Congiunzione di tre crisi
09-08-2012, 00:30la musica è finita, musicaPermalinkI am thinking of your v o i c e
Magari è solo un fenomeno raro come può essere rara una congiunzione astrale: la congiunzione di tre crisi.
(1) La prima è una crisi personale, di cui ho già reso conto: è un periodo che non ascolto musica. Problema mio.
(2) Poi c'è una crisi commerciale, così evidente che non c'è bisogno di parlarne: la musica vende sempre meno, in Italia e nel mondo. I negozi chiudono, le vendite on line non tengono il passo, qualche musicista si suicida, altri ci danno dentro coi concerti ma in generale guadagnano meno dei loro omologhi di dieci anni fa; potremmo dare la colpa alla crisi globale (quella dei debiti sovrani o quella dei mutui subprime o quella post 11 settembre? boh), però la cosa convince fino a un certo punto: nel passato ci sono state fasi di recessione in cui la gente continuava a comprare dischi. È più facile ammettere che siano stati gli mp3, così facili da scambiare (non solo on line) da far crollare le vendite della musica non compressa. Tutto questo era facilmente prevedibile ed è successo. Forse i negozi di CD non avevano speranza sin dal giorno in cui la voce di Suzanne Vega fu compressa per la prima volta in un mp3. Come i manoscritti dopo la prima Bibbia di Gutenberg: nel giro di pochi anni un supporto prima indispensabile diventa un pezzo da museo, magari più prezioso, ma inutile.
(3) E poi, sotto le altre due, c'è una terza crisi, che è quella su cui ci dovremmo interrogare, ma prima devo ammettere che c'è, che non è un bagliore riflesso dalla congiunzione delle altre due. Una crisi creativa, ma anche industriale. A partire dal dopoguerra, e almeno fino a tutti gli anni Novanta, la musica che all'inizio si definiva "leggera" ha conosciuto un'esplosione creativa senza paragoni, per la quantità e la qualità e la varietà. Dieci anni fa è cominciata una contrazione: si compone e si produce e si suona ancora molta musica (moltissima), ma l'innovazione è rimasta al palo. Le ultime tendenze sono di solito la commistione di cose già fatte in periodi precedenti, magari finiti temporaneamente sotto un cono d'ombra e poi ciclicamente riscoperti. L'ultima grande diva pop, anche a causa di una morte veramente troppo prematura, cantava R'n'B. Ma in generale tutto quello che è saltato fuori di interessante negli anni Zero è comunque scomponibile in fattori primi che esistevano già negli anni precedenti.
Se ammettiamo che oltre alle prime due crisi, c'è anche questa terza, la situazione si fa più preoccupante. Forse il vero motivo per cui non riesco più ad affezionarmi alla musica è che non mi sorprende più, non mi presenta più qualcosa di nuovo. E forse non succede soltanto a me, forse è un problema di milioni di persone in tutto il mondo, milioni di potenziali acquirenti di musica nuova che negli ultimi anni nessuno riesce più a trovare. La crisi n.3, se esistesse, potrebbe spiegare la n.1 e la n.2.
Ma potrebbe anche essere l'inverso. Il venir meno della creatività, nell'ultimo decennio; la lenta trasformazione del concetto di "originalità" da "fare qualcosa di nuovo" a "essere i primi della stagione che scoprono il filone di 23 anni fa che tra sei mesi copieranno tutti" - potrebbe essere il risultato della crisi commerciale. Si sperimenta meno perché non ci sono più soldi, e quando non ci sono soldi nessuno si prende più i rischi, le major tirano i remi in barca e danno alla gente "quel che la gente vuole" ossia le vecchie canzoni rimiscelate. Per questo, oltre che creativa, la definisco una crisi industriale. Perché la musica leggera è anche un'industria, un settore industriale dove da dieci anni non si progetta più nulla di nuovo, non si osa niente. E forse la colpa è mia. Nostra, cioè.
Cosa abbiamo da dire a nostra discolpa?
Magari è solo un fenomeno raro come può essere rara una congiunzione astrale: la congiunzione di tre crisi.
(1) La prima è una crisi personale, di cui ho già reso conto: è un periodo che non ascolto musica. Problema mio.
(2) Poi c'è una crisi commerciale, così evidente che non c'è bisogno di parlarne: la musica vende sempre meno, in Italia e nel mondo. I negozi chiudono, le vendite on line non tengono il passo, qualche musicista si suicida, altri ci danno dentro coi concerti ma in generale guadagnano meno dei loro omologhi di dieci anni fa; potremmo dare la colpa alla crisi globale (quella dei debiti sovrani o quella dei mutui subprime o quella post 11 settembre? boh), però la cosa convince fino a un certo punto: nel passato ci sono state fasi di recessione in cui la gente continuava a comprare dischi. È più facile ammettere che siano stati gli mp3, così facili da scambiare (non solo on line) da far crollare le vendite della musica non compressa. Tutto questo era facilmente prevedibile ed è successo. Forse i negozi di CD non avevano speranza sin dal giorno in cui la voce di Suzanne Vega fu compressa per la prima volta in un mp3. Come i manoscritti dopo la prima Bibbia di Gutenberg: nel giro di pochi anni un supporto prima indispensabile diventa un pezzo da museo, magari più prezioso, ma inutile.
(3) E poi, sotto le altre due, c'è una terza crisi, che è quella su cui ci dovremmo interrogare, ma prima devo ammettere che c'è, che non è un bagliore riflesso dalla congiunzione delle altre due. Una crisi creativa, ma anche industriale. A partire dal dopoguerra, e almeno fino a tutti gli anni Novanta, la musica che all'inizio si definiva "leggera" ha conosciuto un'esplosione creativa senza paragoni, per la quantità e la qualità e la varietà. Dieci anni fa è cominciata una contrazione: si compone e si produce e si suona ancora molta musica (moltissima), ma l'innovazione è rimasta al palo. Le ultime tendenze sono di solito la commistione di cose già fatte in periodi precedenti, magari finiti temporaneamente sotto un cono d'ombra e poi ciclicamente riscoperti. L'ultima grande diva pop, anche a causa di una morte veramente troppo prematura, cantava R'n'B. Ma in generale tutto quello che è saltato fuori di interessante negli anni Zero è comunque scomponibile in fattori primi che esistevano già negli anni precedenti.
Se ammettiamo che oltre alle prime due crisi, c'è anche questa terza, la situazione si fa più preoccupante. Forse il vero motivo per cui non riesco più ad affezionarmi alla musica è che non mi sorprende più, non mi presenta più qualcosa di nuovo. E forse non succede soltanto a me, forse è un problema di milioni di persone in tutto il mondo, milioni di potenziali acquirenti di musica nuova che negli ultimi anni nessuno riesce più a trovare. La crisi n.3, se esistesse, potrebbe spiegare la n.1 e la n.2.
Ma potrebbe anche essere l'inverso. Il venir meno della creatività, nell'ultimo decennio; la lenta trasformazione del concetto di "originalità" da "fare qualcosa di nuovo" a "essere i primi della stagione che scoprono il filone di 23 anni fa che tra sei mesi copieranno tutti" - potrebbe essere il risultato della crisi commerciale. Si sperimenta meno perché non ci sono più soldi, e quando non ci sono soldi nessuno si prende più i rischi, le major tirano i remi in barca e danno alla gente "quel che la gente vuole" ossia le vecchie canzoni rimiscelate. Per questo, oltre che creativa, la definisco una crisi industriale. Perché la musica leggera è anche un'industria, un settore industriale dove da dieci anni non si progetta più nulla di nuovo, non si osa niente. E forse la colpa è mia. Nostra, cioè.
Cosa abbiamo da dire a nostra discolpa?
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