Premesse a una psicopatologia del renzismo

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Premessa esistenziale

Vieni a farcela davanti, la psicopatologia,
se ne hai il coraggio.
Quando si iniziò a discutere di Italicum, lasciai scritto che mi sembrava di ritrovarmi tra i rinoceronti di Ionesco. Intorno a me un sacco di gente cominciava a comportarsi in modo strano, al punto che valeva la pena di domandarsi se quello impazzito non fossi io. Tra i sintomi che notavo più spesso, la totale fiducia in qualsiasi numero Renzi (e Berlusconi) stessero mettendo per iscritto. Volevano governare col 35%? Ma perché no, in fondo è più di un terzo degli elettori; avrà ben diritto un terzo di decidere per gli altri due. Si trattava di gente con cui ero andato d'accordo, magari non in tutto ma nelle linee fondamentali: banalmente, erano stati antiberlusconiani e lo ero stato anch'io. Ma non avevamo mai perso tempo a domandarci a vicenda cosa pensavamo della democrazia, e quindi può effettivamente darsi che per tutto questo tempo avessimo mandato avanti un colossale equivoco: per me servirebbe, è sempre servito, almeno un 50%, e questo spiegava la mia disponibilità alle alleanze, perché non ho mai sperato di andar totalmente d'accordo col 50% degli elettori.

Scoprivo invece, discutendo con questi miei amici e (ex?) compagni, che la mia disponibilità era male, malissimo, il primo degli errori della sinistra. Il paradosso per cui chi mi raccontava queste cose stava sostenendo un governo Pd+Ncd, e riteneva una buona idea far scrivere un po' di legge elettorale a Berlusconi, si risolveva rapidamente: come ogni guerra si fa perché sia l'ultima, queste riforme si facevano assieme affinché, da lì in poi, non ci fosse più nessuna possibilità per una coalizione in Italia. Mai più. Il solo inciucio necessario è quello che porrà fine per sempre a ogni inciucio. Meglio far scegliere a un solo terzo di elettori, piuttosto che correre il rischio di un nuovo quadri o penta o decapartito, una nuova ammucchiata rissosa e ingovernabile.

Senza essere un appassionato di ammucchiate, non le trovo il peggiore dei mali: considero la negoziazione una delle principali arti del politico, e che tutto quello che riusciamo a fare - tutto - sia il risultato di un compromesso. Intorno a me, col tempo, mi sembrava di vedere solo gente che più o meno la pensava allo stesso modo. Poi arriva Renzi e mi trovo improvvisamente circondato da un branco, scusate, di rinoceronti che mi garantiscono educatamente che no, ogni compromesso è una sconfitta; negoziare è fallire; e sventurato è il popolo che non conosce il nome del suo leader la sera delle elezioni. Magari nel lungo periodo avranno pure ragione loro, devo ammettere che la loro corazza è di un grigio assai elegante; nel frattempo però mi piacerebbe capire com'è successo: com'è che una mattina ti spunta un corno sul naso? com'è possibile che persone sinceramente democratiche a un certo punto abbiano deciso di passar sopra alla definizione stessa di democrazia? È il risultato di un evento traumatico? E se sì, quale?


Un indizio

In seguito ha fondato altri due partiti, giuro.
Franco Turigliatto è un politico torinese. Nel 2008 era già stato allontanato da Rifondazione per aver votato l'anno prima contro una mozione del ministro degli esteri, D'Alema, sulle missioni militari all'estero. Quando nel 2008 vota la sfiducia al governo Prodi, dunque, Turigliatto non è più nella maggioranza di governo - anche se mesi prima aveva dato un voto di fiducia. Si tratta insomma di una storia complicata, però nella memoria di molti rinoceronti, pardon, interlocutori, le cose si sono molto semplificate. Complice forse il cognome un po' onomatopeico, Turigliatto è diventato un sinonimo di sinistra litigiosa e irresponsabile (eppure per un solo voto dato secondo coscienza il suo stesso partito lo aveva cacciato: pensate cosa sarebbe successo a Civati).
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