dipinta dal vero per il re di Edessa, Abgar V il Nero, da un suo funzionario, Hannan. Abgar V lo aveva mandato a cercare Gesù Cristo perché era ammalato e ne aveva sentito parlare un gran bene come guaritore; Cristo naturalmente aveva altri impegni ma aveva apprezzato la lettera di Abgar e si era fatto ritrarre per lui, un pensiero gentile. Abgar era miracolosamente guarito, i suoi sudditi si erano convertiti e la città ne aveva guadagnato una reliquia di prim’ordine. All’inizio, insomma, il Mandylion si conquista una preminenza tra i ritratti di Cristo perché è considerato semplicemente il più antico e fedele all’originale, dipinto da mano umana ma dipinto dal vero. Siamo già nel VII secolo: gli abitanti di una popolosa città dell’Impero Bizantino hanno una certa dimestichezza coi ritratti, e sanno che il Mandylion, per quanto eccezionale, rientra in questa categoria. Poi le cose cambiano.
Nel secolo successivo scoppia la guerra delle icone, che oggi rischiamo di liquidare come una rissa tra due fazioni di superstiziosi ma è qualcosa di più, l’ennesimo round di un lungo scontro tra due concezioni antitetiche della divinità: gli iconoduli (i devoti alle immagini) la pretendono concreta, incarnata nella carne e nel sangue di Gesù, documentata da reliquie, riproducibile con ogni tecnologia disponibile, addirittura commestibile nell’ostia e nel vino. Dio è entrato nel mondo, ha perforato i nove cieli e si è fatto carne. La passione di Gesù non è un mito da interpretare, ma un fatto storico: esistono le prove, si possono toccare. È un’idea rivoluzionaria, che crea una frattura coi saperi tradizionali greco-romano-giudaici, e che viene accolta con entusiasmo soprattutto dai ceti più bassi.
Giovanni Damasceno, l’arabo che amava la Madonna. |
Gli iconoclasti, “distruttori delle immagini”, malgrado il nome rock’n’roll sono viceversa spesso i membri di un élite intellettuale e sociale; a una religione basata su ossa e pezzi di carne oppongono una concezione più astratta e spirituale (e tradizionale), una divinità assoluta incommensurabile e irraffigurabile: in oriente avevano lottato a lungo per l’egemonia, finendo spesso scomunicati come eretici, gnostici, monofisiti o monoteliti; finché non era arrivato l’Islam a soccorrerli, con la predicazione iconoclasta di Maometto e con le armi. Anche Bisanzio ebbe un paio di imperatori iconoclasti: le immagini venivano ciclicamente distrutte e poi riabilitate, nel complesso si fecero più rare e forse a un certo punto l’esperienza di vedere un volto dipinto, come quello del Mandylion, divenne qualcosa di eccezionale. Proprio in quel momento un eroico difensore delle icone nelle terre d’oriente, Mansour Ibn Sarjun AKA Giovanni di Damasco, gioca l’asso che riapre la partita: il Mandylion non l’avrebbe prodotto il funzionario Hannan, ma Gesù Cristo in persona. E siccome non riusciamo a immaginare Gesù che si dipinge allo specchio come quel vanesio di Albrecht Dürer, evidentemente si trattava di un miracolo: le forme dovevano essersi impresse nella tela senza sforzo, nel flash di un istante: selfie!
Prima di Giovanni Damasceno anche il cronista Evagrio Scolastico alla fine del VI secolo aveva parlato di un’immagine “di origine divina” che, scoperta in una fessura delle mura di Edessa, aveva salvato la città da uno dei periodici assalti dei persiani sassanidi. Nei verbali del Secondo Concilio di Nicea (787) il Mandylion viene definito charactèr, “impronta”: con la stessa parola si definiva l’immagine sul conio delle monete. Il concilio sanciva la prima vittoria degli iconoduli contro gli avversari; ma si poneva anche il problema di regolare la produzione delle icone ed evitare derive idolatre.
Il Mandylion non era solo l’impronta della divinità, la prova che Cristo era favorevole ai ritratti, ma era anche il modello da imitare per tutte le immagini sacre da quel momento in poi, un po’ come la sbarra in platino-iridio nell’Archivio Internazionale di Pesi e Misure di Sèvres era il modello di tutti i metri del mondo. Con la piccola differenza che la sbarra è ancora a Parigi, in un frigorifero che la mantiene a 0°, e se proprio ci tieni te la fanno vedere, mentre nel 787 il Mandylion, il Ritratto Zero, era praticamente perso. In teoria era ancora a Edessa, ma Edessa era passata ai persiani zoroastriani, poi di nuovo ai bizantini, poi agli arabi musulmani, e il telo in teoria così efficace contro le invasioni a un certo punto s’era perso di vista: qualcuno aveva visto degli invasori iconoclasti gettarlo in un pozzo. Ogni tanto veniva miracolosamente ritrovato, ma insomma, è chiaro che nel mondo islamico un pezzo del genere era sprecato. Prima o poi i bizantini avrebbero dovuto recuperarlo: ci misero un altro secolo, e un’altra crisi iconoclastica, ma alla fine nel 943 l’imperatore Romano I diede il via libera a una missione di recupero. A un generale bizantino, Giovanni Curcuas, fu destinato un budget di 12.000 corone d’oro da offrire ai notabili di Edessa in cambio del charactèr del volto di Gesù. L'offerta inoltre prevedeva che fossero liberati duecento prigionieri di guerra e uno status di immunità perpetua per la città: tutto in cambio di un disegno su una tela che forse non esisteva più da duecento anni.
Ora voi mettetevi nei panni della controparte: si può dire di no a un’offerta così? Almeno proviamoci, disegniamo una faccia barbuta su una tela, è vero che in quanto musulmani magari non siamo i più bravi coi ritratti, ma insomma vediamo come va. La prima versione offerta ai cristiani in effetti viene rigettata da Curcuas come un falso, un dettaglio intrigante perché ci fa immaginare una sorta di contrattazione: dicendo di no al primo prototipo, Curcuas avrà avuto la possibilità di far capire agli interlocutori che tipo di prodotto si aspettava che gli portassero: mi serve un volto più realistico, la barba mi raccomando a due punte, (nelle copie che abbiamo a Bisanzio ha sempre due punte), ecc. ecc.. Gli edessini recepiscono e finalmente riescono a produrre il Mandylion originale. Curcuas, tutto contento, lo impacchetta e lo porta a Costantinopoli, dove lo aspettano glorie e onori, e soprattutto una grande curiosità: in quel telo c’è il vero volto del Cristo! Chissà quant’è bello! E i capelli come li avrà: neri o castani, lisci o crespi? (non credo che nessuno a Costantinopoli nel X secolo si immaginasse dei boccoli biondi). Tutta una serie di dettagli teologicamente insignificanti ma irresistibili per il popolino medievale e anche per noi, che se in una gallery di internet ci mostrano “la ricostruzione 3d del vero volto di Gesù” prima o poi clicchiamo. Ma la famiglia imperiale, quando finalmente può vedere in anteprima, il Primo Ritratto, come reagisce? In un modo assai strano e suggestivo.
Una cronaca racconta che i figli dell’imperatore non riuscivano a vedere proprio niente; mentre il loro zio acquisito, Costantino Porfirogeneto, ne prova subito un’immensa emozione. Questo forse significa semplicemente che per il cronista Costantino meritava di succedere al trono imperiale più dei figli legittimi di Romano I, cosa che effettivamente accadrà (la Storia la scrivono i vincitori). Ma c’è un’altra ipotesi, molto più affascinante: forse i figli non vedono nulla perché, essendo giovani e principi, si sono proprio messi davanti al telo, mentre l’immagine si riesce a vedere solo alla distanza di qualche metro. A qualche metro c’è appunto Costantino Porfirogeneto, che non solo si trova nel punto di vista migliore, ma ha anche l’età, l’esperienza di vita necessaria per capire che quell’immagine è davvero straordinaria, diversa da qualsiasi altra.
Un’ipotesi intrigante, anche per le porte che spalanca. Un’immagine che non può essere vista da vicino ma soltanto da lontano: esistevano immagini del genere nel medioevo? Come potevano essere realizzate? Il primo esempio che viene in mente è almeno di tre secoli più tardo, ma è pur sempre medioevo; e inoltre è anch’esso un ritratto di Cristo, a modo suo.
È la Sindone di Torino, sempre lei.
(Continua)
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