L'apocalisse è una soluzione

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Saverio De Musso. 
5 aprile: San Vincenzo Ferrer (1350-1419), angelo autonominato dell'apocalisse. 

La svolta avvenne nel 1398, durante l'assedio di Avignone. Fino a quel momento la carriera del valenciano Vicente Ferrer era stata quella del prelato insigne di nobili natali, dottore di teologia e spesso impiegato in missioni diplomatiche. Nulla lasciava presagire che l'ormai cinquantenne domenicano sarebbe di lì a poco l'angelo dell'apocalisse, il primo grande divo del secolo ruggente della predicazione, il Quattrocento. Del resto Dio ti può chiamare in qualsiasi momento, anche se alle prove dei fatti tutte queste apocalissi annunciate non si verificano mai. Agli scettici voglio proporre un'altra ipotesi: nell'Apocalisse, Vicente potrebbe aver trovato una via d'uscita da una situazione che non sembrava più indicarne altre. Vicente in effetti era in trappola: non solo perché Avignone era circondata dalla cavalleria di Carlo VII di Francia. Gli assedi sono cose che capitano, un grande imbarazzo per chi combatte e chi fatica a mettere insieme pranzo e cena, ma di solito si risolvono prima che anche a corte si cominci a far la fame. Il vero dubbio che doveva tormentarlo, era quello di avere puntato sul papa sbagliato. 

Ai tempi era un errore piuttosto comune: vent'anni prima, allo scoppio dello scisma d'Occidente, Vicente era un giovane chierico in carriera alla corte del cardinale aragonese Pedro de Luna. Tra il papa di Roma (Urbano VI) e quello fuggito ad Avignone (Clemente VII) non aveva avuto la possibilità di scegliere: la Chiesa aragonese si era schierata con Clemente, fine della discussione. Non solo, ma alla morte di Clemente, nel 1394, i cardinali avignonesi avevano eletto come successore il protettore di Vicente, Pedro de Luna, che aveva preso il nome di Benedetto XIII e nominato Vicente suo maestro di palazzo. Oltre a essere suo stretto collaboratore, Vicente era il suo confessore, e può darsi che il tarlo del dubbio gli si sia insinuato così: conosceva troppo il suo Pedro per ritenerlo un buon papa. D'altro canto, licenziarsi da una carica così prestigiosa e delicata non doveva essere semplice: e anche il fatto che a Pedro non ne stesse andando bene una, poteva rendere la cosa ancora più complicata: Magari non a voi, magari siete quel tipo di persona che non ha difficoltà a mollare una ditta in difficoltà, o una scuola in crisi, o un partner problematico; ma accettate che non sono tutti come voi, c'è gente che piuttosto di abbandonare al suo destino boss che lo aveva scelto e protetto per vent'anni si fa venire la febbre e le visioni apocalittiche. Questa almeno è la mia ipotesi notturna su San Vincenzo Ferrer, che durante l'assedio del 1398 soffrì violenti febbri dalle quali guarì miracolosamente, dopodiché informò il suo papa (che oggi consideriamo un antipapa) che non poteva più lavorare per lui, Cristo gli era apparso insieme a San Francesco e San Domenico per esortarlo a mettersi in strada per convertire l'umanità intera, dal momento che la fine dei giorni era ormai vicina. Cristo, in effetti, era l'unica autorità che Pedro riconosceva superiore alla sua.

Detto questo, resta da spiegare come fece un domenicano quasi cinquantenne che fino a quel momento aveva frequentato la curia e le facoltà di teologia a trasformarsi in un imbonitore di piazza, un santone dal miracolo facile, l'impresario di un circo apocalittico che trascinava un codazzo di fanatici in giro per l'Europa. La spiegazione carismatica, anche in questo caso, è la più semplice: Dio ti può scegliere in qualsiasi momento per combinare qualsiasi cosa. Può darsi che mettendosi in strada, Vicente abbia messo a frutto dei talenti che fino a quel momento erano rimasti inespressi. Il pubblico ad esempio andava in visibilio perché, in ogni città, Vicente riusciva a farsi capire, benché parlasse per lo più in lingua valenciana. Secondo i linguisti è possibile che a inizio Quattrocento i dialetti romanzi tra Spagna e Italia fossero così poco differenziati da permettere a Vicente di predicare senza traduttori. E però si può anche notare che Vicente aveva un passato di studioso e diplomatico, e forse come Antonio da Padova poteva contare su un talento naturale per lingue che ai tempi (tempi in cui a studiare erano molto in pochi) più facilmente veniva scambiato per una facoltà miracolosa. Tanto più che nei suoi discorsi preferiva concentrarsi su contenuti semplici (la fine del mondo è vicina, pentitevi) e mantenere l'attenzione con effetti di scena – i miracoli, appunto. Vincenzo è forse il santo che è riuscito a farsene omologare la maggiore quantità: quando, su impulso del re Alfonso d'Aragona, fu avviata la pratica delle canonizzazione e furono trascritti i miracoli, si scoprì che ce n'era almeno un'ottantina di documentati – una stima largamente difettiva, dal momento che di lui dicevano che se un giorno non avesse fatto miracoli, ecco, quello sarebbe stato un miracolo. 

Nel suo viaggio verso la fine del mondo Ferrer lasciava dietro di sé una scia di storpi raddrizzati, epidemie sanate, siccità risolte. Si racconta che una volta vide un tizio cadere dalla finestra e lo bloccò a mezz'aria, perché Benedetto XIII gli aveva proibito di fare altri miracoli e lui voleva prima il suo permesso. I miracoli lo resero popolarissimo presso i ceti più umili, disorientati da uno scisma che non finiva mai. I papi erano quasi sempre due, quando finalmente si arrivava a un compromesso se ne nominava un terzo. Predicando l'Apocalisse, Vicente era riuscito a chiamarsi fuori dalla contesa, anche se per mantenere il suo personaggio doveva vivere frugalmente, girare l'Europa occidentale in sandali, accompagnarsi da flagellanti che oltre che infliggersi ferite ne arrecavano parecchie soprattutto agli ebrei che saccheggiavano di città in città. Quando gli proposero lo zucchetto da cardinale, lo rifiutò, così come rifiutò di partecipare al Concilio di Costanza che doveva risolvere lo scisma una volta per tutte. Ma quando a Costanza fu proclamato un nuovo papa, Martino V, a Ferrer toccò l'ingrato compito di comunicare a Benedetto XIII che anche il re Ferdinando di Aragona non lo considerava più un papa: una missione resa ancora più penosa dal fatto che era stato grazie a Benedetto che Ferdinando era salito al trono. Ma anche Vicente doveva quasi tutto al vecchio antipapa a cui diede il benservito. Fu una delle sue ultime missioni ufficiali: morì nel 1419 in Bretagna a 69 anni, senza aver visto l'Anticristo che pure secondo i suoi calcoli doveva essere nato intorno al 1402. Gli sopravvisse per due anni Pedro detto Benedetto XIII, ancora convinto di essere l'unico papa legittimo, barricato nel suo castello di Peñiscola con tre prelati che considerava i suoi cardinali, ai quali chiese di eleggere un successore. 

San Vincenzo di Valencia è venerato un po' dovunque, anche se in Sudamerica a volte è confuso o sovrapposto a Vincenzo di Saragozza. A Napoli è particolarmente festeggiato in luglio, quando "O munacone" viene portato in processione nel rione Sanità. È una statua di San Vincenzo che tradisce le origini domenicane della Basilica di Santa Maria della Sanità; benché l'ordine fosse stato sciolto a inizio Ottocento, la statua fu considerata risolutiva durante l'epidemia di colera del 1836. Tra i santi domenicani è abbastanza facile da riconoscere: spesso, oltre al saio bianconero dell'ordine, porta due ali d'angelo, dal momento che si considerava l'angelo dell'apocalisse.

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