Al di là del Principio di Realtà
30-06-2011, 04:00Berlusconi, cattiva politicaPermalinkWo es war...
Appena un mese fa – me lo ricordo straordinariamente bene – Pisapia vinceva, al secondo assalto, la battaglia di Milano, che per vari motivi apparve subito più significativa di quella pur notevole di De Magistris a Napoli. Quel che è successo in questo mese, dai referendum al caso Bisignani al flop di Pontida, per finire con la finanziaria, non dà l'impressione di una ritirata strategica. Sbaglierò, ma ha tutta l'aria della trattativa di un armistizio. A volersi arrendere non è tanto Berlusconi (tutt'altro che lucido, in questa fase), quanto la classe dirigente che solo due anni fa sembrava dover regnare invincibile fino alla salita di Silvio al Quirinale e oltre. Bene, a un certo punto hanno mollato. Non hanno perso le elezioni, badate. Potrebbero persino rivincerle: hanno i mezzi e hanno i numeri. Ma, dopotutto, chi glielo fa fare? Non è che governare l'Italia in recessione sistemica sia questo grande affare. Probabilmente conviene succhiare il succhiabile e tornarsene all'opposizione, dove sarà più semplice rifarsi una verginità gridando a gran voce Padania libera, No all'Oppressione Fiscale o qualche altro slogan che verrà in mente al momento giusto.
Si dice che il vento sia cambiato. È poco più di un modo di dire. Gli italiani sono – purtroppo – gli stessi di un mese fa. Continuano ad aver paura degli zingari e dei neri che vengono a rubarci il lavoro: ad appassionarsi al delitto dell'estate e a blindarsi in autostrada nella fila centrale ai centoventi, insomma non sembrano cambiati. La stessa batosta delle amministrative e poi del quorum non è una novità: Berlusconi ci è già passato, per esempio nel 2005, e in quelle occasioni ha approfittato per prendere le misure ai suoi avversari e recuperare gli svantaggi accumulati. Stavolta è forse più stanco e più distratto, ma non è un problema soltanto suo. C'è tutto un blocco sociale che costituisce ancora la maggioranza di questo Paese, ma che non mostra più nessuna volontà di imporsi. Se si andasse a votare domani, molti degli elettori di questo blocco semplicemente si asterrebbero – e la loro astensione probabilmente sarebbe decisiva all'affermazione del centrosinistra. Altri pescherebbero un leader alternativo tra i tanti che Berlusconi è riuscito ad allontanare dai vertici quando ancora potevano contare qualcosa: Fini, Casini, perfino Di Pietro, nessuno sarebbe in grado di ereditare il berlusconismo com'è oggi (men che meno Montezemolo o Maroni). I più continuerebbero a votare Berlusconi: per inerzia.
Abbiamo parlato per anni di sinistra e di destra in Italia, ma per la verità è più o meno dalla discesa in campo del '94 che sarebbe più opportuno parlare di principio di realtà e principio del piacere. Chi vota Berlusconi o Bossi non è di destra in senso storico, o liberale, o perfino fascista: Lega e PdL si votano per la soddisfazione immediata che garantiscono, promettendo ogni volta di tagliare le tasse e ridisegnare fantomatici confini federali. Allo stesso modo, chi vota centrosinistra ormai ha ben poco di comunista o di socialdemocratico (anzi ha contribuito talvolta al varo di riforme di sapore liberale); di solito lo fa per un senso più o meno consapevole di responsabilità individuale o collettiva; per entrare in Europa, o restarci, per salvare il bilancio, il buon nome del Paese, eccetera eccetera. Il Centrodestra regala sogni, il centrosinistra interviene ogni cinque anni a salvare i conti. Da questo punto di vista non si tratta di due schieramenti contrapposti, quanto piuttosto complementari: se Berlusconi ha potuto folleggiare (ma gli italiani non è che abbiano folleggiato parecchio, nemmeno durante i suoi mandati), lo deve agli odiatissimi Amato, Ciampi, Visco, Padoa Schioppa, che al momento giusto arrivavano a salvare i conti e a porre le basi per una nuova trionfale campagna anti-oppressione-fiscale.
A sancire questa alternanza arriva l'ultima finanziaria presentata da Tremonti in parlamento: una barzelletta triste che farebbe ridere se non parlasse di noi. Per sua voce il governo ha annunciato che con il ticket al pronto soccorso e altri tagli alle scuole riuscirà a raccattare due dei 47 miliardi di euro necessari – i restanti 45 li raccoglierà il prossimo esecutivo. Di che altro si tratta se non di una resa incondizionata, una fuga dalle proprie responsabilità? Toccherà a Bersani e Vendola trovare il prossimo Visco, il prossimo Padoa Schioppa, il prossimo obiettivo per il tiro al piccione di Libero e Giornale. Feltri e compagnia si rimetteranno in riga, i leghisti dalla loro ridotta del cinque per cento si rimetteranno a urlare Secessione – che è la cosa che gli riesce meglio – e magari tra sei anni sarà già tutto sistemato, e il Paese pronto per il prossimo sogno, il prossimo smagliante Miracolo Italiano, la prossima fuga della realtà.
Come se ne esce? Non so, forse votando Berlusconi, blindandolo per altri cinque anni, obbligando lui e i suoi elettori a prendersi le responsabilità per le proprie scelte, di fronte alla concreta possibilità di andare in malora – salvo che in malora ci siamo già. E allora forse quando il centrosinistra vincerà, non perché rappresenta la maggioranza del Paese, ma perché la maggioranza del Paese non vuole più essere rappresentata, vale la pena di insistere su un concetto: Berlusconi, Bossi e il loro sistema non vanno semplicemente sconfitti, ma delegittimati. Occorre riconoscere, da un punto di vista non semplicemente giudiziario ma politico, che erano un'associazione a delinquere che ci ha impoverito, tutti: e trarne le conseguenze. Altrimenti quelli tra sei anni sono ancora lì, pronti a venderti la rivolta fiscale, la secessione il tiro ai barconi dei negri, e gli italiani queste cose le comprano, purtroppo.
“Insomma, stai dicendo che quando Bersani vincerà bisogna ricordarsi di distruggere...”
“...Cologno Monzese, sì”.
“Lo potevi dire prima, mi risparmiavo cinque minuti”.
“Così lo sponsor è più contento”.
“Lo sponsor... ma ti senti? Guarda che Berlusconi può perdere tutto, ma dentro di te ha vinto da un pezzo”.
“Che io possa essere il magro premio di consolazione”.
“Amen”.
Appena un mese fa – me lo ricordo straordinariamente bene – Pisapia vinceva, al secondo assalto, la battaglia di Milano, che per vari motivi apparve subito più significativa di quella pur notevole di De Magistris a Napoli. Quel che è successo in questo mese, dai referendum al caso Bisignani al flop di Pontida, per finire con la finanziaria, non dà l'impressione di una ritirata strategica. Sbaglierò, ma ha tutta l'aria della trattativa di un armistizio. A volersi arrendere non è tanto Berlusconi (tutt'altro che lucido, in questa fase), quanto la classe dirigente che solo due anni fa sembrava dover regnare invincibile fino alla salita di Silvio al Quirinale e oltre. Bene, a un certo punto hanno mollato. Non hanno perso le elezioni, badate. Potrebbero persino rivincerle: hanno i mezzi e hanno i numeri. Ma, dopotutto, chi glielo fa fare? Non è che governare l'Italia in recessione sistemica sia questo grande affare. Probabilmente conviene succhiare il succhiabile e tornarsene all'opposizione, dove sarà più semplice rifarsi una verginità gridando a gran voce Padania libera, No all'Oppressione Fiscale o qualche altro slogan che verrà in mente al momento giusto.
Si dice che il vento sia cambiato. È poco più di un modo di dire. Gli italiani sono – purtroppo – gli stessi di un mese fa. Continuano ad aver paura degli zingari e dei neri che vengono a rubarci il lavoro: ad appassionarsi al delitto dell'estate e a blindarsi in autostrada nella fila centrale ai centoventi, insomma non sembrano cambiati. La stessa batosta delle amministrative e poi del quorum non è una novità: Berlusconi ci è già passato, per esempio nel 2005, e in quelle occasioni ha approfittato per prendere le misure ai suoi avversari e recuperare gli svantaggi accumulati. Stavolta è forse più stanco e più distratto, ma non è un problema soltanto suo. C'è tutto un blocco sociale che costituisce ancora la maggioranza di questo Paese, ma che non mostra più nessuna volontà di imporsi. Se si andasse a votare domani, molti degli elettori di questo blocco semplicemente si asterrebbero – e la loro astensione probabilmente sarebbe decisiva all'affermazione del centrosinistra. Altri pescherebbero un leader alternativo tra i tanti che Berlusconi è riuscito ad allontanare dai vertici quando ancora potevano contare qualcosa: Fini, Casini, perfino Di Pietro, nessuno sarebbe in grado di ereditare il berlusconismo com'è oggi (men che meno Montezemolo o Maroni). I più continuerebbero a votare Berlusconi: per inerzia.
Abbiamo parlato per anni di sinistra e di destra in Italia, ma per la verità è più o meno dalla discesa in campo del '94 che sarebbe più opportuno parlare di principio di realtà e principio del piacere. Chi vota Berlusconi o Bossi non è di destra in senso storico, o liberale, o perfino fascista: Lega e PdL si votano per la soddisfazione immediata che garantiscono, promettendo ogni volta di tagliare le tasse e ridisegnare fantomatici confini federali. Allo stesso modo, chi vota centrosinistra ormai ha ben poco di comunista o di socialdemocratico (anzi ha contribuito talvolta al varo di riforme di sapore liberale); di solito lo fa per un senso più o meno consapevole di responsabilità individuale o collettiva; per entrare in Europa, o restarci, per salvare il bilancio, il buon nome del Paese, eccetera eccetera. Il Centrodestra regala sogni, il centrosinistra interviene ogni cinque anni a salvare i conti. Da questo punto di vista non si tratta di due schieramenti contrapposti, quanto piuttosto complementari: se Berlusconi ha potuto folleggiare (ma gli italiani non è che abbiano folleggiato parecchio, nemmeno durante i suoi mandati), lo deve agli odiatissimi Amato, Ciampi, Visco, Padoa Schioppa, che al momento giusto arrivavano a salvare i conti e a porre le basi per una nuova trionfale campagna anti-oppressione-fiscale.
A sancire questa alternanza arriva l'ultima finanziaria presentata da Tremonti in parlamento: una barzelletta triste che farebbe ridere se non parlasse di noi. Per sua voce il governo ha annunciato che con il ticket al pronto soccorso e altri tagli alle scuole riuscirà a raccattare due dei 47 miliardi di euro necessari – i restanti 45 li raccoglierà il prossimo esecutivo. Di che altro si tratta se non di una resa incondizionata, una fuga dalle proprie responsabilità? Toccherà a Bersani e Vendola trovare il prossimo Visco, il prossimo Padoa Schioppa, il prossimo obiettivo per il tiro al piccione di Libero e Giornale. Feltri e compagnia si rimetteranno in riga, i leghisti dalla loro ridotta del cinque per cento si rimetteranno a urlare Secessione – che è la cosa che gli riesce meglio – e magari tra sei anni sarà già tutto sistemato, e il Paese pronto per il prossimo sogno, il prossimo smagliante Miracolo Italiano, la prossima fuga della realtà.
Come se ne esce? Non so, forse votando Berlusconi, blindandolo per altri cinque anni, obbligando lui e i suoi elettori a prendersi le responsabilità per le proprie scelte, di fronte alla concreta possibilità di andare in malora – salvo che in malora ci siamo già. E allora forse quando il centrosinistra vincerà, non perché rappresenta la maggioranza del Paese, ma perché la maggioranza del Paese non vuole più essere rappresentata, vale la pena di insistere su un concetto: Berlusconi, Bossi e il loro sistema non vanno semplicemente sconfitti, ma delegittimati. Occorre riconoscere, da un punto di vista non semplicemente giudiziario ma politico, che erano un'associazione a delinquere che ci ha impoverito, tutti: e trarne le conseguenze. Altrimenti quelli tra sei anni sono ancora lì, pronti a venderti la rivolta fiscale, la secessione il tiro ai barconi dei negri, e gli italiani queste cose le comprano, purtroppo.
“Insomma, stai dicendo che quando Bersani vincerà bisogna ricordarsi di distruggere...”
“...Cologno Monzese, sì”.
“Lo potevi dire prima, mi risparmiavo cinque minuti”.
“Così lo sponsor è più contento”.
“Lo sponsor... ma ti senti? Guarda che Berlusconi può perdere tutto, ma dentro di te ha vinto da un pezzo”.
“Che io possa essere il magro premio di consolazione”.
“Amen”.
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