Zefirino e la Trinità

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20 dicembre: San Zeffirino o Zefirino, papa dal 198 al 217.


In alcuni periodi Zef(f)irino è stato considerato un martire: una festa di Zefirino "papa e martire" in agosto è resistita nel calendario romano fino alla revisione del 1969. Può darsi che una leggenda andata perduta lo considerasse vittima delle persecuzioni che ripresero verso la fine del regno dell'imperatore Settimio Severo. Ma siccome per tutte le altre fonti risulta spirato serenamente, al termine del pontificato più lungo del terzo secolo, e addirittura sepolto nel nuovo cimitero sulla via Appia che i cristiani avevano avuto il permesso di comprare, il termine "martire" doveva avere creato imbarazzo già a qualche cronista antico. 

Il titolo, dice la Wikipedia inglese, se lo sarebbe comunque meritato per gli sforzi e i dolori patiti nel condurre la Chiesa di Roma per quasi vent'anni: un lungo periodo in cui forse non vi furono persecuzioni (quella di Settimio Severo potrebbe veramente essere stata poco più che una crisi diplomatica, risolta con un compromesso e senza molte vittime) ma uno scontro estenuante tra correnti teologiche nel quale anche gli esperti faticano a raccapezzarsi: e tra questi esperti pare non vi fosse Zeffirino. Da millenni pesa su di lui l'epiteto affibbiatogli dall'autore di un Trattato contro tutte le eresie, che lo definisce senza mezzi termini "ignorante", "illetterato" e "inesperto dei provvedimenti ecclesiastici". Chi abbia scritto questo Trattato non lo sappiamo con certezza, ma per accusare di inesperienza il titolare di un pontificato ventennale bisogna veramente credersi chissà chi, così un po' tutti pensiamo che l'abbia scritto Sant'Ippolito – chi altri a Roma poteva avere una così alta concezione di sé stesso? Ippolito in effetti era un teologo raffinato che stava già partecipando alla disputa teologica del secolo: la questione trinitaria. Si trattava di una questione spinosissima – Dio è uno solo o sono tre? – che Ippolito era convinto di poter risolvere con la pura speculazione filosofica; dal suo studio dove immaginava di dialogare coi dottori della Chiesa, Ippolito doveva guardare con un certo disprezzo ai compromessi a cui scendevano gli uomini delle istituzioni come Zefirino e il suo braccio destro, l'usuraio bancarottiere Callisto. 

A sua discolpa, Zefirino doveva destreggiarsi in una situazione in cui veri e propri dogmi non c'erano, col rischio ricorrente di lasciarsi andare ad affermazioni che in seguito avrebbero potuto essere interpretate come eresie. Che Dio fosse uno e trino non era affatto chiaro, nel 200, e se dobbiamo essere onesti non lo è nemmeno adesso. Certo, leggendo le Scritture risulta abbastanza evidente che Gesù Cristo non sia il Dio dell'Antico Testamento; se quest'ultimo è il Creatore, Gesù più volte lo chiama "Padre" (anche sulla croce) e ribadisce di essere sceso sulla terra per una missione di riconciliazione. Non solo, ma lo stesso Gesù avvertiva che dopo la sua dipartita, il Padre avrebbe inviato agli apostoli uno "Spirito" che li avrebbe sorretti e ispirati. Dunque Dio è Padre, Figlio e Spirito; e allo stesso tempo è anche Uno Solo. L'ipotesi di tre Dei diversi, magari parenti, è da escludere nel modo più reciso; contrastava non solo con l'orgoglioso monoteismo dei cristiani di origine ebraica, ma anche col monismo propugnato dai filosofi neoplatonici che negli stessi anni stanno conquistando l'egemonia culturale nel mondo pagano. Dunque un solo Dio, diviso in tre... in tre cosa? manifestazioni? sostanze? persone? Se uno è Padre, significa che all'inizio c'era soltanto Lui, e poi ha creato gli altri due? Ma in tal caso non potrebbe essere veramente un Dio solo, ecc. La questione era abbastanza complessa e non sarebbe stata definita dogmaticamente che nel 325: nel frattempo chi aveva incarichi istituzionali, come Zefirino, navigava a vista cercando di non scontentare nessuno, né di sbilanciarsi con affermazioni troppo recise (un po' come quando chiedono alla Schlein del campo largo, a voi non viene la nausea?) 

Nel frattempo si sviluppavano diverse scuole di pensiero che i vincitori del dibattito avrebbero in seguito definito eresie: gli adozionisti monarchiani, ad esempio, erano così affezionati all'idea che Dio fosse Uno che credevano che Gesù fosse nato uomo e fosse stato "adottato" da Dio dopo il battesimo. All'estremità opposta, i modalisti/patripassiani consideravano Gesù soltanto un "modo" di essere di Dio Padre, che quindi aveva patito personalmente sulla croce. Può risultare difficile immaginare che i cristiani del II secolo litigassero intorno a definizioni così complesse. Non si può escludere a priori che il dibattito coinvolgesse anche il popolo minuto (come nota Gregorio di Nissa, un secolo più tardi, scrivendo dalla Cappadocia: vuoi sapere quanto costa una pagnotta, ti rispondono: “Il Padre è il maggiore, e il figlio gli è soggetto”). Ma dobbiamo ricordare che ogni dibattito è un iceberg. Immaginate di atterrare oggi sulla Terra, e di assistere senza preconcetti a un litigio tra un interista e uno juventino. Di calcio sapreste molto poco, ma dal fervore con cui i due argomentano, e dalla dovizia di episodi che citano, potreste dedurre di trovarvi davanti a due esperti, due studiosi che hanno dedicato anni di studio alla materia. Deducete quindi che si tratti in primo luogo di una disputa dottrinale sul giuoco, sulla sua filosofia e le sue regole, e in un certo senso è così: ma sotto c'è anche dell'altro; materiale meno astratto e quindi meno facile da immaginare per chi arriva da lontano. Ci sono storie complicate e intrecciate, la secolare rivalità tra due sensi di appartenenza, rancori mal sopiti, a volte persino coscienza di classe: di tutto questo stanno litigando, l'interista e lo juventino, e magari anche di beghe personali che col calcio non c'entrano niente. Così probabilmente i monarchisti e i modalisti rappresentavano milieu sociali e visioni del mondo che ormai non riusciamo più a definire; perché ai cronisti del tempo interessava più la dimensione dottrinale che la composizione sociale dei gruppi che lottavano per affermare la propria prominenza. Inoltre, non ci parlano quasi mai di soldi.

Ed è un vero peccato, perché di soldi ne giravano. Intellettuali come Ippolito potevano anche permettersi di non preoccuparsene, ma queste nuove religioni monoteiste stavano diventando un business interessante. Sin dall'inizio il cristianesimo aveva funzionato mediante le collette dei fedeli più abbienti, ai quali veniva già chiesto di meritarsi la Grazia con le opere di bene; nelle grandi città in cui si concentravano grandi masse di schiavi e semischiavi, la Chiesa aveva assunto rapidamente un ruolo assistenziale a cui nessun altra istituzione si sobbarcava. Dobbiamo ipotizzare che le comunità religiose avessero ormai cospicui patrimoni da gestire: questo spiega il successo di personaggi ambigui come Callisto, che da usuraio diventerà il successore di Zefirino, con grande scandalo di Ippolito; ma spiega anche il proliferare di confessioni religiose alternative, che col pretesto non riconoscersi in una determinata dottrina, consentivano ad altri personaggi di tagliare fette importanti da una torta sempre più grossa. In fondo bastava convincere i fedeli più facoltosi di essere i veri possessori della realtà rivelata; se ci pensate è un trucco che funziona da millenni. 

Il caso più eclatante in quegli anni era il Montanismo, una setta nata verso il 150 dalla predicazione del greco Montano e di altre due profetesse, che si ritenevano in comunicazione con lo Spirito Santo. Di Montano si dice che fosse molto ricco e che avesse conquistato così i suoi fedeli; ma potrebbe essere un caso di inversione causa/effetto, ovvero Montano avrebbe potuto diventare molto più ricco proprio grazie al seguito che aveva saputo conquistarsi. Con le sue rivelazioni choc sulla solita fine del mondo, il montanismo riuscì a irretire anche un vecchio baluardo dell'ortodossia come Tertulliano, e per molto tempo non fu considerato un'eresia: a Roma fu Zeffirino a condannarlo. Quanto agli adozionisti, il loro leader romano era un cambiavalute, Teodoto il Cuoiaio: sembra proprio che le organizzazioni religiose attirassero i faccendieri esperti in gestione della liquidità. A tal proposito Eusebio di Cesarea racconta del pentimento di un chierico, il confessore Natalio, che Teodoto aveva portato dalla sua parte offrendogli l'incarico di vescovo adozionista. Molto più del titolo, a convincere Natalio doveva essere stato lo stipendio mensile previsto da Teodoto: 150 denari d'argento, sei volte la paga di un legionario. Eppure non bastarono a sedare il senso di colpa di Natalio, che continuava a sognare Gesù che lo rimproverava, finché gli angeli non lo flagellarono per una notte intera, convincendolo ad andare a chiedere perdono a Zeffirino. 

Il quale Zeffirino, dovendosi barcamenare tra tante fazioni, non era così ansioso di districare il problema trinitario: messo alle strette, ammetteva di riconoscere un solo Dio, il "Signore Gesù Cristo". Ovviamente per i modalisti questa affermazione suonava come una pericolosa concessione ai monarchiani, e viceversa. Il dibattito sarebbe durato ben oltre la morte di Zeffirino, anzi fu proprio la successiva elezione di Callisto a causare il primo vero scisma perché Ippolito, indignato, decise di fondare una Chiesa tutta sua di cui si autonominò papa. A riportare l'unità tra i cristiani di Roma sarebbero state paradossalmente le persecuzioni degli anni Venti e Trenta, durante le quali Ippolito si ritrovò condannato alla stessa miniera del papa in carica, Ponziano: in quell'occasione i due si riconciliarono ufficialmente e chiesero ai rispettivi seguaci di fare altrettanto.
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