Don't you black or white me

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I due peccati capitali di Jacko

“A questo punto perché non dite alla gente che sono un alieno che viene da Marte. Dite loro che mangio polli vivi e faccio danze vudù a mezzanotte. Crederanno in tutto quello che dite, perché siete giornalisti. Ma se io, Michael Jackson, stessi dicendo “Sono un alieno che viene da Marte e mangio polli crudi e faccio danze vudù a mezzanotte”, la gente direbbe, “Ehi, quel Micheal Jackson è fuori di testa. Completamente fuso. Non puoi credere a una sola parola di quel che dice”.

“Vorrei che non ci fosse nero o bianco, vorrei che non ci fossero regole” (Prince, Controversy)

Il cinismo, per carità, piace anche a me. Non starei altrimenti così tanto tempo su internet. E ben venga il cinico Internet, soprattutto in situazioni del genere, quando tv e giornali pretendono di commuoverti con coccodrilli polverosi estratti in fretta e furia dal cassetto.

E tuttavia c'è qualcosa di inquietante nella rapidità con cui ci siamo tutti messi a scherzare sulla morte di Micheal Jackson. Certo, era un modo per reagire all'overdose di melassa dei media e dei fan, eppure finora qualsiasi altra celebrità – non importa quanto antipatica – aveva avuto il diritto a quel quarto d'ora di rispetto post mortem che per Jacko non c'è stata. Abbiamo iniziato con le battute subito e, posso dire? Alcune non valevano nemmeno la pena.

Ma non voglio fare la morale. Mi piacerebbe soltanto capire i motivi per cui il suo cadavere ancora caldo ci è sembrato più buffo, e meno sacro, di quello di chiunque altro. Io credo che MJ, figura inattaccabile dal lato artistico, si sia macchiato di due peccati mortali, che non gli abbiamo mai perdonato, e che tuttora ci impediscono di vederlo per quello che è stato: l'eroe tragico di una vita straordinariamente complicata, e un artista immenso.

Il primo, irredimibile peccato è stato mettere a letto dei bambini in camera sua. Tutto qui? Sì, perché la polizia che setacciò Neverland non è mai riuscita a trovare niente di più, e i testimoni (radunati anche attraverso un numero verde: “sei stato molestato da Jacko? Chiama il XX-xx-xx”) non sono mai sembrati credibili alle due giurie che lo assolsero. Due volte. Il suo principale accusatore era un bambino che aveva sofferto di un cancro, a cui MJ aveva pagato le sedute di chemio. Lui, il fratello e la madre si contraddissero varie volte durante il processo. Nonostante questo, siamo tutti convinti che MJ sia stato un pedofilo. Lo abbiamo sentito dire talmente tante volte che dev'essere vero per forza. Conosco adolescenti convinti che sia stato anche in prigione.
Questo non sorprende più di tanto: al giorno d'oggi, quando è sufficiente ricevere delle palpate da uno studente per venire processati per pedofilia, un cantante dissociato che invita i bambini in casa sua e lascia che si addormentino nel suo letto non può che essere un mostro morale. Sul blog di Massimiliano Frassi (quello che “nuoce gravemente alla salute dei pedofili”), la morte di MJ è festeggiata con un fotomontaggio in cui il cantante spaventa a morte Macaulay Culkin. Chissà se Frassi ignora che proprio una testimonianza di Culkin contribuì a scagionare MJ nel secondo processo: l'attore prodigio raccontò di aver dormito tranquillamente nel letto dell'ex cantante-prodigio senza subire alcun tipo di molestie. Sì, ma cosa importa? Da Frassi si giudica, si condanna, si festeggia: “Chissà se i funerali li faranno domani, proprio nella giornata dell'orgoglio pedofilo...”, “ora tutti i bimbi avranno una paura in meno” (dai commenti).
Fu esattamente questo tipo di voci incontrollate a causare un primo esaurimento di MJ durante gli anni Novanta. La stampa che oggi finge di stupirsi per il cocktail di antidepressivi che lo ha ucciso dovrebbe farsi un esame di coscienza – non che io creda che lo farà mai. Su Internet però il discorso dovrebbe essere diverso: qui, oltre al cinismo, ci dovrebbe anche essere lo spazio per un po' di senso critico.

Un altro peccato, in apparenza meno grave, risulta altrettanto imperdonabile: il colore della pelle. Forse potremmo passar sopra al suo rapporto problematico con l'infanzia; in fondo sappiamo che il padre lo picchiava e magari ne abusava (altra voce incontrollata)... ma non era fiero di essere nero, e questo no, questo non può essere perdonato.
Dietro alla voce insistente, e ormai data per certa, del cantante che “si faceva sbiancare la pelle” (ma sosteneva di curare vitiligine e lupus), c'è qualcosa di più. Per tutti gli anni Novanta MJ era rimasto fedele a un obiettivo artistico e culturale coerente con le sue premesse di ultimo virgulto dell'orto Motown: la conquista del Bianco. Dagli esordi di bambino prodigio, subito cannibalizzato da tv e merchandising, alla svolta disco-funk di metà Settanta (quando i Jacksons si stancarono di essere trattati da boy band e passarono alla CBS), ai dischi con Quincy Jones. Tutto portava lontano dai ghetti del R'n'B, verso un pop sempre più internazionale e sempre meno “nero” – ed ecco il tabù: in un mondo che a partire dagli anni Novanta rivalutava qualsiasi steccatino e qualsiasi radice rinsecchita, Michael Jackson rimaneva un grande artista degli anni Ottanta: uno che le radici le rinnegava tranquillamente, prontissimo a disseppellirle e a rivenderle al migliore offerente per un disco di platino in più. Anche in questo tanto simile al vecchio rivale Prince, pure lui insofferente verso le categorie “black” e “white”, e pure “male” e “female”, e (avrebbe aggiunto MJ) “adult” e “child”. Jacko e Prince, pilastri di un decennio camp che citiamo a man bassa con pretese perfino filologiche, senza accorgerci che lo stiamo tradendo, che in realtà non lo capiamo già più: proprio perché il nostro obiettivo è trovare qualcosa in cui identificarci, un'Identità, un'Origine, mentre loro spingevano con tutte le forze verso la direzione opposta, l'Altro da Sé, con un coraggio che non siamo nemmeno capaci di capire. Che durante questo percorso MJ cominciasse a impallidire, è il segno d'infamia che non riusciamo a perdonargli.

Chi scherza su MJ a fossa aperta dà per scontato che la musica non ci abbia perso niente: che i fasti di Thriller fossero finiti da un pezzo eccetera eccetera. Non è proprio così. Già per gli standard qualitativi degli anni Ottanta, MJ sembrava provenire da un altro pianeta, nella costellazione del Professionismo Assoluto, ultima traccia del retaggio Motown. Per favore non paragonatelo a Madonna, che canzoni ha scritto Madonna? Ha inventato un solo passo di danza? Puoi riconoscere Madonna semplicemente da un suo acuto? Poi è anche vero che rispetto a tutte le sciacquette che sono venute dopo, Madonna giganteggia: ma MJ era in un'altra categoria. Oggi sappiamo che dietro a quel sogno di perfezione c'era un padre coercitivo e manesco. Ma quello che ci ha dato è difficile da liquidare. Nemmeno dieci anni fa, con la pelle e il volto in disfacimento, Jacko componeva ed eseguiva ancora pezzi complessi e irresistibili come You rock my world, di fronte ai quali i pompatissimi ed esausti epigoni della scena pop dell'ultimo decennio devono andare a nascondersi, subito.

Questo era Michael Jackson. Io che non ho mai avuto in casa un disco suo, che ai pezzi dei bambini prodigio preferisco quelli dei trentenni stonati, ci terrei però a ribadire un punto: era un genio. Ha avuto una vita difficile; ha fatto montagne di soldi, ma è discutibile che se li sia goduti davvero. La prossima sonda da lanciare nello spazio profondo con qualche prova del valore dell'umanità dovrebbe contenere almeno il video di Beat it, un passo di moonwalk e l'mp3 di I want you back. Questo non ci impedisce di raccontarci barzellette sul pedofilo che andava in clinica a sbiancarsi, se proprio ci teniamo. Jacko è stato anche questo, cibo pronto per tutti gli avvoltoi mediatici, professionisti e improvvisati. E ci mancherà anche per questo.
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