107. Rozzi cibernetici signori degli anelli, orgoglio dei manicomi
13-08-2022, 23:03Battiato, la Gara, musicaPermalink[Benvenuti alla Gara delle canzoni di Franco Battiato, oggi una spiaggia solitaria sfida una città-formicaio].
1981: Summer on a Solitary Beach (Battiato/Pio, #7)
Più scrivi e più scrivi scemenze, per esempio una volta devo aver scritto che Magic Shop coi suoi tre accordi era la progressione più semplice di tutto il catalogo di Battiato, ovvero mi ero dimenticato che Summer è tutta giocata su due accordi due: un Fa e un Re-, ovvero l'intervallo I-vi. Così semplice – banale, diciamolo – così ipnotico se recitato con calma (la parte strumentale di Wish You Were Here): Battiato non ha bisogno d'altro per mettere assieme un brano di grande efficacia. Alla fissità degli accordi corrisponde la staticità della scena: siamo soli davanti al mare, a ogni onda (Fa maggiore) segue una risacca (Re minore). Possiamo quindi aggiornare questa lista di Rick Beato, che all'inizio del video spiega cosa rende 'grande' una canzone di due accordi: ottime melodie ovviamente, ottimi arrangiamenti, ma soprattutto quando entra il ritornello "deve succedere qualcosa": e sappiamo che in questo caso succedono più cose. Il tre quarti incespica, il ritmo sembra sparire del tutto, e la melodia si scioglie in quello che al tempo era il ritornello più cantabile di Battiato (insieme a Cerco un centro): mare, mare, mare, voglio annegare. Tutto questo succede nello stesso disco in cui troviamo una delle progressioni più complesse e stratificate, Gli uccelli, a riprova della straordinaria duttilità a cui sono arrivati FB e Giusto Pio al loro terzo album pop.
1998: Shock in My Town (Battiato/Pio, #26)
Al momento Shock in My Town è la più recente tra le trentadue superstiti – l'unica successiva all'Imboscata. Un primato del genere, meritato o meno, ha un suo senso: quando uscì, Shock sembrava in qualche modo un ritorno del 'vecchio' Battiato. Era un'impressione abbastanza superficiale, che più da un ascolto della musica o da una comprensione del testo muoveva dal dettaglio più vistoso: il ritornello in un inglese improbabile, più battiatese che comprensibile ai britannici; la bislacca rima "my town/velvet underground", l'accigliata denuncia dell'incipiente apocalisse; tutto questo 'faceva Battiato' e tanto bastava per convincere molti programmatori radiofonici: il che sorprese Battiato stesso, persuaso di avere scritto un brano più duro del solito e non un'autoparodia. Invece in un qualche modo Shock in My Town era la mossa che ci si aspettava da lui: un'invettiva contro la contemporaneità infiorettata di anglismi a capocchia. Shock in My Town, ad ascoltarla bene, non suonava affatto 'vecchio Battiato' ed esibiva uno dei testi in cui sembrava più facile separare lo Yan Sgalambro ("rozzi cibernetici signori degli anelli, orgoglio dei manicomi") dallo Yin Battiato ("Shock emozionali, sveglia Kundalini"). A meno che i due non stessero giocando a farsi il verso a vicenda, e conoscendoli potrebbe anche essere il caso.